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La nonviolenza e' in cammino. 1449
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1449
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 15 Oct 2006 01:58:20 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1449 del 15 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Afghanistan 2. Tutti i giorni il 6 agosto 3. Alison Weir: Solo un'altra madre uccisa 4. Vallori Rasini: Recenti sviluppi nella ricezione di Hans Jonas: una rassegna bibliografica 5. Angela Pascucci intervista Lewis H. Lapham 6. Riedizioni: Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. AFGHANISTAN In questo nostro paese ci si ricorda del fatto che l'Italia insieme alla Nato sta partecipando alla guerra, all'occupazione e alle stragi in Afghanistan solo quando nostri concittadini sono vittime di atti di violenza: uccisioni, ferimenti, rapimenti. E neppure in queste circostanze si ha la volonta' di trarre le ovvie, necessarie, urgenti conclusioni: che in quel paese il nostro esercito e' tragicamente parte di una coalizione armata occupante, terrorista e stragista; che la nostra partecipazione militare alla guerra afgana e' del tutto illegale per la nostra carta costituzionale; che e' proprio a causa delle guerre e delle occupazioni militari volute da Bush e dai suoi "volenterosi" alleati che il terrorismo in tutto il mondo e' cresciuto esponenzialmente, poiche' queste guerre sono terroriste e alimentatrici di terrorismo ulteriore. Cessi l'illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan. Torni l'Italia al rispetto della sua legge fondamentale, quella Costituzione della Repubblica Italiana che all'articolo 11 testualmente recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Chi non contrasta la guerra ne e' complice. 2. RIFLESSIONE. TUTTI I GIORNI IL 6 AGOSTO Cosa significa non dimenticare? Significa lottare perche' non accada di nuovo. Tre cose occorrono allora: l'opposizione alle armi, l'opposizione al nucleare civile e militare, la scelta della nonviolenza come criterio fondante della politica nel XXI secolo. 3. MONDO. ALISON WEIR: SOLO UN'ALTRA MADRE UCCISA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento. Alison Weir, giornalista, e' direttrice di "If Americans Knew", che produce analisi approfondite e video illustrativi su Israele e Palestina] Praticamente nessuno si e' preso il disturbo di segnalare la notizia. Ho fatto una ricerca sui maggiori quotidiani nazionali e sui telegiornali. Niente. Il "Los Angeles Times", il "Washington Post", il "New York Times" e Associated Press avevano una sola frase al proposito. Il primo lasciava fuori l'eta', il secondo riportava che era stata uccisa da una bomba partita da un carro armato. Non e' vero. Sono state pallottole, molte pallottole, sparate a distanza ravvicinata. I testimoni riportano che i soldati israeliani stavano picchiando suo marito perche' non rispondeva alle loro domande. Che la si giudichi temeraria o coraggiosa, la moglie, di 35 anni, e' intervenuta. Ha cercato di spiegare che suo marito era sordo. Ha urlato ai soldati che l'uomo non poteva fisicamente sentire cosa stavano dicendo, ed ha tentato di far cessare il pestaggio. Cosi' le hanno sparato. Non una, ma molte volte. Il suo nome era Itemad Ismail Abu Mo'ammar. Non e' morta subito, tuttavia. La cosa ha preso un po' di tempo. La vita e' fluita via da lei in forma di sangue, per parecchie ore, mentre i soldati israeliani rifiutavano di permettere che un'ambulanza la portasse via. Suo marito ed i suoi figli non hanno potuto far nulla per soccorrerla. Infine, dopo circa cinque ore, all'ambulanza e' stato concesso di trasportarla in ospedale, dove i medici hanno potuto rendere questo servizio: dichiarare il suo decesso. Lascia undici bambini. Niente di tutto questo e' stato riportato, neppure che il fratello del marito, un contadino ventottenne che viveva nella stessa casa, e' stato anch'egli ucciso. Perche' e' accaduto? Perche' la famiglia era vicina di casa di un ricercato da Israele. Si e' trattato semplicemente di un "effetto collaterale" in un'operazione fallita. In tutto, cinque palestinesi sono stati ammazzati quel giorno. Gli altri tre, in una diversa area, erano giovani pastori, due quindicenni ed un quattordicenne, ed hanno avuto il torto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: Gaza. Niente e' stato pubblicato dalla maggior parte dei media americani, e percio' l'opinione pubblica statunitense non ha saputo della madre lasciata morire di emorragia di fronte ai propri figli, ne' dei ragazzini fatti a pezzi. Pare che notizie del genere non valgano la pena di essere riportate. Il "Washington Post" ha fatto almeno lo sforzo di menzionare queste morti, pure le ha menzionate in modo scorretto. Ha mistificato la causa della morte di Itemad, ed ha scritto che i cinque omicidi avrebbero interrotto un periodo di "relativa calma". Il fatto e' che nei sei mesi precedenti 75 giovani palestinesi sono stati uccisi, fra cui un bambino di otto mesi e parecchi bambini di tre anni. Percio' ho telefonato al giornale e ho chiesto di correggere la riga, fornendo informazioni sull'assassinio di Itemad. Mi e' stato detto che le informazioni sarebbero state trasmesse al loro corrispondente, che si trova in Israele, sottolineando che pero' era impossibile per costui andare a Gaza. Quando mi sono dichiarata non d'accordo con questa affermazione, l'impossibile e' diventato "molto difficile". Chi mi parlava ha omesso di ricordare che il "Washington Post" ha accesso ai