La nonviolenza e' in cammino. 1464



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1464 del 30 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Il primo diritto, il primo dovere
2. Giulio Vittorangeli: Un appello dell'Associazione Italia-Nicaragua
3. Cindy Sheehan: A Washington per la pace
4. Amy Branham: La mia bandiera
5. Tahar Ben Jelloun: Madri in jeans, figlie in foulard
6. Guido Caldiron intervista Tariq Ramadan
7. Mario Pezzella presenta "Cours de philosophie morale" di Vladimir
Jankelevitch
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL PRIMO DIRITTO, IL PRIMO DOVERE
[Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance,
collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro la guerra e contro le
violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14
ottobre 2006]

Il primo diritto di ogni essere umano e' quello di non essere ucciso.
Cessi la guerra assassina in Afghanistan.
Sia liberato Gabriele Torsello.
*
Sia liberato Gabriele Torsello: l'Italia faccia quanto in suo potere
affinche' sia restituito sano e salvo all'affetto dei suoi cari, al suo
lavoro di costruttore di pace con la forza della verita', alla liberta' che
e' una e indivisibile.
E cessi l'Italia di partecipare alla guerra terrorista e stragista in
Afghanistan; cessi di partecipare alla guerra e s'impegni contro la guerra,
s'impegni per costruire la pace con mezzi di pace, s'impegni per la
smilitarizzazione del conflitto, s'impegni per il disarmo, s'impegni per
recare aiuti umanitari per concretamente inverare gli umani diritti di tutti
gli esseri umani.
La guerra e' un flagello, la guerra e' antiumana, opporsi alla guerra e' il
compito primo di ogni persona e di ogni ordinamento giuridico.
*
E faccia sentire la sua voce, si mobiliti il popolo italiano contro la
guerra.
Faccia sentire la sua voce, si mobiliti il popolo italiano per chiedere ed
ottenere che l'Italia cessi di partecipare alla guerra, che l'Italia torni
al rispetto della Costituzione che la guerra ripudia, che l'Italia s'impegni
per la pace e la cooperazione tra i popoli, che l'Italia scelga la
nonviolenza come principio e come pratica cui informare la sua politica
internazionale.
Faccia sentire la sua voce, si mobiliti il popolo italiano per chiedere ed
ottenere la liberazione di Gabriele Torsello.
*
Sia liberato Gabriele Torsello.
Cessi la guerra assassina in Afghanistan.
Il primo dovere di ogni essere umano e' quello di salvare le vite umane.

2. APPELLI. GIULIO VITTORANGELI: UN APPELLO DELL'ASSOCIAZIONE
ITALIA-NICARAGUA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Lo Stato laico e' stato istituito in Nicaragua dalla fine dell'800 e con
esso la possibilita' di praticare l'aborto per ragioni terapeutiche.
"La necessita' d'interruzione della gravidanza per motivi terapeutici sara'
determinata scientificamente, con il consenso di almeno tre medici. L'aborto
terapeutico non sara' punibile ed e' previsto nei casi in cui la gravidanza
metta in serio pericolo la vita della futura madre. Qualsiasi altro tipo di
aborto e' proibito e severamente sanzionato in Nicaragua" (articolo 143.3
del codice penale nicaraguense).
A pochi giorni dalle elezioni presidenziali, previste per il prossimo 5
novembre, i principali partiti inseguendo i favori delle gerarchie
ecclesiastiche (cattolica ed evangelica), hanno approvato la penalizzazione
dell'aborto terapeutico, con i voti dei deputati sandinisti e liberali.
Tutto questo rischia di costituire per il Nicaragua un balzo all'indietro
nella barbarie. Vittime principali, come al solito, le donne, quelle povere
in particolare.
Il Paese e' afflitto dalla disuguaglianza sociale, con una percentuale del
79% di poverta', il 20% di famiglie monoparentali, una media di 4-5 figli
per famiglia, una gran quantita' di bambini indigenti senza diritti, un
tasso di violenza intrafamiliare, di violenza sessuale e di alcoolismo
altissimo.
Le donne, gia' oppresse dalla cultura maschilista, dallo sfruttamento (i
loro salari sono la meta' di quelli degli uomini) e dalla miseria, rischiano
oggi di diventare vittime sacrificali della convenienza politica, non avendo
il diritto di decidere della propria vita e del proprio corpo.
Il disegno di legge approvato in parlamento parla chiaro: una condanna fino
a 30 anni di carcere per le donne che abortiscono, anche se questo significa
salvare loro la vita.
Con la riforma delle legge il 10% delle donne di famiglia ricca potra'
andare all'estero per salvarsi, mentre le altre dovranno morire per
partorire dei figli che si troveranno garantito solo un diritto alla
nascita, per di piu' privato dell'amore e della protezione della madre.
Donne che sono spesso vittime, e non artefici, delle gravidanze che non
possono affrontare, e che morendo provvederanno solo a consegnare a una vita
misera e senza tutele la loro indifesa prole, mentre lo stato che legifera
questa barbarie si guardera' bene dal prevedere misure di accoglienza e
sostegno per gli orfani che nasceranno.
