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La domenica della nonviolenza. 93
- Subject: La domenica della nonviolenza. 93
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 1 Oct 2006 12:11:17 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 93 del primo ottobre 2006 In questo numero: 1. Lea Melandri: I paradossi della maternita' tra corpo e pensiero 2. Francesca Fanciullacci: Il parto e la maternita', tabu' da rompere 3. Cristina Pecchioli: Prima di vedere la vita ho intravisto la morte violenta 4. Lucia Rava: Perche' nessuno mi ha preparata? 5. Aglaia Viviani: Il mio parto "spontaneo" 6. Gemma Contin presenta "Lieto evento" di Eliette Abecassis 7. Qualche lettura ulteriore 1. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: I PARADOSSI DELLA MATERNITA' TRA CORPO E PENSIERO [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso nell'inserto del quotidiano "Liberazione" del 17 settembre 2006. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] La discussione intorno alla legge 40, sulla procreazione medicalmente assistita, ha segnato il trionfo di quello che Barbara Duden (Il gene in testa e il feto nel grembo, Bollati Boringhieri 2006) chiama "il discorso sociale sulla gravidanza", il "monopolio del pensiero tecnologico": entrano nel linguaggio quotidiano termini che provengono dai laboratori scientifici - ovuli, zigote, embrione - e si perde l'antica abitudine, diventata desiderio e pratica politica col femminismo, di dare voce all'esperienza che ognuna fa del proprio corpo. Nell'abisso che si apre tra il "corpo vissuto" e il "corpo diagnosticato", le parole perdono il loro "sapore somatico", le persone disimparano a fidarsi del loro sentire, l'attesa e la speranza seppelliscono il futuro nell'esito di un referto medico. Con un movimento che inverte i due termini di una immaginaria ma duratura opposizione tra natura e storia, l'essere umano si trasforma in processo biologico, mentre le cellule di cui e' composto, isolate dall'organismo con cui finora si sono confuse, assumono, come "cittadini non ancora nati", dignita' umana e giuridica. L'insistenza con cui i media inseguono ogni nuova sperimentazione medica o scoperta scientifica, riguardante la nascita, non poteva lasciare le donne indifferenti, senza per questo trasformarle, come qualcuna temeva, in "consumatrici di biotecnologie". La narrazione di gravidanze, parti, rapporti materni e filiali, ha accompagnato la storia del femminismo, sia pure percorrendo strade traverse, sentieri in ombra rispetto alle vie maestre del pensiero teorico. Nel corso dei dieci anni di pubblicazione, la rivista "Lapis" (1987-1997) ha accolto, in una rubrica omonima, "racconti di nascita" strappati all'oblio a cui sembra destinata fatalmente un'esperienza in cui convergono, alternati o confusi, vita e morte, pienezza e svuotamento, potenza e miseria, dolore fisico e gioia, riappropriazione e perdita di se'. Si puo' pensare che sia questo paradosso, oltre alla invasivita' crescente delle biotecnologie, a rendere cosi' faticosamente dicibile il parto, come soglia che recide un cordone di carne tra due esseri per riannodarlo subito dopo in un seguito di cure, affetti, responsabilita', che sembrano non finire mai: madre, non per la durata di una gravidanza, ma per sempre, come l'infanzia, del resto, che ci si lascia alle spalle, ma che allunga la sua ombra per l'intero corso della vita. * Non si puo' ignorare pero' neppure il peso che ha avuto la "politica del simbolico" - l'elaborazione che ne hanno dato la Libreria delle donne di Milano (Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Sellier 1987) e Luisa Muraro (L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti 1991) - nel mettere in ombra pensieri e scritture portati a ridosso di un "vissuto" femminile gravato da antichi pudori, misteri e vergogne. Alla fine degli anni '70, il paziente lavoro di scavo nelle storie personali, nei risvolti inconsci di un'oppressione confusa con l'amore, divenuta malgrado tutto senso e ragione di vita, lasciava affiorare stanchezza, dubbi, desiderio di trovare vie d'uscita meno dolorose. Di questo malessere la Libreria delle donne si e' fatta allora interprete, prospettando, come via di salvezza, la possibilita' di piegare a proprio vantaggio quel "germe vivo", quella "matrice" di "carne e parola", che la comunita' degli uomini ha cancellato, pur traendone il massimo alimento. Ma per celebrare la nascita di una "genealogia di donne", per svincolare la dipendenza dall'uomo, per presentarsi all'appuntamento con la storia forti di un "primato" e di una "grandezza" usurpati alla discendenza femminile, non bastava certo la madre reale, asservita quasi sempre alla legge del padre, contraddizione vivente per ogni figlia desiderosa di autonomia. Occorreva dare all'"origine" cio' che l'uomo non aveva saputo riconoscere, la verita' di un "principio logico, metafisico", lo statuto inattaccabile di "corpo razionale", sintesi perfetta di essere e pensiero, vita e parola, unione mistica che puo' sollevarsi nel cielo platonico delle idee senza operare cancellazioni. "Per anni ci siamo dedicate a capire l'esperienza femminile per trasformarla in principio di forza e sapere nei confronti del mondo. L'impresa, man mano che andava avanti, si annunciava sempre piu' lunga, anzi senza fine come la tela di Penelope... La modificazione non si traduceva in contenuti sociali, oppure si', ma erano contenuti miserabili di rivendicazioni e sopravvivenza. Vi erano come soggetto perdente". "L'antica relazione con la madre ci da' sul reale un punto di vista duraturo e vero, vero non secondo la verita'-corrispondenza ma secondo la verita' metafisica (o logica) che non separa essere e pensiero". "... fine