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La nonviolenza e' in cammino. 1464
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1464
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 30 Oct 2006 00:45:38 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1464 del 30 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Il primo diritto, il primo dovere 2. Giulio Vittorangeli: Un appello dell'Associazione Italia-Nicaragua 3. Cindy Sheehan: A Washington per la pace 4. Amy Branham: La mia bandiera 5. Tahar Ben Jelloun: Madri in jeans, figlie in foulard 6. Guido Caldiron intervista Tariq Ramadan 7. Mario Pezzella presenta "Cours de philosophie morale" di Vladimir Jankelevitch 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. IL PRIMO DIRITTO, IL PRIMO DOVERE [Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance, collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro la guerra e contro le violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006] Il primo diritto di ogni essere umano e' quello di non essere ucciso. Cessi la guerra assassina in Afghanistan. Sia liberato Gabriele Torsello. * Sia liberato Gabriele Torsello: l'Italia faccia quanto in suo potere affinche' sia restituito sano e salvo all'affetto dei suoi cari, al suo lavoro di costruttore di pace con la forza della verita', alla liberta' che e' una e indivisibile. E cessi l'Italia di partecipare alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan; cessi di partecipare alla guerra e s'impegni contro la guerra, s'impegni per costruire la pace con mezzi di pace, s'impegni per la smilitarizzazione del conflitto, s'impegni per il disarmo, s'impegni per recare aiuti umanitari per concretamente inverare gli umani diritti di tutti gli esseri umani. La guerra e' un flagello, la guerra e' antiumana, opporsi alla guerra e' il compito primo di ogni persona e di ogni ordinamento giuridico. * E faccia sentire la sua voce, si mobiliti il popolo italiano contro la guerra. Faccia sentire la sua voce, si mobiliti il popolo italiano per chiedere ed ottenere che l'Italia cessi di partecipare alla guerra, che l'Italia torni al rispetto della Costituzione che la guerra ripudia, che l'Italia s'impegni per la pace e la cooperazione tra i popoli, che l'Italia scelga la nonviolenza come principio e come pratica cui informare la sua politica internazionale. Faccia sentire la sua voce, si mobiliti il popolo italiano per chiedere ed ottenere la liberazione di Gabriele Torsello. * Sia liberato Gabriele Torsello. Cessi la guerra assassina in Afghanistan. Il primo dovere di ogni essere umano e' quello di salvare le vite umane. 2. APPELLI. GIULIO VITTORANGELI: UN APPELLO DELL'ASSOCIAZIONE ITALIA-NICARAGUA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Lo Stato laico e' stato istituito in Nicaragua dalla fine dell'800 e con esso la possibilita' di praticare l'aborto per ragioni terapeutiche. "La necessita' d'interruzione della gravidanza per motivi terapeutici sara' determinata scientificamente, con il consenso di almeno tre medici. L'aborto terapeutico non sara' punibile ed e' previsto nei casi in cui la gravidanza metta in serio pericolo la vita della futura madre. Qualsiasi altro tipo di aborto e' proibito e severamente sanzionato in Nicaragua" (articolo 143.3 del codice penale nicaraguense). A pochi giorni dalle elezioni presidenziali, previste per il prossimo 5 novembre, i principali partiti inseguendo i favori delle gerarchie ecclesiastiche (cattolica ed evangelica), hanno approvato la penalizzazione dell'aborto terapeutico, con i voti dei deputati sandinisti e liberali. Tutto questo rischia di costituire per il Nicaragua un balzo all'indietro nella barbarie. Vittime principali, come al solito, le donne, quelle povere in particolare. Il Paese e' afflitto dalla disuguaglianza sociale, con una percentuale del 79% di poverta', il 20% di famiglie monoparentali, una media di 4-5 figli per famiglia, una gran quantita' di bambini indigenti senza diritti, un tasso di violenza intrafamiliare, di violenza sessuale e di alcoolismo altissimo. Le donne, gia' oppresse dalla cultura maschilista, dallo sfruttamento (i loro salari sono la meta' di quelli degli uomini) e dalla miseria, rischiano oggi di diventare vittime sacrificali della convenienza politica, non avendo il diritto di decidere della propria vita e del proprio corpo. Il disegno di legge approvato in parlamento parla chiaro: una condanna fino a 30 anni di carcere per le donne che abortiscono, anche se questo significa salvare loro la vita. Con la riforma delle legge il 10% delle donne di famiglia ricca potra' andare all'estero per salvarsi, mentre le altre dovranno morire per partorire dei figli che si troveranno garantito solo un diritto alla nascita, per di piu' privato dell'amore e della protezione della madre. Donne che sono spesso vittime, e non artefici, delle gravidanze che non possono affrontare, e che morendo provvederanno