contatti locali, i quali sono in grado di controllare le notizie pervenute al corrispondente ed al giornale. Dopo di che, ho scritto una lettera che conteneva le informazioni di cui sopra, sono stata contattata e mi e' stato detto che era una buona lettera, e che sarebbe stata pubblicata se confermavo di averla scritta proprio io e di non averla inviata ad altri. Ho dato conferma, abbiamo scambiato ancora qualche messaggio e tutto sembrava a posto. Normalmente, quando avviene questo scambio, la lettera e' pubblicata a breve scadenza. Ho aspettato. Sono passati quindici giorni e sto ancora aspettando. Pare che il "Washington Post" abbia deciso che non ha bisogno di essere precipitoso nel pubblicare una rettifica. Credo di capire. Sebbene lo statuto dei principi del "Washigton Post" proclami: "Questo giornale si impegna a minimizzare gli errori ed a correggere quelli che possono ugualmente accadere. Il nostro scopo e' l'accuratezza, la nostra difesa e' la buona fede", la societa' statunitense degli editori chiarifica questi requisiti etici: la correzione va pubblicata solo quando l'errore o l'omissione sono "significativi". Dopotutto, erano solo palestinesi, e si trattava solo di un'altra madre uccisa. 4. MATERIALI. VALLORI RASINI: RECENTI SVILUPPI NELLA RICEZIONE DI HANS JONAS: UNA RASSEGNA BIBLIOGRAFICA [Dal sito dell'Universita' di Trieste (www.univ.trieste.it) riprendiamo il seguente saggio di Vallori Rasini apparso in "Esercizi filosofici", n. 1, 2006, alle pp. 75-82. Vallori Rasini, docente e saggista, insegna filosofia morale all'Universita' di Modena; e' acuta studiosa di decisivi temi etici, filosofici ed antropologici. Opere di Vallori Rasini: Divenire, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 2001. Hans Jonas e' nato a Moenchengladbach nel 1903, e' stato allievo di Heidegger e Bultmann, ed uno dei massimi specialisti dello gnosticismo. Nel 1933 si e' trasferito dapprima in Inghilterra e poi in Palestina, dal 1949 ha insegnato in diverse universita' nordamericane, dedicandosi a studi di filosofia della natura e di filosofia della tecnica. E' uno dei punti di riferimento del dibattito bioetico. Al suo "principio responsabilita'" si ispirano riflessioni e pratiche ecopacifiste, della solidarieta', dell'etica contemporanea. E' scomparso nel 1993. Opere di Hans Jonas: sono fondamentali Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1993; la raccolta di saggi filosofici Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1994; Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997; Organismo e liberta', Einaudi, Torino 1999; una raccolta di tre brevi saggi di autobiografia intellettuale e' Scienza come esperienza personale, Morcelliana, Brescia 1992. Si vedano anche Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il melangolo, Genova 1995, e La filosofia alle soglie del Duemila, Il melangolo, Genova 1994; cfr. anche Lo gnosticismo, Sei, Torino 1995. Un utile libro di interviste e conversazioni e' Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000. Opere su Hans Jonas: si veda la parte su Jonas in AA. VV., Etiche della mondialita', Cittadella, Assisi 1996, e la bibliografia critica li' segnalata. Ad essa si aggiungano i testi segnalati nel saggio di seguito riportato. Per un profilo sintetico ed una ampia nota bibliografica, cfr. anche Giovanni Fornero, Jonas: la responsabilita' verso le generazioni future, nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, Tea, Milano 1996] "Qui non e' piu' il piacere della conoscenza, bensi' la paura del futuro o la preoccupazione per l'uomo a motivare fondamentalmente il pensiero, che si costituisce esso stesso come un atto appunto di responsabilita". Cosi' Hans Jonas - l'oramai noto filosofo contemporaneo a cui nel 1987 venne assegnato il Premio della pace dalla Boersenverein des Deutsches Buchhandels - motiva la propria svolta in favore di un pensiero etico dedito alla preoccupazione oggi piu' sentita del genere umano. Con Jonas l'etica diviene impegno personale nella promozione della sopravvivenza; diviene essenzialmente mobilitazione individuale e sociale per una piu' attenta valutazione del senso e della portata dello sviluppo tecnologico, e percio' impegno per il contenimento di una potenza che rischia di dissolvere l'essere umano e l'intera natura. Allora il pensiero incalza la prassi, e un nuovo atteggiamento morale puo' forse guidare, attraverso la constatazione di un grave e imminente pericolo, al riparo di modalita' meno rovinose dell'intervento umano sulla natura. Se - come vuole Jonas - la filosofia etica e' "permanente impegno di vita", e' vita vissuta nella consapevolezza e nel desiderio di una efficace salvaguardia dell'esistenza, non puo' che comportare assunzione di responsabilita'. Intorno a simili, incisivi propositi, pare che la sensibilita' degli intellettuali europei cominci a muovere passi significativi. * Dopo che, nella sua introduzione alla versione italiana del volume di Jonas, Organismo e liberta'. Verso una biologia filosofica, Einaudi, Torino 1999 (traduzione di Das Prinzip Leben. Ansaetze zu einer philosophischen Biologie, che raccoglie saggi scritti tra gli anni '50 e '60), anche Paolo Becchi ebbe denunciato la scarsa attenzione dedicata nel nostro paese al pensiero del filosofo di Moenchengladbach, hanno visto la luce alcuni saggi che, mentre testimoniano una certa - ancorche' scarsa - presenza di Jonas nella riflessione filosofica italiana, possono contribuire in parte a ravvivare il confronto con uno degli intellettuali