dell'automoderazione, lasciar irrompere desideri sproporzionati... La superiorita' della madre e la necessita' della sua traduzione in autorita' simbolica vanno riconosciute per principio". Svincolata dalla sua realta' fattuale, fisica e psicologica, la "madre simbolica" puo' ambire alla stessa collocazione che l'uomopadre ha preteso per se', nei confronti della propria discendenza: autorita', fedelta', affidamento, affiliazione, autonomia simbolica garantita da una linea genealogica al femminile, frequentazione privilegiata della simile, liberta' non come scelta individuale, ma come effetto "liberante" del debito di riconoscenza pagato alla "potenza" materna. * A partire dall'inizio degli anni '80, e' calata sul femminismo una nuova, imprevista "sacralita'", con venature mistiche, tentazioni totalizzanti che oggi chiameremmo "fondamentaliste", assunzione della differenza come omogeneita', purezza identitaria, ripristino di gerarchie, mediazioni obbligate. La conseguenza piu' vistosa, per la storia successiva del movimento delle donne, e' stata la messa sotto silenzio di un pensiero che, pur con molte sfaccettature, saperi e linguaggi diversi, ha continuato a interrogare l'esperienza, consapevole che vita e parola, intrecciate da sempre, strette in annodamenti inestricabili, non sono la stessa cosa. La scrittura, che ha talvolta la flessuosita' per entrare nelle pieghe della memoria, per dire l'impresentabile del vissuto corporeo, resta pur sempre una difficile, incerta navigazione attorno a una materia che non si lascia assimilare. Eppure, se si scorrono i "racconti di nascita" di "Lapis", e scritture analoghe di donne - penso al libro di Agnese Seranis, Io, la strada e la luce di luna (edizioni del Leone, 1989) - l'idea di grandezza, potenza, sacralita' del corpo femminile che genera, e' tutt'altro che assente, accostata quasi sempre a sentimenti che la smentiscono, per riafferrarla subito dopo. Seranis, fisica e originale esploratrice di un immaginario femminile popolato delle figure e delle suggestioni che l'uomo ha attribuito al corpo diverso dal suo, scrive: "C'erano poi dei momenti in cui sentivi di appartenere alla Natura e provavi un totale appagamento sapevi perche' esistevi: perche' la Vita continuasse. E eri invasa da un sentimento di forza di potenza immensa. Il cosmo si muove si espande tutto e' moto tutto pulsa... Era diverso da tutto cio' il tuo corpo?... E la percezione a volte di essere divorata da dentro da un estraneo che si era introdotto nel tuo corpo e che senza pieta' avrebbe fatto scempio di te. Questo essere cosi' inerme in apparenza ha come alleato la Natura o meglio la Vita che giochera' tutto per tutto perche' nulla la fermi decisa a lasciarti come un tronco vuoto se cio' fosse necessario al nuovo germe. Eppure a te e' lasciato tu possiedi un potere immenso perche' tu puoi decidere di fermarlo quel processo fosse anche uccidendo te stessa". L'altalena tra corpo e pensiero, per chi ha creduto con l'esperienza della maternita' di avvicinarsi alla natura, tanto da esserne parte, prigioniera o complice, e, nel medesimo tempo, in quanto scienziata, di potersene staccare, si pone nei toni drammatici, laceranti, di un dualismo insuperabile: "Come conciliare il tempo dell'osservare e il tempo dell'esistere? La Vita si rifiutera' di continuare in un corpo consapevole cosciente di cio' che sta avvenendo? La Vita si rifiutera' di abitare nel corpo di chi cerca di svelarla?... Posso io essere insieme oggetto di conoscenza e pensiero conoscente?". * L'esperienza della maternita', nelle sue oscillazioni reali o immaginarie, conosce un protagonismo del corpo che all'uomo e' negato, e come tale si presta a essere oggetto di invidia e appropriazione da parte del sesso maschile, ma anche a essere impugnato dalla donna come arma per il proprio riscatto. Costrette dalla loro capacita' biologica e dalla collocazione che la comunita' maschile ha dato loro, custodi dell'intero arco della vita, le donne si sono trovate in prossimita' della "dura legge del tempo a cui tutto si piega" - l'accettazione della morte, del susseguirsi delle generazioni, del ripetersi dei gesti -, la stessa legge a cui l'uomo ha continuato a opporre le sue protesi meccaniche, le sue speranze di immortalita', il suo potere di dare la morte. Privilegio o condanna, accrescimento o perdita, la maternita' resta l'epicentro della condizione umana, il "luogo" intorno a cui si puo' pensare che abbia preso forma il dominio maschile e la differenziazione violenta tra i sessi, l'ostacolo maggiore a ripensare i nessi tra corpo, individuo e legame sociale, fuori dai dualismi che conosciamo: femminile-maschile, natura-cultura, ecc. Confrontando i racconti di "Lapis" con scritti di donne piu' giovani, quello che sorprende e' la straordinaria capacita' di dire l'"orrore" del parto, l'inganno con cui ancora si contrabbanda il destino storico della donna con l'"istinto materno", la misoginia di un'antica consegna al dolore che non a caso vede concordi "cattolici, ginecologi, femministe, medici alternativi, sul fatto che il parto deve rimanere intatto nella sua modalita' suppliziale" (Laura Kreyder, "Lapis" n. 29). 