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La nonviolenza e' in cammino. 1433
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1433
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 29 Sep 2006 00:17:10 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1433 del 29 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Ripudia la guerra, costruisci la pace 2. Giuliana Sgrena: La morte afgana 3. Valeria Ando': La nonviolenza delle donne 4. Michelangelo Bovero: La liberta' e i diritti di liberta' (parte terza e conclusiva) 5. Riletture: Alfonsina Storni, Irremediablemente 6. Riletture: Gabriela Mistral, Tala 7. Riletture: Violeta Parra, Canzoni 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. RIPUDIA LA GUERRA, COSTRUISCI LA PACE Ripudia la guerra. Ripudiala tu. Ripudiala adesso. Costruisci la pace. Costruiscila tu. Costruiscila adesso. Smilitarizzazione, disarmo, solidarieta' con le vittime, salvare le vite. La nonviolenza e' la via. 2. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: LA MORTE AFGANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 settembre 2006. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005] L'Afghanistan si sta irachizzando. Due soldati italiani morti in pochi giorni a Kabul, l'ultimo ieri. Kamikaze, autobombe, rapimenti, bombe sulle strade per far saltare i convogli militari, "collaborazionisti" uccisi - come Safia Hama Jan, assassinata a Kandahar. Intanto l'ultima edizione di "Newsweek" celebra con una copertina (diffusa in tutto il mondo, Usa esclusi) la fine dell'Afghanistan e la nascita del Jihadistan, ovvero la terra dei jihadisti (i combattenti per la "guerra santa") nelle zone tribali al confine con il Pakistan. Dopo l'ammissione da parte dell"intelligence Usa che la guerra in Iraq ha alimentato il terrorismo, ora tocca all"Afghanistan. Un altro fallimento finalmente ammesso. Ma gli Usa ne erano gia' coscienti quando hanno ceduto il comando di Enduring freedom (la guerra al terrorismo) alla Nato. Quella distinzione che aveva separato l'Isaf dalle truppe sotto comando Usa non esiste piu'. Taleban e jihadisti si sono subito adeguati estendendo il loro raggio di azione. I soldati britannici si sono schierati nella zona di Helmand dove furono decimati nelle guerre dell'800. Ma gli italiani non rischiano di meno. La situazione e' ulteriormente peggiorata rispetto a due mesi fa quando e' stata rifinanziata la missione: la decisione del ritiro non puo' piu' essere rinviata. Chi si oppone al ritiro afferma che non possiamo abbandonare il paese in questa situazione. Ma questa situazione l'abbiamo creata noi. Con i signori della guerra che imperversano e fanno affari con l'eroina. Senza che sia stata avviata la ricostruzione perche' la maggior parte dei finanziamenti sono finiti ad alimentare la corruzione del governo di Kabul. Gli Usa avevano detto ipocritamente che andavano a liberare le afghane dal burqa: ma le donne continuano a essere assassinate ed e' rinato il Ministero per la prevenzione del vizio e la promozione della virtu'. Si dice che i taleban sono alle porte di Kabul, ignorando che sono al governo, con il beneplacito di Bush. Grazie anche alle elezioni, che per gli Usa sono il toccasana. Ma a fare la voce del padrone erano gia' un anno fa i signori della guerra, responsabili dei peggiori massacri. Chi li ha denunciati non ha avuto ascolto. Questa e' la democrazia made in Usa che dovrebbe sconfiggere il terrorismo? L'Italia nella ricostruzione dell'Afghanistan era incaricata del settore della giustizia e oltre a formare giudici, che potranno applicare la pena di morte e la sharia, ha ricostruito il carcere che dovrebbe diventare la nuova Guantanamo. In questa situazione non e' facile trovare soluzioni. Anche se alcune strade erano state individuate, come la legalizzazione della produzione dell'oppio e il parallelo finanziamento di coltivazioni alternative. Senza la droga (l'Afghanistan ne e' il primo produttore mondiale) i signori della guerra non avrebbero i soldi per pagare le loro milizie e se i giovani che ne fanno parte avessero delle alternative il disarmo sarebbe percorribile. Ma per avviare un nuovo percorso occorre una rottura netta, che puo' avvenire solo con il ritiro di tutte le truppe. Il nostro governo che ci aveva illuso di voler riprendere l'iniziativa in politica estera con il ritiro dall'Iraq, ieri ci ha tolto ogni speranza. Accogliendo l'ordine del giorno della destra che "apprezza lo spirito umanitario e di pace di tutte le missioni internazionali", D'Alema e' tornato quello della guerra umanitaria in Kosovo. Ci ripensi prima che sia troppo tardi. 3. RIFLESSIONE. VALERIA ANDO': LA NONVIOLENZA DELLE DONNE [Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) per averci messo a disposizione il testo del suo intervento alla tavola rotonda su "La nonviolenza delle donne" svoltasi nell'ambito del convegno tenutosi a Pisa dall'8 all'11 settembre 2006 nel centenario della nascita del satyagraha, la proposta di lotta nonviolenta gandhiana. Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di Palermo, e' tra le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo di riflessione e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap (Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne), tutor del laboratorio su "Pensiero femminile e nonviolenza di genere", autrice di molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica, Carocci, Roma 2005] "La nonviolenza delle donne" e' il titolo della nostra tavola rotonda. Qual e' il senso di questa espressione e perche' inserire in un convegno di nonviolenza uno specifico dibattito sulle donne? Mi piace pensare, ed e' questa la mia proposta, che se c'e' una nonviolenza delle donne della quale discutere, e' perche' la nonviolenza e' un percorso di trasformazione di se', del mondo e di se' nel mondo che non e' e non puo' essere neutro, ma che deve essere attraversato dalla differenza di genere. Questa e' la prima idea attorno alla quale vorrei articolare il mio discorso: mostrare cioe' la necessita', che sento urgente, che la nonviolenza assuma un'ottica di genere e renda pertinente la differenza sessuale all'interno del suo impianto strutturale teorico-pratico. Sappiamo quanto il pensiero unico e universale, che si presentava come neutro, in realta' abbia eliso la differenza femminile. L'assunzione di un'ottica di genere, la valorizzazione della differenza sessuale preserva dunque la nonviolenza dal rischio di cancellazione delle differenti specificita'. Proprio perche' filosofia pratica, visione del mondo che si traduce in lotta politica, attraversando la nostra mente, i nostri cuori e i nostri corpi, la nonviolenza non puo' prescindere dalla differenza primaria dalla quale tutti e tutte siamo attraversati. Questa differenza, che elabora a livello culturale il dato biologico, comporta infatti specifici modi di porsi in rapporto alla realta' esterna, di trasformare i vissuti esperienziali, di vivere le relazioni e talora anche di agire politicamente. Non parlo di una visione essenzialista, ma di tratti culturali che permeano la costituzione di identita' di genere, intrecciando vissuti corporei e rappresentazione sociale: elementi tutti che intervengono, e non puo' che essere cosi', quando ci sforziamo di realizzare la nostra scelta di vita nonviolenta, impegnando in essa, integralmente, la nostra persona, anima e corpo. Basti pensare all'ambito piu' proprio della nonviolenza, cioe' la trasformazione creativa dei conflitti: le diverse modalita' di comunicazione, la differente intelligenza e capacita' di messa in parola delle emozioni devono essere tenute nel debito conto in quanto modificano i modi di vivere e gestire i conflitti. Per non parlare poi della necessita' di un approccio di genere nella gestione dei conflitti internazionali, su cui si soffermera' Luisa Del Turco, a partire da esperienze concrete in situazioni belliche e postbelliche. In piu', come osserva opportunamente Lidia Menapace, il secolare conflitto tra i sessi e' ben lungi dall'essere risolto: per questo, mettere a fuoco la differenza di genere consente alla nonviolenza di portare alla luce questo conflitto in tutte le numerose circostanze in cui ancora si manifesta, e quindi dare un contributo costruttivo alla sua gestione consapevole e all'avvio della sua soluzione. * C'e' ancora un motivo per cui mi sembra necessaria l'assunzione di un'ottica di genere all'interno della nonviolenza. Il patriarcato, strumento di dominio che per secoli ha discriminato e oppresso le donne, pur se in parte ridimensionato dai movimenti femminili, che hanno rivendicato spazi di autonomia e di liberta', sia in ambito privato e familiare sia nell'ambito pubblico della politica e dei posti di lavoro, e' tuttavia ancora vivo e pronto a manifestare il suo potere. Esso appare in forma vistosa negli aspetti degenerati della sessualita', quali lo stupro, la pornografia, la prostituzione, ma anche in forma nascosta e insidiosa, in quanto si annida nelle abitudini mentali, nei comportamenti socialmente accettati, nelle dinamiche delle relazioni uomo/donna. Mi pare cioe' che il patriarcato sia uno strumento di violenza che si esplica nei tre modi di cui parla Johan Galtung, cioe' diretta, strutturale e culturale. Proprio per questo, pertinentizzare la differenza di genere consente alla nonviolenza di focalizzare, con lenti appropriate, i modi di espressione del potere maschile, senza nascondimenti ne' silenzi, in quanto, come osserva ancora Galtung "la mancata percezione della realta' del patriarcato nella societa' umana puo' forse essere interpretata nel modo migliore come un esempio di violenza culturale in atto" (Pace con mezzi pacifici, Milano 2000, p. 74). Se il dominio maschile sara' svelato e nominato, allora la lotta di liberazione sara' compito di tutti gli amici e le amiche della nonviolenza, e non solo, come finora e' accaduto, dei movimenti femminili. Inoltre, individuare il genere della violenza, le sue matrici sessuali, a livello storico e antropologico, consente di avere coscienza, per gli uomini e per le donne, delle responsabilita' e delle complicita' del proprio genere di appartenza, e vivere dunque con questa nuova consapevolezza il proprio impegno per la costruzione di una cultura di pace. Per questo sarebbe opportuna l'adozione di una prospettiva di genere nei percorsi di educazione alla noviolenza, sia a livello scolastico sia nei corsi specialistici per operatori di pace. * Il secondo punto che vorrei sviluppare nel mio breve intervento riguarda la valorizzazione del pensiero femminile da parte della nonviolenza. Parlo di pensiero, perche' le pratiche nonviolente delle donne in vari momenti della storia sono gia' oggetto di studio e altre amiche della nostra tavola rotonda le richiameranno, in particolare Angela Dogliotti Marasso. Il pensiero femminile, sia delle grandi maestre sia delle filosofe contemporanee, viene di solito trascurato dalle bibliografie della nonviolen za, mentre invece altre forme di filosofia, per esempio la tradizione orientale, il pensiero della