La nonviolenza e' in cammino. 1449



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1449 del 15 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Afghanistan
2. Tutti i giorni il 6 agosto
3. Alison Weir: Solo un'altra madre uccisa
4. Vallori Rasini: Recenti sviluppi nella ricezione di Hans Jonas: una
rassegna bibliografica
5. Angela Pascucci intervista Lewis H. Lapham
6. Riedizioni: Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. AFGHANISTAN

In questo nostro paese ci si ricorda del fatto che l'Italia insieme alla
Nato sta partecipando alla guerra, all'occupazione e alle stragi in
Afghanistan solo quando nostri concittadini sono vittime di atti di
violenza: uccisioni, ferimenti, rapimenti.
E neppure in queste circostanze si ha la volonta' di trarre le ovvie,
necessarie, urgenti conclusioni: che in quel paese il nostro esercito e'
tragicamente parte di una coalizione armata occupante, terrorista e
stragista; che la nostra partecipazione militare alla guerra afgana e' del
tutto illegale per la nostra carta costituzionale; che e' proprio a causa
delle guerre e delle occupazioni militari volute da Bush e dai suoi
"volenterosi" alleati che il terrorismo in tutto il mondo e' cresciuto
esponenzialmente, poiche' queste guerre sono terroriste e alimentatrici di
terrorismo ulteriore.
Cessi l'illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra
terrorista e stragista in Afghanistan.
Torni l'Italia al rispetto della sua legge fondamentale, quella Costituzione
della Repubblica Italiana che all'articolo 11 testualmente recita: "L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Chi non contrasta la guerra ne e' complice.

2. RIFLESSIONE. TUTTI I GIORNI IL 6 AGOSTO

Cosa significa non dimenticare?
Significa lottare perche' non accada di nuovo.
Tre cose occorrono allora: l'opposizione alle armi, l'opposizione al
nucleare civile e militare, la scelta della nonviolenza come criterio
fondante della politica nel XXI secolo.

3. MONDO. ALISON WEIR: SOLO UN'ALTRA MADRE UCCISA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento.
Alison Weir, giornalista, e' direttrice di "If Americans Knew", che produce
analisi approfondite e video illustrativi su Israele e Palestina]

Praticamente nessuno si e' preso il disturbo di segnalare la notizia. Ho
fatto una ricerca sui maggiori quotidiani nazionali e sui telegiornali.
Niente. Il "Los Angeles Times", il "Washington Post", il "New York Times" e
Associated Press avevano una sola frase al proposito. Il primo lasciava
fuori l'eta', il secondo riportava che era stata uccisa da una bomba partita
da un carro armato.
Non e' vero. Sono state pallottole, molte pallottole, sparate a distanza
ravvicinata.
I testimoni riportano che i soldati israeliani stavano picchiando suo marito
perche' non rispondeva alle loro domande. Che la si giudichi temeraria o
coraggiosa, la moglie, di 35 anni, e' intervenuta. Ha cercato di spiegare
che suo marito era sordo. Ha urlato ai soldati che l'uomo non poteva
fisicamente sentire cosa stavano dicendo, ed ha tentato di far cessare il
pestaggio.
Cosi' le hanno sparato. Non una, ma molte volte. Il suo nome era Itemad
Ismail Abu Mo'ammar. Non e' morta subito, tuttavia. La cosa ha preso un po'
di tempo. La vita e' fluita via da lei in forma di sangue, per parecchie
ore, mentre i soldati israeliani rifiutavano di permettere che un'ambulanza
la portasse via. Suo marito ed i suoi figli non hanno potuto far nulla per
soccorrerla.
Infine, dopo circa cinque ore, all'ambulanza e' stato concesso di
trasportarla in ospedale, dove i medici hanno potuto rendere questo
servizio: dichiarare il suo decesso. Lascia undici bambini. Niente di tutto
questo e' stato riportato, neppure che il fratello del marito, un contadino
ventottenne che viveva nella stessa casa, e' stato anch'egli ucciso.
Perche' e' accaduto? Perche' la famiglia era vicina di casa di un ricercato
da Israele. Si e' trattato semplicemente di un "effetto collaterale" in
un'operazione fallita. In tutto, cinque palestinesi sono stati ammazzati
quel giorno. Gli altri tre, in una diversa area, erano giovani pastori, due
quindicenni ed un quattordicenne, ed hanno avuto il torto di trovarsi nel
posto sbagliato al momento sbagliato: Gaza.
Niente e' stato pubblicato dalla maggior parte dei media americani, e
percio' l'opinione pubblica statunitense non ha saputo della madre lasciata
morire di emorragia di fronte ai propri figli, ne' dei ragazzini fatti a
pezzi. Pare che notizie del genere non valgano la pena di essere riportate.
Il "Washington Post" ha fatto almeno lo sforzo di menzionare queste morti,
pure le ha menzionate in modo scorretto. Ha mistificato la causa della morte
di Itemad, ed ha scritto che i cinque omicidi avrebbero interrotto un
periodo di "relativa calma". Il fatto e' che nei sei mesi precedenti 75
giovani palestinesi sono stati uccisi, fra cui un bambino di otto mesi e
parecchi bambini di tre anni.
Percio' ho telefonato al giornale e ho chiesto di correggere la riga,
fornendo informazioni sull'assassinio di Itemad. Mi e' stato detto che le
informazioni sarebbero state trasmesse al loro corrispondente, che si trova
in Israele, sottolineando che pero' era impossibile per costui andare a
Gaza. Quando mi sono dichiarata non d'accordo con questa affermazione,
l'impossibile e' diventato "molto difficile". Chi mi parlava ha omesso di
ricordare che il "Washington Post" ha accesso ai contatti locali, i quali
sono in grado di controllare le notizie pervenute al corrispondente ed al
giornale.
