Voci e volti della nonviolenza. 38



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 38 del 5 settembre 2006

In questo numero:
1. Fabrizio Gatti: Io schiavo in Puglia
2. Et coetera

1. FABRIZIO GATTI: IO SCHIAVO IN PUGLIA
[Dal settimanale "L'Espresso", anno LII, n. 35, 7 settembre 2006 (ma
pubblicato il primo settembre 2006), disponibile nel sito
http://espresso.repubblica.it (da cui lo riprendiamo)]

Sfruttati. Sottopagati. Alloggiati in luridi tuguri. Massacrati di botte se
protestano. Diario di una settimana nell'inferno. Tra i braccianti stranieri
nella provincia di Foggia.
*
Il padrone ha la camicia bianca, i pantaloni neri e le scarpe impolverate.
E' pugliese, ma parla pochissimo italiano. Per farsi capire chiede aiuto al
suo guardaspalle, un maghrebino che gli garantisce l'ordine e la sicurezza
nei campi. "Senti un po' cosa vuole questo: se cerca lavoro, digli che oggi
siamo a posto", lo avverte in dialetto e se ne va su un fuoristrada. Il
maghrebino parla un ottimo italiano. Non ha gradi sulla maglietta sudata. Ma
si sente subito che lui qui e' il caporale: "Sei rumeno?". Un mezzo sorriso
lo convince. "Ti posso prendere, ma domani", promette, "ce l'hai un'amica?".
"Un'amica?". "Mi devi portare una tua amica. Per il padrone. Se gliela
porti, lui ti fa lavorare subito. Basta una ragazza qualunque". Il caporale
indica una ventenne e il suo compagno, indaffarati alla cremagliera di un
grosso trattore per la raccolta meccanizzata dei pomodori: "Quei due sono
rumeni come te. Lei col padrone c'e' stata". "Ma io sono solo". "Allora
niente lavoro".
*
Non c'e' limite alla vergogna nel triangolo degli schiavi. Il caporale vuole
una ragazza da far violentare dal padrone. Questo e' il prezzo della
manodopera nel cuore della Puglia. Un triangolo senza legge che copre quasi
tutta la provincia di Foggia. Da Cerignola a Candela e su, piu' a Nord, fin
oltre San Severo. Nella regione progressista di Nichi Vendola. A mezz'ora
dalle spiagge del Gargano. Nella terra di Giuseppe Di Vittorio, eroe delle
lotte sindacali e storico segretario della Cgil. Lungo la via che porta i
pellegrini al megasantuario di San Giovanni Rotondo. Una settimana da
infiltrato tra gli schiavi e' un viaggio al di la' di ogni disumana
previsione. Ma non ci sono alternative per guardare da vicino l'orrore che
gli immigrati devono sopportare.
*
Sono almeno cinquemila. Forse settemila. Nessuno ha mai fatto un censimento
preciso. Tutti stranieri. Tutti sfruttati in nero. Rumeni con e senza
permesso di soggiorno. Bulgari. Polacchi. E africani. Da Nigeria, Niger,
Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea. Alcuni sono sbarcati da
pochi giorni. Sono partiti dalla Libia e sono venuti qui perche' sapevano
che qui d'estate si trova lavoro. Inutile pattugliare le coste, se poi gli
imprenditori se ne infischiano delle norme. Ma da queste parti se ne
infischiano anche della Costituzione: articoli uno, due e tre. E della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Per proteggere i loro
affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di
caporali spietati: italiani, arabi, europei dell'Est. Alloggiano i loro
braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno piu' a
dormire. Senza acqua, ne' luce, ne' igiene. Li fanno lavorare dalle sei del
mattino alle dieci di sera. E li pagano, quando pagano, quindici, venti euro
al giorno. Chi protesta viene zittito a colpi di spranga. Qualcuno si e'
rivolto alla questura di Foggia. E ha scoperto la legge voluta da Umberto
Bossi e Gianfranco Fini: e' stato arrestato o espulso perche' non in regola
con i permessi di lavoro. Altri sono scappati. I caporali li hanno cercati
tutta notte. Come nella caccia all'uomo raccontata da Alan Parker nel film
"Mississippi burning". Qualcuno alla fine e' stato raggiunto. Qualcun altro
l'hanno ucciso.
