La nonviolenza e' in cammino. 1408



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1408 del 4 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Una lettera di solidarieta' con Ehren Watada
2. A Pisa un convegno su "La forza della nonviolenza"
3. Daniel Amit: Qui a Gerusalemme...
4. Marina Forti: Donne iraniane contro la discriminazione
5. Lea Melandri: Ripartiamo dalla famiglia
6. La famiglia che uccide
7. Riletture: Fatema Mernissi, Karawan. Dal deserto al web
8. Ristampe: Dante Alighieri, Commedia - Inferno
9. Ristampe: Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia
10. Riedizioni: Niccolo' Tommaseo, Opere
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. APPELLI. MARIA G. DI RIENZO: UNA LETTERA DI SOLIDARIETA' CON EHREN WATADA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) ed
invitiamo chi legge ad aderire al seguente appello.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005.
Ehren Watada, tenente dell'esercito statunitense, il 22 giugno scorso si e'
rifiutato di partire per l'Iraq, considerando illegali la guerra e
l'occupazione; un suo intervento e' nel n. 1390 di questo foglio; nel n.
1391 e' apparso anche un intervento di sua madre Carolyn Ho; per ulteriori
informazioni si veda nel sito www.thankyoult.org]

Il tenente obiettore Ehren Watada potrebbe comparire di fronte alla corte
marziale in autunno (forse ai primi di novembre).
Il giudice militare per le udienze preliminari, tenente colonnello Mark
Keith, pur affermando di crederlo "sincero nei suoi convincimenti" e di
essere d'accordo con la tesi presentata dalla difesa, ovvero che "ogni
ufficiale ha il dovere di valutare la legalita' degli ordini ricevuti", ha
aggiunto che la "complessita' delle leggi statunitensi ed internazionali
rende molto difficile agli ufficiali dell'esercito determinare la legalita'
delle operazioni di combattimento ordinate dal presidente degli Usa, nonche'
comandante in capo, ne' dovrebbero tentare di farlo".
Dopo questo ragionamento, il tenente colonnello ha ritenuto che vi siano
"prove ragionevoli" per ritenere Watada colpevole delle violazioni degli
articoli del codice militare per i quali era comparso all'udienza
preliminare, tra cui: l'aver mancato di unirsi al movimento delle truppe
(87), il che potrebbe "essere di cattivo esempio per altri"; l'aver mancato
di rispetto agli ufficiali superiori (88), per le dichiarazioni rese alla
stampa sul presidente Bush, le quali avrebbero "minato il buon ordine e la
disciplina di tutto il personale militare"; l'aver tenuto una condotta
indegna di un ufficiale e di un gentiluomo (133) per aver descritto le
azioni dell'esercito in Iraq come un "massacro indiscriminato".
Oltre poi a confermare le accuse, il tenente colonnello Keith ne ha aggiunta
una di propria iniziativa, "ammutinamento e sedizione" (articolo 94), per
aver "disprezzato il presidente degli Usa e aver suggerito che i soldati
statunitensi possono fermare la guerra semplicemente rifiutandosi di
combatterla".
E si' che il docente di diritto Francis Boyle, del collegio di difesa di
Watada, lo aveva spiegato piuttosto chiaramente: "Perche' gli Usa possano
entrare in guerra vi sono due condizioni base da rispettare. Primo,
l'entrata in guerra deve essere autorizzata dal Congresso secondo la
clausola costituzionale (War powers clause), e secondo, fino a che gli Usa
stessi non vengono attaccati a livello militare, l'entrata in guerra deve
essere autorizzato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. In tutti gli altri
casi, una guerra di aggressione e' un crimine contro la pace secondo gli
statuti di Norimberga, e cio' e' attestato nella nostre specifiche leggi
(Laws of land warfare). L'uso di bombe a frammentazione in aree civili e di
uranio impoverito ha inoltre violato varie leggi internazionali".
La famiglia e i sostenitori del tenente obiettore chiedono di scrivere (a
mano, non via mail) al comandante di Fort Lewis, dove Ehren Watada presta
servizio. Chiedono di esprimere in modo rispettoso il proprio sostegno
all'azione del tenente. Un testo suggerito e' il seguente:
"Along with tens of thousands, I support Lt. Ehren Watada's right to refuse
an illegal war. I ask that you not bring court martial proceedings against
him".
(Traduzione italiana: "Assieme a migliaia di altre persone, sostengo il
diritto del tenente Ehren Watada a rifiutare una guerra illegale. Chiedo che
lei non porti avanti il procedimento della corte marziale contro di lui").
L'indirizzo cui inviare le lettere e': Commanding General Fort Lewis and I
Corps Lt. Gen. James M. Dubik, Bldg 2025 Stop 1 Fort Lewis WA 98433 Usa.