Dopo di che, ho scritto una lettera che conteneva le informazioni di cui
sopra, sono stata contattata e mi e' stato detto che era una buona lettera,
e che sarebbe stata pubblicata se confermavo di averla scritta proprio io e
di non averla inviata ad altri. Ho dato conferma, abbiamo scambiato ancora
qualche messaggio e tutto sembrava a posto. Normalmente, quando avviene
questo scambio, la lettera e' pubblicata a breve scadenza. Ho aspettato.
Sono passati quindici giorni e sto ancora aspettando. Pare che il
"Washington Post" abbia deciso che non ha bisogno di essere precipitoso nel
pubblicare una rettifica. Credo di capire.
Sebbene lo statuto dei principi del "Washigton Post" proclami: "Questo
giornale si impegna a minimizzare gli errori ed a correggere quelli che
possono ugualmente accadere. Il nostro scopo e' l'accuratezza, la nostra
difesa e' la buona fede", la societa' statunitense degli editori chiarifica
questi requisiti etici: la correzione va pubblicata solo quando l'errore o
l'omissione sono "significativi".
Dopotutto, erano solo palestinesi, e si trattava solo di un'altra madre
uccisa.

4. MATERIALI. VALLORI RASINI: RECENTI SVILUPPI NELLA RICEZIONE DI HANS
JONAS: UNA RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
[Dal sito dell'Universita' di Trieste (www.univ.trieste.it) riprendiamo il
seguente saggio di Vallori Rasini apparso in "Esercizi filosofici", n. 1,
2006, alle pp. 75-82.
Vallori Rasini, docente e saggista, insegna filosofia morale all'Universita'
di Modena; e' acuta studiosa di decisivi temi etici, filosofici ed
antropologici. Opere di Vallori Rasini: Divenire, La Nuova Italia, Scandicci
(Firenze) 2001.
Hans Jonas e' nato a Moenchengladbach nel 1903, e' stato allievo di
Heidegger e Bultmann, ed uno dei massimi specialisti dello gnosticismo. Nel
1933 si e' trasferito dapprima in Inghilterra e poi in Palestina, dal 1949
ha insegnato in diverse universita' nordamericane, dedicandosi a studi di
filosofia della natura e di filosofia della tecnica. E' uno dei punti di
riferimento del dibattito bioetico. Al suo "principio responsabilita'" si
ispirano riflessioni e pratiche ecopacifiste, della solidarieta', dell'etica
contemporanea. E' scomparso nel 1993. Opere di Hans Jonas: sono fondamentali
Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1993; la raccolta di saggi
filosofici Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1994;
Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997; Organismo e liberta',
Einaudi, Torino 1999; una raccolta di tre brevi saggi di autobiografia
intellettuale e' Scienza come esperienza personale, Morcelliana, Brescia
1992. Si vedano anche Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il melangolo,
Genova 1995, e La filosofia alle soglie del Duemila, Il melangolo, Genova
1994; cfr. anche Lo gnosticismo, Sei, Torino 1995. Un utile libro di
interviste e conversazioni e' Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000.
Opere su Hans Jonas: si veda la parte su Jonas in AA. VV., Etiche della
mondialita', Cittadella, Assisi 1996, e la bibliografia critica li'
segnalata. Ad essa si aggiungano i testi segnalati nel saggio di seguito
riportato. Per un profilo sintetico ed una ampia nota bibliografica, cfr.
anche Giovanni Fornero, Jonas: la responsabilita' verso le generazioni
future, nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, Tea,
Milano 1996]

"Qui non e' piu' il piacere della conoscenza, bensi' la paura del futuro o
la preoccupazione per l'uomo a motivare fondamentalmente il pensiero, che si
costituisce esso stesso come un atto appunto di responsabilita". Cosi' Hans
Jonas - l'oramai noto filosofo contemporaneo a cui nel 1987 venne assegnato
il Premio della pace dalla Boersenverein des Deutsches Buchhandels - motiva
la propria svolta in favore di un pensiero etico dedito alla preoccupazione
oggi piu' sentita del genere umano.
Con Jonas l'etica diviene impegno personale nella promozione della
sopravvivenza; diviene essenzialmente mobilitazione individuale e sociale
per una piu' attenta valutazione del senso e della portata dello sviluppo
tecnologico, e percio' impegno per il contenimento di una potenza che
rischia di dissolvere l'essere umano e l'intera natura.
Allora il pensiero incalza la prassi, e un nuovo atteggiamento morale puo'
forse guidare, attraverso la constatazione di un grave e imminente pericolo,
al riparo di modalita' meno rovinose dell'intervento umano sulla natura.
Se - come vuole Jonas - la filosofia etica e' "permanente impegno di vita",
e' vita vissuta nella consapevolezza e nel desiderio di una efficace
salvaguardia dell'esistenza, non puo' che comportare assunzione di
responsabilita'.
Intorno a simili, incisivi propositi, pare che la sensibilita' degli
intellettuali europei cominci a muovere passi significativi.
*
Dopo che, nella sua introduzione alla versione italiana del volume di Jonas,
Organismo e liberta'. Verso una biologia filosofica, Einaudi, Torino 1999
(traduzione di Das Prinzip Leben. Ansaetze zu einer philosophischen
Biologie, che raccoglie saggi scritti tra gli anni '50 e '60), anche Paolo
Becchi ebbe denunciato la scarsa attenzione dedicata nel nostro paese al
pensiero del filosofo di Moenchengladbach, hanno visto la luce alcuni saggi
che, mentre testimoniano una certa - ancorche' scarsa - presenza di Jonas
nella riflessione filosofica italiana, possono contribuire in parte a
ravvivare il confronto con uno degli intellettuali eticamente piu' impegnati
e insieme piu' controversi degli ultimi decenni.
