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La nonviolenza e' in cammino. 1421
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1421
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 17 Sep 2006 00:27:08 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1421 del 17 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. "Azione nonviolenta" di agosto-settembre 2006 2. Fatema Mernissi: La priorita' 3. Antonino Drago: Un progetto di intervento nonviolento 4. Giuliana Sgrena: Iraq, la tragedia quotidiana 5. Umberto Santino: Alcuni punti per una strategia antimafia 6. Una proposta da Pisa 7. Angelo d'Orsi presenta "Il filo e le tracce" di Carlo Ginzburg 8. Riletture: Francesco Gabrieli (a cura di), Storici arabi delle Crociate 9. Riedizioni: Francesco Guicciardini, Opere 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI AGOSTO-SETTEMBRE 2006 [Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: an at nonviolenti.org) riceviamo e volentieri diffondiamo] E' uscito il numero di agosto-settembre 2006 di "Azione nonviolenta", rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. * In questo numero, monografico sul Servizio civile volontario: La nonviolenza e' il cuore del servizio civile, Elena Buccoliero intervista Daniele Lugli; Il servizio civile, tutto da progettare. Per ripensare Enti e volontari. Nuove regole e nuova cultura, di Claudia Pallottino; Dieci obiezioni di coscienza ad alcuni aspetti del nuovo sistema di servizio civile, di Elena Buccoliero; Formare alla nonviolenza. Una riflessione, di Pasquale Pugliese; Pierre Ceresole, 1879-1945. Un pioniere del volontariato; Il servizio civile al Movimento Nonviolento, Elena Buccoliero intervista Raffaella Mendolia ed Irene Valente; L'anno di volontariato sociale, una radice invisibile del servizio civile nazionale, di Claudia Pallottino; E se da "volontario" diventasse "obbligatorio"? Le diverse prospettive delle istituzioni e dei movimenti, a cura di Elena Buccoliero; Lettera al Ministro Paolo Ferrero sul servizio civile al Movimento Nonviolento, di Daniele Lugli e Mao Valpiana; Lettera aperta dei movimenti nonviolenti al governo sulla difesa popolare nonviolenta e sul servizio civile. E le consuete rubriche: Educazione. Una comunicazione che arricchisce la vita, a cura di Pasquale Pugliese; Disarmo. Via le bombe da Aviano, a cura di Massimiliano Pilati; Economia. Le chiese protestanti preferiscono la finanza etica, a cura di Paolo Macina; Per esempio. Donne che vogliono la pace per la prosperita' della Cambogia, a cura di Maria G. Di Rienzo; Musica. Voci femminili cantano la pace, a cura di Paolo Predieri; Movimento. Se vuoi la pace finanzia la pace, a cura della redazione; Libri. Idee e pratiche della nonviolenza, a cura di Sergio Albesano. In copertina: Il passato crea il futuro. In ultima: Euromediterranea 2006. * Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail a: an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". 2. MAESTRE. FATEMA MERNISSI: LA PRIORITA' [Da Fatema Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, Firenze 2002, p. 198. Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale di forte impegno civile, impegnata per i diritti delle donne, per la democrazia e i diritti umani di tutti gli esseri umani, docente universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Il sito internet di Fatema Mernissi e' www.mernissi.net] Nessun movimento di sinistra nel mondo arabo puo' offrire un'alternativa valida se non fa della smilitarizzazione una priorita' della regione. 3. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: UN PROGETTO DI INTERVENTO NONVIOLENTO [Ringraziamo Tonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per questo intervento. Antonino (Tonino) Drago, nato a Rimini nel 1938, e' stato il primo presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile non armata e nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Storia e tecniche della nonviolenza, La Laurenziana, Napoli 2006] In questi giorni si discute se sia possibile un intervento sulla guerra del Libano, che sia rigorosamente nonviolento, al di fuori dell'intervento militare. Quali finanziamenti? Quale reclutamento? Quale strategia? La fattibilita' di questo tipo di intervento e' facilmente dimostrabile, ma sulla base di informazioni che il grande pubblico ignora. Questa distanza informativa rende piu' difficile tutto il dibattito attuale. * Quali finanziamenti? Verrebbe subito da pensare alle centinaia di milioni destinati all'intervento armato; almeno una piccola percentuale (facciamo l'1%? 