E' veramente scandaloso che molti deputati del Fronte sandinista di
liberazione nazionale (protagonista del rovesciamento della sanguinosa
dittatura somozista nel 1979), abbiano votato a favore della riforma di
penalizzazione e che conducano questa crociata oscurantista, che colpisce
soprattutto i poveri, con l'aggravante di una persecuzione di classe, invece
di impegnarsi per porre rimedio a cio' con una razionale e giusta politica
di prevenzione delle gravidanze indesiderate e di educazione sessuale.
*
Ha dichiarato l'ex comandante guerrigliera Monica Baltodano: "Tutti i giorni
mi sorprendo di quanto bello sia il mio paese. Quando vedo il sole, le sue
piante, i suoi colori. Quando percorro le sue strade e tocco la gente umile.
Non finiro' mai di sorprendermi di come la gente semplice sappia sorridere
nonostante non abbia nulla da mangiare alla fine della giornata o vivano sul
bordo dei canali pieni di spazzatura e nonostante questo, siano capaci di
darti amore e tenerezza. Non finiro' mai di sorprendermi della tenerezza dei
bambini che ci seguono per le strade e scherzano con noi. Continua a
sorprendermi la luna e il suo brillare. Mi sembra che la luna e le stelle
del Nicaragua siano piu' belle nel nostro cielo... Ma questa condotta cosi'
ipocrita, con una doppia morale, dei dirigenti del Fronte sandinista, che
non hanno nessuna preoccupazione nel mandare le loro figlie e donne ad
abortire a Cuba, dove esiste una legislazione moderna e rispettosa del
nostro diritto alla vita, questo si' mi sembra orrendo e mi sorprende
negativamente".
Quanto ai deputati, evidentemente, non hanno preso assolutamente in
considerazione le inchieste che dimostrano come piu' del 70% della
popolazione nicaraguense sia contraria al nuovo disegno di legge. Questa
offensiva contro il diritto alla vita delle donne non puo' e non deve
passare sotto silenzio.
*
Gia' molti appelli sono stati fatti ed inviati al governo e ai deputati del
parlamento nicaraguense dalle ong nazionali e internazionali contro la
riforma che cancella il diritto all'aborto terapeutico.
L'Associazione Italia-Nicaragua  ha lanciato una campagna con la richiesta
di inviare una e-mail di protesta alle autorita' politiche e di governo del
Nicaragua, dal suo sito internet: www.itanica.org
Facciamo nostro questa richiesta, sosteniamo le donne che stanno lottando in
Nicaragua; facciamo circolare l'appello per salvaguardare dall'erosione
quest'ultimo e misero diritto alla sopravvivenza.

3. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: A WASHINGTON PER LA PACE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il
successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in
cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli
per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e
alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One
Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

L'opzione "thesaurus" del mio computer ha avuto un sovraccarico di lavoro,
da quando ho iniziato a scrivere articoli e libri su questo governo, Bush,
Casey eccetera. Ci sono solo quelle tante parole da usare. Ho cercato
sinonimi per: tristezza, disastro, morte, crimine, folle, profitto,
illegale, immorale, malvagio, innocente, corrotto... cosi' spesso che sembra
siano sempre le stesse parole ad essere usate. Comincio a non averne piu'
per descrivere i mascalzoni a Washington e l'orribile occupazione dell'Iraq.
Mi sembra comunque che Bush e compari stiano diventando un po' stizzosi e
stiano parecchio sulla difensiva rispetto alle loro grottesche mosse per il
profitto in Medio Oriente. Recentemente George, "Darth" Cheney e Rambo
Rumsfeld hanno mostrato quanto disprezzano l'America nel loro ingiustificato
sostegno ai crimini commessi per il beneficio di una cerchia ristretta di
persone.
In effetti, Cheney praticamente sbavava al pensiero di praticare la tortura
su esseri umani. Stavo scrivendo "su altri esseri umani", ma applicare la
definizione a lui forse e' essere troppo gentili.
Gli illegittimi occupanti della Casa Bianca l'hanno sconciata al punto che
appare al di la' della possibilita' di recupero, ed hanno infangato la gia'
macchiata immagine dell'America nel mondo a livelli senza precedenti. Le
persone che non abbiamo mai eletto, in primo luogo, pensano che noi si sia
squallidi e incapaci come loro.
Quando Bush dice che stiamo "vincendo" la guerra in Iraq, cosa intende?
Abbiamo ucciso persone duemila volte tanto quanto abbiano fatto loro, e
decimato un paese che era gia' ridotto a condizioni subumane dalle
devastanti sanzioni degli anni '90. Quando dice che questa amministrazione
non ha mai esortato a "continuare la missione", si suppone che noi si getti
la nostra memoria nello spazio cosmico, si sorrida blandamente, si vada a
far compere e tutto sia a posto?
Niente e' a posto. In effetti tutto e' pericolosamente fuori posto. Se mai
c'e' stato un momento per la disobbedienza civile nonviolenta, e' proprio
ora. Il presente e' gia' di per se' abbastanza spaventoso, ma quando penso
al mondo che i fascisti neoconservatori stanno volontariamente e lietamente
preparando per i nostri figli e nipoti, mi fa male lo stomaco.