*
Gia' nel 2000, Paolo Nepi aveva affrontato la questione del rapporto tra
individualismo e personalismo tentando l'accostamento di Jonas a Charles
Taylor e Alasdair MacIntyre ed enfatizzando il "coraggio" di un pensatore
che pur di rivalutare il principio della responsabilita' personale non ha
esitato ad ancorarla a un principio ontologico di stampo dichiaratamente
metafisico (Individui e persona. L'identita' del soggetto morale in Taylor,
MacIntyre e Jonas, Edizioni Studium, Roma 2000).
*
Marcello Monaldi nel libro Tecnica, vita, responsabilita' (Guida, Napoli
2000) aveva invece preferito soffermarsi sul valore che l'odierno richiamo
alla responsabilita' viene a rivestire nel pensiero di Jonas: una sorta di
risveglio forzato dal sogno positivistico di un progresso illimitato e
sostanzialmente esente da rischi; un risveglio brusco dinanzi al diffuso
disagio della cultura occidentale, testimone sempre piu' consapevole delle
dimensioni potenzialmente catastrofiche di un incauto abuso tecnologico.
La potente opera dell'uomo contemporaneo, un "Prometeo scatenato" - come lo
definisce efficacemente Jonas - detentore di un potere tecnologico
assolutamente incomparabile con la capacita' di aggressione e la forza
d'impatto della tecnica antica, deve saper trovare in un nuovo principio il
proprio limite morale. Percio' Jonas ci propone un concetto di
responsabilita' verso l'uomo e l'intera natura di tipo affidatario (che
intende cioe' la responsabilita' come cura e affidamento), senza tuttavia
rinunciare all'aspetto della imputabilita' dell'azione (l'elemento piu'
tradizionale di un concetto di responsabilita' derivato dall'ambito
giuridico, benche' in parte oscurato in epoca contemporanea); e, nel farlo,
egli ha cercato di svincolare la responsabilita' dal rapporto con
l'intenzione e con il passato, proiettandola nel futuro. Ma tuttavia non e'
detto che dinanzi a un fare tecnologico resosi in gran parte autonomo dalle
finalita' che l'uomo realmente si propone questa riformulazione del
principio sia davvero efficace e sufficiente.
Venivano quindi passate in rassegna alcune valutazioni e rielaborazioni
della proposta di Jonas, tentate soprattutto in ambito tedesco, anche alla
ricerca di vie concrete per l'eventuale attuazione di una plausibile "etica
della responsabilita'".
*
Di qualche anno successivo e' il contributo di Maria Loredana Furiosi, Uomo
e natura nel pensierio di Hans Jonas (Vita e Pensiero, Milano 2003). Il
libro presenta un carattere eminentemente introduttivo.
Cercando di rintracciare la necessita' di certe soluzioni
etico-naturalistiche gia' nei lavori giovanili sullo gnosticismo religioso,
il saggio segue sostanzialmente la traccia del valore bioetico del lavoro
svolto da Jonas negli anni. Furiosi si limita a gettare uno sguardo
panoramico sul percorso teoretico del filosofo - lo studio del pensiero
gnostico sotto la guida di Bultmann e la sua interpretazione esistenzialista
(nonche' la successiva interpretazione "gnostica" dell'esistenzialismo); la
riscoperta del mondo della vita e il "progetto di una biologia filosofica",
l'approdo alla dimensione etica e l'elaborazione del noto principio di
responsabilita' -, soffermandosi sui topoi piu' classici del suo contributo
e analizzando infine la delicata questione delle forme dell'intervento
tecnologico dell'uomo.
Rispetto a questa problematica emergono taluni dissensi da parte
dell'autrice, che accusa Jonas di mantenersi sostanzialmente ambiguo di
fronte al tema del valore della vita senza tuttavia avviare con lui un reale
confronto critico.
*
Il volume curato da Claudio Bonaldi dal titolo Hans Jonas. Il filosofo e la
responsabilita' (Albo Versorio, Milano 2004) propone al lettore italiano tre
saggi rispettivamente di Paolo Becchi, Paul Ricoeur e Karl-Otto Apel.
Si tratta di contributi impegnati in un confronto con Jonas che - come viene
sottolineato nell'introduzione di Nynfa Bosco - "non gli risparmia obiezioni
ma non lo semplifica grossolanamente", come invece ha sovente fatto un
dibattito imbarazzato dalla difficolta' di trovargli un'adeguata
collocazione nella rosa delle categorie storiografiche disponibili non meno
che dalla desueta strategia di fondazione del principio etico prescelta dal
filosofo.
Ripercorrendo le tappe principali dell'itinerario intellettuale di Jonas,
Becchi rimarca soprattutto la singolarita' della posizione in cui, tra
vicende biografiche e scelte ideologiche, viene necessariamente a trovarsi
il suo pensiero. Ma in esso la salvaguardia del futuro rappresenta una
istanza cosi' potente - osserva Becchi - che vale forse la pena di
considerare accuratamente le argomentazioni proposte: si potrebbe persino
scoprire che la loro validita' e in generale la prassi del principio
responsabilita' puo' conservare intatto il proprio valore anche
indipendentemente da una fondazione ontologica del tipo di quella tentata da
Jonas.
Pubblicato per la prima volta nel 1991, il saggio di Ricoeur verte sul
rapporto sussistente tra etica e pensiero biologico. Nella formulazione del
suo "imperativo categorico", Jonas introduce come concetto essenziale quello
di vita, al quale e' legato il principio della liberta'. La filosofia della
biologia sviluppata nella cosiddetta seconda fase del suo pensiero non
risulta sufficiente - secondo Ricoeur - a giustificare il ricorso a un
principio di responsabilita', per il quale si rende necessaria una
fondazione ontologica. Poiche' l'uomo "puo' volersi distruggere", occorre
radicare il dover essere nell'essere. Con la rivendicazione di un bene
immanente all'essere, e in particolare alla vita, viene l'obbligazione alla
sua conservazione, che e' accompagnata da uno spontaneo sentimento di
responsabilita'. Jonas esce in tal modo dall'ambito strettamente
naturalistico della realta' umana - e Ricoeur confuta decisamente l'idea che
la sua etica si possa definire naturalistica -, anche perche' l'imperativo
che ne deriva comanda non solo che esistano in futuro degli uomini, ma che
essi siano conformi all'"idea di umanita'".