solo a consegnare a una vita misera e senza tutele la loro indifesa prole, mentre lo stato che legifera questa barbarie si guardera' bene dal prevedere misure di accoglienza e sostegno per gli orfani che nasceranno. E' veramente scandaloso che molti deputati del Fronte sandinista di liberazione nazionale (protagonista del rovesciamento della sanguinosa dittatura somozista nel 1979), abbiano votato a favore della riforma di penalizzazione e che conducano questa crociata oscurantista, che colpisce soprattutto i poveri, con l'aggravante di una persecuzione di classe, invece di impegnarsi per porre rimedio a cio' con una razionale e giusta politica di prevenzione delle gravidanze indesiderate e di educazione sessuale. * Ha dichiarato l'ex comandante guerrigliera Monica Baltodano: "Tutti i giorni mi sorprendo di quanto bello sia il mio paese. Quando vedo il sole, le sue piante, i suoi colori. Quando percorro le sue strade e tocco la gente umile. Non finiro' mai di sorprendermi di come la gente semplice sappia sorridere nonostante non abbia nulla da mangiare alla fine della giornata o vivano sul bordo dei canali pieni di spazzatura e nonostante questo, siano capaci di darti amore e tenerezza. Non finiro' mai di sorprendermi della tenerezza dei bambini che ci seguono per le strade e scherzano con noi. Continua a sorprendermi la luna e il suo brillare. Mi sembra che la luna e le stelle del Nicaragua siano piu' belle nel nostro cielo... Ma questa condotta cosi' ipocrita, con una doppia morale, dei dirigenti del Fronte sandinista, che non hanno nessuna preoccupazione nel mandare le loro figlie e donne ad abortire a Cuba, dove esiste una legislazione moderna e rispettosa del nostro diritto alla vita, questo si' mi sembra orrendo e mi sorprende negativamente". Quanto ai deputati, evidentemente, non hanno preso assolutamente in considerazione le inchieste che dimostrano come piu' del 70% della popolazione nicaraguense sia contraria al nuovo disegno di legge. Questa offensiva contro il diritto alla vita delle donne non puo' e non deve passare sotto silenzio. * Gia' molti appelli sono stati fatti ed inviati al governo e ai deputati del parlamento nicaraguense dalle ong nazionali e internazionali contro la riforma che cancella il diritto all'aborto terapeutico. L'Associazione Italia-Nicaragua ha lanciato una campagna con la richiesta di inviare una e-mail di protesta alle autorita' politiche e di governo del Nicaragua, dal suo sito internet: www.itanica.org Facciamo nostro questa richiesta, sosteniamo le donne che stanno lottando in Nicaragua; facciamo circolare l'appello per salvaguardare dall'erosione quest'ultimo e misero diritto alla sopravvivenza. 3. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: A WASHINGTON PER LA PACE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] L'opzione "thesaurus" del mio computer ha avuto un sovraccarico di lavoro, da quando ho iniziato a scrivere articoli e libri su questo governo, Bush, Casey eccetera. Ci sono solo quelle tante parole da usare. Ho cercato sinonimi per: tristezza, disastro, morte, crimine, folle, profitto, illegale, immorale, malvagio, innocente, corrotto... cosi' spesso che sembra siano sempre le stesse parole ad essere usate. Comincio a non averne piu' per descrivere i mascalzoni a Washington e l'orribile occupazione dell'Iraq. Mi sembra comunque che Bush e compari stiano diventando un po' stizzosi e stiano parecchio sulla difensiva rispetto alle loro grottesche mosse per il profitto in Medio Oriente. Recentemente George, "Darth" Cheney e Rambo Rumsfeld hanno mostrato quanto disprezzano l'America nel loro ingiustificato sostegno ai crimini commessi per il beneficio di una cerchia ristretta di persone. In effetti, Cheney praticamente sbavava al pensiero di praticare la tortura su esseri umani. Stavo scrivendo "su altri esseri umani", ma applicare la definizione a lui forse e' essere troppo gentili. Gli illegittimi occupanti della Casa Bianca l'hanno sconciata al punto che appare al di la' della possibilita' di recupero, ed hanno infangato la gia' macchiata immagine dell'America nel mondo a livelli senza precedenti. Le persone che non abbiamo mai eletto, in primo luogo, pensano che noi si sia squallidi e incapaci come loro. Quando Bush dice che stiamo "vincendo" la guerra in Iraq, cosa intende? Abbiamo ucciso persone duemila volte tanto quanto abbiano fatto loro, e decimato un paese che era gia' ridotto a condizioni subumane dalle devastanti sanzioni degli anni '90. Quando dice che questa amministrazione non ha mai esortato a "continuare la missione", si suppone che noi si getti la nostra memoria nello spazio cosmico, si sorrida blandamente, si vada a far compere e tutto sia a posto? Niente e' a posto. In effetti tutto e' pericolosamente fuori posto. Se mai c'e' stato un momento per la disobbedienza civile nonviolenta, e' proprio ora. Il presente e' gia' di per se' abbastanza spaventoso, ma quando penso al