complessita' o certi aspetti dell'economia marxista, vengono considerati utile elemento di confronto. Il volume di Jean-Marie Muller, L'esigenza della nonviolenza, Torino 1994, ha fornito una efficace lettura della riflessione di Simone Weil, individuando in essa elementi di nonviolenza. Si puo' andare avanti lungo questa via, a mio avviso, scoprendo tutta la ricchezza che la filosofia femminile puo' dare al pensiero della nonviolenza. Per fare solo alcuni esempi: la nozione di amore e di perdono in Simone Weil, la "scienza del cuore" di Maria Zambrano, il rifiuto dell'odio e la comprensione umana verso i carnefici in Etty Hillesum, la concezione del potere in quanto "poter fare" in Hannah Arendt; e ancora: la riflessione femminile contemporanea sulla struttura relazionale dell'essere, connessa alla nascita da corpo di donna, sull'etica del dono e della cura, sulla parzialita' e carenza del soggetto, bisognoso dell'alterita' per definire la propria identita' e dunque portato alla "apertura al tu", secondo il linguaggio capitiniano. Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi, e riguardare anche l'elaborazione condotta sulla religiosita' delle mistiche medievali, sulla relazione pedagogica, sull'epistemolgia e la trasmissione del sapere, oltre che naturalmente la concezione della Politica Prima, come viene definita la politica delle donne, intesa, potremmo dire, come "potere di tutti", attenta ai bisogni reali e alle esigenze della vita, realizzata in pratiche di relazioni vive, senza meccanismi di delega. * Proprio la pratica delle relazioni sperimentata all'interno della politica femminile ha fatto emergere la potenziale conflittualita' tra donne, tanto piu' forte nelle relazioni dispari: dal suo superamento, secondo modalita' quali l'affidamento o il riconoscimento di autorita', ne e' derivata una piu' generale competenza delle donne nella gestione della conflittualita', utilizzabile e spendibile in spazi pubblici e politici piu' allargati. Un'ultima precisazione: quello che mi muove non e' certamente uno spirito competitivo, che cerca fratture e opposizioni. Anzi, al contrario, come le altre amiche che partecipano a questa tavola rotonda, sono convinta che la nonviolenza delle donne, se valorizzata nei termini che proponiamo, puo' farsi strumento di una cultura del rispetto, della cooperazione e dell'inclusione di tutte le differenze. Concludo esprimendo il desiderio che nel prossimo futuro non ci sia piu' bisogno di una specifica tavola rotonda sulle donne in un convegno di nonviolenza, perche' il pensiero e la pratica femminili attraverseranno in modo strutturale il pensiero e la pratica della nonviolenza. 4. RIFLESSIONE. MICHELANGELO BOVERO: LA LIBERTA' E I DIRITTI DI LIBERTA' (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Dal sito della Societa' italiana di filosofia politica (www.sifp.it) riprendiamo il seguente saggio di Michelangelo Bovero. Michelangelo Bovero insegna filosofia della politica all'Universita' di Torino ed e' uno degli studiosi piu' acuti della tradizione del pensiero liberalsocialista e dell'antifascismo piu' nitido ed intransigente; discepolo, collaboratore e studioso di Norberto Bobbio, ne prosegue la lezione di rigore intellettuale ed impegno civile. Tra le opere recenti di Michelangelo Bovero: Contro il governo dei peggiori. Una grammatica della democrazia, Laterza, Roma-Bari 2000; Quale liberta'. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Roma-Bari 2004; (a cura di, con Ermanno Vitale), Gli squilibri del terrore. Pace, democrazia e diritti alla prova del XXI secolo, Rosenberg & Sellier, Torino 2006] 5. I diritti di liberta' e i loro nemici Dall'epoca delle prime Carte americane e francesi, il costituzionalismo dei diritti ha conosciuto uno sviluppo straordinario, anche se le infinite contraddizioni e gli orrori della storia degli ultimi due secoli non consentono certo di rappresentarlo come un progresso lineare e costante. E' invalso l'uso di descrivere il corso positivo di tale sviluppo scandendolo in "generazioni" di diritti, via via apparse nelle Costituzioni statali e poi anche in documenti internazionali, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. I diritti di liberta' vengono abitualmente inclusi nella prima generazione insieme ai diritti politici, anche se questi ultimi diventano propriamente diritti di autonomia democratica, cessando di essere privilegio di una classe ristretta di individui, solo con l'istituzione del suffragio universale maschile e femminile, quasi dovunque recente e in ogni caso posteriore al riconoscimento dei diritti di liberta'. La seconda generazione e' costituita dai diritti sociali. Meno univoca da parte degli studiosi l'identificazione della terza, quarta e anche quinta generazione, alle quali vengono variamente assegnati il diritto allo sviluppo, alla pace, a un ambiente non inquinato, alla qualita' della vita, all'integrita' del patrimonio genetico ecc. (40), nonche' i cosiddetti diritti (il bisticcio e' inevitabile) delle generazioni future. Al di la' delle incertezze e delle discussioni dottrinali, non si dovrebbe comunque dimenticare che l'evoluzione dei diritti si e' sviluppata non solo mediante il successivo riconoscimento di nuovi tipi di pretese e rivendicazioni, ma anche attraverso il progressivo arricchimento delle categorie piu' antiche. Anzitutto, come si e' appena osservato, le stesse quattro grandi liberta' dei moderni hanno acquisito dignita' di diritti fondamentali in tempi diversi; inoltre, l'area costituzionalmente protetta