*
Adesso e' la stagione dell'oro rosso: la raccolta dei pomodori. La provincia
di Foggia e' il serbatoio di quasi tutte le industrie della trasformazione
di Salerno, Napoli e Caserta. I perini cresciuti qui diventano pelati in
scatola. Diventano passata. E, i meno maturi, pomodori da insalata. Partono
dal triangolo degli schiavi e finiscono nei piatti di tutta Italia e di
mezza Europa. Poi ci sono i pomodori a grappolo per la pizza. Gli altri
ortaggi, come melanzane e peperoni. Tra poco la vendemmia. Gli imprenditori
fanno finta di non sapere. E a fine raccolto si mettono in coda per
incassare le sovvenzioni da Bruxelles. "L'espresso" ha controllato decine di
campi. Non ce n'e' uno in regola con la manodopera stagionale. Ma questa non
e' soltanto concorrenza sleale all'Unione Europea. Dentro questi orizzonti
di ulivi e campagne vengono tollerati i peggiori crimini contro i diritti
umani.
*
Non ci vuole molto per entrare nel mercato piu' sporco dell'Europa agricola.
Qualche nome inventato da usare di volta in volta. Una fotocopia del decreto
di respingimento rilasciato un anno fa a Lampedusa dal centro di detenzione
per immigrati. E la bicicletta, per scappare il piu' lontano possibile in
caso di pericolo. Il caporale che pretende una ragazza in sacrificio
controlla la raccolta dei perini a Stornara. Uno dei primi campi a sinistra
appena fuori paese, lungo il rettilineo di afa che porta a Stornarella.
Meglio lasciar perdere. Per arrivare fin qui bisogna pedalare sulla statale
16 e poi infilarsi per dieci chilometri negli uliveti. Il borgo e' una
piccola isola di case nell'agro. Alla stazione di Foggia, Mahmoud, 35 anni,
della Costa d'Avorio, aveva detto che quaggiu' la raccolta, forse, e' gia'
cominciata. Lui, che dorme in una buca dalle parti di Lucera, e' senza
lavoro: li' a Nord i pomodori devono ancora maturare. Cosi' Mahmoud campa
vendendo informazioni agli ultimi arrivati in treno. In cambio di qualche
moneta.
*
Oggi dev'essere la giornata piu' torrida dell'estate. Quarantadue gradi,
annunciavano i titoli all'edicola della stazione. Sperduta nei campi appare
nell'aria bollente una stalla abbandonata. E' abitata. Sono africani. Stanno
riposando su un vecchio divano sotto un albero. Qualcuno parla tamashek,
sono tuareg. Un saluto nella loro lingua aiuta con le presentazioni. La
segregazione razziale e' rigorosa in provincia di Foggia. I rumeni dormono
con i rumeni. I bulgari con i bulgari. Gli africani con gli africani. E'
cosi' anche nel reclutamento. I caporali non tollerano eccezioni. Un bianco
non ha scelta se vuole vedere come sono trattati i neri. Bisogna prendere un
nome in prestito. Donald Woods, sudafricano. Come il leggendario giornalista
che ha denunciato al mondo gli orrori dell'apartheid. "Se sei sudafricano
resta pure", dice Asserid, 28 anni. E' partito da Tahoua in Niger nel
settembre 2005. E' sbarcato a Lampedusa nel giugno 2006. Racconta che e' in
Puglia da cinque giorni. Dopo essere stato rinchiuso quaranta giorni nel
centro di detenzione di Caltanissetta e alla fine rilasciato con un decreto
di respingimento. Asserid ha attraversato il Sahara a piedi e su vecchi
fuoristrada. Fino ad Al Zuwara, la citta' libica dei trafficanti e delle
barche che salpano verso l'Italia. "In Libia tutti gli immigrati sanno che
gli italiani reclutano stranieri per la raccolta dei pomodori. Ecco perche'
sono qui. Questa e' solo una tappa. Non avevo alternative", ammette Asserid:
"Ma spero di risparmiare presto qualche soldo e di arrivare a Parigi".
Adama, 40 anni, tuareg nigerino di Agadez, ha fatto il percorso inverso. A
Parigi e' atterrato in aereo, con un visto da turista. Poi gli e' andata
male. Dalla Francia l'hanno espulso come lavoratore clandestino. Ed e' sceso
in Puglia, richiamato dalla stagione dell'oro rosso. "Questo e'
l'accampamento tuareg piu' a nord della storia", ride Adama. Ma c'e' poco da
ridere. L'acqua che tirano su dal pozzo con taniche riciclate non la possono
bere. E' inquinata da liquami e diserbanti. Il gabinetto e' uno sciame di
mosche sopra una buca. Per dormire in due su materassi luridi buttati a
terra, devono pagare al caporale cinquanta euro al mese a testa. Ed e' gia'
una tariffa scontata. Perche' in altri tuguri i caporali trattengono dalla
paga fino a cinque euro a notte. Da aggiungere a cinquanta centesimi o un
euro per ogni ora lavorata. Piu' i cinque euro al giorno per il trasporto
nei campi. Lo si vede subito quanto e' facile il guadagno per il caporale.