eticamente piu' impegnati e insieme piu' controversi degli ultimi decenni. * Gia' nel 2000, Paolo Nepi aveva affrontato la questione del rapporto tra individualismo e personalismo tentando l'accostamento di Jonas a Charles Taylor e Alasdair MacIntyre ed enfatizzando il "coraggio" di un pensatore che pur di rivalutare il principio della responsabilita' personale non ha esitato ad ancorarla a un principio ontologico di stampo dichiaratamente metafisico (Individui e persona. L'identita' del soggetto morale in Taylor, MacIntyre e Jonas, Edizioni Studium, Roma 2000). * Marcello Monaldi nel libro Tecnica, vita, responsabilita' (Guida, Napoli 2000) aveva invece preferito soffermarsi sul valore che l'odierno richiamo alla responsabilita' viene a rivestire nel pensiero di Jonas: una sorta di risveglio forzato dal sogno positivistico di un progresso illimitato e sostanzialmente esente da rischi; un risveglio brusco dinanzi al diffuso disagio della cultura occidentale, testimone sempre piu' consapevole delle dimensioni potenzialmente catastrofiche di un incauto abuso tecnologico. La potente opera dell'uomo contemporaneo, un "Prometeo scatenato" - come lo definisce efficacemente Jonas - detentore di un potere tecnologico assolutamente incomparabile con la capacita' di aggressione e la forza d'impatto della tecnica antica, deve saper trovare in un nuovo principio il proprio limite morale. Percio' Jonas ci propone un concetto di responsabilita' verso l'uomo e l'intera natura di tipo affidatario (che intende cioe' la responsabilita' come cura e affidamento), senza tuttavia rinunciare all'aspetto della imputabilita' dell'azione (l'elemento piu' tradizionale di un concetto di responsabilita' derivato dall'ambito giuridico, benche' in parte oscurato in epoca contemporanea); e, nel farlo, egli ha cercato di svincolare la responsabilita' dal rapporto con l'intenzione e con il passato, proiettandola nel futuro. Ma tuttavia non e' detto che dinanzi a un fare tecnologico resosi in gran parte autonomo dalle finalita' che l'uomo realmente si propone questa riformulazione del principio sia davvero efficace e sufficiente. Venivano quindi passate in rassegna alcune valutazioni e rielaborazioni della proposta di Jonas, tentate soprattutto in ambito tedesco, anche alla ricerca di vie concrete per l'eventuale attuazione di una plausibile "etica della responsabilita'". * Di qualche anno successivo e' il contributo di Maria Loredana Furiosi, Uomo e natura nel pensierio di Hans Jonas (Vita e Pensiero, Milano 2003). Il libro presenta un carattere eminentemente introduttivo. Cercando di rintracciare la necessita' di certe soluzioni etico-naturalistiche gia' nei lavori giovanili sullo gnosticismo religioso, il saggio segue sostanzialmente la traccia del valore bioetico del lavoro svolto da Jonas negli anni. Furiosi si limita a gettare uno sguardo panoramico sul percorso teoretico del filosofo - lo studio del pensiero gnostico sotto la guida di Bultmann e la sua interpretazione esistenzialista (nonche' la successiva interpretazione "gnostica" dell'esistenzialismo); la riscoperta del mondo della vita e il "progetto di una biologia filosofica", l'approdo alla dimensione etica e l'elaborazione del noto principio di responsabilita' -, soffermandosi sui topoi piu' classici del suo contributo e analizzando infine la delicata questione delle forme dell'intervento tecnologico dell'uomo. Rispetto a questa problematica emergono taluni dissensi da parte dell'autrice, che accusa Jonas di mantenersi sostanzialmente ambiguo di fronte al tema del valore della vita senza tuttavia avviare con lui un reale confronto critico. * Il volume curato da Claudio Bonaldi dal titolo Hans Jonas. Il filosofo e la responsabilita' (Albo Versorio, Milano 2004) propone al lettore italiano tre saggi rispettivamente di Paolo Becchi, Paul Ricoeur e Karl-Otto Apel. Si tratta di contributi impegnati in un confronto con Jonas che - come viene sottolineato nell'introduzione di Nynfa Bosco - "non gli risparmia obiezioni ma non lo semplifica grossolanamente", come invece ha sovente fatto un dibattito imbarazzato dalla difficolta' di trovargli un'adeguata collocazione nella rosa delle categorie storiografiche disponibili non meno che dalla desueta strategia di fondazione del principio etico prescelta dal filosofo. Ripercorrendo le tappe principali dell'itinerario intellettuale di Jonas, Becchi rimarca soprattutto la singolarita' della posizione in cui, tra vicende biografiche e scelte ideologiche, viene necessariamente a trovarsi il suo pensiero. Ma in esso la salvaguardia del futuro rappresenta una istanza cosi' potente - osserva Becchi - che vale forse la pena di considerare accuratamente le argomentazioni proposte: si potrebbe persino scoprire che la loro validita' e in generale la prassi del principio responsabilita' puo' conservare intatto il proprio valore anche indipendentemente da una fondazione ontologica del tipo di quella tentata da Jonas. Pubblicato per la prima volta nel 1991, il saggio di Ricoeur verte sul rapporto sussistente tra etica e pensiero biologico. Nella formulazione del suo "imperativo categorico", Jonas introduce come concetto essenziale quello di vita, al quale e' legato il principio della liberta'. La filosofia della biologia sviluppata nella cosiddetta seconda fase del suo pensiero non risulta sufficiente - secondo Ricoeur - a giustificare il ricorso a un principio di responsabilita', per il quale si rende necessaria una fondazione ontologica. Poiche' l'uomo "puo' volersi distruggere", occorre