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La nonviolenza e' in cammino. 1463
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1463
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 29 Oct 2006 00:17:58 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1463 del 29 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. L'orrore, il dovere 2. Peter Beaumont: Le vittime nascoste 3. Giuseppe Bronzini presenta "L'Europa e' un'avventura" di Zygmunt Bauman 4. Benedetto Vecchi presenta "L'Europa e' un'avventura" di Zygmunt Bauman 5. Elena Loewenthal presenta "Il passato: istruzioni per l'uso" di Enzo Traverso 6. Letture: Rabindranath Tagore, Poesie 7. Riletture: Palmiero Perugini, Tagore 8. Riedizioni: Michele Camerota, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell'eta' della Controriforma 9. Luciano Bonfrate: Da molto lontano 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. L'ORRORE, IL DOVERE [Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance, collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro la guerra e contro le violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006] Sia liberato Gabriele Torsello. Cessi la guerra in Afghanistan. * E cessi anche questa nostra infame italiana ipocrisia, questo nostro ignobile italiano cinismo: non basta appellarsi alla pieta' dei rapitori (se pure ne abbiano), non basta appellarsi alla capacita' dei mediatori (se pure ve ne siano), occorre innanzitutto dire chiaro che la nostra richiesta della liberazione di Gabriele Torsello non e' disgiunta dal riconoscimento del fatto che mentre lui, ed altri italiani come lui, si trovano in Afghanistan in solidarieta' con le vittime della guerra, contro la guerra e contro la violenza, contro le stragi e per l'umanita', tragicamente lo stato italiano e' li' a fare la guerra, e' li' come esercito occupante, e' li' complice delle stragi, e' li' colpevole di questa immane catena di terrorismo, terrorismo il cui vertice planetario e' l'attuale presidenza degli Usa. E quindi cosi' come chiediamo la liberazione di Gabriele chiediamo anche la cessazione della guerra, ed in quanto cittadini italiani chiediamo anche innanzitutto che lo stato italiano cessi di partecipare alla guerra, e contro la guerra si impegni. * Della guerra afgana ogni giorno nuovi orrori vengono rivelati. Che sono quelli che tutti gia' sapevamo. Chi ha letto Ragazzi di zinco di Svetlana Aleksievic, quella terribile raccolta di testimonianze sulla guerra dell'Armata rossa in Afghanistan tra 1979 e 1989, ritrova oggi il medesimo abisso. E' la stessa guerra. Solo che a quel decennio di orrori altri decenni di orrori e quindi di piu' vasto e profondo dolore e odio e imbarbarimento aggiunti si sono, e al posto dell'Armata rossa oggi ci sono gli Usa, la Nato, e l'Italia. E' una guerra terrorista e stragista, tutti lo vediamo. Ed e' in flagrante violazione del diritto internazionale e della nostra Costituzione, tutti lo sappiamo. Cessi dunque l'Italia di partecipare a questa guerra illegale e criminale. E poiche' anche l'attuale governo italiano e l'attuale parlamento italiano, in totale, totalitaria continuita' con l'esecutivo e la maggioranza parlamentare golpisti della legislatura precedente hanno confermato ancora questa estate la partecipazione militare italiana alla guerra, la violazione della legalita', la scelta di uccidere e far morire, ebbene, e' dovere del popolo italiano chiedere ed ottenere che l'Italia cessi di partecipare a qesta guerra illegale e criminale, e' dovere del popolo italiano costringere governo e parlamento a tornare al rispetto della legalita', a tornare al rispetto dell'umanita'. Occorre manifestare ovunque, in ogni citta' d'Italia, in ogni istituzione d'Italia, per chiedere che l'Italia cessi di partecipare alla guerra, e si impegni per la pace e per recare soccorsi a tutte le vittime. Per le stesse ragioni per cui chiediamo che sia liberato Gabriele Torsello. Perche' ogni vita umana e' un valore infinito. Perche' la guerra e' il terrorismo piu' grande, ed incubatrice di ulteriore odio, barbarie, terrore. Perche' la guerra non ha piu' confini e tutti coinvolge, e minaccia di distruzione l'umanita' intera. Perche' dopo Auschwitz e dopo Hiroshima o l'umanita' sceglie la nonviolenza, o la guerra distruggera' l'umanita'. * Cessi la guerra in Afghanistan. Sia liberato Gabriele Torsello. 2. MONDO. PETER BEAUMONT: LE VITTIME NASCOSTE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo apparso sull'"Observer" dell'8 ottobre 2006. Peter Beaumont e' un prestigioso giornalista dell'"Observer", autore di importanti inchieste sulla situazione irachena] Sono venuti per la dottoressa Khaula al-Tallal in una Opel bianca, dopo che lei era scesa dal tassi' che aveva preso per andare a casa, nel distretto di Qadissiya a Najaf. La dottoressa lavorava per il comitato medico che esamina i pazienti ai fini di stabilire i benefici che possono ottenere dall'assistenza. Khaula al-Tallal, cinquantenne, stava camminando verso la propria abitazione quando uno dei tre uomini della Opel e' saltato fuori e l'ha riempita di pallottole. Un'attivista per i diritti delle donne, Umm Salam (e' ovviamente uno pseudonimo), conosce bene i tre uomini; sono gli stessi che hanno tentato di ucciderla l'11 dicembre dello scorso anno. Era una domenica, ricorda, e quindici pallottole furono sparate all'interno della sua auto, mentre tornava a casa dopo aver insegnato in un internet caffe'. La scena fu la stessa: un uomo dei tre, in abiti civili, scese dalla macchina e fece fuoco. Tre pallottole colpirono Umm Salam, una