2. RIFLESSIONE. FRANCESCA FANCIULLACCI: IL PARTO E LA MATERNITA', TABU' DA ROMPERE [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso sul quotidiano "Liberazione" del 13 agosto 2006. Francesca Fanciullacci, ricercatrice, storica, laureata in letteratura inglese all'Universita' di Firenze con una tesi sull'autobiografia di Edith Sitwell, attualmente lavora all'Universita' di Siena sulla scrittrice inglese Sylvia Townsend Warner; fa parte dell'Istituto buddista italiano Soka Gakkai] In un momento storico come il nostro, caratterizzato da guerre, razzismi e dal terrore crescente di nuovi attentati terroristici, la maternita' fa ancora notizia. Qualche giorno fa i riflettori erano per una madre che, costretta dalle circostanze, ha partorito da sola senza assistenza medica; altre volte a venire messe in risalto sono storie di donne, vicine alla santificazione, che decidono di portare a termine una gravidanza a scapito della loro stessa vita; sempre piu' spesso i mass media raccontano di madri che annegano la loro creaturina nella vasca da bagno, la centrifugano nella lavatrice, la massacrano di botte, o semplicemente la depositano in un cassonetto per l'immondizia. Da una parte le brave madri, corpi abitati, oggetti asessuati la cui unica ragione di vita e' il sacrificio per amore dell'altro; dall'altra parte quelle cattive che, prive dell'istinto materno, urlano una rabbia che non e' lecita. In entrambi i casi la donna come soggetto viene cancellata e si consolida l'ideale della maternita' su cui si fonda il patriarcato. Questi fatti di cronaca, cosi' come vengono riportati, non sono narrazioni neutre, meri racconti di episodi di vita vissuta, ma si configurano come il discorso di un potere che ancora oggi parla al posto delle donne, nasconde le loro voci, condannandole o idealizzandole. Al fine di vederci riconosciuto il diritto di essere prima di tutto degli individui credo sia indispensabile rompere il tabu' del parto e della maternita'. Abbiamo il dovere di cercare dietro alla madre che uccide o si lascia uccidere la donna, la sua depressione, la solitudine in cui vive, la difficolta' di ripensare al rapporto con la propria madre. L'errore piu' grande che possiamo fare e' reiterare il silenzio. Mi chiedo perche' le donne continuano a mentirsi circa la maternita'. Forse perche' dare la vita e' l'unico strumento di potere in una societa' dominata dai Padri? Perfino il dolore del parto rimane taciuto. Molte riconoscono di avere "sentito male" ma dicono che questo dolore e' cessato non appena hanno visto la loro creatura. Anch'io pensavo che avrei provato solo gioia e dolcezza quando, prima di recidere il cordone ombelicale, avrebbero poggiato il piccolo corpo di Selene sul mio. Non e' stato cosi', e gli anni che sono passati non hanno cancellato dalla mia memoria le sofferenze fisiche e psicologiche che hanno accompagnato l'evento del parto: il momento del travaglio, trascorso da sola nella camera di un ospedale che credevo essere all'avanguardia, e le successive due ore e un quarto passate a spingere con un'ostetrica accanto che mi rimproverava del fatto che urlassi "basta", spiegandomi che se mia figlia non usciva era perche' io non volevo farla nascere. Non sentivo dolore, ne ero abitata completamente. Il mio corpo impotente, intrappolato, veniva lentamente smembrato. Dopo quel tempo interminabile passato a spingere dovetti andare sulle mie gambe in sala parto dove un medico di turno con arroganza sentenzio' che ero in preda ad una crisi isterica. Con la nascita di mia figlia ho riportato una lacerazione di terzo grado e sono rimasta cosi' scioccata che non ho voluto nemmeno che adagiassero il suo piccolo corpo sul mio. Ho pianto e tremato incessantemente per alcune ore. Sono stata cucita e ricucita a lungo perche' le parti tornassero a posto e sono dovuti passare dei mesi prima che riuscissi a trattenere di nuovo l'urina. Il certificato relativo alla nascita di mia figlia, che l'ospedale mi ha rilasciato, porta scritto "parto naturale". Oggi vivo il mio essere madre come una parte della mia vita: non e' la mia identita', il mio io e' altrove. Mi domando cosa potrebbe accadere se sempre piu' donne si rifiutassero di recitare il ruolo di madre istituzionalizzato dal patriarcato. Forse questo cesserebbe di esistere. 3. RIFLESSIONE. CRISTINA PECCHIOLI: PRIMA DI VEDERE LA VITA HO INTRAVISTO LA MORTE VIOLENTA [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso nell'inserto del quotidiano "Liberazione" del 17 settembre 2006. Cristina Pecchioli e' impegnata nell'ufficio stampa della Cgil della Lombardia] Che la maternita' fosse il mio destino non l'avevo mai pensato, immersa com'ero nella politica e nel mio piccolo ambiente famigliare matriarcale, ne' ero dotata di istinto materno, fino a quando, verso i trent'anni, non mi sono detta: "adesso vorrei un figlio". Da quel momento il desiderio ha cercato la casualita' che potesse compierlo e nel giro di poco tempo mio figlio Andrea e' stato concepito. Una scelta libera, ma libere non si e' mai del tutto, soprattutto dalla cultura che accompagna gli eventi importanti della vita, come la nascita e la morte, e che disegna ogni volta i contorni dei ruoli che in essi toccano alle donne. Volevo un figlio, volevo concepirlo nel pieno di una grande passione e volevo che tutto questo (per cui ero disposta a pagare il prezzo di lasciare la mia citta', la mia famiglia, il mio lavoro e trasferirmi a Milano), che questa felicita' sognata e scritta nel mio "destino femminile" durasse per sempre. I primi due desideri sono stati soddisfatti, naturalmente il terzo no, mostrando tutta l'illusorieta' di quello che Lea Melandri chiamerebbe "il sogno d'amore". Inutile dire che questo infrangersi del sogno ha lasciato dietro di se' ferite che hanno richiesto cura e attenzione per anni. Ma questa e' un'altra storia. Io non avevo l'istinto materno e, una volta nato mio figlio, ho conosciuto anch'io quella rapida, terribile vertigine che ti balena nella testa come unica, possibile soluzione immediata alla tua disperazione, alla solitudine e a quel senso di inadeguatezza che prende molte donne subito dopo il parto. Un piccolo gesto folle che puo' darti pace... l'ho pensato per poi inorridire, ma solo un attimo dopo, quando la lucidita' ha ripreso il