mondo che i fascisti neoconservatori stanno volontariamente e lietamente preparando per i nostri figli e nipoti, mi fa male lo stomaco. La nostra nazione e' stata attraversata da sollevazioni e problemi in passato. I movimenti di base che hanno posto collettivamente i loro corpi in prima linea per ottenere giustizia possono vantarsi di aver ottenuto quei positivi cambiamenti sociali che hanno permesso a me ed alle mie sorelle e fratelli di colore di votare. I nostri antenati e le nostre antenate hanno fermato la schiavitu', il lavoro minorile e le condizioni opprimenti sul posto di lavoro. Grazie ad elezioni corrotte, al disdegno di Bush e compagnia per i sindacati, ed all'osceno sostegno al fascismo corporativo, stiamo perdendo i diritti per cui i nostri predecessori lottarono cosi' valorosamente. Ci fu una sorta di rivoluzione contro la guerra durante il conflitto in Vietnam, in cui i dimostranti vennero persino uccisi a sangue freddo dal regime di Nixon. I terribili sacrifici che i nostri predecessori nel movimento per la pace hanno fatto sono stati sminuiti e invalidati dalla maggior parte della cittadinanza del paese, nel suo confortevole e acquiescente consenso alla corrotta occupazione dell'Iraq. Per i nostri figli, i nostri nipoti e per il mondo intero, e' imperativo che noi mettiamo i nostri corpi in gioco per la pace, e affinche' chi ha commesso crimini ne risponda. Il tempo del timore e' passato, ha inizio il tempo del coraggio. Mostriamo a Bush e compari che non siamo piu' spaventati da loro, e che rivogliamo il nostro paese, e che le truppe tornino a casa dall'Iraq. Il nostro Stato non e' diventato solo illegale, ma pensa addirittura di essere al di sopra della legge. Mostriamo all'irresponsabile Congresso che, si chiamino democratici o repubblicani, noi li riteniamo responsabili dei guai di questa nazione. Venite a Washington, a stare "seduti per il cambiamento, in piedi per la pace". Noi vi aspettiamo, e saranno i vostri figli e i vostri nipoti a ringraziarvi. 4. TESTIMONIANZE. AMY BRANHAM: LA MIA BANDIERA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente lettera inviata ai principali giornali statunitensi da Amy Branham, madre di un soldato morto in Iraq] Noi tutti conosciamo la storia della bandiera americana. Conosciamo la sua simbologia. Il bianco significa purezza ed innocenza, il rosso valore e coraggio, e il blu significa vigilanza, perseveranza e giustizia. Ogni stella rappresenta uno stato dell'Unione. Guidando l'auto attraverso il mio tipico quartiere americano, vedo che molti dei miei vicini hanno una bandiera americana nello spazio di fronte alle loro case. Fanno sventolare le bandiere per mostrare sostegno e amore al loro paese. Per essi, dispiegare le bandiere e' un segno di patriottismo. Io non mostro ne' faccio sventolare mai la mia. La mia bandiera e' racchiusa in una cassetta triangolare di legno, in cima alla libreria nel mio soggiorno. E' facilmente visibile da chiunque entri in casa mia. Nella cassetta di legno sono custodite anche le medaglie che mio figlio si guadagno' durante il suo servizio nell'esercito, e i bossoli della salva di saluto sparata al suo funerale. Ognuno di questi oggetti nella cassetta puo' rappresentare differenti elementi di cio' che l'esercito Usa proclama: dovere, onore, paese. La bandiera americana significa molte cose per molte persone. Alcuni si avvolgono nella sicurezza della bandiera e dicono se stessi "patriottici". Altri la bruciano, nello sforzo di mostrare il loro dissenso al governo americano. In questi giorni, essa riveste un significato interamente diverso, per me. La bandiera e' stata l'ultimo lenzuolo di mio figlio. Ha coperto la sua bara di legno, ad indicare che e' morto al servizio del suo paese. La mia bandiera porta il peso delle lacrime e della tristezza e del lutto per la perdita di un figlio che non vedro' mai piu'. Ho seguito i colori della bandiera nella processione funeraria che ha condotto mio figlio alla sua ultima dimora, dove restera' per sempre. Ci sono state troppe di queste bandiere a coprire i feretri dei nostri morti nella guerra irachena. Ci sono state troppe famiglie a cui si sono presentate tale bandiere a coprire le bare. Per favore, aiutate chiunque di noi stia tentando di mettere fine a questa guerra illegale ed immorale. Aiutateci andando a votare a quest'elezione stagionale per il candidato che fara' la cosa giusta facendo terminare la guerra in Iraq. Onorate i figli caduti e le figlie cadute d'America, e i loro sacrifici, andando a votare. Se non votate, state mancando verso di loro. Se non votate , il loro sacrificio sara' stato inutile. 