e' rimasta incastrata nella sua spina dorsale. Il suo figlio ventenne fu ferito al petto. La donna vide l'arma, era una Glock, in dotazione alla polizia. Umm Salam e' convinta che chi ha tentato di assassinarla lavori per lo stato. Le due vicende non sono incidenti isolati, neppure a Najaf, una citta' quasi totalmente sciita e largamente intoccata dalla violenza settaria del nord. Corpi di giovani donne sono apparsi nelle polverose strade che confinano con il deserto: e' il posto favorito per scaricare le vittime degli omicidi, ed e' controllato solo da branchi di cani. * Agli iracheni non piace molto parlarne, ma c'e' una diffusa complicita' con cio' che sta accadendo in questi giorni. Se una ragazza viene rapita e uccisa senza che sia stato richiesto un riscatto, e' perche' lo scopo del rapimento era violentarla. Persino quelle che dopo aver subito violenza vengono rilasciate non sono al sicuro: la risposta di alcune famiglie, nello scoprire che una donna ha subito uno stupro, e' ucciderla. Le donne irachene vivono con una crescente paura, in connessione all'aumento del numero di quelle che muoiono di morte violenta, che e' piu' alto ogni mese che passa. Muoiono perche' facevano parte del gruppo sbagliato, o per aver aiutato altre donne. Muoiono perche' hanno impieghi che i miliziani hanno deciso che esse non devono avere, negli ospedali, nei ministeri e nelle universita'. Vengono assassinate anche semplicemente perche' sono i bersagli piu' facili per le bande di criminali. Vivono nel timore di dire quel che pensano, di uscire per andare al lavoro, di ignorare le proibizioni ed i nuovi codici d'abbigliamento e di comportamento imposti su tutto l'Iraq dai militanti islamisti, sunniti o sciiti. Vivono nel timore dei loro mariti, perche' i diritti delle donne sono stati erosi dalla nuova Costituzione, ed hanno tolto il potere ai tribunali per darlo ai chierici. "Le donne vengono sempre di piu' prese di mira", dice Umm Salam. Suo marito era un docente universitario che fu ucciso nel 1991 dal regime di Saddam Hussein, dopo la rivolta sciita. Lei e' sopravvissuta gestendo la fattoria di famiglia. Con l'arrivo degli americani ha cominciato a lavorare per le donne, insegnando a quelle analfabete come leggere e votare, come riempire i moduli per l'assistenza sanitaria, ed ha aperto una scuola di cucito. Facendo questo si esposta al rischio di essere uccisa. E dopo aver subito tentativi di omicidio, come molte altre donne a Najaf, ha scoperto che il suo impegno incontra maggiori difficolta'. E' cio' che gli uomini della Opel volevano: zittire le donne come Umm Salam, che ha 42 anni. "Le donne hanno tante difficolta' qui. C'e' un'elevata pressione contro le nostre liberta' personali. Nessuna di noi pensa piu' di poter avere un'opinione su qualcosa. Se lo facciamo rischiamo di essere ammazzate". E' una storia comune alle donne in tutto l'Iraq, che si considerano tradite da quel 25% di posti garantito loro dalla nuova Costituzione in parlamento: la garanzia e' diventata la foglia di fico per nascondere quella che le attiviste chiamano ora "la catastrofe dei diritti umani per le donne irachene". * Dopo un mese d'indagini, "The Observer" si sente di sottoscrivere la dichiarazione, perche' in ogni ambito ha trovato conferme delle gravi discriminazioni a cui vengono sottoposte le donne, le cui condizioni in alcuni casi paiono tornate al Medioevo. In zone controllate dalla milizia sciita, come Sadr City, abbiamo visto donne venire picchiate perche' non indossavano calze. Persino la sciarpa in testa e il juba, il cappotto largo che si abbottona al collo, non sono abbastanza per gli estremisti. Alcune donne sono state minacciate di morte in relazione al loro abbigliamento anche se indossavano la completa abbaya, una veste nera che le copre dalla testa ai piedi. Testimonianze simili le abbiamo raccolte a Mosul, dove gli estremisti sunniti stanno infrangendo qualsiasi legge, e a Kirkuk. Donne di Kabala, Hilla, Bassora e Nassiriyah ci hanno raccontato esperienze identiche: dell'insidioso diffondersi delle milizie e del controllo da parte dei partiti religiosi, e di come questi paradossalmente siano i maggiori responsabili degli stupri e degli omicidi di donne che non appartengono alle loro sette e comunita'. "C'e' un'attivista della mia organizzazione che e' cristiana", racconta Yanar Mohammed, che guida l'Organizzazione per la liberta' delle donne irachene e che e' stata piu' volte minacciata di morte a causa della protezione che offre alle donne dalla violenza domestica e dai "delitti d'onore", "Per tornare a casa, ogni giorno deve attraversare un'area controllata da una delle milizie islamiche sciite, la Jaish al-Mahdi. Dato che non indossa un velo, viene continuamente insultata da questi uomini. Circa tre settimane fa, uno di loro l'ha seguita sino a casa, dicendo che vuole avere una relazione sessuale con lei. Le ha detto esattamente cosa vuole fare con lei, e anche che se lei non acconsente verra' rapita. Quest'uomo pensa che poiche' e' armato e minaccia la sua esistenza, lei acconsentira' ad un 'matrimonio di piacere' (un'unione sessuale temporanea sancita da un chierico)". * L'organizzazione di Yanar Mohammed e l'Iraqi Women's Network (Rete delle donne irachene), diretto da Hanna Edwar, hanno una vasta raccolta documentaria su tali episodi. Quest'ultima associazione suggerisce che lo stupro viene anche usato come arma nella guerra tra sette, per umiliare le famiglie delle comunita' rivali. "E' quello che potresti chiamare 'stupro collaterale'", dice Besmia Kathib dell'Iraqi Women Network, "Fa