La nostra nazione e' stata attraversata da sollevazioni e problemi in
passato. I movimenti di base che hanno posto collettivamente i loro corpi in
prima linea per ottenere giustizia possono vantarsi di aver ottenuto quei
positivi cambiamenti sociali che hanno permesso a me ed alle mie sorelle e
fratelli di colore di votare. I nostri antenati e le nostre antenate hanno
fermato la schiavitu', il lavoro minorile e le condizioni opprimenti sul
posto di lavoro. Grazie ad elezioni corrotte, al disdegno di Bush e
compagnia per i sindacati, ed all'osceno sostegno al fascismo corporativo,
stiamo perdendo i diritti per cui i nostri predecessori lottarono cosi'
valorosamente.
Ci fu una sorta di rivoluzione contro la guerra durante il conflitto in
Vietnam, in cui i dimostranti vennero persino uccisi a sangue freddo dal
regime di Nixon. I terribili sacrifici che i nostri predecessori nel
movimento per la pace hanno fatto sono stati sminuiti e invalidati dalla
maggior parte della cittadinanza del paese, nel suo confortevole e
acquiescente consenso alla corrotta occupazione dell'Iraq.
Per i nostri figli, i nostri nipoti e per il mondo intero, e' imperativo che
noi mettiamo i nostri corpi in gioco per la pace, e affinche' chi ha
commesso crimini ne risponda. Il tempo del timore e' passato, ha inizio il
tempo del coraggio.
Mostriamo a Bush e compari che non siamo piu' spaventati da loro, e che
rivogliamo il nostro paese, e che le truppe tornino a casa dall'Iraq. Il
nostro Stato non e' diventato solo illegale, ma pensa addirittura di essere
al di sopra della legge.
Mostriamo all'irresponsabile Congresso che, si chiamino democratici o
repubblicani, noi li riteniamo responsabili dei guai di questa nazione.
Venite a Washington, a stare "seduti per il cambiamento, in piedi per la
pace". Noi vi aspettiamo, e saranno i vostri figli e i vostri nipoti a
ringraziarvi.

4. TESTIMONIANZE. AMY BRANHAM: LA MIA BANDIERA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente lettera inviata
ai principali giornali statunitensi da Amy Branham, madre di un soldato
morto in Iraq]

Noi tutti conosciamo la storia della bandiera americana. Conosciamo la sua
simbologia. Il bianco significa purezza ed innocenza, il rosso valore e
coraggio, e il blu significa vigilanza, perseveranza e giustizia. Ogni
stella rappresenta uno stato dell'Unione.
Guidando l'auto attraverso il mio tipico quartiere americano, vedo che molti
dei miei vicini hanno una bandiera americana nello spazio di fronte alle
loro case. Fanno sventolare le bandiere per mostrare sostegno e amore al
loro paese. Per essi, dispiegare le bandiere e' un segno di patriottismo.
Io non mostro ne' faccio sventolare mai la mia. La mia bandiera e' racchiusa
in una cassetta triangolare di legno, in cima alla libreria nel mio
soggiorno. E' facilmente visibile da chiunque entri in casa mia. Nella
cassetta di legno sono custodite anche le medaglie che mio figlio si
guadagno' durante il suo servizio nell'esercito, e i bossoli della salva di
saluto sparata al suo funerale. Ognuno di questi oggetti nella cassetta puo'
rappresentare differenti elementi di cio' che l'esercito Usa proclama:
dovere, onore, paese.
La bandiera americana significa molte cose per molte persone. Alcuni si
avvolgono nella sicurezza della bandiera e dicono se stessi "patriottici".
Altri la bruciano, nello sforzo di mostrare il loro dissenso al governo
americano.
In questi giorni, essa riveste un significato interamente diverso, per me.
La bandiera e' stata l'ultimo lenzuolo di mio figlio. Ha coperto la sua bara
di legno, ad indicare che e' morto al servizio del suo paese. La mia
bandiera porta il peso delle lacrime e della tristezza e del lutto per la
perdita di un figlio che non vedro' mai piu'. Ho seguito i colori della
bandiera nella processione funeraria che ha condotto mio figlio alla sua
ultima dimora, dove restera' per sempre.
Ci sono state troppe di queste bandiere a coprire i feretri dei nostri morti
nella guerra irachena. Ci sono state troppe famiglie a cui si sono
presentate tale bandiere a coprire le bare.
Per favore, aiutate chiunque di noi stia tentando di mettere fine a questa
guerra illegale ed immorale. Aiutateci andando a votare a quest'elezione
stagionale per il candidato che fara' la cosa giusta facendo terminare la
guerra in Iraq.
Onorate i figli caduti e le figlie cadute d'America, e i loro sacrifici,
andando a votare. Se non votate, state mancando verso di loro. Se non votate
, il loro sacrificio sara' stato inutile.