Il terzo saggio, quello di Karl-Otto Apel, risale invece alla meta' degli
anni '80. Scritto in occasione di un congresso sull'etica del futuro e la
societa' industriale e proposto alle stampe in lingua tedesca nel 1986 e nel
1988, il contributo sembra non aver perduto la sua attualita'. Apel,
interessato anzitutto alla fondazione dell'etica del discorso, si confronta
con le tesi di Jonas collocandole nel contesto della discussione
contemporanea e apprezzandone apertamente il valore, pur contrastandone in
parte l'indirizzo. In particolare, non concorda con l'opinione che debba
essere abbandonata l'idea moderna di progresso, soprattutto nell'accezione
kantiana che e' assai distante - secondo Apel - dagli eccessi di certo
progressismo utopistico.
Completa il volume un'ampia bibliografia, che da un lato integra quella
proposta in D. Boehler (a cura di), Ethik fuer die Zukunft. Im Diskurs mit
Hans Jonas (C. H. Beck, Muenchen 1994, pp. 460-476) fino al 1993 e
dall'altro la aggiorna fino al 2003.
*
Piu' specificamente orientato e' il libro di Nicola Russo dal titolo La
biologia filosofica di Hans Jonas (Guida, Napoli 2005), dedicato a Jonas
"filosofo della natura". Ma per quanto il volume si concentri in maniera
specialistica su di una certa fase del pensiero jonasiano, la prospettiva
che l'autore intende proporre viene a coprire l'intera estensione della sua
riflessione. La "biologia filosofica" appare infatti come il momento
centrale per la successiva definizione del principio responsabilita'.
Russo ricostruisce le fasi della progressione del principio vitale fino al
suo culmine, rappresentato dall'homo pictor, mostrando i vari aspetti di un
sistema di "ontologia della vita" (che comprende in se' una filosofia
dell'organico ma anche una filosofia dello spirito) attraverso il quale
possono forse trovare una loro collocazione sia i quesiti piu' sostanziali
dell'antropologia filosofica sia quelli generali di un'etica della
responsabilita'.
*
Anche dalla Francia giunge qualche contributo al dibattito sul pensiero di
Jonas.
Il testo piu' significativo ce lo propone la casa editrice Vrin di Parigi
che, dopo avere pubblicato nel 2002 il volume Hans Jonas et la liberte' di
M.-G. Pinsart, ha recentemente proposto una raccolta di saggi a cura di
Olivier Depre' e Danielle Lories dal titolo Vie et liberte'. Phenomenologie,
nature et ethique chez Hans Jonas, che non evita di trattare problemi e
controversie connesse con taluni aspetti ancora non del tutto sviscerati del
pensiero jonasiano. In particolare, viene considerata la ricezione
largamente negativa del suo pensiero, la diffidenza e le critiche che hanno
accompagnato la proposta di Jonas, a causa della singolare prospettiva
adottata e delle inevitabili semplificazioni dovute spesso al processo di
volgarizzazione delle sue idee, soprattutto in relazione alle tematiche
bioetiche e ambientali.
Come la maggior parte dei volumi collettivi sul pensiero del filosofo, anche
questo libro non pretende di offrire una prospettiva univoca sul suo
pensiero, ne' avanza pretese di esaustivita'; trova invece il suo punto di
forza nell'unitarieta' prospettica attraverso cui i diversi contributi
considerano il suo lavoro: quella fenomenologica.
*
Accanto a questo lavoro e' doveroso segnalare la pubblicazione di un'agile
ed essenziale presentazione di Jonas apparsa, sempre nel 2003, presso
l'editore Ellipses di Parigi. Il curatore e' ancora Olivier Depre' e il
volumetto, dal semplice titolo Hans Jonas, fa parte di una collana diretta
da Jean-Pierre Zarader.
In pochissime pagine (appena 64), viene tracciato uno schizzo del percorso
intellettuale di Jonas (attraverso il rapporto con i suoi maestri e
l'importante amicizia con Hannah Arendt), si delinea l'evoluzione del suo
pensiero dalla filosofia della liberta' alla filosofia della responsabilita'
e vengono messe a fuoco alcune questioni salienti connesse all'etica
applicata.
*
Senza dubbio pero' e' la Germania ad avere offerto, specie nel corso del
2003, i contributi piu' considerevoli.
E' indispensabile menzionare, in primo luogo, la ricca raccolta di pensieri
e narrazioni di Jonas realizzata grazie all'iniziativa di Rachel Salamander.
Il titolo e': Hans Jonas, Erinnerungen (Insel Verlag, Frankfurt a. M. 2003,
a cura di Christian Wiese; con una prefazione di Lore Jonas).
Il volume ha avuto origine da una serie di conversazioni svoltesi tra la
Salamander e Jonas nell'arco temporale di alcuni anni, durante i soggiorni
estivi del filosofo in Germania.
Nelle pagine dell'accurata trascrizione, Jonas si racconta attraversando la
viva rappresentazione di diversi incontri e scontri svoltisi con
personaggi - noti e meno noti - che hanno segnato non solo la sua lunga,
personale esistenza, ma spesso la storia dell'umanita' e del pensiero
filosofico occidentale. Si tratta di narrazioni ricche di sentimento e di
partecipazione, estremamente emozionanti e coinvolgenti, rese attraverso
lucide ricostruzioni di circostanze spesso decisive, in cui giocano un ruolo
sicuramente importante gli affetti familiari e i rapporti di amicizia.