60 milioni?) potrebbe essere destinato ad interventi chiari e sicuramente propositivi per la pace. Ma siamo piu' modesti: pensiamo alla cooperazione e ricostruzione: sono 30 milioni di euro che andranno anche alle Ong; vogliamo porre l'intervento per la pace come uno degli interventi di una Ong? Ma anche senza porsi contro quanto i militari ritengono indispensabile per il loro intervento, e anche senza sottrarre risorse preziose alla popolazione libanese, ricordiamo piuttosto che lo Stato italiano, unico al mondo, ha stanziato gia' un milione di euro per interventi di pace esattamente sotto la voce "Difesa popolare nonviolenta", cioe' per la strategia di intervento contro la guerra e per la pace che il movimento degli obiettori e le associazioni nonviolente hanno promosso da alcuni decenni in Italia, anche con una lunga campagna di disobbedienza civile (obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta); e che ha raggiunto i suoi obiettivi politici di: 1) una nuova legge sull'obiezione di coscienza (legge 230/1998); 2) una prima istituzione statale di difesa alternativa (l'Ufficio nazionale per il servizio civile (in sigla: Unsc) con un Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta (in sigla: Comitato Dcnanv), istituito con un decreto del 18 febbraio 2004); 3) e, in parte, l'opzione fiscale a favore della difesa alternativa (per completare la quale la campagna continua ancora). Questo milione di euro e' quanto e' stato assegnato negli anni 2004, 2005 e corrente dall'allora ministro Giovanardi, tramite l'Unsc, al Comitato Dcnanv. Il quale inopinatamente, dopo la mia presidenza, ha deciso di non utilizzarlo; ma che, moralmente e politicamente, e' da stornare, in questo caso di necessita' per interventi di pace di interesse internazionale, dal bilancio di oltre 200 milioni di euro dell'Unsc. Cioe' esattamente per quegli interventi di difesa alternativa per cui la Corte Costituzionale (con pronunciamento 224/2004) ha deciso che il servizio civile deve restare competenza dello Stato e non delle sole Regioni; finora l'Unsc non ha preso iniziative concrete in questo senso; le Regioni avrebbero tutto il diritto di reclamare la sottrazione del servizio civile allo Stato, vista la sua inadempienza al suo compito istituzionale. Inoltre i finanziamenti possono essere trovati (non solo da quelli della missione militare) da altre fonti che vedremo nel seguito. Ma la cifra precedente ci e' utile per darci un ordine di grandezza (stabilito dallo Stato stesso) sul quale ragionare. Tenendo presente che il costo di un volontario Onu e' di circa 35.000 euro l'anno, possiamo pensare all'invio di qualche decina di persone: un numero consistente per una presenza significativa che sia esperienza efficace come primo impegno di interposizione organizzato dallo Stato. * La gestione. L'indicazione di finanziamento suddetta ci ricorda anche che il quadro normativo in Italia e' gia' stabilito. Per le varie sentenze della Corte Costituzionale (la prima, la 164/85) la difesa non armata e' equivalente alla difesa armata; ed ha come riferimento principale il servizio civile. L'Unsc e' stato istituito in questa funzione, secondo la legge precedente (che all'art. 8 prevedeva la istruzione e la sperimentazione degli obiettori ad una "difesa civile non armata e nonviolenta") e secondo la legge sul servizio civile che e' succeduta per istituire il servizio civile volontario (all'art. 1, lettera a, prevede che il servizio civile contribuisca alla difesa della Patria con mezzi ed azioni non militari). Percio' e' il Ministro della solidarieta' sociale che ha la giurisdizione di questo tipo di intervento e l'Unsc, attraverso il suo direttore (Diego Cipriani, di fresca nomina e di lunga militanza a sostegno della Difesa nonviolenta) il responsabile organizzativo statale. * Quale reclutamento? Non c'e' solo il bacino potenziale delle 800.000 persone che negli anni passati sono state obiettori al servizio militare. Oltre alle tantissime persone che nel passato hanno compiuto esperienze di interposizione nonviolenta con organismi privati (basti ricordare i circa 1.500 di "Time for peace"1989 o i 500 a Sarajevo del 1992 o i serviziocivilisti della Caritas, la quale da anni riceve un finanziamento dall'8 per mille della Cei per interventi di Difesa nonviolenta). L'opinione pubblica non sa che da anni ci sono corsi formativi ad alto livello per questo tipo di intervento. Non mi riferisco ai corsi del S. Anna di Pisa con il Centro militare studi strategici, di Roma 3 con la Scuola di Guerra di Civitavecchia, e di Torino, che sono rivolti piu' alla formazione per il Cimic, il settore civile dell'intervento militare, istituito per accordi Nato. Mi riferisco al corso di monitoraggio del Centro studi per i diritti umani e dei popoli del professor Papisca, che in collaborazione con una decina di universita' europee ha formato un centinaio di persone; ai corsi di laurea in Scienze per la pace dell'Universita' di Pisa e in Operazioni di pace che ormai hanno laureato molte decine di persone; ai corsi professionali per mediatori di pace istituiti dalla Provincia autonoma di Bolzano, e dalle Regioni Piemonte, Toscana, Marche e Campania, piu' il Comune di Bertinoro, che hanno formato almeno un 150 persone. E' da notare che il servizio civile della Provincia di Bolzano e' finalizzato anche ad interventi di pace. Infine la commissione internazionale Giustizia, pace e integrita' del creato dei francescani ha stabilito nel gennaio scorso di costituire un gruppo di francescani per l'interposizione nonviolenta nei conflitti... Il bacino di reclutamento e' quindi abbastanza ampio da garantire la risposta di persone qualificate per ben di piu' del numero suddetto; si potrebbe arrivare a varie centinaia senza problemi. * Quale gestione? Un corpo di intervento non molto grande come quello suddetto, ha comunque bisogno di una struttura di responsabilita' e di operativita'. Il professor Alberto l'Abate, responsabile dei volontari in Medio Oriente che nel 1992 si opposero a Bagdad alla guerra, ambasciatore volontario di pace per due anni a Pristina