segnare punteggio nella guerra tra sette". Yanar Mohammed racconta di una ragazza sciita che e' stata rapita, stuprata e gettata via come uno straccio nella zona Husseiniya di Baghdad: la ritorsione consistette nel rapimento e nello stupro di diverse ragazze sunnite nella zona Rashadiya. "Si', gli stupri continuano", dice Aida Ussayaran, ex viceministra per i diritti umani ed ora membro del parlamento, "Noi diciamo che sono le milizie, ma quando diciamo milizie dobbiamo tener presente che molti dei loro membri fanno parte anche della polizia. Qualsiasi famiglia abbia una ragazza in casa non vuole mandarla a scuola o all'universita', e non la lascia uscire senza velo. Questo e' il periodo peggiore che le donne irachene abbiano mai vissuto. In nome della religione vengono rapite, uccise, stuprate. E nessuno ne parla". * Le morti delle donne per i media non fanno notizia. L'incremento dei delitti d'onore non viene riportato, e spesso le famiglie contraffanno i certificati di morte per nasconderne le cause. Le attiviste per i diritti umani lamentano anche il fatto che viene loro impedito di esaminare i corpi all'Istituto di medicina legale, o di fotografare le scene dei delitti. La violenza contro le donne e' stata a lungo lo sporco segreto della guerra in Iraq, ma ora i suoi livelli si sono innalzati al punto che essa sta venendo allo scoperto. La scorsa settimana a Samawah, a 246 chilometri da Baghdad, tre donne e una bambina sono state uccise da uomini armati entrati violentemente in casa loro per effettuare l'inspiegabile massacro. Come la dottoressa al-Tallal a Najaf, erano musulmane sciite in una citta' sciita. Le tre donne sono state uccise a colpi di arma da fuoco, alla bambina e' stata tagliata la gola. Anche nel nord del paese le uccisioni di donne sono diventate piu' visibili: al-Jazeera ha riportato gli attacchi alle donne avvenuti nella citta' di Mosul, che hanno portato ad un incremento senza precedenti nel numero di cadaveri femminili ritrovati. Fra essi Zuheira, una giovane casalinga, morta per un colpo d'arma da fuoco alla testa nel sobborgo di Gogaly. Un vicino di casa, Salim Zaho, intervistato da al-Jazeera ha detto: "Non potevano uccidere suo marito, un ufficiale di polizia, cosi' sono venuti a prendersi la moglie". * La violenza che le donne irachene raccontano non sarebbe possibile senza una vasta e impunita brutalizzazione delle loro vite, un'attitudine che permea interamente il "nuovo" Iraq. Perche' non sono solo le milizie ad aver trasformato le vite delle donne in un inferno: per esempio, anche il governo fa la sua parte. Ha permesso ai ministeri assegnati a partiti religiosi di segregare gli impiegati per genere, agli uffici pubblici di imporre la sciarpa per coprire la testa, ha chiuso uno dei rifugi gestito dal gruppo di Yanar Mohanmmed. Le donne ricevono minacce di morte semplicemente perche' vanno a lavorare, persino quando lavorano negli uffici governativi. Zainub (uno pseudonimo) lavora in un ministero a Baghdad. Una mattina, arrivando in ufficio, ha trovato una lettera che era stata inviata a tutto il personale femminile. "C'era solo una frase, ripetuta: Tu morirai". La situazione e' stata esacerbata dalle regressioni introdotte nel codice di famiglia; quello stabilito nel 1958 garantiva alle donne una larga misura di eguaglianza in aree chiave, come il divorzio e l'eredita'. La nuova Costituzione ha permesso che il codice di famiglia venisse revisionato da chierici e dai nuovi tribunali religiosi, ed il risultato e' che ora esso e' fortemente discriminatorio nei riguardi delle donne. Grazie ai chierici e' stata reintrodotta la poligamia, e vengono permessi i "matrimoni di piacere". E sono gli stessi chierici a premere perche' una societa' un tempo laica, in cui le donne raggiungevano le piu' alte cariche pubbliche e lavoravano come professoresse, mediche, ingegnere ed economiste, si trasformi in una societa' che costringe le donne sotto un velo e dentro le case. La mappa di questi sforzi si puo' leggerla ogni giorno sulle strade irachene, negli atti di intimidazione e in quelli di brutale violenza fisica. * E cosi' a Salman Pak, sul Tigri, a quindici miglia da Baghdad, membri della Brigata Kaara del ministero degli interni arrestano un po' di uomini sunniti. Dopo qualche ora fanno ritorno nelle case di questi stessi uomini, e promettono alle donne preoccupate che le aiuteranno a ritrovare gli uomini "scomparsi", in cambio di sesso. Nel quartiere sciita di al-Shaab a Baghdad, miliziani di Jaish al-Mahdi hanno affisso in giro un'ordinanza in cui proibiscono alle donne di indossare sandali e certi altri tipi di scarpe, gonne e pantaloni. Chi viene trovata con i vestiti sbagliati e' picchiata per strada. Ad Amaryah, enclave sunnita a Baghdad, i miliziani radono la testa di tre donne che indossavano i vestiti sbagliati, e frustano ragazzi che indossavano pantaloni corti. A Zafaraniyah, grande sobborgo sciita nel sud di Baghdad, i miliziani di Jaish al-Mahdi aspettano le bambine fuori dalle scuole, e prendono a schiaffi quelle che non indossano l'hijab. E' una situazione registrata dai nudi dati dell'Ufficio per i diritti umani della missione d'assistenza delle Nazioni Unite in Iraq: "In alcuni quartieri di Baghdad alle donne viene ora impedito di andare al mercato da sole. In altri casi sono state minacciate perche' guidavano automobili e assalite perche' indossavano pantaloni. Le donne hanno anche testimoniato che indossare l'hijab non e' una questione di scelta religiosa, ma di semplice sopravvivenza in molte zone dell'Iraq. Le studentesse universitarie continuano a dover affrontare costanti pressioni in questo senso nelle loro universita'". "Sin dall'inizio di agosto le cose sono andate sempre peggio", dice Nagham Kathim Hamoody, attivista dell'Iraqi Women's Network a Najaf, "Sempre piu' donne vengono uccise e si trovano sempre piu' cadaveri abbandonati nei cimiteri. Io non so perche' le uccidono, so che sono le milizie ad ucciderle. Siamo andate all'obitorio, qui a Najaf, ma le autorita' non vogliono collaborare al riconoscimento delle donne uccise. Uno dei medici, pero', ci ha detto che alcuni corpi mostravano segni di essere stati percossi prima dell'omicidio". E le vite piene di dolore delle donne irachene continuano ad andare avanti cosi'. 