di ciascuna di esse si e' via via ampliata e articolata. Si pensi, per esempio, all'estensione che viene ad assumere il diritto alla liberta' personale quando, per il moltiplicarsi di innovazioni scientifiche e tecnologiche, "la persona si diffonde, occupa spazi ben piu' ampi di quelli delimitati dalla sua fisicita'", e conseguentemente si debbono escogitare nuovi mezzi per garantire a ciascuno la libera disponibilita' di se stesso, e non solo del proprio corpo fisico ma anche del "corpo elettronico", costituito dalle informazioni che vengono accumulate nelle varie "banche dati" (41). Si pensi, ancora, alla complessita' raggiunta dal diritto alla liberta' di manifestazione del pensiero in funzione dei mezzi sempre piu' sofisticati, e sempre meno accessibili, il cui uso e' necessario al suo efficace esercizio, e conseguentemente al problema di garantirlo a tutti senza discriminazioni ne' privilegi (42). Insomma, i diritti sono in continuo sviluppo evolutivo: un'evoluzione, per cosi' dire, "dialettica", frenata e insieme stimolata da sempre nuovi ostacoli e difficolta'. Indipendentemente dai ricorrenti tentativi di fondarli sulla "natura" o di dedurli da (presunti) principi "eterni", i diritti "non nascono tutti in una volta. Nascono quando devono o possono nascere. Nascono quando l'aumento del potere dell'uomo sull'uomo, che segue inevitabilmente al progresso tecnico, cioe' al progresso della capacita' dell'uomo di dominare la natura e gli altri uomini, o crea nuove minacce alla liberta' dell'individuo oppure consente nuovi rimedi alla sua indigenza: minacce cui si contravviene con richieste di limiti del potere; rimedi cui si provvede con la richiesta allo stesso potere di interventi protettivi" (43). Ma cosi' come nascono, i diritti possono anche morire. Possono essere contestati e screditati, o semplicemente elusi e calpestati. Possono essere direttamente attaccati e annullati, o indeboliti al limite del soffocamento, o snaturati e svuotati. I diritti delle generazioni piu' recenti sono in gran parte investiti da profonde controversie interpretative, frutto della contrapposizione radicale di concezioni ideali o dello scontro di interessi difficilmente conciliabili (44). Sui diritti sociali e' in corso, fin quasi dalla loro prima nascita positiva, che si fa risalire alla Costituzione di Weimar del 1919, una polemica (non solo teorica, bensi' con evidenti ricadute pratiche) tra coloro che ne difendono il valore di norme precettive e quanti invece tendono a interpretarli come norme programmatiche, la cui at tuazione sarebbe variamente condizionata al verificarsi di contingenze favorevoli di natura economica, e che dunque sarebbero di fatto riducibili, secondo i tempi e i luoghi, a generiche indicazioni non vincolanti o a utopistiche speranze di un futuro migliore. Ma il pericolo piu' grave per i diritti sociali viene dal partito dei loro oppositori irriducibili, da sempre agguerriti e oggi piu' che mai numerosi e poderosi, che ne contestano esplicitamente il valore ideale e mirano a sostituirli con i principi "universal-globali" della competitivita' e della flessibilita'. Si potrebbe pensare che almeno i diritti di liberta', se non altro nella parte di mondo che li ha fatti nascere, siano al sicuro. Il riconoscimento, il rispetto e la garanzia delle quattro grandi liberta' dei moderni e dei diritti specifici a esse riconducibili parrebbero una conquista consolidata degli ordinamenti costituzionali liberal-democratici e della coscienza civile occidentale. Inviterei a non esserne piu' tanto certi. Da qualche tempo i fondamenti della "societa' libera" - i principi di quella che Bobbio ha chiamato "ideologia europea", che si e' via via estesa e ha preteso di divenire universale, appunto l'"ideologia della liberta'" (45) - mostrano inquietanti segni di erosione. A cominciare dalla liberta' piu' basilare, presupposto e precondizione di tutte le altre: la liberta' personale, l'immunita' da arresti arbitrari e da torture, attraverso cui passa il confine tra Stato di diritto e Stato di polizia. Dopo il trauma degli attentati dell'11 settembre 2001, con un Executive Order il presidente degli Stati Uniti George W. Bush "ha cancellato ogni garanzia processuale per quegli stranieri che egli stesso qualifica come responsabili di atti terroristici" (46). La discriminazione cosi' instaurata apre una frattura nella civilta' dei diritti che puo' trasformarsi in un baratro: puo' portare a espellere dal novero delle persone ogni potenziale individuo "sospetto"; puo' indurre a praticare la tortura senza neppure preoccuparsi troppo di nasconderla, e anche a sostenerne la legittimita', come purtroppo e' gia' accaduto negli Stati Uniti; può spingere fasce piu' o meno ampie di opinione pubblica (non solo negli Stati Uniti) a "scambiare liberta' contro sicurezza" (47), ad accettare un diffuso regime di sorveglianza e di censura e ad acclimatarsi in esso, a tollerare l'arbitrio e il sopruso come prassi normale (specie se a subirla sono gli stranieri, i diversi) (48), a fare a meno dei diritti fondamentali, a lasciarli morire. In un circolo vizioso di effetti perversi, corpi di pubblica sicurezza o meglio frange di essi possono sentirsi legittimati anche dal consenso popolare (vero o presunto, piu' o meno fomentato, enfatizzato o addirittura creato dai media; e ancora una volta, non solo negli Stati Uniti) a tenere comportamenti illegali e violenti. A mio avviso, sarebbe quanto meno limitativo ritenere che simili fenomeni e tendenze aberranti, e comunque