Viene rispettato un percorso rigorosamente cronologico che, a partire dalla
prima gioventu', conduce il lettore attraverso gli anni della formazione
universitaria, la successiva emigrazione e l'esperienza nella terra di
Israele, il dramma della guerra, il viaggio nella Germania post-bellica e
infine il trasferimento in America. Seguono alcuni capitoli dedicati a
momenti salienti della sua esperienza filosofica: il congedo dal maestro
Heidegger, l'interesse per la filosofia della vita e poi per le questioni
etiche, e infine il problema della concezione di Dio dopo Auschwitz.
Chiudono questa biografia intellettuale alcune lettere degli anni 1944-'45
alla moglie Lore.
*
Sempre nel 2003 e' apparso il volume dal titolo Weiterwohnlichkeit der Welt.
Zur Aktualitaet von Hans Jonas, anch'esso a cura di Christian Wiese in
collaborazione con Eric Jacobson.
Piu' che dal dovere intellettuale della commemorazione, il volume sembra
ispirato dalla sincera convinzione che Jonas costituisca una preziosa fonte
alla quale attingere per risolvere i gravi problemi etico-politici che
affliggono il nostro tempo. Si tratta dunque per i curatori non solo di
promuovere una generica attualita' del filosofo tedesco: in gioco sarebbe il
valore di una delle voci piu' significative nel dibattito attuale sull'etica
futura per una societa' iperindustrializzata. Prezioso testimone del destino
ebraico nella Germania nazista e insieme insigne rappresentante del pensiero
contemporaneo, Jonas ha saputo ridare impulso alla riflessione sul senso e
il valore della vita e sulla necessita' della razionalizzazione delle
aspettative per il futuro del genere umano.
Il volume - che accoglie, tra gli altri, saggi di Vittorio Hoesle, Emidio
Spinelli e Gereon Wolters gia' noti al pubblico italiano - si compone di tre
sezioni: la prima consta di contributi che trattano del radicamento di Jonas
nella tradizione del pensiero ebraico (tra i quali va segnalato il saggio di
Konrad Paul Liessmann impegnato in un interessante confronto del pensiero di
Jonas con quello di Guenther Anders); la seconda si occupa dell'attualita'
del lavoro jonasiano dedicato alla storia e alla filosofia della religione,
che da una parte rimanda al personale rapporto con le concezioni del maestro
Martin Heidegger e dall'altro impone una riflessione sul concetto di Dio
dopo il dramma dell'Olocausto; la terza parte e' dedicata alla filosofia
dell'organico e alla rilevanza del "principio responsabilita'", al suo
significato in rapporto al concetto di liberta' e alle sue potenzialita' nel
concreto dibattito ecologico e bioetico.
Attraverso i diversi contributi, la ricchezza di prospettive presente nel
lavoro di Jonas mostra da una parte la possibilita' di un dialogo
interdisciplinare - tra storia della cultura, etica, storia delle religioni,
filosofia ecc. -, mentre evidenzia dall'altra la difficolta' (e anzi
l'impossibilita') di offrire una lettura unitaria e uniforme del suo
pensiero. Le considerazioni talora contrastanti dei diversi contributi fanno
cosi' del volume un luogo di aperta e proficua discussione.
*
Esperto di cultura ebraica, Christian Wiese ha infine pubblicato - questa
volta in qualita' di autore - un volume dal titolo Hans Jonas. "Zusammen
Philosoph und Jude" (Juedischer Verlag, Frankfurt a. M. 2003), che si
aggancia direttamente al volume delle Erinnerungen. In questo libro Wiese si
concentra sul rapporto di Jonas con il giudaismo, sulla sua adesione al
movimento sionista, sull'emigrazione in Palestina, sulla sua esperienza
nella "Juedische Brigade" delle Forze armate britanniche durante la seconda
guerra mondiale e sul dramma dell'Olocausto; narra dell'amicizia e dei
conflitti con Gershom Scholem e Hannah Arendt, contestualizzando attraverso
l'identita' specificamente ebraica del filosofo la sua "rivolta" contro il
corso seguito dal mondo.
*
Precisamente sul rapporto con Hannah Arendt si concentra invece il corposo
saggio di Klaus Harms dal titolo: Hannah Arendt und Hans Jonas. Grundlagen
einer philosophischen Theologie der Weltverantwortung (Wiku Verlag, Berlin
2003). Proveniente da studi di carattere teologico e di filosofia della
religione, Harms intraprende un impegnativo lavoro di dettagliata analisi e
di confronto tra i due filosofi. Sulla profonda amicizia, ancorche'
travagliata, che li lego' (quasi coetanei, erano entrambi ebrei e allievi di
Heidegger e Bultmann) si hanno diverse testimonianze, benche' per lo piu'
occasionali (saggi dedicati, racconti biografici ecc.) e nettamente
sbilanciate dalla parte di Hannah Arendt: e' infatti soprattutto Jonas ad
avere avuto occasione e desiderio di parlare dell'amica. Se non esiste una
vera e propria corrispondenza tra i due lo si deve probabilmente al fatto
che, come avrebbe confessato la moglie di Jonas all'autore del libro, il
marito "non e' mai stato un diligente scrittore di lettere".
La letteratura critica ha dato grande rilievo al rapporto personale tra
Arendt e Jonas, senza tuttavia indagare seriamente l'eventualita' di un loro
rapporto intellettuale e magari di una loro influenza reciproca diretta. Il
serrato confronto al quale Harms sottopone il loro pensiero passa
innanzitutto attraverso una disamina biografica che ne evidenzia il compito
specifico: interpretare il presente "tra passato e futuro" e cogliere la
necessita' di introdurre nella concezione del mondo la nozione di
responsabilita'.