5. RIFLESSIONE. TAHAR BEN JELLOUN: MADRI IN JEANS, FIGLIE IN FOULARD
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del
22 ottobre 2006. Tahar Ben Jelloun, nato a Fes in Marocco nel 1944,
trasferitosi a Tangeri nel 1955, a Parigi dal 1971, e' scrittore arabo di
lingua francese di nitido impegno democratico. Opere di Tahar Ben Jelloun:
segnaliamo particolarmente alcuni lavori saggistici: Le pareti della
solitudine, Einaudi, Torino 1990, 1997; Il razzismo spiegato a mia figlia,
Bompiani, Milano 1998, L'estrema solitudine, Bompiani, Milano 1999; La
scuola o la scarpa, Bompiani, Milano 2000; L'islam spiegato ai nostri figli,
Bompiani, Milano 2001; Jenin. Un campo palestinese, Bompiani, Milano 2002; i
suoi sempre appassionanti romanzi sono pubblicati dagli editori Bompiani ed
Einaudi]

Tempo fa, in Marocco, l'uso del velo non comportava alcun problema. Le donne
si vestivano in djellaba e portavano un velo che non copriva tutto il viso
ma solo la parte inferiore. Si vedevano parte della fronte, gli occhi e il
naso, mentre il velo copriva le labbra. Piu' che una presa di posizione
politica o religiosa era una tradizione. Mia madre si velava cosi', mentre
la nonna, per via dell'eta', non si velava piu'. Le donne di citta'
nascondevano la capigliatura ma non le forme. Quando le contadine venivano
in citta', si avviluppavano in un grande telo bianco chiamato haik e ne
tenevano i lembi tra le dita all'altezza del naso. Nel frattempo, erano
sempre piu' numerose le giovani donne che uscivano vestite all'europea. Era
l'epoca di re Mohamed V che, tornato dall'esilio nel 1956, non esito' a
mostrare le sue figlie senza velo. Nello stesso periodo, il presidente
tunisino Bourghiba chiedeva alle donne di smettere di indossare la djellaba
che chiamava "nascondimiserie".
Tra la fine dei Cinquanta e l'inizio degli Ottanta, la maggior parte delle
donne marocchine aveva smesso di portare il velo. Indossavano la djellaba e
uscivano a capo scoperto. E' con la rivoluzione iraniana e i discorsi
demagogici di Khomeyni che il velo ha rifatto la sua comparsa. Mia madre,
mia sorella, le mie cugine continuavano a non coprirsi il capo se non con un
bel foulard che tratteneva i capelli. Il volto, mai piu' velato.
Nel giro di una ventina d'anni le cose sono cambiate parecchio. Quando ero
all'universita' di Rabat, nel 1965, nessuna studentessa si metteva il velo o
si vestiva con la djellaba. La promiscuita' nell'ambiente studentesco era
naturale e ragazzi e ragazze si frequentavano senza esibirsi in modo
oltraggioso: stando ai film del neorealismo, direi che era un po' come
nell'Italia degli anni Cinquanta. Oggi il panorama e' cambiato. Meta' delle
mie cugine va all'universita' in jeans e l'altra meta' ci va con tuniconi
larghi e un velo intorno alla testa. Non e' piu' una questione di
tradizione, ma un atteggiamento, un modo di sottolineare la propria
identita' culturale. Un atteggiamento di rifiuto.
L'altr'anno mi trovavo in Tunisia per un giro di conferenze nei licei e
nelle universita'. Nessuna ragazza era velata. Alla fine del mio intervento,
due ragazze vennero a parlarmi abbassando la voce per timore d'essere
sentite da orecchi indiscreti: "Non e' una questione di liberta' e di scelta
individuale, vestirsi secondo le proprie convinzioni? Qui, noi vorremmo
portare il velo ma ce lo vietano: non c'e' un testo di riferimento o una
legge, ma ci sospettano di essere all'opposizione". Una professoressa sulla
cinquantina, vestita all'europea, mi cita a testimone: "Una volta lottavamo
con le nostre madri per uscire in abiti attillati e pantaloni, oggi lotto
contro mia figlia perche' vuole portare il velo e coprirsi dalla testa ai
piedi. E' il mondo alla rovescia".
La Tunisia ha fatto una guerra spietata agli estremisti islamici. Il Marocco
ha voluto giocare la carta della tradizione e della modernita' allo stesso
tempo. Il paesaggio e' variegato e non si puo' affermare che "il Marocco e'
sempre piu' islamizzato", come ha fatto recentemente un giornalista
americano vedendo che molte donne marocchine portano il velo. Ma il
fanatismo non ha piu' bisogno di nascondersi dietro alla barba o al velo.
Con l'aiuto della segretaria di un amico medico, anch'essa velata, ho steso
un elenco delle diverse ragioni che attualmente spingono le donne marocchine
a portare il velo: per convinzione religiosa (la religione sta riempiendo il
vuoto culturale del Paese); per moda (ci sono veli elegantissimi e una sorta
di erotismo discreto); per precauzione e per mostrare di essere persone
serie quando si fa un colloquio di lavoro o ci si presenta a un esame; per
essere lasciate in pace dagli uomini che importunano le donne per strada,
partendo dal presupposto che siano tutte puttane; per obbedire ai genitori;
per affermare un'identita' diversa da quella europea; per timore dei
pettegolezzi dei vicini, etc. Per velo s'intende qui un foulard che copre i
capelli ma non il viso. Le donne velate dalla testa ai piedi con un burqa
nero, quelle chiamate "Fantomas", sono davvero rarissime.
La societa' marocchina non e' mai stata permissiva. Ha sempre tenuto a
salvare le apparenze. Detto questo, in Marocco non c'e' mai stato il delitto
d'onore come in Giordania, in Libia o in certe zone della Turchia. Ci si
arrabbia con le donne, magari si impone loro il velo, ma non si uccidono.