Alle due e mezzo del pomeriggio arriva con la sua Golf. E la carica
all'inverosimile. "Davvero questo e' africano?", chiede agli altri davanti
all'unico bianco. Nessuno sa dare risposte sicure. "Io pago tre euro l'ora.
Ti vanno bene? Se e' cosi', sali", offre l'uomo, calzoncini, canottiera e
sul bicipite il tatuaggio di una donna in bikini ritratta di schiena.
*
Si parte. In nove sulla Golf. Tre davanti. Cinque sul sedile dietro. E un
ragazzo raggomitolato come un peluche sul pianale posteriore. Solo per
questo trasporto di dieci minuti il caporale incassera' quaranta euro. I
ragazzi lo chiamano Giovanni. Loro hanno gia' lavorato dalle 6 alle 12,30.
La pausa di due ore non e' una cortesia. Oggi faceva troppo caldo anche per
i padroni perche' rinunciassero a una siesta. Giovanni si presenta subito
dopo, guardando attraverso lo specchietto retrovisore: "Io John e tu?". Poi
avverte: "John e' bravo se tu bravo. Ma se tu cattivo...". Non capisce
l'inglese ne' il francese. E questo basta a far cadere il discorso. Ma il
pugnale da sub che tiene bene in vista sul cruscotto parla per lui. Amadou,
29 anni, nigerino di Filingue, rivela lo stato d'animo dei ragazzi:
"Giovanni, oggi e' venerdi' e non ci paghi da tre settimane. Ormai stiamo
finendo le scorte di pasta. Da quindici giorni mangiamo solo pasta e
pomodoro. I ragazzi sono sfiniti. Hanno bisogno di carne per lavorare". I
tre euro l'ora promessi erano solo una bugia. Ma Giovanni promette ancora.
Quando risponde dice sempre: "Noi turchi". Anche se la targa della macchina
e' bulgara. E per il suo accento potrebbe essere russo oppure ucraino. "Ti
giuro su Dio", continua il caporale, "oggi arrivano i soldi e vi paghiamo.
Tu mi devi credere. Io lavoro come te a Stornara. Non prendo in giro i miei
colleghi". Giovanni abita alla periferia. Un villino di mattoni sulla
destra, a meta' del rettilineo per Stornarella. Quasi di fronte a un'altra
stalla pericolante senz'acqua, riempita di materassi e schiavi.
*
La Golf stracarica corre e sbanda sulla stretta provinciale per Lavello. Il
contachilometri segna 100 all'ora. Una follia. Alle prime aziende agricole
del paese, Giovanni svolta a destra dentro una strada sterrata. Altri due
chilometri e si e' arrivati. Si prosegue a piedi, in fila indiana. Il campo
e' tra due vigneti. Questi pomodori vanno raccolti a mano. Quando il padrone
vede arrivare il gruppo di africani, imita il verso delle scimmie. Poi da'
gli ordini con gli insulti resi celebri dal vicepresidente del Senato,
Roberto Calderoli: "Forza bingo bongo". Nello stesso istante un furgone
scarica nove rumeni. Tra loro tre ragazze, le uniche nella squadra. Si
lavora a testa bassa. Guai ad alzare lo sguardo: "Che cazzo c'e' da
guardare? Giu' e raccogli", urla il padrone avvicinandosi pericolosamente.
Si chiama Leonardo, una trentina d'anni. E' pugliese. Indossa bermuda,
canottiera e occhiali da sole alla moda come se fosse appena rientrato dalla
spiaggia. Da come parla e' il proprietario dell'azienda agricola. O forse e'
il figlio del proprietario. Si occupa della manodopera. Una sorta di
comandante dei caporali. La sua azienda e' a una decina di chilometri, alle
porte di Stornara. Proprio sulla strada che Giovanni percorre per portare
gli schiavi al campo. Leonardo si fa aiutare da un altro italiano, il
caporale dei rumeni. Uno con la maglietta bianca, i capelli lunghi e i
baffetti curati. Il terzo italiano e' probabilmente il compratore del
raccolto. Magro. Capelli biondi corti. Telefonino appeso al petto in fondo a
una catena d'oro. Parla con un forte accento napoletano. Parcheggia il suo
Suv e si fa subito sentire. Qualcuno ha appoggiato per sbaglio le cassette
piene sulle piante di pomodoro. E lui grida come un pazzo: "Il primo che
rimette una cassetta sulle piante, com'e' vero Gesu' Cristo, gliela spacco
sulla testa". I tre italiani sudano. Ma solo per il caldo. Oltre a
sorvegliare i loro schiavi, non fanno assolutamente nulla.