radicare il dover essere nell'essere. Con la rivendicazione di un bene immanente all'essere, e in particolare alla vita, viene l'obbligazione alla sua conservazione, che e' accompagnata da uno spontaneo sentimento di responsabilita'. Jonas esce in tal modo dall'ambito strettamente naturalistico della realta' umana - e Ricoeur confuta decisamente l'idea che la sua etica si possa definire naturalistica -, anche perche' l'imperativo che ne deriva comanda non solo che esistano in futuro degli uomini, ma che essi siano conformi all'"idea di umanita'". Il terzo saggio, quello di Karl-Otto Apel, risale invece alla meta' degli anni '80. Scritto in occasione di un congresso sull'etica del futuro e la societa' industriale e proposto alle stampe in lingua tedesca nel 1986 e nel 1988, il contributo sembra non aver perduto la sua attualita'. Apel, interessato anzitutto alla fondazione dell'etica del discorso, si confronta con le tesi di Jonas collocandole nel contesto della discussione contemporanea e apprezzandone apertamente il valore, pur contrastandone in parte l'indirizzo. In particolare, non concorda con l'opinione che debba essere abbandonata l'idea moderna di progresso, soprattutto nell'accezione kantiana che e' assai distante - secondo Apel - dagli eccessi di certo progressismo utopistico. Completa il volume un'ampia bibliografia, che da un lato integra quella proposta in D. Boehler (a cura di), Ethik fuer die Zukunft. Im Diskurs mit Hans Jonas (C. H. Beck, Muenchen 1994, pp. 460-476) fino al 1993 e dall'altro la aggiorna fino al 2003. * Piu' specificamente orientato e' il libro di Nicola Russo dal titolo La biologia filosofica di Hans Jonas (Guida, Napoli 2005), dedicato a Jonas "filosofo della natura". Ma per quanto il volume si concentri in maniera specialistica su di una certa fase del pensiero jonasiano, la prospettiva che l'autore intende proporre viene a coprire l'intera estensione della sua riflessione. La "biologia filosofica" appare infatti come il momento centrale per la successiva definizione del principio responsabilita'. Russo ricostruisce le fasi della progressione del principio vitale fino al suo culmine, rappresentato dall'homo pictor, mostrando i vari aspetti di un sistema di "ontologia della vita" (che comprende in se' una filosofia dell'organico ma anche una filosofia dello spirito) attraverso il quale possono forse trovare una loro collocazione sia i quesiti piu' sostanziali dell'antropologia filosofica sia quelli generali di un'etica della responsabilita'. * Anche dalla Francia giunge qualche contributo al dibattito sul pensiero di Jonas. Il testo piu' significativo ce lo propone la casa editrice Vrin di Parigi che, dopo avere pubblicato nel 2002 il volume Hans Jonas et la liberte' di M.-G. Pinsart, ha recentemente proposto una raccolta di saggi a cura di Olivier Depre' e Danielle Lories dal titolo Vie et liberte'. Phenomenologie, nature et ethique chez Hans Jonas, che non evita di trattare problemi e controversie connesse con taluni aspetti ancora non del tutto sviscerati del pensiero jonasiano. In particolare, viene considerata la ricezione largamente negativa del suo pensiero, la diffidenza e le critiche che hanno accompagnato la proposta di Jonas, a causa della singolare prospettiva adottata e delle inevitabili semplificazioni dovute spesso al processo di volgarizzazione delle sue idee, soprattutto in relazione alle tematiche bioetiche e ambientali. Come la maggior parte dei volumi collettivi sul pensiero del filosofo, anche questo libro non pretende di offrire una prospettiva univoca sul suo pensiero, ne' avanza pretese di esaustivita'; trova invece il suo punto di forza nell'unitarieta' prospettica attraverso cui i diversi contributi considerano il suo lavoro: quella fenomenologica. * Accanto a questo lavoro e' doveroso segnalare la pubblicazione di un'agile ed essenziale presentazione di Jonas apparsa, sempre nel 2003, presso l'editore Ellipses di Parigi. Il curatore e' ancora Olivier Depre' e il volumetto, dal semplice titolo Hans Jonas, fa parte di una collana diretta da Jean-Pierre Zarader. In pochissime pagine (appena 64), viene tracciato uno schizzo del percorso intellettuale di Jonas (attraverso il rapporto con i suoi maestri e l'importante amicizia con Hannah Arendt), si delinea l'evoluzione del suo pensiero dalla filosofia della liberta' alla filosofia della responsabilita' e vengono messe a fuoco alcune questioni salienti connesse all'etica applicata. * Senza dubbio pero' e' la Germania ad avere offerto, specie nel corso del 2003, i contributi piu' considerevoli. E' indispensabile menzionare, in primo luogo, la ricca raccolta di pensieri e narrazioni di Jonas realizzata grazie all'iniziativa di Rachel Salamander. Il titolo e': Hans Jonas, Erinnerungen (Insel Verlag, Frankfurt a. M. 2003, a cura di Christian Wiese; con una prefazione di Lore Jonas). Il volume ha avuto origine da una serie di conversazioni svoltesi tra la Salamander e Jonas nell'arco temporale di alcuni anni, durante i soggiorni estivi del filosofo in Germania. Nelle pagine dell'accurata trascrizione, Jonas si racconta attraversando la viva rappresentazione di diversi incontri e scontri svoltisi con personaggi - noti e meno noti - che hanno segnato non solo la sua lunga, personale esistenza, ma spesso la storia dell'umanita' e del pensiero filosofico occidentale. Si tratta di narrazioni ricche di sentimento e di partecipazione, estremamente emozionanti e coinvolgenti, rese attraverso lucide ricostruzioni di circostanze spesso