Quello che sta succedendo in Marocco e' una sorta di conferma
dell'identita'. Il fallimento delle ideologie politiche di sinistra, il
vuoto creato dalla miseria culturale, l'indebolimento dell'autorita'
parentale e di alcuni valori spingono le ragazze a preferire il velo, che
offre loro tranquillita' e forse anche una certa felicita'. Sulla scena
pubblica marocchina e' attualmente impossibile invocare la laicita'. I
credenti percepiscono la separazione tra islam e stato come un'aggressione
nei confronti delle loro convinzioni, come un tradimento delle origini. Nel
frattempo, le televisioni satellitari del Golfo riversano tonnellate di
documentari religiosi fatti da uomini barbuti o donne velate e, a forza di
sentirle ripetere che "la nostra identita' e' nell'islam", piu' nessuno osa
affermare qualcosa di diverso.
Infine, per una famiglia marocchina, l'ideale e' andare a passare questo
mese di Ramadan alla Mecca e a Medina. Questo viaggio si chiama la Omra (il
piccolo pellegrinaggio). Quest'anno decine di migliaia di coppie sono
partite per andare a digiunare laggiu': e' un modo per essere in pace con se
stessi e mettere al bando tutte le angosce del mondo, ben piu' efficace di
qualsiasi antidepressivo. Anche questa e' una questione di liberta'.
Aspettiamo che questa liberta' smetta di essere a senso unico e che sia
tollerato chi fa altre scelte di vita. La comparsa sempre piu' frequente del
velo significa che per il momento a dominare sono i credenti.

6. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA TARIQ RAMADAN
[Dal quotidiano "Liberazione" del 28 ottobre 2006.
Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli
squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les
chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale,
Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002.
Tariq Ramadan, intellettuale e teologo islamico, e' docente universitario in
Svizzera e in Gran Bretagna. Tra le opere di Tariq Ramadan: Essere musulmano
europeo, Citta' aperta, Troina (Enna) 1999; L'Islam in Occidente, Rizzoli,
Milano 2006]

Tra i maggiori intellettuali musulmani europei, Tariq Ramadan vive tra
Parigi, la Svizzera e l'Inghilterra dove insegna all'Universita' di Oxford
ed e' consigliere di Tony Blair per i rapporti con la comunita' musulmana.
Autore di molti saggi sull'incontro tra il pensiero musulmano e la cultura
europea ha pubblicato di recente presso Rizzoli L'Islam in Occidente (pp.
334, euro 17, 50). Figura di primo piano nel dibattito sul e nell'Islam
europeo, accusato da alcuni di essere vicino ai Fratelli Musulmani e di
sostenere una sorta di "islamizzazione" delle comunita' immigrate in Europa,
ma partner principale della sinistra radicale francese e del circuito
altermondialista d'oltralpe, Ramadan sara' in Italia domani mattina per
partecipare al Salone del libro storico che si svolge a Roma al Tempio di
Adriano in Piazza di Pietra.
*
- Guido Caldiron: Professor Ramadan, da diversi anni, e ora con il suo nuovo
libro, lei sostiene la necessita' di costruire uno spazio di senso musulmano
in Europa e in Occidente. Non ritiene pero' che si trattera' di un spazio
"separato", ma pienamente integrato nella realta' occidentale. Come potra'
avvenire?
- Tariq Ramadan: Cio' che ho voluto spiegare anche nel mio libro riguarda
tutti i musulmani d'Occidente e si puo' sintetizzare nell'idea che possa
realizzarsi una sorta di matrimonio tra dei principi e delle culture. Mi
spiego. I nostri principi, come musulmani, sono universali e ci dovrebbero
percio' consentire di vivere e di integrarci in qualunque cultura, vale a
dire all'interno della cultura americana, di quella dei diversi paesi
europei, di quella australiana e via dicendo. Tutto cio' senza rinunciare
alla nostra fede. Non si tratta tanto di considerare l'Islam come una
religione minoritaria in Occidente, quanto di far valere i suoi aspetti
universali. Cosi', nella prima parte del libro ho preso in esame gli aspetti
teorici di questo processo mentre nella seconda mi sono concentrato su
quelli pratici, si tratti delle questioni sociali, dell'istruzione o della
politica.
*
- Guido Caldiron: Per rendere possibile questo processo i cittadini
occidentali di confessione musulmana, come lei li definisce, dovrebbero
pero' liberarsi del doppio complesso di inferiorita' che vivono ora: nei
confronti del predominio della razionalita' dell'Occidente e nei confronti
dei paesi islamici. Vale a dire?
- Tariq Ramadan: Si tratta in primo luogo di accettare la situazione storica
nella quale si vive, sviluppare un pensiero autonomo e offrire delle
risposte a delle domande nuove con le quali ci si deve misurare nel contesto
dell'Occidente. In questo senso credo non si debbano nutrire complessi di
inferiorita' nei confronti della razionalita' occidentale, ma fare
riferimento all'intelligenza critica e alla creativita' della fede. E allo
stesso tempo liberarsi di ogni analogo complesso verso il mondo musulmano,
nel senso che oggi sono i fedeli dell'Islam in Occidente che anticipano
sovente la riflessione che attraversa poi le societa' dei paesi a
maggioranza musulmana. Si deve avere sempre presente che il futuro
dell'Islam si giochera' d'ora in poi anche lontano da quei paesi, vale a
dire in Occidente.