sopravvento. Ci penso spesso quando leggo le storie di madri che uccidono i propri figli; la maggior parte di loro non ricorda piu' nulla, la mente ha rimosso tutto, ferma all'attimo prima che la follia guidasse i gesti. Credo si tratti di qualcosa che c'e' in ognuna di noi, anche se si fa fatica a concepire l'esistenza stessa della pulsione alla soppressione dei cuccioli da parte della madre, oltre che per l'orrore, per il carico di distruzione archetipa, di sovvertimento violento di paradigmi culturali dai quali le donne sembrano non potersi sottrarre. E' la nostra ombra, e pronunciare questa indicibilita' puo' liberarci, restituendoci alla nostra complessita'. Fuori dalla retorica, le donne sono esseri speciali, ed e' anche la possibilita' di generare che ne determina la potenza numinosa, che venga agita o meno. Solo una donna, se lo vuole, puo' incontrare la nascita e la morte non solo all'inizio e alla fine della propria esistenza ma anche durante, generando e partorendo un figlio. Un privilegio speciale e potentissimo che la cultura patriarcale, la storia stessa hanno cercato di ridimensionare, negare, controllare, gestire con tutti gli strumenti possibili: l'intimidazione, il ricatto morale, la costrizione, persino la santificazione. Un tempo quelle che sceglievano volontariamente di non agire la loro "potenza", quando non venivano costrette, con conseguenze pesanti sulla loro salute mentale e sulla serenita' dei figli, il piu' delle volte subivano un destino di solitudine e di emarginazione culturale, quando non di follia. E se le cose sono cambiate e' grazie alle donne che hanno praticato questa liberta', che si sono sottratte a un destino che non avevano scelto, pagando pero' spesso prezzi altissimi. Cosi' le donne vivono da sempre queste contraddizioni senza autorizzarsi a farlo, tra sensi di colpa e di inadeguatezza, prigioniere di sentimenti che sembra obbligatorio provare. Non credo che con i sentimenti c'entri poi molto la sofferenza del parto. Francesca Fanciullacci, nel suo scritto su "Liberazione", dice qualcosa come "non provavo dolore, ne ero invasa". Si, e' un dolore che ti soverchia. Ricordo che durante il travaglio, sola anch'io come Francesca (mia sorella lasciata fuori in corridoio ad aspettare), in un moderno ospedale della capitale, pensavo ad una mucca che avevo visto partorire in campagna da bambina e mi identificavo in lei. Ma il mio parto supero' ogni possibile immaginazione: ondate di dolore che ogni volta mi squassavano, facendomi scricchiolare le ossa. Prima di vedere la vita ho intravisto come puo' essere una morte violenta. Poi la concitazione, troppa attesa, il bambino se ne sta andando, privo di ossigeno. Il ritmo che aumenta, il parto che non si apre. Respiro, una giovane ostetrica mi prende in giro: "Eccone un'altra dei corsi di preparazione al parto!". Invece al consultorio mi hanno preparata bene, penso, ma non alla crudelta' e a tutta questa indifferenza. Poche contrazioni, resto chiusa, non arriva il ginecologo (forse un cesareo sarebbe stata una soluzione, forse...), non arriva nemmeno l'anestesista. Sono tutti spaventati, ma non come me che mi sento un animale disperato, braccato. Provano col parto indotto con ossitocina, ma il bambino sta male. Decidono di praticare l'episiotomia e di inserire una ventosa. Normalmente l'episiotomia, che e' il taglio della parete del pavimento pelvico resa sottilissima e quasi insensibile dalla dilatazione e dalla pressione della testa del bambino, non fa troppo male. Ma non quando non c'e' nessuna contrazione, il bambino e' semiasfissiato (lo hanno dichiarato fuori pericolo solo ventiquattr'ore dopo la nascita) e non c'e' dilatazione. Allora senti il bisturi che affonda nella carne viva, la ventosa che entra nella ferita aperta, il tutto da sveglia, perche' l'anestesista arriva un attimo dopo. Benedetto quell'ago in vena... poi piu' niente. Nei giorni successivi al dolore psicologico e alla paura per la salute di mio figlio, che non ho potuto ne' allattare ne' abbracciare per giorni, si accompagna ancora il dolore fisico: il taglio profondo e le contrazioni prodotte dai farmaci (a questo proposito, ho la fortuna di non aver mai abortito, ma credo di sapere che non esiste, dico almeno sul piano fisico, l'idea di un aborto farmacologico che sia davvero indolore, quella "passeggiata" di cui troppi straparlano). E in definitiva, a voler davvero dire tutto fino in fondo, sebbene non dimentichero' mai il mio primo e unico parto, io agirei ancora la mia potenza generatrice, certo in un altro modo e con una diversa consapevolezza di me e dei miei diritti, non solo per quel sottile senso di trionfo, di armonia con i ritmi della natura, di perfetta sintonia con la vita che ti puo' dare l'esercizio di questa esclusiva potenzialita', ma soprattutto per quel legame d'amore indicibile, unico e speciale che, se hai fortuna, si stabilisce con la tua creatura, dal primo "frullo d'ali" e per sempre. Il sogno vero e' che tutto cio' possa compiersi e ricomporsi in un percorso di reale, autentica liberta' femminile. 