3. LIBRI. GIUSEPPE BRONZINI PRESENTA "L'EUROPA E' UN'AVVENTURA" DI ZYGMUNT BAUMAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2006. Giuseppe Bronzini, magistrato del lavoro, docente universitario, e' un prestigioso giurista. Zygmunt Bauman, illustre sociologo, intellettuale democratico, ha insegnato a Varsavia, a Tel Aviv e Haifa, a Leeds; e' il marito di Janina Bauman. Opere di Zygmunt Bauman: segnaliamo almeno Cultura come prassi, Il Mulino, Bologna 1976; Modernita' e olocausto, Il Mulino, Bologna 1992, 1999; La decadenza degli intellettuali, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il teatro dell'immortalita', Il Mulino, Bologna 1995; Le sfide dell'etica, Feltrinelli, Milano 1996; La societa' dell'incertezza, Il Mulino, Bologna; Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma-Bari 1999; Voglia di comunita', Laterza, Roma-Bari 2001; Modernita' liquida, Laterza, Roma-Bari 2002; Intervista sull'identita', Laterza, Roma-Bari 2003; La societa' sotto assedio, Laterza, Roma-Bari 2003; Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari 2005; Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006; L'Europa e' un'avventura, Laterza, Roma-Bari 2006] Il volume del grande teorico polacco, da tempo stabilmente inserito nelle istituzioni universitarie inglesi, ha un titolo L'europa e' un'avventura (Laterza, pp. 149, euro 15. Il titolo italiano e' molto meno efficace di quello dell'edizione inglese: Europe: an unfinished aventure) che dovrebbe far reagire un'opinione pubblica continentale che non ha ancora assorbito lo choc del rigetto referendario franco-olandese del "Trattato costituzionale" e che si e' ormai abituata alla sempre piu' logora retorica istituzionale sul lento, ma costante, progredire dell'Unione Europea verso una piu' intensa integrazione grazie al cosidetto metodo Monnet dei "piccoli passi". Esce in Italia a pochi mesi dall'inizio della presidenza tedesca che, plausibilmente, dovrebbe rilanciare il dibattito istituzionale, in vista del quale si moltiplicano le prese di posizione, da quella del futuro candidato alle presidenziali del 2007 della destra francese, Sarkozy, per un nuovo "mini-Trattato" al recente editoriale del "Financial Times" per il quale la paventata catastrofe dell'Unione, senza l'approvazione di una Costituzione, sarebbe stata in pieno smentita dalla buona solidita' pragrammatica dimostrata nell'ultimo periodo dalle istituzioni dell'Ue, sicche', oggi, si dovrebbe proseguire sulla strada dell'allargamento e delle politiche "concrete", rinnegando i sogni "federali". * Il tribunale della ragione Il contributo di Baumann e' senz'altro polemico con le ipotesi "minimaliste"; nell'attuale agenda europea la priorita' non e' assecondare le dinamiche che provengono dai mercati e dalle amministrazioni statali e/o comunitarie, ma rilanciare le linee evolutive piu' profonde dello "spirito europeo", di quella particolare cultura che "se misurata in base ai suoi orizzonti e alle sue ambizioni (ma non sempre anche in base ai suoi atti) era e rimane un modo di vita allergico alle frontiere, anzi ad ogni fissita' e finitezza". Ed ancora "sopporta a stento i limiti, e' come se tracciasse dei confini unicamente allo scopo di orientare il suo impulso indomabile alla trasgressione". Per Baumann la cultura nella sua versione europea e' "un processo continuo di rifacimento del mondo, sempre imperfetto ma ostinatamente in lotta per raggiungere la perfezione" che ha strutturato una consuetudine di sottoporre ogni consuetudine al "tribunale della ragione". In queste pagine lo studioso di Varsavia sembra seguire ipotesi ricostruttive che lo allontanano da quelle riflessioni contemporanee sulla razionalita' occidentale per le quali ogni accenno a valori in positivo rischia di ricadere in forme di etnocentrismo piu' o meno mascherato. Questo concetto - per l'autore - vale a ricordare il trattamento autoritario che il vecchio continente ha riservato ad altre forme di vita umana, le atrocita' commesse in nome della sua missione civilizzatrice, gli orrori del colonialismo, ma "quell'accusa non vale per una sobria valutazione della funzione di lievito e principio motore che l'Europa ha avuto nel processo di unificazione dell'umanita' in tutto il pianeta, lungo, tortuoso e ancora lontano dall'essere completato". Insomma una spinta continua alla critica e all'autocritica come metodo permanente ed alla riflessivita' ricorsiva delle scelte sociali (intolleranti quindi in radice di ogni identita' escludente) che puo' ancora essere definito come il nucleo dell'avventura europea da salvaguardare nel gorgo della globalizzazione e da offrire come contributo insostituibile sulla sfera internazionale. Per questo Baumann non sembra nutrire dubbi sulla necessita' di quel "salto" istituzionale che l'Unione Europea sta cercando negli ultimi anni di compiere; sul punto le sue posizioni