*
- Guido Caldiron: Queste sue analisi sono state presentate da piu' parti
come un tentativo di "islamizzare" la modernita'. Come risponde a questo
giudizio?
- Tariq Ramadan: Trovo che sia una sciocchezza, anche perche' si basa su una
visione falsa dell'Islam e della modernita'. Intanto la modernita' non e'
solo un fatto occidentale, basti pensare al Giappone o alla Cina. Il punto
centrale, quanto all'Islam, e' del resto un altro. Si tratta infatti di
capire se il pensiero musulmano contemporaneo e' in grado di rispondere alle
domande che pone la societa' contemporanea. Dal mio punto di vista questa
possibilita' c'e', il pensiero musulmano puo' produrre un'etica capace di
misurarsi con i quesiti della modernita'. Il che ci puo' far dire che c'e'
gia' molto Islam nella modernita' e molta modernita' nell'Islam. Per questo
non credo che la riflessione si possa porre nei termini di una
contrapposizione tra Islam e modernita', e proprio il percorso seguito nello
sviluppo di un Islam occidentale indica invece quale sia la strada da
seguire nel confronto.
*
- Guido Caldiron: Il percorso che lei indica sembra pero' scontrarsi in
Occidente con la realta' di societa' profondamente secolarizzate e di cui la
laicita' e' una delle caratteristiche piu' importanti. Come costruire uno
spazio di senso islamico in paesi, come quelli europei, nei quali la fede e'
soprattutto un fatto privato, una pratica intima e individuale?
- Tariq Ramadan: Intanto si deve chiarire, contrariamente a quanto viene
detto abitualmente, che nell'Islam esiste una precisa distinzione tra la
sfera della fede e quella, per cosi' dire, della politica. Distinzione che
e' gia' evidente nelle fonti storiche dell'Islam. E se guardiamo a come
vanno concretamente le cose oggi, vediamo che ci sono milioni di musulmani
europei e americani che non hanno alcun problema nel misurarsi con lo stato
di diritto e con la secolarizzazione o l'identita' laica della societa' in
cui vivono. A parte alcune minoranze radicali o "letteraliste", che
interpretano cioe' alla lettera i testi sacri, la maggior parte di questi
musulmani sono dei cittadini esemplari dei loro paesi. Detto questo, e'
evidente che in un'epoca di grandi migrazioni chi arriva oggi in Occidente
dai paesi islamici pone ancora delle domande a cui i musulmani che vivono da
tempo qui, o qui sono nati, hanno gia' trovato delle risposte. Si deve
insomma considerare quella in cui viviamo come un'epoca di transizione,
cercando di cogliere gli aspetti in divenire della realta' odierna, vedere
la vasta realta' di quanti sono perfettamente integrati, e non concentrarsi
invece su quelle minoranze che indubbiamente pongono ancora dei problemi.
Quanto alla laicita' dello Stato e alla secolarizzazione, e' evidente che
ciascuno ha le proprie convinzioni e il proprio credo individuale e intimo e
cerca di vivere in modo coerente a tutto cio'. Si tratti di musulmani,
cristiani, ebrei, atei o altro. Lo spazio pubblico non puo' percio' essere
neutro, nel senso che le diverse convinzioni non possono certo imporsi
dogmaticamente, ma nemmeno scomparire. Diciamo che a mio giudizio si tratta
di uno spazio negoziale nel quale la convinzione di ciascuno cerca il
proprio ruolo. Un elemento, quest'ultimo, che chiede ai musulmani un impegno
concreto sul terreno della cittadinanza e dell'agire pubblico.
*
- Guido Caldiron: Nel nostro paese negli ultimi mesi una serie di terribili
vicende di cui sono state vittime soprattutto delle giovani donne hanno
messo in evidenza come in alcune comunita' musulmane la religione venga
utilizzata per giustificare veri e propri crimini. Come si esce da questa
situazione?
- Tariq Ramadan: Il solo modo per affrontare questa situazione in modo
ragionevole e' di distinguere tra la fede e l'immigrazione. Cosa voglio
dire? Che i musulmani che vivono integrati nella realta' europea rispondono
ormai alle leggi dei loro nuovi paesi. Lo stesso non si puo' dire per molti
di coloro che arrivano oggi da altre realta' e che continuano a tenere
insieme nelle loro pratiche di vita elementi culturali e elementi religiosi.
Quindi e' ribadendo la separazione tra questi due ambiti che si possono
evitare le tragedie a cui lei fa riferimento. Indicando con chiarezza cosa
e' frutto della religione e cosa invece di pratiche culturali.
*
- Guido Caldiron: Proprio il dibattito sul "velo islamico" - parliamo in
questo caso di un foulard posto sul capo e non di coperture totali o
parziali del volto vietate in Italia dalle leggi sull'ordine pubblico -
ruota intorno a questa domanda: si tratta di un precetto religioso o di un
elemento culturale? Lei come la pensa in proposito?