4. RIFLESSIONE. LUCIA RAVA: PERCHE' NESSUNO MI HA PREPARATA? [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso nell'inserto del quotidiano "Liberazione" del 17 settembre 2006. Lucia Rava e' impegnata nell'esperienza del Natc Caucus Italia (Natural Alternative Traditional Complementary Medicines)] Riporto di seguito alcuni frammenti provenienti da articoli apparsi su riviste femminili. Frammenti che ho diligentemente trascritto sull'apposito quaderno da me dedicato alla maternita': - La questione e' riuscire a mostrare anche "l'orrore della maternita'". Trovo la maternita' una prova estremamente difficile, stimolante, dura. E dico poco, a paragone della vera esperienza. - Quando e' nata mia figlia ho avuto momenti difficili. E adesso come faccio ad essere quello che sono sempre stata? Da questo momento in poi non saro' piu' sola, lei e' per sempre. In quel senso di inadeguatezza, fatica e isolamento ho rivisto mia madre con me e mio fratello. Le pressioni sociali e familiari a cui e' stata sottoposta. L'ho sentita vicina e la sua presenza mi ha tenuto compagnia, dato un po' di coraggio. E alla fine, come in un sogno, mi sono riappropriata dei pezzi che mi son mancati di lei. - Per quanto mi riguarda, ogni donna che abbia mai detto che la maternita' e' la cosa piu' bella del mondo e' stata soltanto una gran bugiarda. Quell'intero giorno della sua nascita, e francamente tutti i giorni successivi per diversi mesi, sono stata arrabbiata, ancora e ancora, mentre continuavo a chiedermi la stessa cosa. Perche' nessuno mi ha detto che le cose andavano in questo modo? Perche'? Eppure, non credo di essere l'unica donna al mondo secondo cui alcuni aspetti della maternita' non sono quello che si dice che siano. E penso che la realta' sia semplicemente una: poche donne vogliono ammettere la verita', perche' la sola cosa che desideriamo e' essere considerate madri perfette. Ed io durante i cinque mesi che mi separano dalla nascita di mio figlio oltre a cercarmi e spesso a trovarmi nelle parole di altre che cosa sono riuscita a scrivere della mia esperienza? Poche righe. Che sia ancora troppo dentro per poterne scrivere? Ma mi domando, ne saro' mai sufficientemente fuori per poterlo fare? Alle madri si chiede l'impossibile. Questa frase mi risuona nella testa mentre accudisco mio figlio. Come una goccia cade dalla mia mente mentre lo nutro, lo consolo, lo cambio, lo bacio e anche quando finalmente si addormenta e penso, non me ne vergogno, quante cose potrei fare tutte per me se per un giorno intero, uno solo, non facesse altro che dormire. Ripeto ognuno di questi gesti per un numero di volte troppo elevato per essere contenuto nello spazio di un'unica giornata. Il condensato di queste attivita' mi sovrasta e mi affanna lasciandomi qualche breve istante di lucidita' per soffermarmi sulle sue richieste e allo stesso tempo sul mio desiderio d'evasione. La riflessione sui nostri reciproci bisogni dura il tempo brevissimo che mi separa dal ricominciare tutto daccapo e nella testa e' sempre la mia voce a dirmi che alle madri si chiede l'impossibile. Si parla sempre piu' spesso di depressione post-partum. Si organizzano convegni dedicati agli aspetti psicopatologici della maternita', dove viene riferito che l'esperienza per molte donne puo' essere spiazzante, e che non e' affatto infrequente l'iniziale non accettazione del neonato, o in seguito, l'avere sentimenti contraddittori nei confronti dei figli. Se non la depressione, un profondissimo smarrimento a me e' sembrato un passaggio inevitabile. Improvvisamente cio' che era pieno e' desolatamente vuoto. Cio' che era rigoglioso e' appassito. Un po' come se il corpo nella sua interezza rispondesse a questo violento svuotamento che e' il parto avvizzendosi. Avviene con la fine della endogestazione durante la quale all'espansione della carne sembrava corrispondere una contrazione del mondo. La sensazione che cio' che davvero contava, quasi tutto, stava gia' avvenendo dentro di te perlopiu' a tua insaputa mentre di notte dormivi sonni che non avevi mai dormito prima, carichi di sogni vivi, sognati in due. Nel mio diario il 13 settembre 2005, esattamente tre mesi prima della nascita di Sebastiano, scrivevo: Ho tappato il naso tenendolo stretto con il pollice e l'indice, chiudendo gli occhi fino a sentire che le ciglia si attorcigliavano fra loro. Poi l'ho fatto. Mi sono tuffata. Il tuffo non e' nei miei gesti. Di solito entro nell'acqua circospetta e timorosa, ma questa volta lo feci costringendomi a non pensare. Riuscii a sgomberare la mente da dubbi e paure lasciando avanzare dentro di me il desiderio del corpo di farsi inghiottire dall'acqua per raccogliere sul fondo cio' che avevo dato per perso. Dopo circa sei mesi la mia pancia e' rotonda. Scosse lievi provengono dal profondo. In qualche occasione ho guardato in un monitor l'immagine di minuscoli arti impegnati in movimenti acquatici, organi in via di formazione, occhi e naso gia' distinguibili, ed il suo cuore pulsare, battere come il mio, dentro di me. Eppure ancora stento a crederci. E poi, all'improvviso non puoi che crederci. E' il suo pianto a convincerti. Passi il tempo a domandarti se sta piangendo perche' ha fame, perche' e' sporco, o perche' ha sonno. Procedi per tentativi escludendo una dopo l'altra le possibili cause, per poi capire che piange solo per piangere. Il suo e' il pianto piu' disperato che ti sia mai capitato di ascoltare; violento al punto che in un secondo ti restituisce alla tua stessa disperazione, quella che certamente avevi gia' avvertito prima ma meno quieta, direi duplicata, stereofonica. Hai impiegato tutta la vita a contenere le tue reazioni emotive ed ecco che questo essere solo vagamente umano ti trascina al punto di partenza. Ecco madre e figlio ancora insieme, sospesi al grado zero della disperazione. Da quel momento, anche quando la disperazione di entrambi aveva ormai assunto toni meno accesi, mi sono continuamente chiesta cosa mi abbia spinto a mettere al mondo un figlio. L'ho fatto ininterrottamente durante questi mesi che mi sono sembrati i piu' lunghi della mia vita, senza poter mai trovare una risposta. Io che l'avevo sempre escluso, o forse soltanto rimandato, mi ritrovo ad essere madre senza la convinzione che mi parrebbe necessaria. Ed ancora una volta le parole di altri mi soccorrono: La spinta sessuale a riprodursi e a colmare il futuro e' una spinta contro la corrente del tempo che scorre ininterrottamente verso il passato. L'informazione genetica che assicura la riproduzione lavora contro la dissipazione.