richiamano costantemente quelle habermasiane, non solo dell'Habermas de La costellazione post-nazionale e degli scritti sulla Costituzione europea, nei quali l'archiviazione del nesso tra demos e ethnos e la costruzione di un modello di cittadinanza post-nazionale oltre i legami pre-politici tra popoli culturalmente omogenei, rappresentano la vera posta in gioco della costruzione europea, ma anche al piu' controverso Habermas de L'Occidente diviso che cerca di tracciare un solco profondo tra il modello istituzionale del vecchio continente, disponibile al dialogo e al negoziato internazionale, e l'uso sistematico e programmatico della forza militare praticato a Washington. Nel volume di Baumann, in modo molto originale, Habermas viene pero' combinato con le tesi di Etienne Balibar sull'Europa come "mediatore evanescente": se una piu' solida cornice istituzionale deve accompagnare il dispiegamento della natura piu' profonda del progetto europeo, allora questa cornice non puo' che essere continuamente rimessa in discussione, serve a comunicare ed entrare in relazione con gli "altri", a svuotare i confini piu' che a renderli impenetrabili, a preparare una fusione cosmopolitica piuttosto che a ritardarla. Questa parte della riflessione di Baumann riguarda, tuttavia, le speranze e le virtualita' del sistema europeo, anche se potremmo parlare di utopia concreta perche' ha gia' alle spalle la densita' storica di una certa limitazione delle sovranita' statale e l'esperienza in se' grandiosa di una espansione da sei stati a ventisette. * Il paese ideale Questa Europa "ideale", pero', si infrange nelle miserie delle politiche europee, nella sua realta' concreta e quotidiana che rovescia la sua ratio essendi, nell'incapacita' di fronteggiare adeguatamente esclusione sociale e fenomeni di immigrazione di massa. L'Europa che consente "vite di scarto", che si arrocca come una fortezza impenetrabile, che alimenta per assenza di una linea comune e condivisa una strategia "di concorrenza di posizione" tra stati inefficace e alla lunga distruttiva per tutti, che schiaccia il politico sulle dinamiche di mercato revocando quei territori di protezione ed autonomia sociale che abbiamo conosciuti come welfare state, che ricorre al dosaggio sapiente dell'angoscia pubblica attraverso irragionevoli campagne antiterrorismo, e' l'esatto contrario della sue promesse normative. Eppure ad evitare queste scelte funeste, che cercano paradossalmente di trovare soluzioni nazionali per problemi globali come quelli legati ai flussi migratori proprio nel momento in cui si e' piu' vicini alla creazione di una autentica realta' istituzionale post-statuale, basterebbe al vecchio continente una elaborazione piu' seria del suo immediato passato, dalle rovine delle guerre nazionalistiche del Novecento al solo recentissimo abbandono dell'oscura esperienza coloniale, allo stesso ridimensionamento della sua superiorita' economica messa in dubbio dall'emergere di nuovi protagonisti. * I confini blindati Il volume si conclude con un appello perche' l'Europa ritrovi la logica e delle aspirazioni globali contro quella dell'arroccamento locale sviluppando con piu' coraggio gli ancora timidi (ma preziosi perche' innovativi rispetto alla tradizione) esperimenti istituzionali di democrazia sovranazionale: la realizzabilita' di questo rilancio e' attestata anche da esperienze politiche esemplari: dal corteo del 15 febbraio 2003 contro la guerra all'Iraq, salutato da Juergen Habermas e Jacques Derrida come l'atto di nascita di una coscienza europea condivisa, alla lucida e riflessiva reazione degli spagnoli all'attacco terroristico di marca islamica. In conclusione mi pare che - sia pure nei limiti di un saggio non organico - il volume di Baumann sia un chiaro atto di accusa nei confronti dei governi e della classe dirigenti politiche europee: l'Unione Europea non e' stata la ragione per la quale si sono ridimensionati i sistemi di protezione sociale, ma il luogo istituzionale ove i governi, valorizzando al massimo le loro residue prerogative e competenze, hanno impedito la costruzione di un efficace e rinnovato modello sociale su scala continentale. L'Unione non nasce come una fortezza assediata, ma e' il contesto nel quale i paesi hanno concertato le nuove cortine di ferro apposte alle loro frontiere. La cornice europea era la sola che avrebbe potuto condurre a scelte di segno opposto e, secondo Baumann, la sua "missione" e' stata in realta' calpestata dalla logica della separazione, della divisione e dello sbarramento promossa dagli stati. Dove pero' trovare la forza per reagire, per imporre quella trasformazione radicale dell'Unione senza la quale questa esperienza unica nella storia si spegnera'? Dal volume ricaviamo solo suggestioni: la voce di protesta dei movimenti contro l'esclusione sociale o le guerre volute dall'amministrazione Bush e una ritrovata passione degli intellettuali a vocazione cosmopolitica. Prima delle giornate di protesta di Genova (2001) in molti avevano suggerito una nuova alleanza tra "democratici" e "ribelli" per imporre una diversa dinamica ai processi di globalizzazione; che questa alleanza - che ricorda le suggestioni di Baumann - non sia la strada per rilanciare anche l'avventura europea? 4. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "L'EUROPA E' UN'AVVENTURA" DI ZYGMUNT BAUMAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2006. Benedetto Vecchi e' redattore delle pagine culturali del quotidiano "Il manifesto"; nel 2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita' a Zygmunt Bauman] L'Europa e' una "sintesi disgiuntiva". Quando Gilles Deleuze ha comimciato ad usare questa espressione tanto affascinante quanto criptica non poteva certo ipotizzare che potesse spiegare il concetto di Europa. Nel grande puzzle geopolitico della globalizzazione, il vecchio continente e' destinato a dare vita a un'unita' politica ed economica legittimate dalla propensione "civilizzatrice" che ha caratterizzato gli stati nazionali che hanno messo radici in questo lembo di pianeta. Cosi' recita il mantra europeista. Come questo destino sia pero' costellato di trappole, contraddizioni e financo aporie lo descrive benissimo Zygmunt Bauman nel suo L'Europa e' un'avventura, quando ricorda, ad esempio, i crimini coloniali compiuti nel mondo in nome della ragione o della superiorita' culturale europea. Lo studioso di origine polacca fa tuttavia sua la necessita' di dare corso a questa "sintesi" di una vicenda storica durato oltre cinquecento anni. Ma una volta affermata l'inevitabile costruzione di una unitaria realta' politica ed economica, ecco che si affaccia quella divaricazione, o meglio quella disgiunzione del concetto di Europa. Non solo perche' storicamente esistono variegate idee del vecchio continente, ma perche' quando si vuole concettualizzare l'Europa e' inevitabile fare i conti con concezioni poste l'una di fronte alle altre in una relazione conflittuale. Bauman scrive infatti che occorre passare al setaccio le idee di Europa, perche' il vecchio continente e' niente altro che un potente artefatto culturale verso il quale e' necessario compiere un lavoro di "culturalizzazione", farne cioe' un oggetto di indagine critica e di azione creativa. L'operazione proposta consiste allora nel separare l'artefatto culturale dalle istituzioni e dai trattati. Quindi non un rifiuto dell'Europa, ma una critica dell'Europa realmente esistente. Il libro di Bauman non si avventura tuttavia nella rassegna dei passaggi che hanno portato alla stesura del trattato di Maastricht prima, della Carta di Nizza poi, per approdare alla discussa e discutibile Carta costituzionale. Il suo autore e' pero' uno studioso troppo accorto per non essere consapevole di quale sia la posta in gioco dopo che due paesi hanno bocciato la carta costituzionale proposta da Bruxelles. Da una parte, emerge un'idea di Europa elaborata su logiche tutte geopolitiche (il mercato unico continentale come polo alternativo agli Stati Uniti, mentre il parlamento di Strasburgo e' un nodo di una rete politica - che comprende Washington e le istituzioni sovranazionali - preposta al governo della globalizzazione economica); dall'altra c'e' l'Europa come laboratorio storico in cui sono stati modellati i diritti sociali di cittadinanza come antidoto al capitalismo del libero mercato. E' questa pero' la divisione che emerge dalla "sintesi disgiuntiva" chiamata Europa. Nessuna nostalgia dunque per l'Europa degli stati-nazione, quanto l'invito ad elaborare un cosmopolitismo in cui la cittadinanza sia sganciata dall'appartenenza nazionale. * Operazione politica ambiziosa, quella avanzata da Bauman, visto che si accompagna con la proposta di New Deal globale che abbia come attore protagonista proprio lo spazio pubblico europeo. Ma e' proprio nell'incongruenza tra l'artefatto culturale chiamato Europa e l'Europa realmente esistente che si addensano le trappole e le contraddizioni del progetto europeista, che ne hanno altresi' segnato il suo attuale fallimento. L'esempio piu' pregnante della smacco subito dal progetto europeista sta nella trasformazione del welfare state in stato di sicurezza nazionale. Non sfuggira' certo ai lettori di Bauman la sua concezione di stato sociale come frame istituzionale preposto a garantire la "liberta' dalla paura": la paura della disoccupazione di massa negli anni Trenta, o la depressiva incertezza sul presente e sul futuro per gli uomini e le donne altrimenti consegnati al darwinismo sociale del libero mercato. Certo, il welfare state istituzionalizzava il conflitto di classe, stabilendo norme e codici di comportamento prescrittivi per tutti. Da qui il carattere ambivalente di realta' statuali basate su principi universali, ma progettate per riconoscere e al tempo stesso contenere i diritti sociali della classe operaia. Lo scambio tra sicurezza - i diritti sociali di cittadinanza, appunto - e rispetto delle regole democratiche puo' essere considerato foriero di esistenze e biografie prevedibili, ma sicuramente propedeutico alla definizione di un equilibrio dinamico, cioe' aperto all'innovazione nei rapporti di forza nella societa'. Il welfare state e' quindi espressione e rappresentazione politica-istituzio nale di una costituzione materiale che considera il capitalismo una formazione economica e istituzionale da mettere sotto controllo perche' distruttiva del legame sociale. Dunque, anche in questo caso, nessuna apologia, ne' demonizzazione del welfare state, quanto semmai la pacata constatazione che mai, nella storia europea, la sicurezza sia stata considerata un fenomeno da afffrontare socialmente come nei "gloriosi trent'anni" seguiti alla seconda guerra mondiale. * Ma quello di Bauman e' anche un j'accuse sul fatto che la retorica sulla specifita' dello spazio pubblico continentale caratterizzato dal welfare state occulta processi di omologazione dell'Europa al Washington consensus. Significativa, a questo proposito, la progressiva trasformazione dello stato sociale in stato di sicurezza nazionale nel quale la precarieta' - nei rapporti di lavoro, ma anche delle prospettive sul futuro - diventa il background