- Tariq Ramadan: Il rispetto della laicita' dello Stato passa ovviamente
anche per il rispetto della liberta' di coscienza e di culto. In questo
senso credo che spetti solo ai musulmani di decidere se a proposito del
"velo" si stia parlando di un fatto religioso o meno. Da questo punto vista
l'opinione dominante oggi tra gli studiosi dell'Islam e' che si tratta di
una prescrizione religiosa. Cio' detto, personalmente credo che sia
assolutamente vietato dal punto di vista islamico di imporlo a una donna, ma
altrettanto contrario ai diritti dell'uomo di imporle il divieto di
portarlo. La scelta deve essere libera.
*
- Guido Caldiron: A proposito di liberta', l'incontro tra l'Occidente e
l'Islam ha gia' dato origine a una cultura composta di vari elementi. In
questo senso i musulmani occidentali del futuro potranno a suo giudizio
vivere fino in fondo - molti lo fanno gia' ora - l'esperienza religiosa in
modo individuale, sottraendola ai vincoli della comunita' e vivendo
liberamente la loro fede come i loro comportamenti sociale e, perche' no,
sessuali?
- Tariq Ramadan: E' chiaro che ci troveremo sempre piu' spesso di fronte
all'emergere di identita' multiple. Alla cultura propria del paese in cui si
vive e in cui spesso si e' nati si aggiunge quella religiosa. Anche se non
credo che tutto possa risolversi nel trionfo di una sorta di individualismo
della fede, nel senso che restano necessariamente saldi dei principi
normativi, come del resto avviene in tutte le religioni. Certo, vi sara'
sempre di piu' una forma di adesione individuale alla realta' dell'Islam. In
uno spazio democratico come quello dell'Occidente non si puo' del resto che
vivere in modo diverso il proprio rapporto con l'elemento comunitario, ma
questo non penso possa condurre a una individualizzazione piena della fede
musulmana.

7. LIBRI. MARIO PEZZELLA PRESENTA "COURS DE PHILOSOPHIE MORALE" DI VLADIMIR
JANKELEVITCH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 ottobre 2006.
Mario Pezzella, docente universitario di estetica, studi filosofici a Pisa e
a Parigi, ha curato l'edizione italiana di testi di Bachofen e su Jung,
organizzato seminari e convegni di studio, ha collaborato con Remo Bodei
nella progettazione della collana "Il lessico dell'estetica" presso
l'editore "ll Mulino" ed e' redattore della rivista "Iride" e direttore
responsabile della rivista "Controtempo".
Vladimir Jankelevitch, nato il 31 agosto 1903 a Bourges, deceduto a Parigi
il 6 giugno 1985, ha preso parte alla Resistenza ed e' stato docente di
filosofia morale alla Sorbona, la sua riflessione e le sue ricerche in
ambito filosofico, morale, musicale, costituiscono grandi contributi alla
cultura contemporanea. Opere di Vladimir Jankelevitch: Henri Bergson,
Morcelliana; L'ironia, Il Melangolo; Trattato delle virtu', Garzanti
(traduzione parziale); Il non-so-che e il quasi-niente, Marietti;
L'avventura, la noia, la serieta', Marietti; Perdonare?, Giuntina; Il
paradosso della morale, Hopefulmonster; La coscienza ebraica, Giuntina;
Pensare la morte?, Cortina; La menzogna e il malinteso, Cortina. Opere su
Vladimir Jankelevitch: un buon punto di partenza e' il fascicolo monografico
di "Aut aut", n. 270, novembre-dicembre 1995, Vladimir Jankelevitch. Pensare
al margine, a cura di Enrica Lisciani-Petrini, con vari contributi ed
un'ampia bibliografia.
Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il
12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e
gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania,
Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in
Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora
Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult.
L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati
adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un
nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si
può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici.
Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia'
cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg.
L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel.
L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la
sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal
1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di
cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita
Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell'
Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita
quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani,
maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze
annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali
ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza
all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di
Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una
biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore
nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a
Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua
riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva
importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En
decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina);
Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it.
parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo);
Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr.
it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee
(tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance
et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per
una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo
stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la
bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere
et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino,
La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas,
ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas.
Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas,
Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB,
Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg &
Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della
modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo'
non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di
quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in
L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese
cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François
Poirie', Emmanuel Levinas, Babel. Per la biografia: Salomon Malka: Emmanuel
Levinas. La vita e la traccia, Jaca Book, Milano 2003]

Gli uditori delle lezioni di Vladimir Jankelevitch ricordano il fascino
singolare delle sue parole: "Era un parlare un po' affannoso,
dall'espressione perfettamente chiara, dove ogni parola sgorgava nuova, come
imprevedibile a partire da quella precedente", ha scritto Levinas. Un'eco di
questo fascino ci viene restituito nel Cours de philosophie morale (Seuil),
che riporta i testi delle lezioni tenute dal filosofo nel 1962-1963, presso
l'Universita' Libera di Bruxelles.