(John Berger). Se fosse possibile fermarsi qui, al puro dato biologico, senza caricare di simboli e significati la scelta di maternita' che cosi' descritta assomiglierebbe piu' che altro ad un metaforico, vigoroso salto nel futuro, non potrebbe essere tutto piu' facile? Invece mi chiedo e lo chiedo anche a voi, di quante cose, tutte insieme, parliamo quando parliamo di maternita'? Non e' che nella mistica e nella retorica del voler essere a tutti i costi una brava madre ci sguazziamo un po' tutte non soltanto quando scegliamo di esserlo, ma persino quando lo escludiamo? Sentite a questo proposito cosa scrive Concita De Gregorio su "D - la Repubblica delle Donne": Il segreto delle madri, anche quelle che non sanno o non vogliono esserlo: la capacita' misteriosa di diventare un posto che accoglie tutto quello che succede nel cammino, tutto quello che viene e che c'e'. La capacita' di tenere insieme quel che insieme non sta. Da ricordare daccapo, ogni volta, da dove passa la vita e perche'. Ancora una volta mi rammarico nel dover constatare che almeno dentro di me di quel meraviglioso segreto proprio non c'e' traccia. 5. RIFLESSIONE. AGLAIA VIVIANI: IL MIO PARTO "SPONTANEO" [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso nell'inserto del quotidiano "Liberazione" del 17 settembre 2006. Aglaia Viviani, anglista, critica letteraria, ha pubblicato traduzioni, articoli e saggi sulle connessioni fra auto/bio/grafia e storia delle donne. Tra le opere di Aglaia Viviani: Dalla lontana Inghilterra. Percorsi autobiografici di scrittrici ebree anglofone 1933-1945, Alfani, 2001; Strange spirits and even strange bodies. L'icona di Elisabeth I nelle biografie di tre modernisti inglesi, Firenze University Press, 2003; Il mio cuore e' con gli arabi. Lucie Duff Gordon e Janet Ross. Due viaggiatrici inglesi fra Otto e Novecento, Tracce, 2004] "Quando ti sposerai e avrai dei figli..." era una delle frasi ricorrenti di mia nonna. Come una pioniera del Far West aveva scodellato nel suo letto, senza nessun aiuto e nessunissima difficolta', quattro figlie perfette. Diventare madre era, a suo dire, la realizzazione delle aspirazioni femminili. Seduta di sghimbescio sulla sedia in ospedale, con l'aria mesta e sbattuta di chi ha attraversato un uragano, la piu' giovane delle sue figlie mostrava ben altra opinione: "Non avere mai figli, per carita'!". Forse e' per questo che non ho pensato alla maternita' senza un fremito di orrore fin oltre la soglia dei trent'anni. A quel punto avevo un dottorato di ricerca, un lavoro co. co. co. e una coscienza femminista, per cui mi illudevo di saper gestire senza problemi un figlio in arrivo. Vivevo da sola. La gravidanza, desiderata, fu condivisa festosamente dalla comunita' delle mie amiche. Insieme a loro andavo ai controlli periodici e al corso di preparazione al parto, circondata da coppie piu' giovani di me che intrecciavano sui pancioni le dita con la vera nuziale. Mi preparavo al parto come a un esame all'universita'. Avevo letto molto, preso appunti, preparato il corredino, fatto la ginnastica per gestanti. Con la sindrome presuntuosa della prima della classe, anche stavolta ero "brava": perche' il mio aumento ponderale era contenuto (difficile sgarrare, con cinque ragazze intorno a contarmi le calorie!). Il bambino, un maschio (pazienza), cresceva bene, e il suo cuore minuscolo galoppava come gli zoccoli impazienti di un puledro. Io e mio figlio eravamo pazienti modello tendenti allo spericolato. I malesseri gravidici, le nausee, le voglie incontrollabili, gli sbalzi d'umore? Mai avuti. Fino all'ultimo non smisi di nuotare ne' di pedalare nel traffico del centro cittadino. Tuttavia, al termine della mia gravidanza da manuale il bambino non nasceva. Passarono due settimane. Era agosto, molto personale era in ferie, e le ecografie venivano eseguite velocemente. All'inizio della terza settimana controllarono il liquido amniotico: non ce n'era piu'; in compenso c'erano segni di sofferenza fetale. Mi compilarono una richiesta di ricovero urgente, dicendomi pero' di tornare dopo un paio di giorni perche' in quel momento proprio non c'era posto. A meno, ovvio, di conoscere qualcuno. Piombai nel panico: mio figlio stava morendo, e nessuno lo aiutava. La zia mi accompagno', con la richiesta di ricovero urgente, presso un altro ospedale cittadino rinomato per il parto naturale e il rooming in. Quando mi accettarono, promettendomi l'induzione per il mattino dopo, sospirai sollevata. Quando mi attaccarono la flebo di ossitocina al braccio facevo la spaccona con il padre di mio figlio; pero' dopo due ore di flebo, ancora niente. Rottura del sacco amniotico con l'uncino: niente. Aumento della dose di ossitocina: le doglie arrivarono all'improvviso, violentissime. Provavo invano tutte le posizioni imparate durante il corso per alleviare i crampi. Presto il dolore fu una condizione esistenziale con picchi che mi fendevano di netto. Il corpo un fascio di dolore animalesco che non controllavo pi'. Urlavo. Un ginecologo con l'aria ipercurata da modello di Pitti Uomo scosse la testa commentando: "La solita bambina viziata!". Quattro ore di quella tortura, e niente dilatazione: "E' colpa tua, non spingi!". Aumento dell'ossitocina. L'ostetrica del turno successivo, che aveva lo stesso nome di mia nonna, ordino' perentoria che mi venisse praticata l'anestesia epidurale per darmi sollievo. Riuscire a immobilizzare il corpo squassato per il tempo necessario a ricevere un'iniezione che poteva danneggiare i nervi spinali non fu uno scherzo; poi pero' il dolore