e attuale presidente della associazione italiana per l'interposizione nonviolenta (Ipri-Ccp) e' il referente naturale. Per l'operativita', in Italia non c'e' persona che abbia piu' esperienza e polso di don Albino Bazzotto, figura centrale dei Beati i costruttori di pace, un gruppo che piu' di ogni altro ente privato e' intervenuto politicamente nella guerra della ex-Jugoslavia e in Africa. Ci si puo' chiedere perche' un prete debba gestire una missione statale di pace. La risposta e' molto semplice: puo' rendersi libero per mesi dal lavoro di sussistenza senza averne conseguenze devastanti. Oggi non esiste una legge che conservi il posto di lavoro a chi compie iniziative del genere. Questo e' il maggior punto debole, dal punto di vista organizzativo, di un corpo di intervento nonviolento. Ma c'e' una proposta di legge della on. Valpiana, sulla cui base il governo potrebbe finalmente liberare le energie necessarie per rispondere alla domanda che tutti hanno nelle orecchie: Ma che fanno i pacifisti? Per ora sono costretti ad assentarsi non piu' che per il periodo delle ferie; altra cosa sarebbe se potessero farlo per un anno conservando il posto di lavoro in un ente pubblico o privato. * Per fare che cosa? Cruciale e' l'obiettivo di non partigianeria (meglio che di equidistanza). Cioe' di porsi dalla parte del piu' debole, affinche' rinascano le condizioni per il dialogo e la trattativa. In questo caso l'indirizzo e' chiaro: intervenire non tanto nel Libano, luogo finale e strumentale di uno scontro che invece nasce in Israele e Palestina. E' qui che occorre attenuare le cause fino a superarle, per evitare che il conflitto, se non e' preso dall'origine, proceda a cascata e si generalizzi ad un intero quadro regionale. E' chiaro a tutti che i rapporti Israele-Palestina sono in una sofferenza enorme e sono il motivo giustificativo di ogni atto bellico anche mostruoso (oltre che destabilizzante il diritto internazionale). Un primo intervento di interposizione non puo' certo operare un brusco cambiamento, ma puo' dare una direzione di inversione nei rapporti attuali tra le popolazioni rispettive. Quel gruppo di persone che si puo' inviare subito dovrebbe porsi come garante dei diritti umani nei posti di blocco che attualmente sono il punto di scontro umano piu' drastico che esista in questo conflitto; che e' il piu' drastico perche' e' permanente e non fa morti, che poi per la vita quotidiana non incidono piu'; ma fa ferite di odio profondo e di disumanita' che poi pesano per almeno cinquant'anni, tutta una vita umana, e quindi rendono sempre meno vicino un punto di riavvicinamento per una convivenza solidale su degli obiettivi comuni. Ma per intervenire in questo modo occorre che il ministro degli esteri italiano tratti con Israele: qui c'e' il nodo politico di questo tipo di intervento: che ci sia una copertura da parte dello Stato Italiano non solo in termini burocratici e finanziari, ma anche progettuali, secondo le indicazioni ormai acquisite dalla esperienza internazionale per intervenire sulle cause di questo conflitto. * Ritorniamo adesso al finanziamento. Una volta che si costituisca un corpo del genere per gli scopi stabiliti sarebbe facile ricevere offerte anche private per mettere in piedi questa iniziativa concreta per un nuovo tipo di intervento, specificamente e luminosamente per la pace. Per il Kosovo lo Stato chiese offerte; quanto piu' e in maggiore quantita' le potrebbe ottenere affinche' ricominci un chiaro processo di pace a Gerusalemme! Tanto piu' che per legge l'Unsc puo' accettare donazioni di privati sulla voce specifica della Difesa popolare nonviolenta. Allora anche la somma su cui abbiamo ragionato si espanderebbe di molto e si potrebbe pensare all'intervento di centinaia di persone. * Quindi le vie amministrative e giuridiche sono gia' pronte. E' questione solo di volonta' politica; in particolare del ministro della solidarieta' sociale, che potrebbe giocare un ruolo decisivo per lo sviluppo di una difesa alternativa in Italia e anche all'estero; per di piu' con una collaborazione internazionale: la Spagna il 30 novembre 2005 ha approvato una legge sulla promozione di un cultura di pace al cui articolo 8 lo Stato spagnolo si impegna a "promuove le esperienze di costruzione della pace in zone di conflitto". 4. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: IRAQ, LA TRAGEDIA QUOTIDIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 settembre 2006. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005] Tutti gli occhi sono puntati sul Libano, l'Iraq non fa piu' notizia. Nonostante il massacro di cento persone al giorno, secondo la stima delle Nazioni Unite. Cosi' e' stato anche ieri, 32 vittime di autobombe e mortai. Ma la scoperta piu' raccapricciante era avvenuta nella notte con il ritrovamento di 65 cadaveri che portavano segni di torture praticate prima del colpo di arma da fuoco mortale. La guerra sporca degli squadroni della morte non ha piu' quartiere: una quarantina di cadaveri sono stati trovati in quartieri sunniti, una ventina in quelli sciiti e altri 5 galleggiavano sul Tigri all'altezza di Suwayrah, a 40 chilometri a sud di Baghdad. La guerra civile che sta dissanguando il paese da tempo ha come effetto la pulizia etnica: nella capitale i sunniti occupano la parte occidentale del Tigri e gli