decisive, in cui giocano un ruolo sicuramente importante gli affetti familiari e i rapporti di amicizia. Viene rispettato un percorso rigorosamente cronologico che, a partire dalla prima gioventu', conduce il lettore attraverso gli anni della formazione universitaria, la successiva emigrazione e l'esperienza nella terra di Israele, il dramma della guerra, il viaggio nella Germania post-bellica e infine il trasferimento in America. Seguono alcuni capitoli dedicati a momenti salienti della sua esperienza filosofica: il congedo dal maestro Heidegger, l'interesse per la filosofia della vita e poi per le questioni etiche, e infine il problema della concezione di Dio dopo Auschwitz. Chiudono questa biografia intellettuale alcune lettere degli anni 1944-'45 alla moglie Lore. * Sempre nel 2003 e' apparso il volume dal titolo Weiterwohnlichkeit der Welt. Zur Aktualitaet von Hans Jonas, anch'esso a cura di Christian Wiese in collaborazione con Eric Jacobson. Piu' che dal dovere intellettuale della commemorazione, il volume sembra ispirato dalla sincera convinzione che Jonas costituisca una preziosa fonte alla quale attingere per risolvere i gravi problemi etico-politici che affliggono il nostro tempo. Si tratta dunque per i curatori non solo di promuovere una generica attualita' del filosofo tedesco: in gioco sarebbe il valore di una delle voci piu' significative nel dibattito attuale sull'etica futura per una societa' iperindustrializzata. Prezioso testimone del destino ebraico nella Germania nazista e insieme insigne rappresentante del pensiero contemporaneo, Jonas ha saputo ridare impulso alla riflessione sul senso e il valore della vita e sulla necessita' della razionalizzazione delle aspettative per il futuro del genere umano. Il volume - che accoglie, tra gli altri, saggi di Vittorio Hoesle, Emidio Spinelli e Gereon Wolters gia' noti al pubblico italiano - si compone di tre sezioni: la prima consta di contributi che trattano del radicamento di Jonas nella tradizione del pensiero ebraico (tra i quali va segnalato il saggio di Konrad Paul Liessmann impegnato in un interessante confronto del pensiero di Jonas con quello di Guenther Anders); la seconda si occupa dell'attualita' del lavoro jonasiano dedicato alla storia e alla filosofia della religione, che da una parte rimanda al personale rapporto con le concezioni del maestro Martin Heidegger e dall'altro impone una riflessione sul concetto di Dio dopo il dramma dell'Olocausto; la terza parte e' dedicata alla filosofia dell'organico e alla rilevanza del "principio responsabilita'", al suo significato in rapporto al concetto di liberta' e alle sue potenzialita' nel concreto dibattito ecologico e bioetico. Attraverso i diversi contributi, la ricchezza di prospettive presente nel lavoro di Jonas mostra da una parte la possibilita' di un dialogo interdisciplinare - tra storia della cultura, etica, storia delle religioni, filosofia ecc. -, mentre evidenzia dall'altra la difficolta' (e anzi l'impossibilita') di offrire una lettura unitaria e uniforme del suo pensiero. Le considerazioni talora contrastanti dei diversi contributi fanno cosi' del volume un luogo di aperta e proficua discussione. * Esperto di cultura ebraica, Christian Wiese ha infine pubblicato - questa volta in qualita' di autore - un volume dal titolo Hans Jonas. "Zusammen Philosoph und Jude" (Juedischer Verlag, Frankfurt a. M. 2003), che si aggancia direttamente al volume delle Erinnerungen. In questo libro Wiese si concentra sul rapporto di Jonas con il giudaismo, sulla sua adesione al movimento sionista, sull'emigrazione in Palestina, sulla sua esperienza nella "Juedische Brigade" delle Forze armate britanniche durante la seconda guerra mondiale e sul dramma dell'Olocausto; narra dell'amicizia e dei conflitti con Gershom Scholem e Hannah Arendt, contestualizzando attraverso l'identita' specificamente ebraica del filosofo la sua "rivolta" contro il corso seguito dal mondo. * Precisamente sul rapporto con Hannah Arendt si concentra invece il corposo saggio di Klaus Harms dal titolo: Hannah Arendt und Hans Jonas. Grundlagen einer philosophischen Theologie der Weltverantwortung (Wiku Verlag, Berlin 2003). Proveniente da studi di carattere teologico e di filosofia della religione, Harms intraprende un impegnativo lavoro di dettagliata analisi e di confronto tra i due filosofi. Sulla profonda amicizia, ancorche' travagliata, che li lego' (quasi coetanei, erano entrambi ebrei e allievi di Heidegger e Bultmann) si hanno diverse testimonianze, benche' per lo piu' occasionali (saggi dedicati, racconti biografici ecc.) e nettamente sbilanciate dalla parte di Hannah Arendt: e' infatti soprattutto Jonas ad avere avuto occasione e desiderio di parlare dell'amica. Se non esiste una vera e propria corrispondenza tra i due lo si deve probabilmente al fatto che, come avrebbe confessato la moglie di Jonas all'autore del libro, il marito "non e' mai stato un diligente scrittore di lettere". La letteratura critica ha dato grande rilievo al rapporto personale tra Arendt e Jonas, senza tuttavia indagare seriamente l'eventualita' di un loro rapporto intellettuale e magari di una loro influenza reciproca diretta. Il serrato confronto al quale Harms sottopone il loro pensiero passa innanzitutto attraverso una disamina biografica che ne evidenzia il compito specifico: interpretare il presente "tra passato e futuro" e cogliere la necessita' di introdurre nella concezione del mondo la nozione di responsabilita'. L'autore si dedica poi all'individuazione