*
Giovanni va a recapitare altri braccianti. Poi torna due volte con i
rifornimenti d'acqua. Quattro bottiglie di plastica da un litro e mezzo da
far bastare nelle gole di 17 persone assetate. Sono bottiglie riempite
chissa' dove. Una zampilla da un buco e arriva quasi vuota. L'acqua ha un
cattivo odore. Ma almeno e' fresca. Comunque non basta. Due sorsi d'acqua in
oltre quattro ore di lavoro a quaranta gradi sotto il sole non dissetano. La
maggior parte dei ragazzi africani non ha nemmeno pranzato ne' fatto
colazione. Cosi' ci si arrangia mangiando pomodori verdi di nascosto dai
caporali. Anche se sono pieni di pesticidi e veleni. E forse e' proprio per
questo che sulla pelle, per giorni, non comparira' piu' nemmeno una puntura
di zanzara.
*
Leonardo vuole sapere com'e' che in Africa ci siano i bianchi. Gira tra le
schiene curve come un professore tra i banchi. E da' il permesso a Mohamed,
28 anni, un ragazzo della Guinea. Per smettere di lavorare o parlare, qui
bisogna sempre chiedere il permesso. Mohamed sa bene perche' ci sono i
bianchi in Sudafrica. E' laureato in scienze politiche e relazioni
internazionali all'Universita' di Algeri. Parla italiano, inglese, francese
e arabo. E risponde rimanendo in ginocchio, davanti a quell'italiano che
confessa senza pudore di non aver mai sentito parlare di Nelson Mandela.
"Avete capito?", ripete dopo un po' Leonardo agli altri due italiani: "In
Italia quelli chiari stanno al Nord mentre noi al Sud siamo scuri. In Africa
invece al Sud sono bianchi e questi qua del Nord sono neri".
*
L'incidente accade all'improvviso. Michele e' il piu' anziano tra i rumeni.
Ha una sessantina d'anni, i capelli grigi. Sta caricando cassette piene sul
rimorchio del trattore. Il legno e' troppo sottile, e' secco. E una cassetta
si sfonda rovesciando dodici chili di pomodori. Michele non fa in tempo ad
abbassarsi a raccoglierli. Leonardo, con la mano chiusa a pugno, lo
colpisce. Una sventola sulla testa. "Stai attento, coglione", urla, "credi
che noi stiamo ad aspettare mentre tu butti le cassette?". Michele forse
chiede scusa. E' troppo stanco e offeso per parlare ad alta voce. "Scusa un
cazzo", continua Leonardo, "devi stare piu' attento". Ci fermiamo tutti a
guardare. Una ragazza si alza in piedi per protesta. Quello con l'accento
napoletano accorre come una furia: "Giu', non e' successo niente. Giu' o
stasera non si va a casa finche' non si finisce". Come se questi ragazzi
avessero una casa.
*
Michele ritorna a caricare il rimorchio aiutato da altri rumeni. Ma dopo
mezz'ora e' ancora seduto a terra. Si tiene la testa. Perde molto sangue dal
naso. Un suo compagno di lavoro spreme un pomodoro maturo per bagnargli la
fronte. Cosa ha fatto lo spiega a Leonardo l'uomo con i baffetti curati: "Ho
dovuto spaccargli una pietra in mezzo agli occhi. Ho dovuto. Quello stronzo
se l'e' presa con me perche' tu prima l'hai picchiato. E poi perche' stasera
non ci sono i soldi per pagarli. Ma che c'entro io? Lui ha raccolto una
pietra e io gliel'ho tolta dalle mani. Tu pensa se un rumeno di merda mi
deve minacciare". Leonardo sorride.
*
Si smette solo quando il sole va a nascondersi dietro i monti Dauni. Michele
sta meglio. I rumeni si raccolgono intorno al loro caporale. Giovanni scatta
una foto ai suoi ragazzi. Serve per i pagamenti e per scoprire se qualcuno
scappa dal gruppo. Poi fa firmare il registro con le ore lavorate. Oggi si
finisce prima del solito. Il perche' lo racconta il caporale ad Amadou, in
macchina durante il ritorno: "Ci sono in giro i carabinieri". Giovanni
segnala un campo di pomodori lungo la strada: "Vedi qua? Questo pomeriggio i
carabinieri sono venuti a prendere dei miei ragazzi. Io lavoro anche qui.