sciiti quella orientale, dove erano gia' prevalenti, le zone miste stanno scomparendo. Proprio mentre l'Alleanza unita irachena (il blocco confessionale sciita) sta forzando i tempi in parlamento (con una legge la cui discussione e' stata rinviata al 19 settembre) per arrivare alla formazione di una regione autonoma sciita nel sud del paese. Che faccia da contraltare al Kurdistan iracheno che ormai da tempo sembra essersi staccato - anche se non formalmente, ma in Iraq esiste forse una legalita'? - dall'Iraq. In Kurdistan - meno penalizzato dalla guerra e favorito se cosi' si puo' dire dall'occupazione - arrivano investimenti dall'estero e sebbene lo status di Kirkuk non sia ancora stato stabilito, i kurdi stanno gia' sfruttando il petrolio dei suoi giacimenti vendendolo anche all'estero. Del resto persino durante l'embargo, ai tempi di Saddam, le maggiori entrate del Kurdistan autonomo provenivano dai dazi fatti pagare sul contrabbando dell'oro nero verso la Turchia. Il Kurdistan va per la sua strada e il sud sciita si sta sempre piu' iranizzando, nonostante l'occupazione. E non a caso la "guida suprema" iraniana Ali' Khamenei ha approfittato della visita del premier iracheno Nuri al Maliki per garantire il sostegno iraniano ma sottolineando che l'occupazione deve finire. Lo sostengono anche gli iracheni e un gruppo di avvocati, per raccogliere il sentimento popolare ostile all'occupazione, ha promosso una petizione per il ritiro delle truppe straniere che pero' ha trovato l'appoggio di soli 104 deputati (su un totale di 275), soprattutto sunniti. Quindi per poter arrivare a una discussione in parlamento e a una sua approvazione la petizione ha ancora molta strada da fare. Anche perche' la maggioranza dei deputati dell'Alleanza unita irachena, i cui leader hanno passato l'esilio a Tehran, non l'hanno sottoscritta. Nonostante il premier Maliki in questi giorni a Tehran abbia firmato accordi in vari campi con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Nuri al Maliki si trova stretto tra gli americani e gli iraniani. Gli Usa gli permettono di rimanere al potere e nello stesso tempo lo rendono inviso alla popolazione sciita bombardando il quartiere Sadr city per dare la caccia ai miliziani di al Mahdi, l'"esercito" del radicale Muqtada al Sadr. Gli iraniani, che stanno mettendo le mani sull'Iraq, lo tengono buono mentre stanno fomentando le ali piu' estreme dello sciismo. Alcuni osservatori ritengono che la fazione di Muqtada al Sadr si candiderebbe a giocare il ruolo simile a quello che Hezbollah ha giocato in Libano. La debolezza di al Maliki e del suo governo e' evidente. Ultimamente sono corse voci di un tentato golpe a Baghdad, il primo tentativo sarebbe fallito ma i suoi fautori (l'ala dura sciita) non sarebbero intenzionati a desistere. Probabilmente anche la guerra sporca degli squadroni della morte non e' estranea al precipitare della situazione. Registrata anche dal rapporto del Government accountability office (Gao) Usa pubblicato nel quinto anniversario dell'11 settembre, che sottolinea il peggioramento delle relazioni (un eufemismo!) tra gruppi etnici e religiosi e l'indebolimento del senso di identita' del popolo iracheno. Ma il rapporto non parla della divisione dell'Iraq sponsorizzata dagli Stati Uniti fin dal 1991 con la creazione delle no-fly zone. Il Gao, che cita il Pentagono, riferisce che gli attacchi contro le forze della coalizione e le forze irachene sono aumentate del 23% dal 2004 al 2005 e che il numero degli attacchi da gennaio a luglio del 2006 sono aumentati del 57% rispetto allo stesso periodo del 2005. Mentre un grafico del rapporto e' ancora piu' esplicito: gli attacchi sono saliti da 100 nel maggio del 2003 (era l'inizio della resistenza all'occupazione, ndr) ai circa 4.500 del luglio 2006, contro le truppe di occupazione, le forze irachene e i civili. Ma il rapporto non prende in considerazione il maggior fallimento degli Stati Uniti in Iraq: il potere conquistato dagli iraniani. 5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: ALCUNI PUNTI PER UNA STRATEGIA ANTIMAFIA [Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente articolo apparso nelle pagine dell'edizione palermitana del quotdiano "La repubblica" del 23 luglio 2006. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su questo stesso foglio nei nn. 931-934] Il dibattito con cui si sono concluse le iniziative per ricordare la strage di via D'Amelio ha messo a fuoco alcuni punti che dovrebbero costituire la base di partenza per una ridefinizione della strategia non solo di contrasto ma pure di prevenzione nei confronti del fenomeno mafioso. Il primo punto e' che bisogna uscire da visioni stereotipe che continuano a circolare e hanno pesantemente condizionato l'attivita' antimafia, a cominciare da quella legislativa. La considerazione della mafia come emergenza, per cui essa c'e' quando spara e diventa un fenomeno di cui preoccuparsi quando produce una montagna di morti o colpisce uomini delle istituzioni, non e' solo presente nel sentire comune ma ha informato la legislazione del nostro Paese, finora all'insegna della risposta all'esplosione della violenza mafiosa. La legge antimafia del 1982 e' venuta dopo l'assassinio Dalla Chiesa, con piu' di un secolo di ritardo rispetto all'esistenza documentata dell'associazione mafiosa, e