ingiustificabili, siano interamente ed esclusivamente da imputarsi al clima di tensione globale - terribile ma contingente, ancorche' perdurante in un tempo indefinito - determinato dagli attacchi terroristici e dalla deprecabile reazione bellica che ne e' seguita, e siano pertanto destinati a esaurirsi, prima o poi, insieme a esso. Le radici dell'aberrazione, della crisi della civilta' dei diritti, sono molteplici e non (tutte) contingenti. Non si deve dimenticare, anzitutto, che i fatti del G8 di Genova sono anteriori a quel fatale 11 settembre. E a Genova - come precedentemente a Napoli - furono violate insieme la liberta' personale, la liberta' di riunione e la liberta' di manifestazione pacifica del dissenso (49). Del resto, soprattutto in Italia (ma non solo) e' impossibile non vedere quanto sia avanzata in modo sistematico e multiforme - su altri piani e con mezzi diversi - l'opera di erosione dei principi e diritti specifici di liberta' stabiliti nella Costituzione. Il principio di laicita' dello Stato, su cui si fonda la liberta' di religione, gia' per lungo tempo eluso e svigorito, quando non contraddetto nei fatti e ridotto a un principio "di carta", e' ora apertamente insidiato dal diffondersi di schemi mentali (leggi: pregiudizi) che inducono a identificare e discriminare le persone in base alla (presunta) appartenenza etnico-religiosa, e che purtroppo assecondano l'autoavverarsi della sciagurata profezia dello "scontro di civilta'" (50). Un riflesso di questo fenomeno ideologico si proietta anche sulle politiche per la scuola (ma sarebbe meglio chiamarle politiche contro la scuola pubblica e laica); le quali peraltro sembrano frutto di una paradossale mescolanza tra (filo)confessionalismo tradizionale e spregiudicatezza aziendalistica ipermoderna, fattori a prima vista eterogenei dalla cui connivenza la liberta' di insegnamento rischia di essere snaturata e travolta (51). Ancora peggiore, se possibile, il destino della liberta' di informazione, ormai trasformata da diritto di tutti in privilegio di pochi, anzi propriamente in un potere oligarchico (52). * 6. La societa' aperta ai poteri selvaggi Uno degli aspetti piu' complessi e allarmanti del processo di erosione e svuotamento della civilta' dei diritti e' proprio questo. Per un verso, alcuni diritti di liberta', alcune (sfere determinate di) liceita' o facolta' di scelta e azione che le Costituzioni attribuiscono - come permessi in senso forte - a tutti in quanto persone o cittadini, e che dovrebbero essere a tutti garantiti contro qualunque interferenza, impedimento o costrizione, cioe' contro ogni potere, a causa della crescente ineguaglianza nella distribuzione oggettiva dei mezzi piu' efficaci per la loro fruizione tendono a trasformarsi in privilegi; per l'altro verso, l'esercizio di tali liberta', di fatto privilegiato grazie alla concentrazione di mezzi, cioe' di poteri, nelle mani di alcuni individui (o gruppi), si traduce nella limitazione e nel condizionamento delle liberta' di fatto e di diritto di molti altri individui. Il potere inteso come possibilita' soggettiva di (possesso dei mezzi per) esercitare un certo diritto di liberta', ossia il "potere di" fare cio' che e' permesso fare, reso privilegio di pochi, diventa potere di restringere le liberta' altrui, ossia diventa "potere su" altri soggetti, in quanto ne condiziona e ne indirizza scelte e comportamenti di ogni tipo (53). Gli effetti di questo squilibrio tra l'eguaglianza nei diritti e la diseguaglianza nei poteri ricadono su tutto il sistema delle liberta'. Per dirlo in modo sintetico, impreciso ma intuitivo: certe liberta' si trasformano in poteri (di alcuni) che limitano le liberta' (di molti). Ma non solo: questi poteri si presentano semplicemente come liberta', occultando l'effetto di restrizione delle liberta' altrui che consegue dal loro esercizio, e come tali si appellano alla protezione costituzionale per non subire limitazioni normative (54). Cio' vale in tutta evidenza per molte dimensioni della liberta' di manifestazione del pensiero, ma vale in forma ancor piu' evidente per le cosiddette liberta' economiche, per la liberta' di impresa, in generale per la (le) liberta' di mercato. Al fine di mettere a fuoco il problema, ricercarne le cause e delinearne possibili rimedi, sarebbe opportuno riconsiderare in una prospettiva diversa la storia del costituzionalismo e del liberalismo. In questa sede non posso che limitarmi ad alcune note inevitabilmente brevi. Il costituzionalismo liberale, al cui successo dobbiamo la conquista e il progressivo arricchimento delle liberta' dei moderni, aveva in origine come scopo eminente quello di limitare l'estensione del potere politico, far "arretrare" lo Stato dalla societa' fino a ridurlo ai minimi termini, liberando le azioni e interazioni individuali da vincoli, imposizioni, interferenze della volonta' collettiva. Abbandonata ogni pretesa di esercitare un'auctoritas spirituale e un dominium materiale, nella sua pura forma residuale di monopolio della forza lo Stato avrebbe avuto il solo compito di mantenere libere, mediante l'imperium della legge, ovvero con norme generali di condotta, le attivita' individuali e le relazioni intersoggettive: libere da violenze, sopraffazioni, torti. Cioe' il compito di impedire a chiunque di impedire la liberta' spirituale e materiale di ciascuno. Per ottenere lo scopo occorreva non solo abolire vecchie imposizioni dello Stato sugli individui, ossia creare spazi di silentium legis, e al tempo stesso proteggere con leggi coattive le