5. RIFLESSIONE. TAHAR BEN JELLOUN: MADRI IN JEANS, FIGLIE IN FOULARD [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 22 ottobre 2006. Tahar Ben Jelloun, nato a Fes in Marocco nel 1944, trasferitosi a Tangeri nel 1955, a Parigi dal 1971, e' scrittore arabo di lingua francese di nitido impegno democratico. Opere di Tahar Ben Jelloun: segnaliamo particolarmente alcuni lavori saggistici: Le pareti della solitudine, Einaudi, Torino 1990, 1997; Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, Milano 1998, L'estrema solitudine, Bompiani, Milano 1999; La scuola o la scarpa, Bompiani, Milano 2000; L'islam spiegato ai nostri figli, Bompiani, Milano 2001; Jenin. Un campo palestinese, Bompiani, Milano 2002; i suoi sempre appassionanti romanzi sono pubblicati dagli editori Bompiani ed Einaudi] Tempo fa, in Marocco, l'uso del velo non comportava alcun problema. Le donne si vestivano in djellaba e portavano un velo che non copriva tutto il viso ma solo la parte inferiore. Si vedevano parte della fronte, gli occhi e il naso, mentre il velo copriva le labbra. Piu' che una presa di posizione politica o religiosa era una tradizione. Mia madre si velava cosi', mentre la nonna, per via dell'eta', non si velava piu'. Le donne di citta' nascondevano la capigliatura ma non le forme. Quando le contadine venivano in citta', si avviluppavano in un grande telo bianco chiamato haik e ne tenevano i lembi tra le dita all'altezza del naso. Nel frattempo, erano sempre piu' numerose le giovani donne che uscivano vestite all'europea. Era l'epoca di re Mohamed V che, tornato dall'esilio nel 1956, non esito' a mostrare le sue figlie senza velo. Nello stesso periodo, il presidente tunisino Bourghiba chiedeva alle donne di smettere di indossare la djellaba che chiamava "nascondimiserie". Tra la fine dei Cinquanta e l'inizio degli Ottanta, la maggior parte delle donne marocchine aveva smesso di portare il velo. Indossavano la djellaba e uscivano a capo scoperto. E' con la rivoluzione iraniana e i discorsi demagogici di Khomeyni che il velo ha rifatto la sua comparsa. Mia madre, mia sorella, le mie cugine continuavano a non coprirsi il capo se non con un bel foulard che tratteneva i capelli. Il volto, mai piu' velato. Nel giro di una ventina d'anni le cose sono cambiate parecchio. Quando ero all'universita' di Rabat, nel 1965, nessuna studentessa si metteva il velo o si vestiva con la djellaba. La promiscuita' nell'ambiente studentesco era naturale e ragazzi e ragazze si frequentavano senza esibirsi in modo oltraggioso: stando ai film del neorealismo, direi che era un po' come nell'Italia degli anni Cinquanta. Oggi il panorama e' cambiato. Meta' delle mie cugine va all'universita' in jeans e l'altra meta' ci va con tuniconi larghi e un velo intorno alla testa. Non e' piu' una questione di tradizione, ma un atteggiamento, un modo di sottolineare la propria identita' culturale. Un atteggiamento di rifiuto. L'altr'anno mi trovavo in Tunisia per un giro di conferenze nei licei e nelle universita'. Nessuna ragazza era velata. Alla fine del mio intervento, due ragazze vennero a parlarmi abbassando la voce per timore d'essere sentite da orecchi indiscreti: "Non e' una questione di liberta' e di scelta individuale, vestirsi secondo le proprie convinzioni? Qui, noi vorremmo portare il velo ma ce lo vietano: non c'e' un testo di riferimento o una legge, ma ci sospettano di essere all'opposizione". Una professoressa sulla cinquantina, vestita all'europea, mi cita a testimone: "Una volta lottavamo con le nostre madri per uscire in abiti attillati e pantaloni, oggi lotto contro mia figlia perche' vuole portare il velo e coprirsi dalla testa ai piedi. E' il mondo alla rovescia". La Tunisia ha fatto una guerra spietata agli estremisti islamici. Il Marocco ha voluto giocare la carta della tradizione e della modernita' allo stesso tempo. Il paesaggio e' variegato e non si puo' affermare che "il Marocco e' sempre piu' islamizzato", come ha fatto recentemente un giornalista americano vedendo che molte donne marocchine portano il velo. Ma il fanatismo non ha piu' bisogno di nascondersi dietro alla barba o al velo. Con l'aiuto della segretaria di un amico medico, anch'essa velata, ho steso un elenco delle diverse ragioni che attualmente spingono le donne marocchine a portare il velo: per convinzione religiosa (la religione sta riempiendo il vuoto culturale del Paese); per moda (ci sono veli elegantissimi e una sorta di erotismo discreto); per precauzione e per mostrare di essere persone serie quando si fa un colloquio di lavoro o ci si presenta a un esame; per essere lasciate in pace dagli uomini che importunano le donne per strada, partendo dal presupposto che siano tutte puttane; per obbedire ai genitori; per affermare un'identita' diversa da quella europea; per timore dei pettegolezzi dei vicini, etc. Per velo s'intende qui un foulard che copre i capelli ma non il viso. Le donne velate dalla testa ai piedi con un burqa nero, quelle chiamate "Fantomas", sono davvero rarissime. La societa' marocchina non e' mai stata permissiva. Ha sempre tenuto a salvare le apparenze. Detto questo, in Marocco non c'e' mai stato il delitto d'onore come in Giordania, in Libia o in certe zone della Turchia. Ci si arrabbia con le