cosi' pure le altre leggi hanno fatto seguito ad omicidi e stragi, costituendo un coacervo di disposizioni che attendono di essere coordinate e armonizzate. Si parla da tempo di un Testo unico ma finora non se n'e' fatto nulla. Riuscira' il nuovo governo a sistematizzare una politica criminale che invece di inseguire emergenze si fondi su un'analisi adeguata? La mafia non va in vacanza tra un omicidio e l'altro ma e' un'organizzazione permanente e se non spara non e' perche' e' scomparsa ma perche' non ha ragione di farlo. Un altro punto e' che passata la sbornia Provenzano, frutto di un'iconizzazione del personaggio che oscurava la complessita' della mafia e l'articolazione del sistema relazionale su cui essa fonda gran parte del suo potere, si dia vita a una regolazione legislativa di figure come il concorso esterno, che mira a colpire i rapporti al di fuori dell'associazione criminale vera e propria. Capisco che ci sono problemi, che si rischia di tralasciare qualche aspetto della fenomenologia ma l'attuale incertezza, dovuta a una pratica basata sull'elaborazione giurisprudenziale, se puo' tornare utile come strumento flessibile che si presta ad essere impiegato per una vasta gamma di comportamenti, espone al rischio della discrezionalita' e offre il fianco alle critiche di un garantismo interessato. * In sede di analisi, dopo decenni in cui la mafia era considerata solo come una mentalita' senza organizzazione, in seguito alla "scoperta" di Cosa nostra, sull'onda delle dichiarazione dei mafiosi collaboratori di giustizia, si e' passati a un'altra polarizzazione: la mafia come struttura organizzativa, dimenticando che siamo davanti a un fenomeno composito, in cui mentalita' e codici culturali si saldano perfettamente con gli organigrammi associativi e in cui la violenza e l'illegalita' sono impiegate come risorsa che innesca o potenzia dinamiche legate ai processi di accumulazione e di formazione dei rapporti di potere. E' quello che sostengo da tempo, con il mio "paradigma della complessita'" che coniuga crimine, accumulazione, potere, codice culturale e consenso e vede i gruppi criminali, in tutto alcune migliaia di affiliati, interagire con un blocco sociale molto ampio e articolato al cui interno la funzione decisiva e' svolta da soggetti illegali (i capimafia) e legali (rappresentanti del mondo delle professioni, dell'imprenditoria, della pubblica amministrazione, della politica e delle istituzioni) che ho definito "borghesia mafiosa". L'espressione e' ormai abbondantemente usata da magistrati impegnati in indagini antimafia e sta diventando di uso comune, ma rischia di diventare uno stereotipo che sottintende una criminalizzazione generalizzata o una metafora del potere, sempre, comunque e dovunque. Nella mia analisi essa e' il frutto di una riflessione elementare (i capimafia sono in gran parte rozzi e semianalfabeti e da soli non possono neppure ideare gran parte delle cose che gli si attribuiscono: dal traffico di droghe al riciclaggio del denaro sporco, agli investimenti in settori-chiave come la sanita', all'accaparramento del denaro pubblico, al condizionamento delle scelte politiche) e si configura non come una generica chiamata di correo ma come un'ipotesi analitica che seleziona rapporti documentati e documentabili tra i professionisti del crimine e i soggetti che prima indicavo. Lascio ad altri proiezioni cosmiche, suggestive ma di dubbio fondamento. * Il problema e' che il consenso, fondato su convergenze se non identita' di interessi e di comportamenti, non riguarda solo soggetti classificabili come borghesi ma si estende a una vasta gamma di soggetti, classificabili come strati popolari, per i quali l'illegalita', piu' o meno legata o confinante con l'universo mafioso, e' mezzo di sopravvivenza e di mobilita'. Qui torna come punto centrale del dibattito della sera del 19 luglio e piu' in generale di una ridefinizione della strategia complessiva, il problema della fuoriuscita dall'illegalita' e della ricanalizzazione del consenso. I "giovani" di Addipoizzo hanno portato la loro esperienza che cerca di sposare no al racket e consumo critico; un'altra esperienza che ho ricordato e' quella dei senza casa che hanno chiesto e ottenuto l'uso delle case confiscate ai mafiosi. Primi passi di una strategia di disarticolazione del blocco sociale a egemonia mafiosa attuale e di costruzione di un blocco alternativo. Ma se ci limitiamo ad esperienze esemplari e non diamo vita a un progetto ambizioso ma pure realistico, potremo felicitarci di qualche risultato, prezioso ma parziale, e rassegnarci a ulteriori sconfitte. La proposta che ho cercato di tratteggiare nel corso del dibattito vuole coniugare analisi e progetto e vorrebbe avere sbocchi operativi a breve. In sintesi, riprendendo un discorso gia' altre volte accennato (vedi la proposta "Ricostruire Palermo", del Centro Impastato e del centro San Saverio del 1987): costituire dei comitati unitari, con partiti, sindacati, soggetti della societa' civile, altri, sparsi sul territorio, che costruiscano progetti che mettano al centro i problemi dell'occupazione, della ricostruzione, fisica e culturale, della citta', della partecipazione. Bisogna sapere che tantissimi voti vanno al centrodestra perche' il suo sistema clientelare offre mezzi di sopravvivenza per una vasta parte della