Africani come te e rumeni. Li hanno portati via per il rimpatrio. Ma non
avere paura, il campo dove lavorate voi", dice indicandosi le spalle come se
avesse i gradi, "e' controllato dalla mafia". Succede spesso quando e'
giorno di paga. A volte sono gli stessi padroni a chiamare vigili, polizia o
 carabinieri e a segnalare gli immigrati nelle campagne. Basta una
telefonata anonima. Cosi' i caporali si tengono i loro soldi. E la
prefettura aggiorna le statistiche con le nuove espulsioni.
*
Amadou pero' fa notare che nemmeno oggi i ragazzi verranno pagati: "Tu sei
musulmano?", chiede Giovanni: "Si'? Allora io ti giuro su Allah che la
prossima settimana vi pago tutti. E se avete bisogno di carne, ti giuro che
vi invito tutti a casa mia. Ovviamente la prossima settimana. Quando potrete
pagare la carne".
*
Il 14 maggio 1904 qua vicino la polizia attacco' una manifestazione di
braccianti. C'era anche il giovane Giuseppe Di Vittorio. Morirono in quattro
quel giorno. Tra le vittime Antonio Morra, 14 anni, amico d'infanzia del
futuro leader sindacale. Adesso le proteste vengono spente prima che possano
dilagare. I caporali agiscono come una polizia parallela. Gli imprenditori
si rivolgono a loro se ci sono problemi. A cominciare dall'imposizione delle
regole: "Domani mattina vengo a prendervi alle cinque", annuncia Giovanni
dopo aver scaricato i suoi passeggeri. Sono quasi le dieci di sera ormai.
Calcolando una doccia improvvisata con l'acqua del pozzo e la misera cena,
restano appena cinque ore di sonno. I ragazzi africani spiegano subito le
sanzioni. Chi si presenta tardi, una volta al campo viene punito a pugni.
Chi non va a lavorare deve versare al caporale la multa. Anche se si ammala.
Sono venti euro, praticamente un giorno di lavoro gratis.
*
Una cinquantina di chilometri piu' a nord, stesse storie. La carta stradale
indica Villaggio Amendola. Era un borgo agricolo. Ora e' solo un paese
fantasma riempito da immigrati rumeni e bulgari ridotti in schiavitu'. Come
l'ex zuccherificio di Rignano o il Ghetto che la sera, al suono della
township music, sembra Soweto. Al Villaggio Amendola perfino la chiesa
abbandonata e' stata riempita di materassi. Qui il cento per cento degli
abitanti non e' italiano. Tutti raccoglitori. E tutti stranieri. Tranne una.
Giuseppina Lombardo, 51 anni. Viene dalla Calabria. Per gli agricoltori del
posto e' una santa donna. Lei e il suo amico tunisino che si fa chiamare
Asis sono capaci di mettere insieme una squadra di raccoglitori di pomodori
in meno di mezz'ora. Giuseppina e Asis con gli schiavi ci campano. L'unico
pozzo di Villaggio Amendola e' loro. L'acqua e' inquinata ma la vendono
ugualmente: cinquanta centesimi una tanica da 20 litri. Anche l'unico
negozio del borgo e' loro. Hanno bottiglie di minerale, se uno proprio non
vuole perdere la giornata per la dissenteria. E hanno carne e pollame: "A
prezzi maggiorati del cento per cento e di dubbia qualita'", dicono gli
abitanti. Non e' facile infiltrarsi come immigrato in questo ghetto e
vincere la paura dei suoi prigionieri. Perche' Asis, come tutti i caporali,
non perdona chi parla. Lui e la sua compagna qui sono l'unica legge. Chi
c'era si ricorda bene cosa e' successo la settimana di Pasqua del 2005. Quel
pomeriggio un ragazzo rumeno, 22 anni, arrivato da appena quattro giorni,
torna al Villaggio Amendola con i sacchetti della spesa. E' stato a Foggia e
cammina davanti al negozio del caporale con quello che si e' procurato. Una
bottiglia d'olio, un po' di pasta. Il testimone che parla con "L'espresso"
e' convinto che Asis abbia considerato quel gesto una ribellione al suo
controllo. I rumeni raccontano di aver visto poco dopo due uomini affrontare
il nuovo arrivato. Uno, secondo i testimoni, e' parente di Asis. Con una
spranga lo centrano in mezzo alla testa. Un colpo solo. Poi trascinano il
corpo sanguinante e semisvenuto su un furgone. Nessuno al villaggio rivedra'
piu' quel ragazzo.