sfere di liberta' cosi' istituite per ogni individuo da arbitrarie lesioni di altri individui, ma anche imporre nuovi limiti allo Stato medesimo. I primi e principali limiti al potere dello Stato, proclamati nelle Dichiarazioni che hanno inaugurato il costituzionalismo moderno, furono per l'appunto i diritti di liberta'. Ma perche' valessero davvero come limiti e non ricadessero in balia dell'arbitraria volonta' del potere politico (in democrazia, del mutevole fluttuare delle maggioranze) sarebbe stato necessario non solo proclamarli bensi' fissarli in norme superiori alla stessa legge: cio' che fu conseguito soltanto con l'avvento delle Costituzioni rigide. Di fronte allo Stato minimo, meta e modello regolativo del costituzionalismo liberale - uno Stato non piu' padre-padrone, perche' privato della cura delle convinzioni religiose o morali e delle attivita' economiche dei sudditi -, gli individui sono rappresentabili almeno idealmente come liberi soggetti di scelta e di azione, vincolati soltanto al rispetto della legge che impone a ciascuno di non far torto agli altri e di rispettare le liberta' di tutti: dunque, entro questi limiti, liberi di concepire proprie credenze, valori, preferenze, scopi e di ricercare e perseguire a proprio talento cio' che ciascuno ritiene essere il suo bene o il suo utile. Senonche', non basta minimizzare lo Stato per minimizzare il potere, e di conseguenza massimizzare le liberta': nello spazio lasciato libero da imposizioni della volonta' collettiva, e presidiato dai diritti di liberta' contro gli abusi dello stesso potere politico, nascono e crescono le differenze tra gli individui nel possesso di capacita' e di mezzi, e quindi si instaurano altri tipi (e soggetti e rapporti) di potere, non piu' pubblici ma privati. Il primo, adottando uno schema di Bobbio (55), e' il "potere economico", che si esercita su individui considerati come strumenti o fattori di produzione di beni e servizi, mediante il controllo delle risorse materiali a essi necessarie o utili; il secondo e' il "potere ideologico", che si esercita su individui considerati come menti orientabili nel giudizio sul vero e sul falso, sul bene e sul male, mediante il controllo di idee e conoscenze e dei canali di diffusione di notizie e opinioni, cioe' dei mezzi di informazione e persuasione. Contro i possibili effetti illiberali dell'esercizio di questi poteri - effetti di restrizione o svuotamento delle liberta' altrui - e contro i loro intrecci e sinergie, il costituzionalismo liberale non e' riuscito a erigere una barriera paragonabile a quella costruita contro il potere politico. Non ha affrontato adeguatamente l'esigenza di impedire, almeno, che l'inevitabile formarsi di diseguaglianze nei mezzi, ossia nel potere di fruizione delle liberta' di fatto e di diritto, si traduca in limitazioni e condizionamenti morali e materiali all'eguale godimento ed esercizio, da parte di tutti, dei diritti di liberta' (come di altri diritti fondamentali, in primo luogo dei diritti politici): l'esigenza, cioe', di impedire che pochi privilegiati esercitino di fatto un potere su molti soggetti (in vario grado) non privilegiati restringendone gli spazi di scelta e indirizzandone i comportamenti. Anzi: da qualche decennio nel linguaggio corrente e' invalso l'uso di designare come "liberale" o "neoliberale" un orientamento e un programma politico che punta ad allentare progressivamente, se non ad abolire, quasi ogni sorta di regole e di vincoli giuridici all'agire economico, favorendo con cio' lo sviluppo di poteri ("di" e "su") tendenzialmente illimitati - quelli che Luigi Ferrajoli ha chiamato "poteri selvaggi" (56) -, in grado come tali di eludere o snaturare o travolgere qualunque sistema di garanzie per i diritti fondamentali, anche e in primo luogo per i diritti di liberta', e di farlo in nome della liberta', secondo la retorica ingannevole di cui parlavo all'inizio (57). Ma la liberta' senza legge e' semplicemente la condizione in cui prospera il diritto del piu' forte. E' la liberta' del lupo. La radice del paradosso va cercata nella duplicita' delle anime del liberalismo classico. In un saggio di alcuni anni or sono, Ralf Dahrendorf distingueva chiaramente due dimensioni della concezione liberale: la teoria del libero mercato e la teoria dei diritti fondamentali di liberta' (58). Per un verso, il liberalismo mira a stabilire le condizioni che consentono l'esercizio di una "liberta' non ristretta" da parte dei soggetti economici, ovvero permettono agli individui di agire sul mercato seguendo "i propri interessi naturali" in regime di concorrenza; per l'altro verso, mira a preservare gli individui dagli abusi del potere politico fissando in norme costituzionali i "diritti civili" (59), ovvero le grandi liberta' dei moderni. Dahrendorf osservava inoltre che le due anime del liberalismo sono da sempre in tensione. Nonostante gli infiniti tentativi di conciliarle e anzi di rivendicarne l'indisgiungibilita' e l'armonia, la tensione permane, e non puo' non volgersi in contraddizione (e in scontro) se si pretende che la (cosiddetta) liberta' di mercato sia posta sullo stesso piano dei diritti fondamentali di liberta': cioe' se non si vede che quella non puo' ledere questi, e questi sono (debbono valere come) i limiti principali di quella. Con le espressioni "liberta' di mercato" o "libero mercato" si fa comunemente riferimento alla liberta' di scambiare beni e servizi mediante l'esercizio della potesta' contrattuale, implicita nell'istituto della proprieta' privata (60); ovvero al diritto di acquisire e disporre autonomamente di beni, ossia di diventarne proprietari (che non e' da confondere con il diritto reale di proprieta') (61); nonche' alla liberta' di iniziativa economica - quale e' riconosciuta e, bisogna aggiungere, esplicitamente limitata dall'art. 41 della Costituzione italiana -, cioe' alla facolta' di destinare capitali a impieghi produttivi, cui e' connessa la liberta' di concorrenza come assenza di impedimenti a entrare nello spazio del mercato, e delle liberta' di mercato, in condizioni di formale parita'. Ma la sfera di liceita' in cui consiste la (consistono le) liberta' di mercato incontra necessariamente un limite: non tutto si puo' comprare e vendere. I diritti di liberta' - come tutti i diritti fondamentali in quanto tali, compresi quelli di autonomia privata e pubblica (62) - sono costitutivamente (e costituzionalmente) indisponibili, sono cioe' sottratti al mercato, allo stesso modo e per la stessa ragione per cui sono sottratti alle decisioni del potere politico. Come nessun potere pubblico può legittimamente privare un individuo delle sue liberta' costituzionali, cosi' nessun potere economico privato puo' acquistare i diritti di liberta' (e gli altri diritti fondamentali) di un individuo, ne' quest'ultimo puo' venderli. Le liberta' fondamentali sono state riconosciute e qualificate fin dall'origine, nella dottrina giusrazionalistica che ha gettato le basi teoriche del costituzionalismo, come "inalienabili" (63). Se la (logica della) liberta' di mercato, che si fonda sulla alienabilita' di cio' che rientra nella propria sfera, si estendesse di fatto senza limiti, assegnando a tutto un prezzo - al corpo umano come al pensiero, e al voto -, fagociterebbe ogni diritto di liberta' e, al limite, se stessa. Per converso, i diritti di liberta' sussistono come tali soltanto alla condizione che venga protetta e garantita la loro "liberta' dal mercato" (e parimenti dalle decisioni del potere politico). Il pensiero liberale classico ci ha insegnato a guardare sempre con sospetto al potere politico, a diffidare anche del potere democratico, legittimato dal consenso della maggioranza, temendo che il suo esercizio possa restringere gli spazi di liberta' individuale, i diritti attribuiti a tutti. Di qui, la ricerca di vincoli e di garanzie costituzionali sempre piu' rigorose. All'opposto, il pensiero democratico ci ha insegnato a diffidare dell'espansione incontrastata delle liberta' dei privati, temendo che da essa potessero provenire alterazioni all'equilibrio del gioco politico. Di qui, la ricerca di vincoli e strategie per evitare, come diceva Rousseau, che qualcuno diventi tanto ricco da poter comprare il voto di un altro, o qualcuno tanto povero da volerlo vendere. Oggi par di vivere in un mondo (duplicemente) capovolto. L'indirizzo politico sedicente "liberale", la' dove ha conquistato la maggioranza dei consensi, mira all'abolizione "democratica" di vincoli e controlli di ogni genere, innalzando a supremo valore e fine da perseguire quella che Kant chiamava "liberta' selvaggia". In qualche parte del mondo, in qualche bel paese, ha cominciato col costruire per essa una strana "Casa", accogliendovi soggetti d'ogni specie, origine e provenienza, e ha messo in esecuzione il suo disegno con modi incredibilmente spavaldi e sfrontati. Alcuni esiti possono essere anche grotteschi e tragicomici: come quelli di trasformare per via legislativa, in rappresentanza della volonta' popolare, certe forme di condotta illecita in comportamenti leciti o meno illeciti (depenalizzazione del falso in bilancio), o piu' difficilmente perseguibili (legge sulle rogatorie e provvedimenti di garantismo "peloso"), o in vario modo e grado sottraibili al giudizio della magistratura (legittimo sospetto, immunita' per le alte cariche). Tutto questo e molto altro - e ben peggio: attentati all'indipendenza e autonomia della magistratura, programmi di travolgimento dell'equilibrio dei poteri, di legalizzazione delle deformazioni oligopolistiche del mercato e di costituzionalizzazione delle patologie demagogico-plebiscitarie del gioco politico - in nome della liberta' e della democrazia: in virtu' di un potere democratico che dichiara di voler finalmente instaurare il regno della liberta'. Quale liberta'? Dell'agnello o del lupo? Qualche personaggio di contorno, incline alla retorica apologetica della liberta' sans phrase, ricorre abitualmente alla celebre formula di Popper: "societa' aperta". Senza accorgersi, forse, che sta tessendo le lodi di una societa' aperta ai poteri selvaggi. * Note 40. Moltissimi "nuovi diritti" sono stati riconosciuti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000. 41. V. infra il contributo di S. Rodota', pp. 42, 49. 42. Un problema non solo irrisolto, ma sempre piu' difficile da affrontare. V. infra il paragrafo finale del contributo di A. Pizzorusso, e le puntuali analisi, con conclusione scettica, di A. Di Giovine. 43. Bobbio, L'eta' dei diritti cit., p. XV. 44. Alludo, ad esempio, da un lato alle questioni di bioetica, dall'altro alle questioni ambientali. 45. N. Bobbio, Grandezza e decadenza dell'ideologia europea (1986), ora in Teoria generale della politica cit., cap. XII.1, pp. 604-18. Precisa Bobbio: "Preferisco parlare di ideologia piuttosto che di 'ideale', perche' la parola 'ideologia' non esclude, anzi implica la falsa coscienza, e, per ragioni opposte, piuttosto che di 'mito', perche' l'idea dell'Europa come patria dei governi liberi non si regge soltanto su una falsa coscienza" (ivi, p. 606). 