popolazione che vive il disagio permanente della disoccupazione e della precarieta'. Edili disoccupati, professionisti disoccupati o precari, senza casa dovrebbero essere i soggetti portanti di questa rifondazione strategica dell'impegno politico e sociale. Questa immersione nel territorio potrebbe ancorare alla realta', per esempio, un'opposizione che se si limita all'interno dell'assemblea regionale, sara' ineluttabilmente perdente (per cominciare, si potrebbe dar conto dell'attivita' nel Palazzo con un foglio informativo e assemblee periodiche). Mi piacerebbe chiamare questo progetto "Liberare Palermo": dalla subalternita' alla mafia e al clientelismo, dalla rassegnazione, dalla delega al miracolatore di turno, suscitando le energie migliori, presenti o potenziali, che la citta' offre. E il discorso non vale solo per Palermo. * Un'ultima notazione. Chi fa antimafia deve sapere che una delle discriminanti passa attraverso le modalita' di acquisizione dei fondi pubblici, finora erogati con leggine-fotografie ed emendamenti ad hoc. Centri studi, Universita' dovrebbero darsi un programma comune di ricerca e contibuire alla progettazione, uscendo da pratiche separatiste e rituali. E mi sia consentita una nota personale, ma non tanto. La mia recente condanna, che si unisce a quella di Riolo, e' un grave colpo a chi fa analisi e ricerca. Se si vuole tutelare efficacemente l'onorabilita' delle persone, si chiedano rettifiche, correzioni, integrazioni, non soldi. L'onorabilita' non e' un genere da supermercato e per trattare questi temi sarebbe piu' adatto un giuri' apposito. La campagna per la liberta' di stampa e di ricerca nella lotta conto la mafia prosegue. 6. DOCUMENTI. UNA PROPOSTA DA PISA [Da Martina Pignatti Morano (per contatti: pignattimora at unisi.it) riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente documento conclusivo redatto dai partecipanti al convegno "Cento anni di satyagraha. La forza della nonviolenza" svoltosi a Pisa dal 9 all'11 settembre 2006. Martina Pignatti Morano, militante della Rete di Lilliput e del Centro Gandhi di Pisa, sta completando ad Oxford i suoi studi di dottorato di ricerca in economia politica, interessandosi, in una prospettiva nonviolenta, dell'elaborazione di modelli di pianificazione economica dal basso; come condirettrice dei "Quaderni Satyagraha" ha organizzato la sessione tematica sulla nonviolenza durante il Social Forum Mondiale di Porto Alegre (gennaio 2005) e il Nonviolence Training di Amman (gennaio 2006); ha curato il volume 7 dei "Quaderni Satyagraha", monografico sul tema "Il peacekeeping non armato"] Nei giorni 9-11 settembre 2006 ci siamo riuniti, su invito del Centro Gandhi di Pisa e della Tavola della pace e della cooperazione di Pontedera, in occasione del centenario della nonviolenza gandhiana. In tavole rotonde e intense discussioni abbiamo socializzato progetti personali, locali e nazionali che stiamo impostando per la costruzione di una societa' nonviolenta. Attraverso un percorso di maggiore consapevolezza e mutua chiarificazione abbiamo verificato l'esistenza di una rete capace di agire in senso culturale e politico per far crescere l'alternativa nonviolenta. Sentiamo l'esigenza di lavorare assieme per elaborare un programma costruttivo di trasformazione della societa' italiana e delle nostre vite, ispirati dall'esempio dei satyagrahi gandhiani. Ci impegniamo a lavorare assieme, tramite un coordinamento unitario dei movimenti di area nonviolenta, per l'ideazione e la realizzazione di corpi civili di pace. Riconosciamo l'obbligo morale di esplicitare l'esistenza di un'alternativa all'uso di strumenti militari per la costruzione della pace. L'assemblea sostiene l'appello del gruppo "No alla guerra nucleare" e riconosce il valore dell'iniziativa unitaria dei movimenti di area pacifista e nonviolenta per perseguire l'obiettivo del disarmo atomico, come primo passo per il disarmo totale. Rilanciamo l'allarme di Alex Zanotelli circa la minaccia che la proliferazione delle armi atomiche costituisce per l'umanita': e' urgente l'azione dei movimenti e una presa di posizione forte delle chiese, affinche' la guerra atomica venga dichiarata tabu' o peccato dalle religioni. Il giorno 11 settembre 2006 presso l'Auditorium Maccarrone di Pisa, in una conferenza pubblica a cui hanno preso parte circa 170 persone, Alex Zanotelli ha lanciato ufficialmente l'appello di cui sopra: "Fermiamo chi scherza col fuoco atomico. Mettiamoci insieme per il disarmo". Associandoci all'appello, invitiamo tutto il movimento italiano per la pace e la nonviolenza a partecipare all'incontro nazionale per un comitato promotore/animatore di una campagna nonviolenta per il disarmo atomico. Tale incontro si terra' il 17 settembre 2006 a Milano, ore 9,30, in via Ulisse Dini, 7. Per maggiori informazioni: www.osmdpn.it Accanto al terrorismo di gruppi organizzati esiste il terrore di Stato, e la bomba atomica e' il suo strumento piu' minaccioso. Per un 11 settembre che rifiuti la logica del terrore, lottiamo assieme per il disarmo atomico. Calambrone-Pisa, 11 settembre 2006 7. LIBRI. ANGELO D'ORSI PRESENTA "IL FILO E LE TRACCE" DI CARLO GINZBURG [Dal quotidiano "Liberazione" del 9 settembre 2006. Angelo D'Orsi, nato a Pontecagnano (Salerno) nel 1947, e' docente di storia del pensiero politico contemporaneo