*
Lo stesso accade il 20 luglio di quest'anno. Il giorno prima Pavel, 39 anni,
ha una discussione con Giuseppina Lombardo. Gli sono caduti quindici euro
nel negozio e lei crede che glieli abbia rubati dalla cassa. Pavel in
Romania faceva il cuoco per 150 euro al mese. Dal 20 marzo 2004, quando e'
arrivato in Puglia, sopporta violenze e angherie. Lo fa per mandare quanto
risparmia alla moglie e alla sua "fata", la figlia studentessa, che ha 15
anni. Pavel ha braccia veloci. L'anno scorso e' riuscito a riempire fino a
15 cassoni al giorno: 45 quintali di pomodori, lavorando dall'alba a notte.
Con il cottimo a 3 euro a cassone, era una buona paga secondo lui: tolti il
trasporto al campo e la tangente per il caporale, Pavel riusciva a
guadagnare anche 25 o 30 euro al giorno. Ma il 20 luglio Asis gli impedisce
di ripetere il record. Qualcuno gli ha riferito che Pavel ha protestato per
la faccenda dei soldi e per lo sfruttamento dei braccianti. Il tunisino lo
colpisce nel sonno, in una giornata senza lavoro, alle due del pomeriggio.
Pavel si protegge la testa con le braccia. La sbarra di ferro gli rompe le
ossa e apre profonde ferite nella carne.
*
Lui e' sicuro di non essere stato ucciso soltanto per l'intervento dei suoi
compagni di stanza. Ma lo lasciano li' a sanguinare sul materasso fino
all'una di notte. Gli altri stranieri hanno troppa paura di Asis. Anche di
chiamare la polizia e correre il rischio di essere rimpatriati. Alle otto di
sera qualcuno finalmente telefona di nascosto all'ospedale. L'ambulanza e
una pattuglia dei carabinieri, al Villaggio Amendola, arrivano soltanto
cinque ore dopo. Cosi' e' andata, secondo la denuncia.
*
Il 31 luglio Pavel viene dimesso dall'ospedale di Foggia. E' stato operato
da appena quattro giorni. Ha quasi due mesi di prognosi. Ferri e chiodi
nelle ossa. Le braccia ingessate. Medici e infermieri lo consegnano alla
polizia, violando il codice deontologico. E in questura lo trattano da
clandestino. Anche se dal primo gennaio 2007 tutti i rumeni potrebbero
essere cittadini dell'Unione europea. Con le braccia immobilizzate, Pavel
non riesce a impugnare la penna. Il "Primo dirigente dottoressa Piera
Romagnosi", siglando la notifica del decreto di espulsione, scrive che lui
"si rifiuta di firmare". Anche la prefettura di Foggia va per le spicce: nel
decreto di espulsione annota che Pavel e' "sprovvisto di passaporto".
Un'aggravante. Eppure Pavel il passaporto ce l'ha. Alla fine, non trovando
alternative, un ispettore gli dona dieci euro. E una macchina della questura
lo riporta al Villaggio Amendola. Lo scaricano davanti al negozio di
Giuseppina e Asis. Il tunisino se ne occupa subito. Vuole dimostrare a tutti
chi comanda. Minaccia Pavel e lui va a rifugiarsi in un casolare a un
chilometro dal villaggio. Qualche connazionale gli porta in segreto un po'
di pane e da bere. Dopo nove giorni di dolori e sofferenze un amico rumeno
riesce a contattare un avvocato di Foggia, Nicola D'Altilia, ex poliziotto
al Nord. L'avvocato trova il casolare. Incontra Pavel e lo riporta
immediatamente in ospedale. Le ferite sono infette. Il bracciante rumeno e'
grave. Denutrito. Viene ricoverato per setticemia. Il resto e' cronaca degli
ultimi giorni. Il 21 agosto Pavel e' di nuovo dimesso dall'ospedale. Va in
questura a completare la denuncia contro il caporale tunisino e la sua
complice italiana, che era riuscito a presentare al posto di polizia del
pronto soccorso soltanto il 14 agosto. Lo accompagna l'avvocato che l'ha
salvato. Ma dopo una giornata in questura, la Procura fa arrestare Pavel
come immigrato clandestino: non ha rispettato il decreto di espulsione che,
cosi' e' scritto, lo obbligava a lasciare l'Italia dall'aeroporto di Roma
Fiumicino. Non importa se in quelle condizioni comunque non avrebbe potuto
viaggiare. Lo costringono a dormire su una panca di legno nelle camere di
sicurezza. Nonostante le operazioni, le ossa rotte e le ferite ancora
fresche.