46. S. Rodota', infra, p. 54. 47. S. Rodota', infra, p. 38. 48. Giustamente Luigi Ferrajoli insiste (infra, pp. 182 ss.) sul carattere razzista della cultura politica che ispira i provvedimenti contro l'immigrazione. 49. V. infra il contributo di V. Paze'. 50. V. infra il contributo di E. Vitale. 51. V. infra il contributo di M. Vigli. 52. L'art. 21 della Costituzione italiana inizia con la parola "tutti": "Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero...". Ma se riferita alle forme di manifestazione del pensiero che comportano costi elevatissimi, fa osservare A. Di Giovine (infra, p. 131), "quella parola non puo' che significare 'pochissimi'". Nei termini dell'analisi che ho qui proposto all'inizio, e' evidente che l'espressione "hanno il diritto" , contenuta nel testo costituzionale, significa "hanno il permesso", ovvero la possibilita'-liceita' in cui propriamente consiste un diritto di liberta', un permesso (in senso forte) che e' effettivamente conferito a tutti; nella lettura suggerita da Di Giovine la medesima espressione e' intesa come equivalente ad "hanno i mezzi", ovvero la possibilita' soggettiva o potere materiale, mezzi che di fatto sono posseduti da pochissimi. Per tutti gli altri, quel diritto di liberta' e' (non gia' assente ma) vuoto. 53. V. supra, nota 11, in fine. 54. In questo senso A. Di Giovine (infra, p. 122) parla di un "gioco di specchi tra liberta' e potere". 55. Cfr. Bobbio, Teoria generale della politica cit., pp. 104-105, 167-72. 56. Cfr. L. Ferrajoli, Garantismo e poteri selvaggi, in "Teoria politica", XIV, 1998, 3: "L'espressione 'poteri selvaggi' chiaramente allude a quella 'liberta' selvaggia e sfrenata' di cui parla Kant nella Metafisica dei costumi come della condizione sregolata propria dello stato di natura, ossia in assenza del diritto, opposta a quella propria dello 'stato giuridico' o di diritto" (p. 11). Ferrajoli distingue quattro classi di poteri selvaggi: la terza e' quella dei "poteri privati di tipo extra-legale", come "i macropoteri economici che, in assenza di limiti e di controlli legali, tendono a svilupparsi secondo dinamiche proprie (...). Il solo principio di legittimazione e insieme di regolazione di questi poteri, oggi in grande espansione grazie alle attuali tendenze allo smantellamento della sfera pubblica, e' quello del libero mercato, ossia del mercato sregolato e selvaggio, assunto dall'odierna ideologia liberista a nuova Grundnorm dei sistemi politici" (p. 14). Tali poteri, aggiunge Ferrajoli, "in quanto extra-legali, sono insofferenti nei riguardi della normazione, sia essa legislativa o costituzionale" (p. 15). 57. Ma c'e' di peggio: questo programma di de-regolazione, presentato come imperativo imprescindibile della globalizzazione, ha finito col contaminare quasi tutti gli indirizzi e orientamenti politici, anche quelli sedicenti di sinistra. 58. R. Dahrendorf, Liberalismo radicale, in "Libro aperto", 29/30, 1985. Me ne sono occupato analiticamente in Contro il governo dei peggiori cit., pp. 89-93. 59. Cosi' Dahrendorf chiama, seguendo un uso consolidato, i diritti di liberta'. Nella classificazione dei diritti fondamentali proposta da Luigi Ferrajoli, che accolgo e invito ad adottare, sono invece designati come "diritti civili", ascritti a tutte le persone capaci d'agire indipendentemente dalla cittadinanza, "tutti i diritti potestativi nei quali si manifesta l'autonomia privata e sui quali si fonda il mercato", quali la potesta' negoziale, la liberta' contrattuale, la liberta' imprenditoriale, ecc. I "diritti civili", insieme ai "diritti politici" che spettano ai soli cittadini capaci d'agire e consistono in diritti di autonomia esercitati tramite atti pubblici come e' tipicamente il voto, sono chiamati da Ferrajoli "diritti secondari" e come tali distinti dai "diritti primari" spettanti a tutti indipendentemente dalla capacita' d'agire, nei quali sono compresi i "diritti di liberta'" e i "diritti sociali". Cfr. L. Ferrajoli et al., Diritti fondamentali, a cura di E. Vitale, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 7-8, 282-88. 60. Tradizionalmente definita come ius utendi et abutendi re sua et excludendi alios. 61. Cfr. Ferrajoli et al., Diritti fondamentali cit., pp. 12-18 e passim. 62. Cfr. supra, nota 59. 63. Cfr. infra il contributo di S. Rodota', p. 46. (Parte terza - Fine) 5. RILETTURE. ALFONSINA STORNI: IRREMEDIABLEMENTE Alfonsina Storni, Irremediablemente, Sociedad editora latino americana, Buenos Aires 1964, pp. 96. Da questo suo libro di versi del 1919 sgorga perenne la dolcissima e straziante musica, la straziata soave umanita' di Alfonsina Storni. 6. RILETTURE. GABRIELA MISTRAL: TALA Gabriela Mistral, Tala, Editorial la montana magica, Barcelona 1985, pp. 164. In questa raccolta di versi del 1938 si dispiega e risplende la visione, il canto, l'anima della poetessa del dolore e dell'amore universali. 7. RILETTURE. VIOLETA PARRA: CANZONI Violeta Parra, Canzoni, Newton Compton, Roma 1979, pp. 240. A cura e nella traduzione di Ignazio Delogu (ma occorreva un'accurata revisione delle bozze, che palesemente manca), con un'introduzione di Patricio Manns e una discografia curata da Hugo Arevalo, una scelta delle canzoni della grande ricercatrice, musicista, poetessa, militante, figura esemplare dell'avventura e della dignita' dell'umanita' intera. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1433 del 29 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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