donne, magari si impone loro il velo, ma non si uccidono. Quello che sta succedendo in Marocco e' una sorta di conferma dell'identita'. Il fallimento delle ideologie politiche di sinistra, il vuoto creato dalla miseria culturale, l'indebolimento dell'autorita' parentale e di alcuni valori spingono le ragazze a preferire il velo, che offre loro tranquillita' e forse anche una certa felicita'. Sulla scena pubblica marocchina e' attualmente impossibile invocare la laicita'. I credenti percepiscono la separazione tra islam e stato come un'aggressione nei confronti delle loro convinzioni, come un tradimento delle origini. Nel frattempo, le televisioni satellitari del Golfo riversano tonnellate di documentari religiosi fatti da uomini barbuti o donne velate e, a forza di sentirle ripetere che "la nostra identita' e' nell'islam", piu' nessuno osa affermare qualcosa di diverso. Infine, per una famiglia marocchina, l'ideale e' andare a passare questo mese di Ramadan alla Mecca e a Medina. Questo viaggio si chiama la Omra (il piccolo pellegrinaggio). Quest'anno decine di migliaia di coppie sono partite per andare a digiunare laggiu': e' un modo per essere in pace con se stessi e mettere al bando tutte le angosce del mondo, ben piu' efficace di qualsiasi antidepressivo. Anche questa e' una questione di liberta'. Aspettiamo che questa liberta' smetta di essere a senso unico e che sia tollerato chi fa altre scelte di vita. La comparsa sempre piu' frequente del velo significa che per il momento a dominare sono i credenti. 6. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA TARIQ RAMADAN [Dal quotidiano "Liberazione" del 28 ottobre 2006. Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale, Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002. Tariq Ramadan, intellettuale e teologo islamico, e' docente universitario in Svizzera e in Gran Bretagna. Tra le opere di Tariq Ramadan: Essere musulmano europeo, Citta' aperta, Troina (Enna) 1999; L'Islam in Occidente, Rizzoli, Milano 2006] Tra i maggiori intellettuali musulmani europei, Tariq Ramadan vive tra Parigi, la Svizzera e l'Inghilterra dove insegna all'Universita' di Oxford ed e' consigliere di Tony Blair per i rapporti con la comunita' musulmana. Autore di molti saggi sull'incontro tra il pensiero musulmano e la cultura europea ha pubblicato di recente presso Rizzoli L'Islam in Occidente (pp. 334, euro 17, 50). Figura di primo piano nel dibattito sul e nell'Islam europeo, accusato da alcuni di essere vicino ai Fratelli Musulmani e di sostenere una sorta di "islamizzazione" delle comunita' immigrate in Europa, ma partner principale della sinistra radicale francese e del circuito altermondialista d'oltralpe, Ramadan sara' in Italia domani mattina per partecipare al Salone del libro storico che si svolge a Roma al Tempio di Adriano in Piazza di Pietra. * - Guido Caldiron: Professor Ramadan, da diversi anni, e ora con il suo nuovo libro, lei sostiene la necessita' di costruire uno spazio di senso musulmano in Europa e in Occidente. Non ritiene pero' che si trattera' di un spazio "separato", ma pienamente integrato nella realta' occidentale. Come potra' avvenire? - Tariq Ramadan: Cio' che ho voluto spiegare anche nel mio libro riguarda tutti i musulmani d'Occidente e si puo' sintetizzare nell'idea che possa realizzarsi una sorta di matrimonio tra dei principi e delle culture. Mi spiego. I nostri principi, come musulmani, sono universali e ci dovrebbero percio' consentire di vivere e di integrarci in qualunque cultura, vale a dire all'interno della cultura americana, di quella dei diversi paesi europei, di quella australiana e via dicendo. Tutto cio' senza rinunciare alla nostra fede. Non si tratta tanto di considerare l'Islam come una religione minoritaria in Occidente, quanto di far valere i suoi aspetti universali. Cosi', nella prima parte del libro ho preso in esame gli aspetti teorici di questo processo mentre nella seconda mi sono concentrato su quelli pratici, si tratti delle questioni sociali, dell'istruzione o della politica. * - Guido Caldiron: Per rendere possibile questo processo i cittadini occidentali di confessione musulmana, come lei li definisce, dovrebbero pero' liberarsi del doppio complesso di inferiorita' che vivono ora: nei confronti del predominio della razionalita' dell'Occidente e nei confronti dei paesi islamici. Vale a dire? - Tariq Ramadan: Si tratta in primo luogo di accettare la situazione storica nella quale si vive, sviluppare un pensiero autonomo e offrire delle risposte a delle domande nuove con le quali ci si deve misurare nel contesto dell'Occidente. In questo senso credo non si debbano nutrire complessi di inferiorita' nei confronti della razionalita' occidentale, ma fare riferimento all'intelligenza critica e alla creativita' della fede. E allo stesso tempo liberarsi di ogni analogo complesso verso il mondo musulmano, nel senso che oggi sono i fedeli dell'Islam in Occidente che