scomparve come per magia. Pensai a Nanni Moretti, Aprile, e "l'epidurale per tutti!". La felicita' e' la breve tregua fra due fitte lancinanti, annotai fugacemente nel mio Zibaldone mentale. Il ginecologo commento': "Speriamo che basti: Altrimenti, signorina, quanto ci costa il suo parto?". Non fece in tempo a finire la frase: "Il bambino sta scendendo!", gridai. Cominciai a sentirmi svenire. Caos. "E' rimasto incastrato, ho perso il cuore!", "Il cesareo, il cesareo!", "Non si puo' piu', e' tardi, e' sceso troppo in basso!", "Perdiamo anche lei!". Medici che correvano da tutto il reparto. Mani mi adagiavano su una barella, di corsa in sala operatoria. Ventosa. Bisturi. Persone galleggiavano sulla mia pancia. "Uno, due, tre!", "Spingi!". Il sangue schizzo' dappertutto, sul pavimento, sulla maglia e le scarpe del padre di mio figlio, sul suo viso. "Non respira!", "No, no, ecco!". Urlo', il mio bambino. La sua voce ridava vita a me che non ne avevo piu' nemmeno un soffio. Il suo cuore di leoncino lottatore ce l'aveva fatta. Cranio livido e gonfio dove la ventosa l'aveva arpionato. Occhi blu, indagatori, lunghe ossa scarne. La placenta era invecchiata, uno schifo, e io anche. "Quanti punti di sutura mi da'?", domandai in un soffio al ginecologo, come mi avevano insegnato a fare al corso. "Tre", rispose. Il rooming in: non riuscivo a camminare, non avevo latte; mio figlio piangeva, disperato per la fame. Perdevo fiumi di sangue; colava dagli assorbenti, macchiava lenzuola e camicie da notte. Il primario mi intimo' di cambiarmi piu' spesso: quell'aria da assommoir nuoceva all'immagine del reparto. Violai le regole: anziche' tenere il bambino nella culla metallica lo posai nel mio letto. Solo il calore del mio corpo devastato potevo dargli, e il battito del cuore. Lui teneva gia' dritta la testina: sbatteva tenace contro il mio seno nella vana ricerca di cibo. Cercava e cercava, gli occhi chiusi come una piccola talpa. Dopo qualche giorno trovai il coraggio di toccare quelle parti del mio corpo che piu' facevano male. Due strappi, uno che congiungeva la vagina all'ano, un altro dalla vagina alla coscia destra. La sutura arrivava fino al muscolo adduttore. Altro che tre punti. Mi rimandarono a casa dopo cinque giorni. Ancora non avevo latte, non camminavo, avevo dolori fortissimi in corrispondenza dei punti. La mia ginecologa al ritorno dalle ferie: "Ma cosa ti hanno fatto? Io un'episiotomia cosi' non l'ho mai vista...". I punti erano almeno cinquanta, l"ano lacerato ma non ricostruito, lo sfintere andato. Giorno dopo giorno, un altro calvario; in confronto il parto era stato uno scherzo. Ore a combattere le fitte. Non riconoscevo piu' il mio corpo, un grumo contorto. Ma intanto un po' di latte era arrivato: il bambino ci si attacco' come un'idrovora e prese a fiorire. Al lavoro pensarono fossi un'assenteista, la classica donna che approfitta della gravidanza per "chiamarsi fuori" dagli impegni. Alcune amiche sospettarono con disapprovazione che mi fossi trincerata nel nido con mio figlio e suo padre. Persi cosi' l'amica che piu' amavo, e mi manca ancora adesso. La mia vita cambiava, e non potevo farci niente. Inventavo ora per ora strategie per ridurre il dolore, per riappropriarmi di me stessa. Tre mesi dopo il parto, un gastroenterologo lungimirante propose, in alternativa a una chirurgia spericolata e dall'esito dubbio, la terapia con un farmaco sperimentale da acquistare a San Marino. Ma il mio corpo non e' piu' stato quello di prima. E' passato molto tempo da allora. Il mio secondo figlio e' nato con un cesareo d'elezione. Mentre mi appoggiavano alla guancia il piccolo, tiepido e furente per essere stato strappato dal mio ventre al settimo mese, piansi di gioia. Stavo bene, potevo vivere la maternita' come una gioia, non come un trauma indimenticabile che segna per sempre. Quando sento un ginecologo pontificare sul "parto naturale" desidero schiaffeggiarlo. Conosco, si', donne che hanno partorito in tempi brevi, e magari senza punti. Sono pero' una netta minoranza, rispetto alle "altre", a quelle come me. Il punto e' pero' che un cesareo costa piu' di un parto "naturale"; un cesareo fa statistica in negativo, per un ospedale. La conseguenza e' un indegno gioco dazzardo sul corpo delle donne. Ci sono migliaia di storie simili alla mia. E cartelle cliniche che, come la mia, perpetrano una vergognosa menzogna: accanto al nome del mio primo figlio sta scritto infatti "parto spontaneo". 6. LIBRI. GEMMA CONTIN PRESENTA "LIETO EVENTO" DI ELIETTE ABECASSIS [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso nell'inserto del quotidiano "Liberazione" del 17 settembre 2006. Gemma Contin e' giornalista del quotidiano "Liberazione". Eliette Abecassis, romanziera e saggista, e' nata nel 1969 a Strasburgo ed e' docente di filosofia a Caen; dal suo libro Ripudiata e' stato tratto il film Kadosh di Amos Gitai. Opere di Eliette Abecassis: Qumran, Tropea, 1997; L'oro e la cenere, Tropea, 2000; Ripudiata, Tropea, 2001; Il tesoro del tempio, Tropea, 2002; Mio padre, Tropea, 2003; Piccola metafisica dell'omicidio, Il nuovo melangolo, 2004; Clandestino, Tropea, 2004] "Di notte, in preda all'insonnia, lasciavo vagare il mouse sui forum delle mamme. Erano talmente tanti che non sapevo su quale intervenire. Su www.bebe-zone.com, c'era una sezione dove potevo vedere dei neonati fotografati dalle loro mamme. Ce n'erano in abiti da sera, in costume da bagno, con gli occhiali Chanel, in camicia da notte; insomma, neonati manichino, trattati come oggetti dalle loro mamme che tentavano di ricavarne dei soldi o di scaricare il peso di una vocazione fallita. Alcuni avevano gia' i lineamenti da adulti, altri, calvi, con la testa sproporzionata, sfoderavano