all'Universita' di Torino; si occupa da anni, oltre che di questioni di metodo e di storia della storiografia, di storia della cultura e dei gruppi intellettuali. Tra le sue opere: I nazionalisti, Feltrinelli, Milano 1981; La rivoluzione antibolscevica. Fascismo, classi, ideologie (1917-1922), Franco Angeli, Milano 1985; Le dottrine politiche del nazionalfascismo, WR Editoriale, Alessandria 1988; Guida alla storia del pensiero politico, Il Segnalibro, Torino 1990, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1995; L'ideologia politica del futurismo, Il Segnalibro, Torino 1992; Alla ricerca della politica, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Alla ricerca della storia. Teoria, metodo e storiografia, Paravia/Scriptorium, Torino 1996, 1999; La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; Allievi e maestri. L'Universita' di Torino nell'Otto-Novecento, Celid, 2002; Piccolo manuale di storiografia, Mondadori Bruno, Milano 2002; I chierici alla guerra. La seduzione bellica sugli intellettuali da Adua a Baghdad, Bollati Boringhieri, 2005. Ha curato l'edizione del carteggio tra Gioele Solari e Norberto Bobbio, che reca un suo ampio saggio introduttivo (La vita degli studi, Angeli, Milano 2000). Carlo Ginzburg (Torino 1939), illustre storico, ha insegnato a lungo a Bologna, dal 1988 insegna all'Universita' della California a Los Angeles (Ucla). I suoi libri sono tradotti in piu' di venti lingue. Tra le opere di Carlo Ginzburg: I benandanti, Einaudi, Torino 1966; Il formaggio e i vermi, Einaudi, Torino 1976; Indagini su Piero, Einaudi, Torino 1981, 2001; Storia notturna, Einaudi, Torino 1989; Il giudice e lo storico, Einaudi, Torino 1991; Miti emblemi spie, Einaudi, Torino 1992; Occhiacci di legno, Feltrinelli, Milano 1998; Nessuna isola e' un'isola. Quattro sguardi sulla letteratura inglese, Feltrinelli, Milano 2002; (con Vittorio Foa), Un dialogo, Feltrinelli, Milano 2003; Il filo e le tracce, Feltrinelli, Milano 2006] Carlo Ginzburg e' uno dei pochissimi storici italiani noti extra moenia: i suoi libri sono tradotti in molte lingue, insegna a Los Angeles, alla prestigiosa Ucla, e' un visiting professor conteso: un intellettuale cosmopolita, anche per la sua formazione, per gli interessi e, aggiungerei, per gli ideali. Gli ultimi suoi libri sono raccolte di saggi, perlopiu' gia' pubblicati ma, sovente, in sedi quasi inarrivabili: divenuti capitoli di libro risultano testi sostanzialmente nuovi. Questa sarebbe gia' un'ottima ragione per aprire con interesse i volumi (editi da Feltrinelli, dopo una "rottura" con Einaudi); quel che piu' conta, si tratta di libri traboccanti di stimoli, oltre che di sapere. Ginzburg incarna la figura dello storico inteso come "un tale che fa delle domande", riportandoci alle origini dell'attivita' storiografica stessa, e che accomuna le grandi tradizioni. La Frage tedesca, la "domanda storiografica" crociana, l'histoire probleme delle "Annales", alla cui lezione il lavoro di Ginzburg ha sempre guardato con particolare empatia, benche' sia difficile stabilire una filiazione da una sola corrente storiografica, o un solo maestro. Eppure, il filo dell'ormai lunga militanza sotto le insegne di Clio, del figlio di Leone Ginzburg - uno dei tre, a dire il vero - e' nitido, pur se aggrovigliato. E quest'ultimo suo titolo, Il filo e le tracce. Vero falso finto, (Feltrinelli, pp. 340, euro 25) - che propone la parola "filo", alludendo al mito di Arianna e Teseo, accanto a un'altra parola chiave del lessico ginzburghiano: "tracce" - e' un nuovo tassello del mosaico di un lavoro apparentemente disordinato, ma connesso a un orientamento preciso, che, come l'autore ci fa capire, si e' andato meglio definendo nel corso dei decenni. La sua e' una battaglia contro il relativismo, che in storiografia indica quegli orientamenti che tendono ad attribuire ai frutti della ricerca nulla piu' che un valore letterario: la storia come mera narrazione, in sostanza, il che implica, dunque, una radicale revoca in dubbio del carattere "scientifico" della disciplina e, consequenzialmente, la perdita di senso dello stesso "fare storia". A che serve, infatti, se non si assicura una qualche certezza in merito all'oggetto delle indagini? E a che pro l'enorme dispiego di tempo e di energie che una ricerca seria implica (che certo non produce, se non in casi eccezionali, ne' gloria, ne' ricchezza, ne' potere), se non possiamo dire a noi stessi, prima ancora che al nostro pubblico: cio' che stiamo facendo ha un senso, al di la' del personale piacere della scoperta e della scrittura? * Cionondimeno, Carlo Ginzburg e' studioso troppo raffinato per accontentarsi di accomodarsi dentro la trincea di un ingenuo positivismo, che chiude il discorso con il canonico "la storia racconta fatti realmente accaduti". Egli problematizza il quadro, e porta per mano il lettore nella vera dimensione del lavoro storiografico: la ricerca. Non del tutto a torto (ma non del tutto a ragione), egli osserva che ogni discorso sul metodo "ha valore solo quando e' riflessione a posteriori su una ricerca concreta, ma non quando si presenta", e aggiunge, polemicamente: "ed e' il caso di gran lunga piu' frequente", "come una serie di prescrizioni a priori". In realta', le "prescrizioni a priori", ossia i trattati di metodo storico, nascono sempre da ricerche