L'autore si dedica poi all'individuazione dei nessi sussistenti, nei due
filosofi, tra la questione della "globalizzazione" (le cui ripercussioni si
determinano in ambito economico e politico non meno che in ambito culturale
e religioso) e la "filosofia del mondo", rispetto a cui vengono tematizzate
l'immagine della "inabitabilita'" del mondo (luogo di ascosita' e di
estraneazione) e quella di un mondo che si rende abitabile attraverso un
percorso valutato da Harms in termini filosofico-teologici.
Una successiva, piu' ampia analisi dei presupposti religiosi del pensiero di
Arendt e Jonas, considerati da Harms uno dei principali motivi della loro
attualita', apre la via al vero fine dell'opera: contribuire al reperimento
di un fondamento teorico per una teologia filosofica della responsabilita'
verso il mondo.
*
In buona parte ispirato teologicamente, benche' di fatto raccolga contributi
variamente declinati, e' anche la raccolta curata da Wolfgang Eric Mueller,
Hans Jonas, von der Gnosisforschung zur Verantwortungsethik, Kohlhammer,
Stuttgart 2003.
Frutto di una tavola rotonda tenutasi nel semestre invernale 2001-2002
presso l'Universita' di Oldenburg, il volume si prefigge lo scopo di
consentire una ricezione poliedrica di Jonas, in corrispondenza con le
molteplici prospettive che la sua riflessione filosofica ha saputo
dischiudere.
L'ordine assegnato ai quattordici contributi proposti segue piuttosto
fedelmente lo svilupparsi per fasi del pensiero jonasiano: i primi saggi si
concentrano sulla formazione del filosofo e sulle indagini concernenti il
pensiero gnostico; si passa poi all'interpretazione della realta' biologica
e alle questioni della teleologia della vita e della peculiarita'
dell'essere umano rispetto agli altri viventi; il concetto di
responsabilita' viene considerato in relazione all'imperativo categorico
kantiano e al tema dell'esistenza di Dio. Chiudono la raccolta alcuni saggi
critici dedicati al delicato problema del rapporto tra etica e tecnica e
alla posizione di Jonas sui compiti e il valore della medicina e della
bioetica.
*
Nel corso del 2004 e' invece apparso Orientierung und Verantwortung.
Begegnungen und Auseinandersetzungen mit Hans Jonas, a cura di Dietrich
Boehler e Jens Peter Brune (Koenigshausen und Neumenn, Wuerzburg).
Questo volume si distingue dalle precedenti raccolte innanzitutto per il
fatto di ospitare, insieme a studi di carattere interdisciplinare sulle
tematiche affrontate dal filosofo, alcuni manoscritti inediti di Jonas,
alcune lettere e tre schizzi di suo pugno.
I testi proposti nella prima sezione - dedicati alle figure di Heidegger e
Husserl e al rapporto tra etica e religione - possono gettare nuova luce
sulla storia spirituale dell'Europa dei primi del secolo e sullo sfondo
degli sviluppi del suo pensiero; mentre le prime due lettere - indirizzate
rispettivamente a Ernst Bloch e a Adolph Lowe e gia' apparse in lingua
italiana in un numero dedicato a Jonas della rivista "Ragion pratica" (n.
15, 2000, pp. 17-31) - sembrano consentire una revisione, forse radicale,
del giudizio del filosofo sul principio proposto da Bloch: in certi scritti,
Jonas avrebbe cercato punti di contatto tra il "principio speranza" e il
proprio, nell'aspirazione comune a Bloch di una dignitosa sopravvivenza del
genere umano sulla terra, cioe' all'esistenza di una umanita' che nulla
debba invidiare all'uomo di oggi. D'altronde, Jonas ha riconosciuto
espressamente che sarebbe stato opportuno rendere maggiore giustizia al
pensiero di Bloch, e lo ha fatto proprio in una conversazione con Ingo
Hermann il cui testo viene riproposto nella IV sezione di questo volume: si
tratta di Erkenntnis und Verantwortung, gia' pubblicato nel 1991 (Lamuv,
Goettingen); nella medesima sezione e' contenuto anche un carteggio con
Hans-Georg Gadamer, risalente agli anni '80 e avente per tema l'etica per il
futuro.
Un cospicuo contributo di Boehler sulla responsabilita' per l'avvenire e per
la vita, diviso in due parti, accompagna il confronto di studiosi di varia
formazione in dialogo con Jonas su tematiche etiche e storico-religiose,
questioni filosofico-teoretiche, ma anche specificamente scientifiche,
bioetiche e mediche. Tra gli altri, viene proposto un saggio di Karl-Otto
Apel sulla crisi ecologica e l'etica del discorso (apparso in inglese nel
1992).
Il libro si chiude con una serie di incontri - di Jonas e con Jonas -, al
cui centro si colloca una intervista rilasciata dalla moglie alla Freie
Universitaet di Berlino nel maggio 2003, dai toni inevitabilmente personali
e intimi.
*
Benche' con qualche ritardo, stando a queste testimonianze, il dibattito
sulle principali tematiche affrontate da Jonas sembra dunque in qualche modo
avviato. Certo, la Germania mostra di avere saputo accogliere con maggiore
sollecitudine e in maniera decisamente piu' generosa le istanze di urgenza
sulle quali egli aveva sovente insistito. Ma data la natura eccezionalmente
prossima delle questioni in oggetto, specie di quelle piu' eminentemente
etiche, e' forse legittimo confidare in un progressivo acuirsi
dell'interesse per il pensiero di Jonas nella riflessione filosofica
contemporanea.

5. RIFLESSIONE. ANGELA PASCUCCI INTERVISTA LEWIS H. LAPHAM
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 otobre 2006.
Angela Pascucci, giornalista, e' caporedattrice esteri del quotidiano "Il
manifesto".