per una limitazione delle liberta' individuali e un aumento dei poteri di polizia. Come annota sarcasticamente Bauman l'insicurezza si "cura" non rimuovendone le cause, ma con dosi progressive di incertezza perche' gli uomini e le donne sono oramai "vite di scarto" che attendono il loro turno per essere scaricate in qualche discarica, che si tratti di un quartiere off-limits o di un centro di permanenza temporanea per migranti. Temi gia' affrontati ampiamente da Bauman in precedenti saggi, ma che alla luce dell'avventura europea costituiscono la base materiale di quella fortezza regionale in cui vengono stabilite politicamente le gerarchie interstatali. Cosi', all'est europeo da poco ammesso alla corte di Bruxelles tocca il compito di fornire forza-lavoro a basso prezzo o di funzionare come frontiera per lavorazioni nocive e inquinanti. Per i paesi mediterranei un posto da vedetta e guardiano sui confini meridionali e' assicurato al fine di scongiurare l'arrivo indesiderato di migranti, oppure per regolarne l'afflusso secondo le necessita' del libero mercato. Nelle sempre piu' protette enclave di lusso potranno invece trovare ospitalita' i manager in vacanza o i benestanti, ma ancora giovanili pensionati. In altri termini, l'Europa realmente esistente riproduce le gerarchie sociali e le asimmetrie di potere della globalizzazione neoliberista. * Ecco quindi che il laboratorio europeo dei diritti sociali di cittadinanza e di un nuovo cosmopolitismo entra in rotta di collisione con il vecchio continente. Europa come sintesi disgiuntiva da mettere al lavoro per dare corpo al progetto di un New Deal globale. Ma come per ogni acquisizione teorica occorre cercare il percorso da intraprendere. Quello che al momento va rifiutato e' sicuramente la strada battuta dalla cittadinanza postnazionale di Juergen Habermas, dove i diritti sociali sono un apriori che rimuove i conflitti che invece quei diritti precedono. Allo stesso tempo, le ingegnerie istituzionali si sono rivelate un vicolo cieco, come attesta la bocciatura della carta costituzionale in Francia e Olanda. Il percorso da intraprendere semmai e' inverso: solo in presenza di diffusi e radicali conflitti sociali attorno alla precarieta' e ai diritti di cittadinanza e' possibile elaborare un nuovo New Deal. Ma per fare cio' va tessuta una relazione alla pari tra i teorici sociali o della politica - e Bauman e' tra questi - che pongono con forza un'innovazione del Welfare state e i movimenti sociali. Non semplici conversazioni, ma un'alleanza transitoria, financo precaria per partecipare all'avventura europea. 5. LIBRI. ELENA LOEWENTHAL PRESENTA "IL PASSATO: ISTRUZIONI PER L'USO" DI ENZO TRAVERSO [Dal supplemento "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 21 ottobre 2006. Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg. Enzo Traverso, storico (nato nel 1957), docente all'Universita' della Picardie "Jules Verne" di Amiens, saggista, acuto studioso della Shoah e del totalitarismo. Tra le opere di Enzo Traverso. Gli ebrei e la Germania: Auschwitz e la simbiosi ebraico-tedesca, Il Mulino, Bologna 1994; La violenza nazista. Una genealogia, Il Mulino, Bologna 2002; Auschwitz e gli intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra, il Mulino, Bologna 2004; (con Marina Cattaruzza, Marcello Flores e Simon Levis Sullam), Storia della Shoah, Utet, Torino 2005; in francese: Les marxistes et la question juive, La Breche-Pec, Montreuil 1990; Les Juifs et l'Allemagne, de la "symbiose judeo-allemande" a' la memoire d'Auschwitz, La Decouverte, Paris 1992; L'Histoire dechiree. Essai sur Auschwitz et les intellectuels, Editions du Cerf, Paris 1997; Pour une critique de la barbarie moderne. Ecrits sur l'histoire des Juifs et l'antisemitisme, Editions Page deux (Cahiers libres), Lausanne 2000; Le totalitarisme. Le XXeme siecle en debat, Seuil, Paris 2001; La violence nazie. Essai de genealogie historique, La Fabrique, Paris 2001; La pensee dispersee, Ed. Leo Scheer, Paris, 2004. Gustaw Herling, scrittore e testimone della dignita' umana, nato in Polonia nel 1919, deceduto a Napoli nel luglio 2000. Critico letterario in Polonia alla fine degli anni Trenta, fu arrestato dai sovietici nel 1939 mentre cercava di espatriare in Francia per combattere contro i tedeschi. Deportato in un gulag sul Mar Baltico, fu liberato nel 1942 e si uni' alle truppe polacche del generale Anders che combatterono, assieme agli inglesi, nel Nordafrica e in Italia. Dal 1950 si trasferisce a Napoli. Ha collaborato con riviste e quotidiani, ha scritto saggi e opere narrative. I suoi libri, per molti anni vietati in Polonia, sono oggi tradotti e pubblicati nelle principali lingue. Opere di Gustaw Herling: Diario scritto di notte, Feltrinelli, Milano 1992; Un mondo a parte, Feltrinelli, Milano 1994, 2003; Ritratto veneziano e altri racconti, Feltrinelli, Milano 1995; Don Ildebrando, Feltrinelli, Milano 1999; Il pellegrino della liberta', L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2006. Bruno Maida, nato a Torino nel 1964, storico, saggista, svolge attivita' di ricerca presso l'Universita' di Torino. Tra le opere di Bruno Maida: con Lidia Beccaria Rolfi, Il futuro spezzato, Giuntina, Firenze 1997] E' delicato il mestiere dello storico, in bilico fra due condizioni difficili. Se il tempo della sua indagine e' remoto le tracce si disfano, vanno seguite con certosina pazienza e a volte coraggio. Evitando l'invenzione, lo storico si trova suo malgrado a immaginare. Se invece egli lavora su un'epoca quasi a portata di mano, allora il mestiere e' ancor