concrete, e provano a distillare l'esperienza sul campo, traducendola in discorso teorico. Il punto decisivo, che Ginzburg sottolinea, e' che lo storico non ha mai in testa, bell'e pronto, il risultato. E che ogni vera indagine e' fatta di tentativi, "errori", nel senso letterale, dell'errare: aggiustamenti, ripensamenti, talvolta di ritorni: e spesso una penosa sensazione di tempo sprecato colpisce lo storico. Per un giovane che voglia porsi su questa strada, puo' essere confortante sapere che anche un grande storico ha provato le stesse sensazioni, e' stato colto da dubbi, e il caso ha svolto un ruolo spesso decisivo nelle sue scelte. Come si sara' a questo punto intuito, uno degli aspetti piu' apprezzabili del volume, che lo rende particolarmente godibile anche sul piano della lettura, e' l'affiorare dell'autobiografismo; ma senza ostentazione. E' come se l'autore, via via che espone le sue ricerche, sentisse il bisogno di dar conto del proprio coinvolgimento soggettivo nel loro procedere, negli avanzamenti, nelle stasi, nei ritorni, nelle riprese. Ci sono pagine di grande efficacia da questo punto di vista che potrebbero essere adottate da quei corsi di laurea che vogliono reclutare aspiranti storici: si veda, ad esempio, il racconto di come egli si ponga a studiare la stregoneria, partendo da tre faldoni trovati "per caso" nell'Archivio di Stato di Venezia; o il flash che ci illumina sull'ingresso nell'inesplorato archivio arcivescovile di Udine, che merita di essere citato: "Quando entrai per la prima volta nella grande stanza circondata da armadi in cui erano conservati, in ordine perfetto, quasi duemila processi inquisitoriali, provai l'emozione di un cercatore d'oro che s'imbatte in un filone inesplorato". Fra i tanti insegnamenti, un altro vorrei porre in luce, che delinea bene la fisionomia dello studioso di "microstoria" (tra i pochi saggi noti del volume, c'e' il bellissimo "Microstoria: due o tre cose che so di lei", del 1994): l'idea che per comprendere una societa' sia piu' utile partire dalle sue manifestazioni anomale, piuttosto che dalla norma: "la violazione della norma contiene in se' anche la norma"; mentre l'inverso non e' vero. Purche' questo studio sia fatto in modo intensivo. Il che e' un po' la filosofia della microstoria, piccola non solo in quanto sono limitati, temporalmente o spazialmente, gli oggetti della sua indagine, ma soprattutto perche' attraverso la tecnica della descrizione densa, che va in profondita', comprendendo un caso particolare abbiamo elementi per intuire il quadro complessivo. * Il libro cosi' si snoda tra streghe e sciamani, persecuzioni e amicizie, eretici e inquisitori, letterati e umili contadini, in un fitto dialogo tra la storia, ossia frammenti di ricostruzione di fatti (che sono spesso vicende di idee, di mentalita', di costume...) e la storiografia, cioe' il confronto con altre impostazioni, prossime o lontane dalla propria. Uno dei capitoli per me piu' interessanti e' dedicato al celebre falso "I Protocolli di Sion": qui emerge con pienezza la straordinaria capacita' di analizzare i testi e di "interrogare" i documenti, e anche una vicenda di cui personalmente credevo di sapere (quasi) tutto, apre, sotto il bisturi di Ginzburg, squarci assolutamente inediti. L'erudizione e' tanta, ma tenuta a bada da un vigile spirito critico; il filo, qui, ma in tutto il volume, e' quello che ci deve aiutare a "districare l'intreccio di vero, falso, finto", che, aggiunge l'autore, "e' la trama del nostro stare al mondo". Anche qui, sembra che il nemico giurato del soggettivismo e dello scetticismo (di cui si veda in particolare l'illuminante capitolo 4 "Parigi 1647: un dialogo su finzione e storia") temperi la filologia con l'intelligenza. Il risultato e' un libro affascinante, e, pur nella varieta' di temi ed epoche, coeso, che forse non "si legge come un romanzo", ma che in molte sue pagine procura altrettanto piacere, con il valore aggiunto della conoscenza. Insomma, un vero libro di storia. C'e' da divertirsi, e da imparare: che non significa aggiungere dati, ma soprattutto individuare problemi, "fare domande". 8. RILETTURE. FRANCESCO GABRIELI (A CURA DI): STORICI ARABI DELLE CROCIATE Francesco Gabrieli (a cura di), Storici arabi delle Crociate, Einaudi, Torino 1957, 1987, pp. XXX + 354. Un'opera che dovrebbe essere tra i libri di testo delle nostre scuole. 9. RIEDIZIONI. FRANCESCO GUICCIARDINI: OPERE Francesco Guicciardini, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp. XXXII + 588, euro 12,90 (in supplemento a "Il sole 24 ore"). Dalla classica Letteratura Italiana Ricciardi a cura di Vittorio de Caprariis una selezione delle opere guicciardiniane, che un'antica abitudine voleva farci leggere specularmente o complementarmente a Machiavelli, modo certo legittimo ma che dopo infinite reiterazioni rischia di depauperare e l'uno e l'altro. Leggiamo finalmente Guicciardini in quanto Guicciardini, e godiamone i tesori di scienza e di saggezza - ma anche di stile, di passione e di disincanto: di laicita', di umanita'. Questa accurata scelta (ma forse ancor troppo ristretta e frammentata) puo' essere un viatico prezioso. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1421 del 17 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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