Lewis H. Lapham, prestigioso intellettuale americano, e' direttore emerito
di "Harper's Magazine"]

A chi gli chiede come si definirebbe, Lewis H. Lapham risponde "un cronista
del declino dell'idea di democrazia negli Stati Uniti". Il tema epocale
ricorre in effetti in tutti i suoi scritti, espresso con la foga di un
liberal d'altri tempi resa piu' incalzante e caustica da una scrittura
raffinata che ha valso all'autore la definizione di "conoscitore della
parola perfetta" coniata da "Newsweek". L'intellettuale californiano nato 71
anni fa a San Francisco e' direttore emerito di "Harper's Magazine", la
rivista che da 156 anni occupa un posto di rilievo nel mondo di quel
giornalismo americano colto che lega letteratura e politica (il numero
speciale dei 150 anni ha visto la ripubblicazione di articoli di
collaboratori come Mark Twain e Lev Trotsky). Nel maggio scorso, dopo 28
anni, Lapham ha lasciato il testimone della direzione effettiva a Roger D.
Hodge, texano di 38 anni. Ma non si e' certo ritirato dalla scrittura, con
la quale si batte contro l'amministrazione Bush e gli interessi dell'elite
economica da questa rappresentati. Secondo l'analisi di Lapham negli ultimi
trent'anni, con un'accelerazione indotta dall'11 settembre, l'azione
politica di questo complesso di interessi ha trasformato la democrazia Usa
in una plutocrazia portatrice di una concezione del potere che sta
smantellando i valori della repubblica per costituire un "Nuovo impero
americano", che accerchia il mondo ma tiene in scacco gli stessi cittadini
Usa. Nel suo ultimo libro, Pretensions to Empire, di recente pubblicazione,
paragona l'amministrazione Bush a un'"agenzia criminale" e descrive gli Usa
come "uno stato di polizia". Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a New York
per chiedergli di elaborare per noi la sua analisi, in vista delle elezioni
di medio termine.
*
- Angela Pascucci: Partiamo dalla legge sul trattamento e i processi dei
sospettati di terrorismo con la quale Bush ha ottenuto dal Congresso la
copertura dei peggiori abusi, passati e futuri, con l'appoggio di buona
parte dei democratici, timorosi di essere puniti alle prossime elezioni per
non essersi dimostrati duri contro il terrorismo. Un groviglio preoccupante
di questioni.
- Lewis H. Lapham: La legge da' a George Bush il potere di definire "nemico"
quasi chiunque, consente in alcune circostanze forme anche estreme di
tortura e nega ai sospettati di terrorismo il diritto all'habeas corpus. E'
un esercizio della paura. Ancora oggi il messaggio che si vuole instillare
nella popolazione americana dopo l'11 settembre e': abbiate paura. La Casa
bianca non fa appello alla forza e al coraggio ma alla debolezza originata
dalla paura. E' l'impulso piu' destabilizzante di questo governo. Al quale
si aggiunge l'aspetto di un equilibrio istituzionale sistematicamente
indebolito. Il governo nega infatti un principio costituzionale
fondamentale: la separazione dei poteri e il principio del controllo
istituzionale. L'esecutivo si riserva il diritto di annullare la
legislazione del Congresso, senza peraltro che la minoranza democratica
sollevi alcuna seria obiezione. Inoltre non da' al popolo americano e ai
suoi rappresentanti le informazioni necessarie a capire quel che il governo
fa, che si tratti di Iraq o di lotta al terrorismo. E' in atto una crisi
costituzionale che dovrebbe essere riconosciuta come tale. Persino un
opinionista conservatore come Thomas Friedman ha scritto sul "New York
Times" (4 ottobre, ndr) che i repubblicani dovrebbero essere sconfitti sia
alla Camera che al Senato se vogliamo preservare la nostra democrazia. E'
interessante che persino una voce dell'establishment oggi la pensi cosi'.
*
- Angela Pascucci: Lei ha detto che se alle prossime elezioni il partito
democratico non riuscisse a prendere il controllo di almeno una delle due
camere, diventerebbe del tutto inutile e bisognerebbe sostituirlo con un
terzo partito. Ma lei ha sempre criticato aspramente i democratici. Cosa
cambierebbe una loro vittoria?
- Lewis H. Lapham: Al momento non ci possiamo aspettare molto. Nel 2004
Kerry cerco' in qualche modo di "civilizzare" l'opinione pubblica ma falli',
perche' mancava di una vasta visione di una societa' piu' giusta, di un'idea
di futuro che fosse davvero differente da quella repubblicana. Questo e' il
problema. Ma un voto favorevole ai democratici rivelerebbe un innegabile
rigetto della politica di Bush, sia per quel che riguarda la guerra in Iraq,
sia per la politica interna, vale a dire l'assicurazione sanitaria,
l'istruzione, la sicurezza sociale. Qualunque progetto dei repubblicani
comporta meno diritti e liberta' per i comuni cittadini, piu' privilegi per
i ricchi.
*
- Angela Pascucci: Durante la campagna elettorale del 2000 lei aveva scritto
di Bush e Gore: "Sono due figli della plutocrazia americana... differenti
tra loro, come la Pepsi dalla Coca". Ma il dopo 11 settembre sarebbe stato
uguale se avesse vinto Al Gore?
- Lewis H. Lapham: Penso di no. Penso che Gore non avrebbe mai dichiarato
una guerra senza fine al terrorismo, del tutto priva di senso. Perche' e'
come dichiarare guerra alla droga, o alla poverta', o all'orgoglio. Non si
puo' dichiarare guerra a un nemico astratto, indefinito. Non ha senso, e non
puo' essere vinta.
*
- Angela Pascucci: A marzo con un documentato saggio su "Harper's" lei ha
chiesto l'avvio di una procedura di impeachment contro Bush definito "un
criminale armato che si e' dimostrato pericoloso". Che reazioni ha raccolto?