anticipano sovente la riflessione che attraversa poi le societa' dei paesi a maggioranza musulmana. Si deve avere sempre presente che il futuro dell'Islam si giochera' d'ora in poi anche lontano da quei paesi, vale a dire in Occidente. * - Guido Caldiron: Queste sue analisi sono state presentate da piu' parti come un tentativo di "islamizzare" la modernita'. Come risponde a questo giudizio? - Tariq Ramadan: Trovo che sia una sciocchezza, anche perche' si basa su una visione falsa dell'Islam e della modernita'. Intanto la modernita' non e' solo un fatto occidentale, basti pensare al Giappone o alla Cina. Il punto centrale, quanto all'Islam, e' del resto un altro. Si tratta infatti di capire se il pensiero musulmano contemporaneo e' in grado di rispondere alle domande che pone la societa' contemporanea. Dal mio punto di vista questa possibilita' c'e', il pensiero musulmano puo' produrre un'etica capace di misurarsi con i quesiti della modernita'. Il che ci puo' far dire che c'e' gia' molto Islam nella modernita' e molta modernita' nell'Islam. Per questo non credo che la riflessione si possa porre nei termini di una contrapposizione tra Islam e modernita', e proprio il percorso seguito nello sviluppo di un Islam occidentale indica invece quale sia la strada da seguire nel confronto. * - Guido Caldiron: Il percorso che lei indica sembra pero' scontrarsi in Occidente con la realta' di societa' profondamente secolarizzate e di cui la laicita' e' una delle caratteristiche piu' importanti. Come costruire uno spazio di senso islamico in paesi, come quelli europei, nei quali la fede e' soprattutto un fatto privato, una pratica intima e individuale? - Tariq Ramadan: Intanto si deve chiarire, contrariamente a quanto viene detto abitualmente, che nell'Islam esiste una precisa distinzione tra la sfera della fede e quella, per cosi' dire, della politica. Distinzione che e' gia' evidente nelle fonti storiche dell'Islam. E se guardiamo a come vanno concretamente le cose oggi, vediamo che ci sono milioni di musulmani europei e americani che non hanno alcun problema nel misurarsi con lo stato di diritto e con la secolarizzazione o l'identita' laica della societa' in cui vivono. A parte alcune minoranze radicali o "letteraliste", che interpretano cioe' alla lettera i testi sacri, la maggior parte di questi musulmani sono dei cittadini esemplari dei loro paesi. Detto questo, e' evidente che in un'epoca di grandi migrazioni chi arriva oggi in Occidente dai paesi islamici pone ancora delle domande a cui i musulmani che vivono da tempo qui, o qui sono nati, hanno gia' trovato delle risposte. Si deve insomma considerare quella in cui viviamo come un'epoca di transizione, cercando di cogliere gli aspetti in divenire della realta' odierna, vedere la vasta realta' di quanti sono perfettamente integrati, e non concentrarsi invece su quelle minoranze che indubbiamente pongono ancora dei problemi. Quanto alla laicita' dello Stato e alla secolarizzazione, e' evidente che ciascuno ha le proprie convinzioni e il proprio credo individuale e intimo e cerca di vivere in modo coerente a tutto cio'. Si tratti di musulmani, cristiani, ebrei, atei o altro. Lo spazio pubblico non puo' percio' essere neutro, nel senso che le diverse convinzioni non possono certo imporsi dogmaticamente, ma nemmeno scomparire. Diciamo che a mio giudizio si tratta di uno spazio negoziale nel quale la convinzione di ciascuno cerca il proprio ruolo. Un elemento, quest'ultimo, che chiede ai musulmani un impegno concreto sul terreno della cittadinanza e dell'agire pubblico. * - Guido Caldiron: Nel nostro paese negli ultimi mesi una serie di terribili vicende di cui sono state vittime soprattutto delle giovani donne hanno messo in evidenza come in alcune comunita' musulmane la religione venga utilizzata per giustificare veri e propri crimini. Come si esce da questa situazione? - Tariq Ramadan: Il solo modo per affrontare questa situazione in modo ragionevole e' di distinguere tra la fede e l'immigrazione. Cosa voglio dire? Che i musulmani che vivono integrati nella realta' europea rispondono ormai alle leggi dei loro nuovi paesi. Lo stesso non si puo' dire per molti di coloro che arrivano oggi da altre realta' e che continuano a tenere insieme nelle loro pratiche di vita elementi culturali e elementi religiosi. Quindi e' ribadendo la separazione tra questi due ambiti che si possono evitare le tragedie a cui lei fa riferimento. Indicando con chiarezza cosa e' frutto della religione e cosa invece di pratiche culturali. * - Guido Caldiron: Proprio il dibattito sul "velo islamico" - parliamo in questo caso di un foulard posto sul capo e non di coperture totali o parziali del volto vietate in Italia dalle leggi sull'ordine pubblico - ruota intorno a questa domanda: si tratta di un precetto religioso o di un elemento culturale? Lei come la pensa in proposito? - Tariq Ramadan: Il rispetto della laicita' dello Stato passa ovviamente