2. INCONTRI. A PISA UN CONVEGNO SU "LA FORZA DELLA NONVIOLENZA"
[Da Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo.
Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere
moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli
studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti  presso
l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza
all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le
opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione
nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca
Franco Serantini, Pisa 1998.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006.
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui'
Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a
San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e
Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in
Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza
comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e
partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in
Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto
segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo
pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela,
Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha
pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del
ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le
comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa
esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e
l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti:
digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese)
www.canva.org]

Cento anni di satyagraha: La forza della nonviolenza: 11 settembre 1906 - 11
settembre 2006. Tre giorni di studi e proposte dal 9 all'11 settembre in
occasione del centenario della nonviolenza gandhiana (Calambrone - Pisa).
*
Il modo in cui registriamo la storia e raccontiamo il nostro passato ha
un'influenza determinante sul futuro corso dell'umanita'. L'11 settembre
puo' essere ricordato per gli attentati terroristici del 2001, che
produssero dolore e rabbia in Occidente, tanto da indurre molti a
giustificare la logica perversa della guerra preventiva. Oppure possiamo
decidere di ricordare un evento piu' antico, foriero di speranza, che
interpella le nostre coscienze poiche' prospetta una modalita' radicalmente
alternativa di gestione dei conflitti.
L'11 settembre 1906 si svolgeva, nel vecchio Teatro imperiale di
Johannesburg, convocata dal giovane avvocato Gandhi, una grande assemblea
degli immigrati indiani in Sud Africa che decidevano di intraprendere una
campagna di lotta e di disobbedienza civile contro leggi discriminatorie ed
umilianti. In seguito il Mahatma Gandhi riconobbe in quell'evento l'atto di
nascita del satyagraha, parola sanscrita che significa il potere della
verita': un modo nuovo di lottare che sostituisce alla forza fisica il
ricorso a una forza piu' grande, che nasce dall'amore per gli altri e per la
verita'.
Nell'avvicinarsi del centenario di quello storico evento, il Centro Gandhi
di Pisa e i "Quaderni satyagraha" vogliono avviare una riflessione e una
ricerca comune che indichino i percorsi attuali e ininterrotti del
satyagraha di Gandhi organizzando la manifestazione "Cento anni di
satyagraha: La forza della nonviolenza. 11 settembre 1906 - 11 settembre
2006". Saranno tre giorni di studi e proposte, dal 9 all'11 settembre presso
il "Regina mundi" di Calambrone (PI) con tavole rotonde e dibattiti sul
metodo rivoluzionario e nonviolento di liberazione sociale.
Il pomeriggio dell'11 settembre a Pisa (ore 17 presso l'auditorium della
Provincia "Centro Maccarrone") ci sara' la celebrazione pubblica del
centenario, con una tavola rotonda sulla nascente campagna di mobilitazione
popolare per la messa al bando delle armi atomiche.
Parteciperanno Alex Zanotelli (sacerdote comboniano), Anthony Elenjimittam
(sacerdote, fu discepolo di Gandhi), Lidia Menapace (senatrice), Nanni Salio
(Centro "Sereno Regis' di Torino), Alberto L'Abate e Angelo Baracca
(Universita' di Firenze).
"Alle guerre mondiali del XX secolo c'e' una risposta ed una compensazione:
questa risposta, questa compensazione, e' l'epopea di Gandhi... Le due
grandi scoperte del secolo sono: la bomba atomica e la forza della verita' o
nonviolenza. Non e' a caso che si sono rivelate contemporaneamente. Esiste
un vincolo logico tra loro: quello della potenza delle Tenebre con la Luce,
quello della Morte con la Vita. Ed ora la logica esige che venga fatta una
scelta" (Lanza del Vasto).
Programma e informazioni sullíiniziativa sono disponibili nel sito
www.centrogandhi.it
*
Per contattare i promotori dell'iniziativa: Centro Gandhi - associazione per
la nonviolenza onlus, redazione "Quaderni satyagraha", via Santa Cecilia 30,
Pisa, tel. e fax: 050542573, e-mail: pdpace at interfree.it, sito:
www.centrogandhi.it
Il Centro Gandhi si e' costituito nel giugno 2000 con l'obiettivo di
promuovere la cultura e la pratica della nonviolenza e la realizzazione di
una societa' nonviolenta. Dal 2002 pubblica i semestrali "Quaderni
satyagraha", rivista di approfondimento sul metodo nonviolento di
trasformazione dei conflitti.