- Lewis H. Lapham: Molto favorevoli, da parte dell'opinione pubblica. La
redazione e' stata sommersa da dichiarazioni di sostegno. Ma i media
mainstream hanno preferito ignorarlo. Pero' i nostri lettori hanno capito
che la proposta riguardava una questione di fondamentale importanza come
l'equilibrio costituzionale dei poteri, e non una "limitata" politica
partisan. Quanto alla possibilita' che la proposta venga ripresa in un
Congresso controllato, anche solo in parte, dai democratici, penso che non
potra' mai accadere. I democratici non hanno abbastanza spina dorsale, e
quando si trova di fronte ad azioni dalle vaste conseguenze il Congresso
preferisce non fare nulla.
*
- Angela Pascucci: Lei afferma che negli ultimi trent'anni la democrazia
americana si e' andata progressivamente trasformando in una plutocrazia.
- Lewis H. Lapham: La trasformazione e' iniziata con l'amministrazione
Reagan ma questi impulsi era presenti da molto prima. Gia' nel 1960 Dwight
Eisenhower nel suo discorso di addio parlava del complesso
militar-industriale che oggi e' parte sempre piu' integrante dell'economia
americana. E tuttavia negli anni '60 il termine "pubblico" aveva ancora una
connotazione positiva. La scuola pubblica, la sanita' pubblica godevano di
grande favore. "Privato" indicava invece egoismo, mancanza di interesse per
il bene comune. Il cambiamento avviato dall'elezione di Ronald Reagan, nel
1980, ha totalmente capovolto la percezione. "Pubblico" e' oggi sinonimo di
inefficienza, incompetenza, corruzione. "Privato" invece e' bello, positivo.
Gli effetti di un tale rivolgimento sono evidenti nell'economia e nella
societa'. I salari della maggior parte degli americani non hanno avuto
sostanziali aumenti negli ultimi venti anni, e per alcuni sono persino
diminuiti. Mentre l'accumulazione di ricchezza di quell'1% di americani che
si trova ai vertici della scala sociale e' enormemente aumentata. E sono
loro che hanno il governo al proprio servizio.
*
- Angela Pascucci: "Si poteva dire che l'Urss era necessaria all'economia
Usa quanto la General Motors o il grano dell'Iowa e sembra che lo stessa
cosa stia accadendo con la guerra al terrorismo". Cosa intendeva quando lo
ha scritto?
- Lewis H. Lapham: Hanno bisogno di un nemico a portata di mano per avere
piu' potere, per alimentare il motore del commercio di armi. Questo e' il
primo grande problema che si presento' alla prima amministrazione Bush dopo
il 1989 e il collasso dell'Urss. All'inizio degli anni '90 Colin Powell e
Donald Rumsfeld, allora al servizio di Bush senior, elaborarono i termini di
una dottrina strategica preventiva secondo la quale l'America non doveva
neppure consentire a un'altra potenza militare ed economica di sfidarla.
Idee che si manifestano compiutamente con l'amministrazione di Bush jr.
*
- Angela Pascucci: Che ruolo ha avuto la religione nel degrado del sistema?
- Lewis H. Lapham: Le Chiese americane sono state sempre al fianco dei
liberal negli anni '30, '40 e '50. Ma alla fine degli anni '70 con la
formazione della Christian Coalition e l'avanzata dei tele-evangelisti molte
Chiese si sono schierate col potere. Anche qui, l'inizio dell'influenza
negativa coincide con Reagan, che non era un credente osservante come Bush
jr, ma avvio' una guerra culturale che fu parte integrante della
"rivoluzione reaganiana" e impose agli americani un "comportamento morale".
Il paese, dicevano, stava andando all'inferno per il suo atteggiamento nei
confronti del sesso, a causa della permissivita' e cosi' via. Fu un rifiuto
di tutto il movimento libertario degli anni '60.
*
- Angela Pascucci: Lei ha ingaggiato una personale battaglia contro la
decadenza della parola.
- Lewis H. Lapham: La semplificazione impera, cresce l'ostilita' verso ogni
uso del linguaggio che non si conformi agli standard televisivi. Negli Stati
Uniti agisce una forte tensione antintellettuale. Stiamo perdendo le parole
con cui dare forma e articolazione alla politica.

6. RIEDIZIONI. MOHANDAS K. GANDHI: TEORIA E PRATICA DELLA NONVIOLENZA
Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1973, 1996, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2006, pp. CLIV + 338, s. i.
p. ma euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "La repubblica" e al
settimanale "L'espresso"). Un libro fondamentale: in lingua italiana il
miglior viatico per un accostamento a Gandhi. Rispetto all'edizione del 1996
questa odierna reca una nuova prefazione di Giuliano Pontara (pp. VII-XI),
una essenzialissima bibliografia primaria (pp. CLIII-CLIV) e una sintetica
bibliografia secondaria in italiano (pp. 335-336); purtroppo invece
l'indice - che sia nell'edizione del '73 che in quella del '96 era assai
dettagliato ed aveva per cosi' dire funzioni di vero e proprio sommario, in
questa nuova edizione e' stato ridotto a due sole pagine (da 15 che erano
nelle edizioni precedenti), e la tavola delle abbreviazioni e' sparita:
misteri dell'editing (e sempre alla distrazione, alla frettolosita' o alla
pigrizia delle redazioni delle case editrici crediamo sia da attribuirsi il
continuare a usare la dicitura "non-violenza" - derivata rozzamente
dall'inglese - invece di quella filologicamente corretta "nonviolenza" -
che, come e' noto, e' il termine italiano coniato da Aldo Capitini che
traduce ed unifica i due concetti gandhiani di "ahimsa" e "satyagraha"). Chi
avesse gia' solo l'edizione del '73 sappia che in quella del '96 ed in
questa del 2006 c'e' un nuovo, ampio e fondamentale capitolo V (in
quest'ultima edizione alle pp. CXIV-CXXXVI) dell'eccellente introduzione del
curatore Giuliano Pontara. Un libro da acquistare e da regalare.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1449 del 15 ottobre 2006

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