La costellazione concettuale e' la stessa delle opere maggiori di
Jankelevitch, e in particolare del Trattato sulle virtu'. La sfera morale
deve essere distinta e compresa nella sua autonomia irriducibile, rispetto
all'estetica, alla religione, alla psicologia. Se l'opera estetica mira a
costruire una forma dotata di permanenza e durata, la decisione morale si
compie nell'attimo; se la religione giustifica l'azione con una teodicea o
un destino escatologico, l'etica e' indifferente a cio' che va oltre la
situazione concreta della scelta; la psicologia tende poi a descrivere
fenomenologicamente la vita dell'anima, come gia' facevano i grandi
moralisti francesi: ma la decisione morale tende a trascendere la situazione
di fatto, a operare una scelta che nega e trasforma il dato. La decisione
morale non riguarda l'essere, la forma perenne, la sostanza metafisica: ma
piuttosto il poter essere, cio' che ancora non e' e potrebbe essere, nella
folla di possibili che si intrecciano virtualmente nell'intensita'
dell'attimo.
La decisione e' cosi' radicata nell'imminenza densa di ogni attimo. La
scelta per il bene e per il male si pone come una scommessa pascaliana, come
un "tutto o nulla", che ha il colore di una contingenza irriducibile, che
mai si e' presentata o si presentera' uguale. Una decisione mancata e'
percio' una perdita irrevocabile. L'attimo della decisione e' cosi'
rilevante, che Levinas ha potuto citare - a proposito del pensiero di
Jankelevitch - il detto di un rabbino lituano del XVII secolo: "Ogni uomo e'
obbligato a pensare che la sussistenza dell'intero universo dipende
esclusivamente da lui, che egli ne e' responsabile", e questo in ogni attimo
e nelle decisioni richieste da ogni circostanza. La serieta' tragica della
morale non si traduce in Jankelevitch in un sistema normativo e neanche in
imperativi categorici: uno scarto infinitesimale, un "quasi nulla", separa
talvolta il bene dal male, che si distinguono ogni volta solo in rapporto
alla contingenza della situazione, alla sua "occasione". Certo, cio' non
vuol dire che non esista un'unita' di misura chiara e definita della vita
morale, pietra di paragone di ogni intenzione. Essa e' la scoperta e il
riconoscimento dell'altro, rispetto alla volonta' di potenza e all'amore di
se', che mi spinge invece a dominarlo e asservirlo: "La vera e unica
conversione morale e' quella dell'intenzione, che va dall'io all'altro".
Tuttavia non e' sempre facile applicare questa unita' di misura.
L'intenzione e' un'"apparizione scomparente", "un movimento senza domani,
paragonabile al breve bagliore della scintilla"; sorge in rapporto a una
situazione e svanisce con essa, e ogni volta l'incontro con l'altro deve
essere cercato e ricreato di nuovo, senza che alcuna sicurezza derivi
dall'esperienza precedente. Ogni attimo di vita possiede una novita'
radicale. L'intenzione stessa del bene e' esposta a un'ambiguita'
irrimediabile, che fa parte della sua natura e non si potrebbe in alcun modo
eliminare. La fonte della conversione morale e' il riconoscimento e l'amore
dell'altro; ma se porto questa tendenza fino al suo limite estremo, fino al
sacrificio e all'annullamento radicale di me, l'amore allora coincide con
l'annullamento e il non essere. Il mio non essere e' pero' anche il non
essere di quel bene, che cercavo di realizzare nel mondo: "A forza di volere
appassionatamente l'essere dell'altro, l'uomo e' ridotto a volere il suo
proprio non essere" (Jankelevitch).
Come nell'Idiota di Dostoevskij, l'annullamento radicale di se' per amore
dell'altro produce allora un risultato inaspettato: la catastrofe psichica e
materiale del mondo che mi circonda. Non posso dunque spingermi fino a
questo punto; devo fermarmi a un punto intermedio, devo ritornare a un certo
amore di me stesso, a un desiderio di autoconservazione; ma questo egoismo o
rinascita dell'Io e' di per se' un male e scivola verso una riaffermazione
della volonta' di potenza. La vita morale e' una modulazione incessante tra
l'amore di se' e l'amore dell'altro, senza che il male e il bene possano
definitivamente scindersi e consistere in se stessi, senza che io sia mai
definitivamente liberato dall'ostacolo dell'Io, del corpo proprio, della
volonta' di autoconservazione.
D'altra parte questa necessaria imperfezione, questa compartecipazione che
anche il santo non puo' non avere col male del mondo, e' il segno della
finitudine dell'uomo e lo costringe all'accettazione del suo limite
esistenziale.
Questa imperfezione del resto fa si' che la vita morale sia sempre
sbilanciata verso l'avvenire; l'incontro con l'altro attende sempre un
compimento a-venire. Da un lato e' decisiva l'intenzione nell'attimo, la
presenza di spirito, la decisione che coglie l'occasione specifica;
dall'altro, questa intenzione non si realizza mai puramente e pienamente e
rimanda a un'incompiutezza, a un'imperfezione d'essere. Attendo allora dal
futuro una nuova occasione, una nuova approssimazione all'amore e
all'alterita'. Il futuro non e' pero' quello remoto e ideale delle utopie,
ma quello prossimo e imminente: al limite, e' gia' l'attimo successivo a
questo, in cui nuovamente devo fare la mia puntata, con tutto cio' che mi e'
rimasto.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1464 del 30 ottobre 2006

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