piu' complicato, vista la sfida dell'obiettivita'. Entrare dentro una storia significa, in casi come questi, finire per parteciparvi, nel bene e nel male. E forse non e' nemmeno detto che la vocazione dello storico sia l'obiettivita'. Forse, quando una storia chiama in causa - tanto lo studioso quanto il semplice lettore - e' giusto rispondere: "E' spesso molto difficile, per gli storici che lavorano sulle fonti orali, trovare il giusto equilibrio tra empatia e distanza, tra riconoscimento delle singolarita' e messa in prospettiva generale", scrive Enzo Traverso in Il passato: istruzioni per l'uso, una raccolta di saggi appena pubblicata dalla casa editrice Ombre corte (pp. 143, euro 12,50). Questo dilemma bene si attaglia anche a un altro testo, intitolato Il pellegrino della liberta'. Saggi e racconti: sono scritti del grande intellettuale polacco Gustaw Herling, esule e poi cittadino di Napoli, curati da Marta Herling e pubblicati come di consueto da L'ancora del Mediterraneo (pp. 139, euro13,50). La scrittura di Herling, cosi' come la sua esperienza di vita, e' contraddistinta da una lucidita' mai distaccata. Piu' che mai quando scrive dei suoi ritorni - temporanei - in Polonia, molti anni dopo la guerra. Testimone dei totalitarismi del XX secolo, Herling ne e' anche un attento interprete. A quel tormentato XX secolo cui siamo ancora tutti, nostro malgrado, avvinti (e' come se, nonostante tutto, si faticasse a lasciarlo: ci sentiamo dentro e non dopo di esso), Traverso dedica le sue riflessioni sul senso della memoria. Soprattutto, sull'ossessione della memoria. Un'ossessione celebrativa cui lo storico, accantonata una presunta distanza obiettiva, dedica pagine molto intense. Questa ossessione e' infatti un'evidenza incontrovertibile: da qualche anno a questa parte la memoria collettiva e' chiamata in causa continuamente da rituali pubblici, cerimonie, campagne scolastiche. Con una ripetitivita' che, nel caso della Shoah, finisce per svuotare tutto di senso. Il che e' ancora piu' assurdo, perche' in fondo il dato piu' tremendo di tutta l'esperienza storica dello sterminio e' proprio la sua assenza di senso. Certamente, "la memoria, sia individuale che collettiva, e' sempre una visione del passato filtrato attraverso il presente": ma questo presente sembra ansioso di sgravarsi della memoria attraverso rituali asettici, concepiti piu' per mettere a posto la propria coscienza (se non altro in termini educativi: e questo spiega forse l'abbondante presenza della Shoah nelle celebrazioni scolastiche) che per chiamarla in causa. Come dovrebbe accadere di fronte a un passato cosi' problematico. La ricetta, certo, non e' l'oblio. Ma nemmeno la ridondanza. Forse la soluzione sta in iniziative come Rivoli 1940-1945. Luoghi e percorsi della memoria, a cura di Bruno Maida, pubblicato dalla Citta' di Rivoli (in provincia di Torino): un libro di testi e fotografie che racconta la citta' in quegli anni, strada per strada. Una microstoria che riaffiora sul terreno. Anzi, e' come se fosse sempre rimasta li', a farsi ascoltare. 6. LETTURE. RABINDRANATH TAGORE: POESIE Rabindranath Tagore, Poesie, Gruppo Editoriale "L'Espresso", Roma 2006, pp. , s.i.p. ma euro 9,70 (in supplemento al settimanale "L'Espresso"). Un'antologia dell'opera poetica di Tagore con testi estratti da varie sue raccolte. Dalla "Raccolta di canti della fuggitiva": "Risuoni il tuo amore nella mia voce, / riposi il mio silenzio, in ogni movimento / che tu sia in me. / Splendi come una stella nel buio del mio sonno, / il primo pensiero al mio risveglio. / Ardi nel mio desiderio e scorri / in tutte le correnti del mio amore. / Voglio portarti nella vita per sempre / come l'arpa porta la musica". 7. RILETTURE. PALMIERO PERUGINI: TAGORE Palmiero Perugini, Tagore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze) 1994, pp. 192, lire 20.000. Una bella monografia su Tagore uomo di pace con una sezione antologica dalle poesie, dai drammi e dalle conferenze. 8. RIEDIZIONI. MICHELE CAMEROTA: GALILEO GALILEI E LA CULTURA SCIENTIFICA NELL'ETA' DELLA CONTRORIFORMA Michele Camerota, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell'eta' della Controriforma, Salerno, Roma 2004, edizione speciale per "Il giornale", Milano 2006, 2 voll. per complessive pp. 852 (sebbene ne siano numerate solo 770, poiche' le note e gli indici del vol. I sono fuori numerazione evidentente per frettolosita' nell'editing), euro 5,90 + 5,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Una pregevole monografia di uno dei piu' qualificati studiosi di Galilei. 9. LE ULTIME COSE. LUCIANO BONFRATE: DA MOLTO LONTANO Viste da molto lontano le guerre neanche sembrano guerre, ma una specie di cartoni animati, buffi balletti senza colonna sonora, senza volti distingubili, senza paura che la vampa dell'obice sfondi il vetro e ti squarci il salotto. Qualcuno ogni tanto fa un balzo finisce per sempre per terra. Son cose lontane, di gente selvaggia, vestita di stracci. Ruscire a portargli la pace e' dura incombenza, potrebbe richiedere di fucilarli tutti. Il nostro governo sa bene che fare. Del bene e del male la lotta e' infinita, noi siamo il bene, la democrazia, le macchine, la civilta': e' il nostro un pesante fardello, un duro mestiere facciamo, occorrono armi pesanti e nervi d'acciaio e ministri che rendano bene in tivu'. Gli afgani pensassero solo a darci la polvere bianca. Che noia, cambiamo canale. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1463 del 29 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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