*
Il giorno dopo si apre il processo, immediatamente rinviato a ottobre. Oltre
ad aver perso il lavoro, grazie alla legge Bossi-Fini Pavel rischia da uno a
quattro anni di prigione. Piu' di quanto potrebbe prendersi il suo caporale
che intanto resta libero. "Quell'uomo", racconta Pavel terrorizzato, "mirava
alla testa. Voleva uccidermi".
*
Qualche bracciante morto da queste parti l'hanno gia' trovato. Slavomit R.,
polacco, aveva 44 anni quando e' stato bruciato il 2 luglio 2005 in un campo
a Stornara. Un caso irrisolto. Come quello di due cadaveri mai identificati
abbandonati a Foggia. Le scomparse sono un altro capitolo dell'orrore.
Nessuno sa quanti siano i lavoratori rumeni, bulgari o africani spariti. I
caporali, quando li ingaggiano o li massacrano di botte, non sanno nemmeno
come si chiamano. Gli unici casi sono stati scoperti grazie alle denunce
dell'ambasciata di Polonia. Hanno dovuto insistere i diplomatici di
Varsavia. E' dal 2005 che cercano notizie di tredici connazionali. Erano
venuti a lavorare come stagionali nel triangolo degli schiavi. E non sono
piu' tornati a casa. L'elenco compilato in agosto dal consolato sulle
ricerche delle persone scomparse non rende onore all'Italia. Su dodici
"richieste indirizzate alla questura di Foggia", l'ambasciata ha dovuto
prendere atto che per nove casi non c'e' stata "nessuna risposta da parte
della questura". Dopo mesi di inutile attesa l'appello e' stato girato al
Comando generale dei carabinieri. E, attraverso gli investigatori del Ros,
la Procura antimafia di Bari ha finalmente aperto un'inchiesta.
*
Nessuno sta invece indagando sulla morte di un bambino. Perche' quello che
e' successo apparentemente non e' reato. Il piccolo sarebbe nato a fine
settembre. Liliana D., 20 anni, quasi all'ottavo mese di gravidanza, la
settimana di ferragosto arranca con il suo pancione tra piante di pomodoro.
La fanno lavorare in un campo vicino a San Severo. Ne' il marito, ne' il
caporale, ne' il padrone italiano pensano a proteggerla dal sole e dalla
fatica. Quando Liliana sta male, e' troppo tardi. Ha un'emorragia. Resta due
giorni senza cure nel rudere in cui abita. Gli schiavi della provincia di
Foggia non hanno il medico di famiglia. Sabato 18 agosto, di pomeriggio, il
marito la porta all'ospedale a San Severo. La ragazza rischia di morire.
Viene ricoverata in rianimazione. Il bimbo lo fanno nascere con il taglio
cesareo. Ma i medici gia' hanno sentito che il suo cuore non batte piu'.
Anche lui vittima collaterale. Di questa corsa disumana che premia chi piu'
taglia i costi di produzione.
*
L'industria alimentare campana paga i pomodori pugliesi da 4 a 5 centesimi
al chilo. Sulle bancarelle lungo le strade di Foggia i perini salgono gia' a
60 centesimi al chilo. A Milano 1,20 euro quelli maturi da salsa e 2,80 euro
al chilo quelli ancora dorati. Al supermercato la passata prodotta in
Campania costa da 86 centesimi a 1,91 euro al chilo. I pelati da 1,04 a 3
euro al chilo. Eppure, nel ghetto di Stornara, nemmeno stasera che il mese
e' quasi finito ci sono i soldi per comprare un pezzo di carne. "Donald, non
te ne andare", si fa avanti Amadou, "Giovanni e' molto arrabbiato con te
perche' hai lasciato il gruppo. Ti sta cercando, vado a dirgli che sei qui".
Nel fondo di questa miseria, Amadou sa gia' con chi stare. Tra tanti uomini
costretti a inginocchiarsi, lui ha scelto i caporali. E' il momento di
prendere la bici e scappare. Nel buio. Prima che Giovanni decida di chiamare
i suoi sgherri. E di dare il via alla caccia nei campi.