dei nessi sussistenti, nei due filosofi, tra la questione della "globalizzazione" (le cui ripercussioni si determinano in ambito economico e politico non meno che in ambito culturale e religioso) e la "filosofia del mondo", rispetto a cui vengono tematizzate l'immagine della "inabitabilita'" del mondo (luogo di ascosita' e di estraneazione) e quella di un mondo che si rende abitabile attraverso un percorso valutato da Harms in termini filosofico-teologici. Una successiva, piu' ampia analisi dei presupposti religiosi del pensiero di Arendt e Jonas, considerati da Harms uno dei principali motivi della loro attualita', apre la via al vero fine dell'opera: contribuire al reperimento di un fondamento teorico per una teologia filosofica della responsabilita' verso il mondo. * In buona parte ispirato teologicamente, benche' di fatto raccolga contributi variamente declinati, e' anche la raccolta curata da Wolfgang Eric Mueller, Hans Jonas, von der Gnosisforschung zur Verantwortungsethik, Kohlhammer, Stuttgart 2003. Frutto di una tavola rotonda tenutasi nel semestre invernale 2001-2002 presso l'Universita' di Oldenburg, il volume si prefigge lo scopo di consentire una ricezione poliedrica di Jonas, in corrispondenza con le molteplici prospettive che la sua riflessione filosofica ha saputo dischiudere. L'ordine assegnato ai quattordici contributi proposti segue piuttosto fedelmente lo svilupparsi per fasi del pensiero jonasiano: i primi saggi si concentrano sulla formazione del filosofo e sulle indagini concernenti il pensiero gnostico; si passa poi all'interpretazione della realta' biologica e alle questioni della teleologia della vita e della peculiarita' dell'essere umano rispetto agli altri viventi; il concetto di responsabilita' viene considerato in relazione all'imperativo categorico kantiano e al tema dell'esistenza di Dio. Chiudono la raccolta alcuni saggi critici dedicati al delicato problema del rapporto tra etica e tecnica e alla posizione di Jonas sui compiti e il valore della medicina e della bioetica. * Nel corso del 2004 e' invece apparso Orientierung und Verantwortung. Begegnungen und Auseinandersetzungen mit Hans Jonas, a cura di Dietrich Boehler e Jens Peter Brune (Koenigshausen und Neumenn, Wuerzburg). Questo volume si distingue dalle precedenti raccolte innanzitutto per il fatto di ospitare, insieme a studi di carattere interdisciplinare sulle tematiche affrontate dal filosofo, alcuni manoscritti inediti di Jonas, alcune lettere e tre schizzi di suo pugno. I testi proposti nella prima sezione - dedicati alle figure di Heidegger e Husserl e al rapporto tra etica e religione - possono gettare nuova luce sulla storia spirituale dell'Europa dei primi del secolo e sullo sfondo degli sviluppi del suo pensiero; mentre le prime due lettere - indirizzate rispettivamente a Ernst Bloch e a Adolph Lowe e gia' apparse in lingua italiana in un numero dedicato a Jonas della rivista "Ragion pratica" (n. 15, 2000, pp. 17-31) - sembrano consentire una revisione, forse radicale, del giudizio del filosofo sul principio proposto da Bloch: in certi scritti, Jonas avrebbe cercato punti di contatto tra il "principio speranza" e il proprio, nell'aspirazione comune a Bloch di una dignitosa sopravvivenza del genere umano sulla terra, cioe' all'esistenza di una umanita' che nulla debba invidiare all'uomo di oggi. D'altronde, Jonas ha riconosciuto espressamente che sarebbe stato opportuno rendere maggiore giustizia al pensiero di Bloch, e lo ha fatto proprio in una conversazione con Ingo Hermann il cui testo viene riproposto nella IV sezione di questo volume: si tratta di Erkenntnis und Verantwortung, gia' pubblicato nel 1991 (Lamuv, Goettingen); nella medesima sezione e' contenuto anche un carteggio con Hans-Georg Gadamer, risalente agli anni '80 e avente per tema l'etica per il futuro. Un cospicuo contributo di Boehler sulla responsabilita' per l'avvenire e per la vita, diviso in due parti, accompagna il confronto di studiosi di varia formazione in dialogo con Jonas su tematiche etiche e storico-religiose, questioni filosofico-teoretiche, ma anche specificamente scientifiche, bioetiche e mediche. Tra gli altri, viene proposto un saggio di Karl-Otto Apel sulla crisi ecologica e l'etica del discorso (apparso in inglese nel 1992). Il libro si chiude con una serie di incontri - di Jonas e con Jonas -, al cui centro si colloca una intervista rilasciata dalla moglie alla Freie Universitaet di Berlino nel maggio 2003, dai toni inevitabilmente personali e intimi. * Benche' con qualche ritardo, stando a queste testimonianze, il dibattito sulle principali tematiche affrontate da Jonas sembra dunque in qualche modo avviato. Certo, la Germania mostra di avere saputo accogliere con maggiore sollecitudine e in maniera decisamente piu' generosa le istanze di urgenza sulle quali egli aveva sovente insistito. Ma data la natura eccezionalmente prossima delle questioni in oggetto, specie di quelle piu' eminentemente etiche, e' forse legittimo confidare in un progressivo acuirsi dell'interesse per il pensiero di Jonas nella riflessione filosofica contemporanea. 