anche per il rispetto della liberta' di coscienza e di culto. In questo senso credo che spetti solo ai musulmani di decidere se a proposito del "velo" si stia parlando di un fatto religioso o meno. Da questo punto vista l'opinione dominante oggi tra gli studiosi dell'Islam e' che si tratta di una prescrizione religiosa. Cio' detto, personalmente credo che sia assolutamente vietato dal punto di vista islamico di imporlo a una donna, ma altrettanto contrario ai diritti dell'uomo di imporle il divieto di portarlo. La scelta deve essere libera. * - Guido Caldiron: A proposito di liberta', l'incontro tra l'Occidente e l'Islam ha gia' dato origine a una cultura composta di vari elementi. In questo senso i musulmani occidentali del futuro potranno a suo giudizio vivere fino in fondo - molti lo fanno gia' ora - l'esperienza religiosa in modo individuale, sottraendola ai vincoli della comunita' e vivendo liberamente la loro fede come i loro comportamenti sociale e, perche' no, sessuali? - Tariq Ramadan: E' chiaro che ci troveremo sempre piu' spesso di fronte all'emergere di identita' multiple. Alla cultura propria del paese in cui si vive e in cui spesso si e' nati si aggiunge quella religiosa. Anche se non credo che tutto possa risolversi nel trionfo di una sorta di individualismo della fede, nel senso che restano necessariamente saldi dei principi normativi, come del resto avviene in tutte le religioni. Certo, vi sara' sempre di piu' una forma di adesione individuale alla realta' dell'Islam. In uno spazio democratico come quello dell'Occidente non si puo' del resto che vivere in modo diverso il proprio rapporto con l'elemento comunitario, ma questo non penso possa condurre a una individualizzazione piena della fede musulmana. 7. LIBRI. MARIO PEZZELLA PRESENTA "COURS DE PHILOSOPHIE MORALE" DI VLADIMIR JANKELEVITCH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 ottobre 2006. Mario Pezzella, docente universitario di estetica, studi filosofici a Pisa e a Parigi, ha curato l'edizione italiana di testi di Bachofen e su Jung, organizzato seminari e convegni di studio, ha collaborato con Remo Bodei nella progettazione della collana "Il lessico dell'estetica" presso l'editore "ll Mulino" ed e' redattore della rivista "Iride" e direttore responsabile della rivista "Controtempo". Vladimir Jankelevitch, nato il 31 agosto 1903 a Bourges, deceduto a Parigi il 6 giugno 1985, ha preso parte alla Resistenza ed e' stato docente di filosofia morale alla Sorbona, la sua riflessione e le sue ricerche in ambito filosofico, morale, musicale, costituiscono grandi contributi alla cultura contemporanea. Opere di Vladimir Jankelevitch: Henri Bergson, Morcelliana; L'ironia, Il Melangolo; Trattato delle virtu', Garzanti (traduzione parziale); Il non-so-che e il quasi-niente, Marietti; L'avventura, la noia, la serieta', Marietti; Perdonare?, Giuntina; Il paradosso della morale, Hopefulmonster; La coscienza ebraica, Giuntina; Pensare la morte?, Cortina; La menzogna e il malinteso, Cortina. Opere su Vladimir Jankelevitch: un buon punto di partenza e' il fascicolo monografico di "Aut aut", n. 270, novembre-dicembre 1995, Vladimir Jankelevitch. Pensare al margine, a cura di Enrica Lisciani-Petrini, con vari contributi ed un'ampia bibliografia. Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult. L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici. Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia' cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg. L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal 1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell' Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani, maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas, ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas. Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo' non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François Poirie', Emmanuel Levinas, Babel. Per la biografia: Salomon Malka: Emmanuel Levinas. La vita e la traccia, Jaca Book, Milano 2003] Gli uditori delle lezioni di Vladimir Jankelevitch ricordano il fascino singolare delle sue parole: "Era un parlare un po' affannoso, dall'espressione perfettamente chiara, dove ogni parola sgorgava nuova, come imprevedibile a partire da quella precedente", ha scritto Levinas. Un'eco di questo fascino ci viene restituito nel Cours de philosophie morale (Seuil), che riporta i testi delle lezioni tenute dal filosofo nel 1962-1963, presso l'Universita' Libera di Bruxelles. La costellazione concettuale e' la stessa delle opere maggiori di Jankelevitch, e in particolare del Trattato sulle virtu'. La sfera morale deve essere distinta e compresa nella sua autonomia irriducibile, rispetto all'estetica, alla religione, alla psicologia. Se l'opera estetica mira a costruire una forma dotata di permanenza e durata, la decisione morale si compie nell'attimo; se la religione giustifica l'azione con una