*
Scheda: I medici accusano: arrivano sani e si ammalano qui
Vivono in condizioni disumane. Proprio in questi giorni decine di abitanti
del Ghetto, tra Foggia e Rignano, si sono ammalati di gastroenterite per le
pessime condizioni dell'acqua. Ma anche quest'anno, l'Asl Foggia 3 ha
rifiutato di mettere a disposizione strutture e ricettari per assistere gli
stranieri sfruttati come schiavi nei campi. La denuncia e' dell'associazione
francese "Medici senza frontiere" che invece ha ottenuto la collaborazione
dell'Asl Foggia 2 per l'assistenza sanitaria e umanitaria nel sud della
provincia. Da tre anni un ambulatorio mobile di Msf visita le campagne tra
Cerignola e San Severo. Come se la provincia di Foggia fosse un fronte di
guerra. Ci sono un medico, un'assistente sociale e un coordinatore:
quest'anno Viviana Prussiani, Carla Manduca e Teo Di Piazza. "Per il terzo
anno consecutivo siamo stati costretti a continuare questo progetto", spiega
Andrea Accardi, responsabile delle missioni italiane di Msf: "E ancora una
volta nell'estate 2006 ci troviamo di fronte alla stessa situazione: gli
stranieri arrivano sani e si ammalano a causa delle indecenti condizioni che
trovano nelle campagne. Manca qualsiasi forma di accoglienza. Il sistema
economico e' totalmente ipocrita e vede la connivenza e il coinvolgimento di
tutti gli attori. A partire dal governo e dalle istituzioni locali, ovvero
Comuni e prefetture, fino ad arrivare alle Asl, alle organizzazioni di
produttori e ai sindacati".
Nel 2005 Msf ha pubblicato il rapporto "I frutti dell'ipocrisia" sulle
drammatiche condizioni degli immigrati sfruttati come schiavi non solo in
Puglia. Perche', secondo il tipo di raccolto, situazioni simili si ripetono
in Calabria, Campania, Basilicata e Sicilia. Le malattie piu' gravi sono
state diagnosticate negli stranieri che vivono in Italia da piu' tempo, tra
18 e 24 mesi. Il 40 per cento dei lavoratori nell'agricoltura vive in
edifici abbandonati. Oltre il 50 non dispone di acqua corrente. Il 30 non ha
elettricita'. Il 43,2 per cento non ha servizi igienici. Il 30 ha subito
qualche forma di abuso, violenza o maltrattamento negli ultimi sei mesi. E
nell'82,5 per cento dei casi l'aggressore era un italiano.
*
Scheda: Padroni senza legge
Dietro il triangolo degli schiavi ci sono gli imprenditori dell'agricoltura
foggiana e molte industrie alimentari. Piccole o grandi aziende non fanno
differenza. Quando devono assumere personale stagionale per la raccolta nei
campi, quasi tutte scelgono la scorciatoia del caporalato. Il compenso per
gli stranieri varia da 2,50 a 3 euro l'ora (ai quali pero' vanno tolti tutti
i "servizi" per il caporale). Anche per questo gli italiani sono scomparsi
da questo tipo di lavoro. Solo una piccola minoranza degli agricoltori
interpellati da "L'espresso" dice di pagare i braccianti da 4 a 4,50 euro
l'ora. Ma sempre in nero e rivolgendosi a caporali. In Veneto e in Friuli un
raccoglitore guadagna in media 5,80 euro l'ora piu' i contributi, se in
regola. Oppure da 6,20 a 7 euro l'ora se ingaggiato in nero.
La legge prevede una retribuzione ordinaria di 35 euro al giorno. Per
favorire le assunzioni regolari, il governo ha abbassato i contributi che
gli imprenditori devono versare di circa il 75 per cento. Mentre il
contributo dell'8,54% che il bracciante deve dare all'Inps e' rimasto
inalterato. I controlli sono inefficaci o inesistenti. Nell'ultimo anno in
provincia di Foggia soltanto un imprenditore, a Orta Nova, e' stato
arrestato per sfruttamento dell'immigrazione clandestina.

2. ET COETERA
Fabrizio Gatti, inviato del settimanale "L'espresso", e' un giornalista
d'inchiesta; lo scorso anno fingendosi straniero immigrato in Italia senza
permesso di soggiorno si lascio' recludere in un campo di concentramento per
immigrati (disumane strutture segregative istituite in Italia nel 1998 con
la denominazione di "Centri di permanenza temporanea", flagrante esempio di
violenza istituzionale, incostituzionalita' e razzismo), realizzando un
reportage di denuncia apparso su "L'espresso", riproposto anche ne "La
nonviolenza e' in cammino" n. 1079.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 38 del 5 settembre 2006

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