5. RIFLESSIONE. ANGELA PASCUCCI INTERVISTA LEWIS H. LAPHAM [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 otobre 2006. Angela Pascucci, giornalista, e' caporedattrice esteri del quotidiano "Il manifesto". Lewis H. Lapham, prestigioso intellettuale americano, e' direttore emerito di "Harper's Magazine"] A chi gli chiede come si definirebbe, Lewis H. Lapham risponde "un cronista del declino dell'idea di democrazia negli Stati Uniti". Il tema epocale ricorre in effetti in tutti i suoi scritti, espresso con la foga di un liberal d'altri tempi resa piu' incalzante e caustica da una scrittura raffinata che ha valso all'autore la definizione di "conoscitore della parola perfetta" coniata da "Newsweek". L'intellettuale californiano nato 71 anni fa a San Francisco e' direttore emerito di "Harper's Magazine", la rivista che da 156 anni occupa un posto di rilievo nel mondo di quel giornalismo americano colto che lega letteratura e politica (il numero speciale dei 150 anni ha visto la ripubblicazione di articoli di collaboratori come Mark Twain e Lev Trotsky). Nel maggio scorso, dopo 28 anni, Lapham ha lasciato il testimone della direzione effettiva a Roger D. Hodge, texano di 38 anni. Ma non si e' certo ritirato dalla scrittura, con la quale si batte contro l'amministrazione Bush e gli interessi dell'elite economica da questa rappresentati. Secondo l'analisi di Lapham negli ultimi trent'anni, con un'accelerazione indotta dall'11 settembre, l'azione politica di questo complesso di interessi ha trasformato la democrazia Usa in una plutocrazia portatrice di una concezione del potere che sta smantellando i valori della repubblica per costituire un "Nuovo impero americano", che accerchia il mondo ma tiene in scacco gli stessi cittadini Usa. Nel suo ultimo libro, Pretensions to Empire, di recente pubblicazione, paragona l'amministrazione Bush a un'"agenzia criminale" e descrive gli Usa come "uno stato di polizia". Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a New York per chiedergli di elaborare per noi la sua analisi, in vista delle elezioni di medio termine. * - Angela Pascucci: Partiamo dalla legge sul trattamento e i processi dei sospettati di terrorismo con la quale Bush ha ottenuto dal Congresso la copertura dei peggiori abusi, passati e futuri, con l'appoggio di buona parte dei democratici, timorosi di essere puniti alle prossime elezioni per non essersi dimostrati duri contro il terrorismo. Un groviglio preoccupante di questioni. - Lewis H. Lapham: La legge da' a George Bush il potere di definire "nemico" quasi chiunque, consente in alcune circostanze forme anche estreme di tortura e nega ai sospettati di terrorismo il diritto all'habeas corpus. E' un esercizio della paura. Ancora oggi il messaggio che si vuole instillare nella popolazione americana dopo l'11 settembre e': abbiate paura. La Casa bianca non fa appello alla forza e al coraggio ma alla debolezza originata dalla paura. E' l'impulso piu' destabilizzante di questo governo. Al quale si aggiunge l'aspetto di un equilibrio istituzionale sistematicamente indebolito. Il governo nega infatti un principio costituzionale fondamentale: la separazione dei poteri e il principio del controllo istituzionale. L'esecutivo si riserva il diritto di annullare la legislazione del Congresso, senza peraltro che la minoranza democratica sollevi alcuna seria obiezione. Inoltre non da' al popolo americano e ai suoi rappresentanti le informazioni necessarie a capire quel che il governo fa, che si tratti di Iraq o di lotta al terrorismo. E' in atto una crisi costituzionale che dovrebbe essere riconosciuta come tale. Persino un opinionista conservatore come Thomas Friedman ha scritto sul "New York Times" (4 ottobre, ndr) che i repubblicani dovrebbero essere sconfitti sia alla Camera che al Senato se vogliamo preservare la nostra democrazia. E' interessante che persino una voce dell'establishment oggi la pensi cosi'. * - Angela Pascucci: Lei ha detto che se alle prossime elezioni il partito democratico non riuscisse a prendere il controllo di almeno una delle due camere, diventerebbe del tutto inutile e bisognerebbe sostituirlo con un terzo partito. Ma lei ha sempre criticato aspramente i democratici. Cosa cambierebbe una loro vittoria? - Lewis H. Lapham: Al momento non ci possiamo aspettare molto. Nel 2004 Kerry cerco' in qualche modo di "civilizzare" l'opinione pubblica ma falli', perche' mancava di una vasta visione di una societa' piu' giusta, di un'idea di futuro che fosse davvero differente da quella repubblicana. Questo e' il problema. Ma un voto favorevole ai democratici rivelerebbe un innegabile rigetto della politica di Bush, sia per quel che riguarda la guerra in Iraq, sia per la politica interna, vale a dire l'assicurazione sanitaria, l'istruzione, la sicurezza sociale. Qualunque progetto dei repubblicani comporta meno diritti e liberta' per i comuni cittadini, piu' privilegi per i ricchi. * - Angela Pascucci: Durante la campagna elettorale del 2000 lei aveva scritto di Bush e Gore: "Sono due figli della plutocrazia americana... differenti tra loro, come la Pepsi dalla Coca". Ma il dopo 11 settembre sarebbe stato uguale se avesse vinto Al Gore? - Lewis H. Lapham: Penso di no. Penso che Gore non avrebbe mai dichiarato una guerra senza fine al terrorismo, del tutto priva di senso. Perche' e' come dichiarare guerra alla droga, o alla poverta', o all'orgoglio. Non si puo' dichiarare guerra a un nemico astratto, indefinito. Non ha senso, e non puo' essere vinta. * - Angela Pascucci: A marzo con un documentato saggio su "Harper's" lei ha chiesto l'avvio di una procedura di impeachment contro Bush definito "un criminale armato che si e' dimostrato pericoloso". Che reazioni ha raccolto? - Lewis H. Lapham: Molto favorevoli, da parte dell'opinione pubblica. La redazione e' stata sommersa da dichiarazioni di sostegno. Ma i media mainstream hanno preferito ignorarlo. Pero' i nostri lettori hanno