un sorriso sdentato, come dei vecchietti dal petto flaccido e la pancia tonda. Bisognava arrendersi all'evidenza: i neonati non sono belli. Poi provai su www.mamanparis.com, per le madri residenti nell'area parigina che hanno bisogno di consigli specifici. Dopo un po', angosciatissima da tutti quei problemi di baby-sitter introvabili, mi decisi per il sito www.maman.fr, perche' rispondeva con franchezza a tutte le domande che le future e-mamme si pongono, in un club chiamato 'Il club delle balene'. Cosi' ricevetti un certo numero di informazioni su quello che mi aspettava dall'avventura della maternita'. Soprattutto, nei forum i personaggi chiave della storia hanno un nome in codice: l'ostetrica, 'Miss O'; il ginecologo, il 'gine'; la suocera, la 'rompi'; il marito o compagno, lo 'zombie'". Ecco uno dei passaggi ironico-amari di un libriccino molto duro di Eliette Abecassis, un romanzo sulla maternita' dal titolo emblematico di Lieto evento (Marsilio, 164 pagine, 14 euro) in cui l'autrice, nata nel 1969 a Strasburgo, diplomata all'Ecole Normale Superieure, insegnante di filosofia all'Universita' di Caen, racconta la storia di Barbara e Nicolas, che ha suscitato un vero vespaio in Francia tra le femministe e le benpensanti, sul "piacere" della maternita' e sulle sue conseguenze. Trentenni, innamoratissimi, un piccolo appartamento nel Marais di Parigi, i due sono una coppia bella, libera e felice, non sposata, che vive tra un incontro in mezzo agli intellettuali parigini e una mostra d'arte, un cocktail per una prima e una serata con gli amici. Scrittrice di qualche successo lei, architetto in carriera lui, senza problemi di soldi, di tempo e senza famiglie invadenti a cui dare conto. Insomma, la perfezione che dilata l'amore e rinforza il rapporto. Fino a che Barbara non rimane incinta e comincia il tormentone delle nausee, del vomito, del mal di testa-pancia-schiena, del rischio di aborto, dell'immobilita', della rinuncia a tutto: ad avere una vita di societa', ad andare in moto al lavoro, a vedere le amiche se non quelle incinta anche loro con cui scambiarsi indirizzi di negozi specializzati, di ginecologi, pediatri, cliniche, palestre che preparano al parto. E poi, in mezzo alla coppia, quella neonata, anzi quella bambina-sanguisuga: "piccola creatura dispotica e manipolatrice", che si porta via tutto, ma proprio tutto il tempo, le attenzioni, l'amore, la preoccupazione, il sonno, facendo saltare tutti i parametri, le relazioni, il lavoro, ed anche il rapporto tra i due, aggravato da rancori, silenzi, incomprensioni, nessun aiuto, nessuna condivisione, fino alla rottura. "Niente piu' viaggi in paesi esotici, basta con le serate mondane, sfumate le ambizioni professionali - si legge in quarta di copertina -. Quella giovane donna moderna ed emancipata si ritrova imprigionata nel piu' tradizionale e arcaico dei ruoli femminili: quello di madre. Nessuno l'aveva preparata a questo e, mentre la sua relazione con Nicolas comincia a sgretolarsi, Barbara arrivera' a provare un sentimento di rifiuto nei confronti della figlia che l'ha privata della sua vita", della sua personalita', del suo successo, delle aspirazioni e progetti di un tempo. "Violento, sincero, impudico, spregiudicato, questo romanzo infrange i tabu' dell'essere madre tracciando del 'lieto evento' un quadro molto lontano da quello idilliaco che la societa' tende a imporre". Un vero peccato - e qui romperemo il tabu' che impone alle recensioni di non svelare la fine di un libro - che la nostra Barbara-Eliette, incontrato un nuovo compagno e allacciato un altro rapporto pieno di sogni e speranze, e del riaccendersi di nuove opportunita', non trovi niente di meglio da fare che rimanere incinta di nuovo. 7. MATERIALI. QUALCHE LETTURA ULTERIORE - Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994. - Gregory Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, 1995. - Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, 1984. - Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998. - Judith Butler, Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1997. - Adriana Cavarero, Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995. - Nancy Chodorow, La funzione materna, La tartaruga, Milano 1991. - Ernesto De Martino, La fine del mondo, Einaudi, Torino 1977, 2002. - Diotima, Mettere al mondo il mondo, La tartaruga, Milano 1990. - Alessandra Di Pietro, Paola Tavella, Madri selvagge, Einaudi, Torino 2006. - Barbara Duden, Il gene in testa e il feto nel grembo, Bollati Boringhieri, Torino 2006. - Carol Gilligan, Con voce di donna, Feltrinelli, Milano 1987. - Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, 1989. - Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito, Jaca Book, Milano 1980, 1995. - Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Sellier, Torino 1987. - Juliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo, Einaudi, Torino 1976. - Giuliana Morandini, ... E allora mi hanno rinchiusa, Bompiani, Milano 1977, 1985. - Luisa Muraro, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991. - "Nuova dwf - donnawomanfemme", n. 6-7, gennaio-giugno 1978, Maternita' e imperialismo, Roma 1978. - Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982. - Franca Ongaro Basaglia, Una voce, Il Saggiatore, Milano 1982. - Daniela Padoan, Le pazze, Bompiani, Milano 2005. - Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano 1977, 2000. - Silvia Vegetti Finzi, Il bambino della notte, Mondadori, Milano 1990, 1998. - Silvia Vegetti Finzi, Volere un figlio, Mondadori, Milano 1997, 1999. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 93 del primo ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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