teodicea o un destino escatologico, l'etica e' indifferente a cio' che va oltre la situazione concreta della scelta; la psicologia tende poi a descrivere fenomenologicamente la vita dell'anima, come gia' facevano i grandi moralisti francesi: ma la decisione morale tende a trascendere la situazione di fatto, a operare una scelta che nega e trasforma il dato. La decisione morale non riguarda l'essere, la forma perenne, la sostanza metafisica: ma piuttosto il poter essere, cio' che ancora non e' e potrebbe essere, nella folla di possibili che si intrecciano virtualmente nell'intensita' dell'attimo. La decisione e' cosi' radicata nell'imminenza densa di ogni attimo. La scelta per il bene e per il male si pone come una scommessa pascaliana, come un "tutto o nulla", che ha il colore di una contingenza irriducibile, che mai si e' presentata o si presentera' uguale. Una decisione mancata e' percio' una perdita irrevocabile. L'attimo della decisione e' cosi' rilevante, che Levinas ha potuto citare - a proposito del pensiero di Jankelevitch - il detto di un rabbino lituano del XVII secolo: "Ogni uomo e' obbligato a pensare che la sussistenza dell'intero universo dipende esclusivamente da lui, che egli ne e' responsabile", e questo in ogni attimo e nelle decisioni richieste da ogni circostanza. La serieta' tragica della morale non si traduce in Jankelevitch in un sistema normativo e neanche in imperativi categorici: uno scarto infinitesimale, un "quasi nulla", separa talvolta il bene dal male, che si distinguono ogni volta solo in rapporto alla contingenza della situazione, alla sua "occasione". Certo, cio' non vuol dire che non esista un'unita' di misura chiara e definita della vita morale, pietra di paragone di ogni intenzione. Essa e' la scoperta e il riconoscimento dell'altro, rispetto alla volonta' di potenza e all'amore di se', che mi spinge invece a dominarlo e asservirlo: "La vera e unica conversione morale e' quella dell'intenzione, che va dall'io all'altro". Tuttavia non e' sempre facile applicare questa unita' di misura. L'intenzione e' un'"apparizione scomparente", "un movimento senza domani, paragonabile al breve bagliore della scintilla"; sorge in rapporto a una situazione e svanisce con essa, e ogni volta l'incontro con l'altro deve essere cercato e ricreato di nuovo, senza che alcuna sicurezza derivi dall'esperienza precedente. Ogni attimo di vita possiede una novita' radicale. L'intenzione stessa del bene e' esposta a un'ambiguita' irrimediabile, che fa parte della sua natura e non si potrebbe in alcun modo eliminare. La fonte della conversione morale e' il riconoscimento e l'amore dell'altro; ma se porto questa tendenza fino al suo limite estremo, fino al sacrificio e all'annullamento radicale di me, l'amore allora coincide con l'annullamento e il non essere. Il mio non essere e' pero' anche il non essere di quel bene, che cercavo di realizzare nel mondo: "A forza di volere appassionatamente l'essere dell'altro, l'uomo e' ridotto a volere il suo proprio non essere" (Jankelevitch). Come nell'Idiota di Dostoevskij, l'annullamento radicale di se' per amore dell'altro produce allora un risultato inaspettato: la catastrofe psichica e materiale del mondo che mi circonda. Non posso dunque spingermi fino a questo punto; devo fermarmi a un punto intermedio, devo ritornare a un certo amore di me stesso, a un desiderio di autoconservazione; ma questo egoismo o rinascita dell'Io e' di per se' un male e scivola verso una riaffermazione della volonta' di potenza. La vita morale e' una modulazione incessante tra l'amore di se' e l'amore dell'altro, senza che il male e il bene possano definitivamente scindersi e consistere in se stessi, senza che io sia mai definitivamente liberato dall'ostacolo dell'Io, del corpo proprio, della volonta' di autoconservazione. D'altra parte questa necessaria imperfezione, questa compartecipazione che anche il santo non puo' non avere col male del mondo, e' il segno della finitudine dell'uomo e lo costringe all'accettazione del suo limite esistenziale. Questa imperfezione del resto fa si' che la vita morale sia sempre sbilanciata verso l'avvenire; l'incontro con l'altro attende sempre un compimento a-venire. Da un lato e' decisiva l'intenzione nell'attimo, la presenza di spirito, la decisione che coglie l'occasione specifica; dall'altro, questa intenzione non si realizza mai puramente e pienamente e rimanda a un'incompiutezza, a un'imperfezione d'essere. Attendo allora dal futuro una nuova occasione, una nuova approssimazione all'amore e all'alterita'. Il futuro non e' pero' quello remoto e ideale delle utopie, ma quello prossimo e imminente: al limite, e' gia' l'attimo successivo a questo, in cui nuovamente devo fare la mia puntata, con tutto cio' che mi e' rimasto. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1464 del 30 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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