capito che la proposta riguardava una questione di fondamentale importanza come l'equilibrio costituzionale dei poteri, e non una "limitata" politica partisan. Quanto alla possibilita' che la proposta venga ripresa in un Congresso controllato, anche solo in parte, dai democratici, penso che non potra' mai accadere. I democratici non hanno abbastanza spina dorsale, e quando si trova di fronte ad azioni dalle vaste conseguenze il Congresso preferisce non fare nulla. * - Angela Pascucci: Lei afferma che negli ultimi trent'anni la democrazia americana si e' andata progressivamente trasformando in una plutocrazia. - Lewis H. Lapham: La trasformazione e' iniziata con l'amministrazione Reagan ma questi impulsi era presenti da molto prima. Gia' nel 1960 Dwight Eisenhower nel suo discorso di addio parlava del complesso militar-industriale che oggi e' parte sempre piu' integrante dell'economia americana. E tuttavia negli anni '60 il termine "pubblico" aveva ancora una connotazione positiva. La scuola pubblica, la sanita' pubblica godevano di grande favore. "Privato" indicava invece egoismo, mancanza di interesse per il bene comune. Il cambiamento avviato dall'elezione di Ronald Reagan, nel 1980, ha totalmente capovolto la percezione. "Pubblico" e' oggi sinonimo di inefficienza, incompetenza, corruzione. "Privato" invece e' bello, positivo. Gli effetti di un tale rivolgimento sono evidenti nell'economia e nella societa'. I salari della maggior parte degli americani non hanno avuto sostanziali aumenti negli ultimi venti anni, e per alcuni sono persino diminuiti. Mentre l'accumulazione di ricchezza di quell'1% di americani che si trova ai vertici della scala sociale e' enormemente aumentata. E sono loro che hanno il governo al proprio servizio. * - Angela Pascucci: "Si poteva dire che l'Urss era necessaria all'economia Usa quanto la General Motors o il grano dell'Iowa e sembra che lo stessa cosa stia accadendo con la guerra al terrorismo". Cosa intendeva quando lo ha scritto? - Lewis H. Lapham: Hanno bisogno di un nemico a portata di mano per avere piu' potere, per alimentare il motore del commercio di armi. Questo e' il primo grande problema che si presento' alla prima amministrazione Bush dopo il 1989 e il collasso dell'Urss. All'inizio degli anni '90 Colin Powell e Donald Rumsfeld, allora al servizio di Bush senior, elaborarono i termini di una dottrina strategica preventiva secondo la quale l'America non doveva neppure consentire a un'altra potenza militare ed economica di sfidarla. Idee che si manifestano compiutamente con l'amministrazione di Bush jr. * - Angela Pascucci: Che ruolo ha avuto la religione nel degrado del sistema? - Lewis H. Lapham: Le Chiese americane sono state sempre al fianco dei liberal negli anni '30, '40 e '50. Ma alla fine degli anni '70 con la formazione della Christian Coalition e l'avanzata dei tele-evangelisti molte Chiese si sono schierate col potere. Anche qui, l'inizio dell'influenza negativa coincide con Reagan, che non era un credente osservante come Bush jr, ma avvio' una guerra culturale che fu parte integrante della "rivoluzione reaganiana" e impose agli americani un "comportamento morale". Il paese, dicevano, stava andando all'inferno per il suo atteggiamento nei confronti del sesso, a causa della permissivita' e cosi' via. Fu un rifiuto di tutto il movimento libertario degli anni '60. * - Angela Pascucci: Lei ha ingaggiato una personale battaglia contro la decadenza della parola. - Lewis H. Lapham: La semplificazione impera, cresce l'ostilita' verso ogni uso del linguaggio che non si conformi agli standard televisivi. Negli Stati Uniti agisce una forte tensione antintellettuale. Stiamo perdendo le parole con cui dare forma e articolazione alla politica. 6. RIEDIZIONI. MOHANDAS K. GANDHI: TEORIA E PRATICA DELLA NONVIOLENZA Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2006, pp. CLIV + 338, s. i. p. ma euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "La repubblica" e al settimanale "L'espresso"). Un libro fondamentale: in lingua italiana il miglior viatico per un accostamento a Gandhi. Rispetto all'edizione del 1996 questa odierna reca una nuova prefazione di Giuliano Pontara (pp. VII-XI), una essenzialissima bibliografia primaria (pp. CLIII-CLIV) e una sintetica bibliografia secondaria in italiano (pp. 335-336); purtroppo invece l'indice - che sia nell'edizione del '73 che in quella del '96 era assai dettagliato ed aveva per cosi' dire funzioni di vero e proprio sommario, in questa nuova edizione e' stato ridotto a due sole pagine (da 15 che erano nelle edizioni precedenti), e la tavola delle abbreviazioni e' sparita: misteri dell'editing (e sempre alla distrazione, alla frettolosita' o alla pigrizia delle redazioni delle case editrici crediamo sia da attribuirsi il continuare a usare la dicitura "non-violenza" - derivata rozzamente dall'inglese - invece di quella filologicamente corretta "nonviolenza" - che, come e' noto, e' il termine italiano coniato da Aldo Capitini che traduce ed unifica i due concetti gandhiani di "ahimsa" e "satyagraha"). Chi avesse gia' solo l'edizione del '73 sappia che in quella del '96 ed in questa del 2006 c'e' un nuovo, ampio e fondamentale capitolo V (in quest'ultima edizione alle pp. CXIV-CXXXVI) dell'eccellente introduzione del curatore Giuliano Pontara. Un libro da acquistare e da regalare. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1449 del 15 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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