3. RIFLESSIONE. DANIEL AMIT: QUI A GERUSALEMME...
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 settembre 2006. Daniel Amit, nato nel
1938 a Lodz, in Polonia, cittadino israeliano, docente di fisica
all'Universita' ebraica di Gerusalemme e all'Universita' "La Sapienza" di
Roma, e' una delle figure piu' vive dell'impegno pacifista; ha pubblicato
vari lavori scientifici e molti interventi per la pace, il dialogo e la
convivenza, per i diritti e la liberazione dei popoli e delle persone]

Qui a Gerusalemme abbiamo vissuto questa guerra di distruzione del Libano
con grande angoscia e frustrazione. E' apparso subito chiaro che questo
orrore era stato premeditato. Non e' stato minimamente conseguenza
dell'incidente di frontiera in cui sono stati catturati i due militari
israeliani. E' stato invece lanciato con la palese connivenza (materiale e
politica) degli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna (il cosiddetto "asse del
bene"). Eppure, le forze pacifiste si sono trovate per lo piu' paralizzate.
La manifestazione piu' grande ha radunato due-tremila persone. I massimi
portavoce di quel movimento - come Yehoshua, Grossmann, Oz, Sobol - cosi'
come il movimento Peace Now, si sono lasciati convincere ad assumere, dopo
tanto tempo, il ruolo di "violenti giusti" dalla parte del potere e del
consenso nazionale.
*
Un partito laburista allo sbaraglio
Non minori sono stati la confusione e il disorientamento creati dal partito
laburista, secondo partito della coalizione. Questo partito era stato eletto
con alla testa Amir Peretz, leader sindacalista, pacifista, con un'agenda la
cui massima priorita' era la situazione sociale, che proprio oggi ha
raggiunto (secondo il rapporto dell'Istituto della previdenza sociale) nuovi
massimi di tassi di poverta'. Eppure, il governo ha votato tagli alla spesa
sociale (per finanziare la guerra) con i voti dei laburisti. E Peretz,
ministro della difesa, ha assunto fin dal primo istante un atteggiamento
estremamente bellicoso. Questa combinazione tra una vita da oppositore
anti-guerra e la necessita' di ottenere una legittimita' maggioritaria, e'
una miscela politico-psicologica micidiale.
*
Il nuovo ruolo dell'Italia
In questo contesto per la prima volta nella memoria israeliana l'Italia e'
finita al centro dei notiziari e molto ben vista dagli ambienti governativi.
Tanti bollettini richiamano le parole del ministro degli esteri italiano e
del rapporto speciale che si e' venuto a creare tra lui e la sua omologa
israeliana. Tutto questo in un ambito in cui Israele interpreta il ruolo
dell'Onu come un garante degli obiettivi militari mancati dalla violenza
militare.
Ma le notizie dal fronte pacifista italiano, sempre da lontano e attraverso
internet, testimoniano di una sindrome simile a quella della sinistra
israeliana. Sembra una corsa al sostegno del ruolo italiano nel sud-Libano
come forza militare sotto l'egida dell'Onu. Da un lato appare una rivincita
sul ruolo italiano umiliante, e assai controverso, in Iraq, in Afghanistan,
in Kosovo. Le considerazioni politiche della guerra e del dopo-guerra nel
Libano sembrano del tutto assenti. L'unica cosa che si propone come
giustificazione di quella esultanza e' il fatto che l'intervento militare
(perche' di intervento militare si tratta) e' coperto dalla risoluzione 1701
del Consiglio di sicurezza. Sembra proprio quella tipica euforia legata al
rovesciamento dei ruoli: eravamo in forte opposizione alla presenza militare
italiana in Iraq perche' non era sancita dall'Onu. Ora siamo orgogliosamente
a favore perche' i nostri sono al governo, e l'Onu siamo noi.
Ma questo ragionamento rischia di incappare in un errore logico. Essere
contrari a un intervento militare non sancito dall'Onu e' un dovere
categorico. Esso non implica minimamente che sia giustificato sostenere (in
modo acritico) un intervento militare votato (in extremis) dal Consiglio di
sicurezza. Il ruolo dell'Onu in questo conflitto e' quantomeno ambiguo. Se
l'Onu fosse intervenuta tempestivamente dopo l'inizio dell'attacco, puntando
sull'offensore (Israele) e sui complici (Stati Uniti e Gran Bretagna) e
imponendo un cessate-il-fuoco e un ritiro immediati, con pagamento dei
danni, e minacciando sanzioni in caso di omissione, si sarebbe guadagnata un
minimo di fiducia.
*
Il silenzio di Kofi Annan
Invece l'attacco e' stato fatto proseguire per 33 giorni, con flusso
continuo di materiale bellico dagli Stati Uniti, con la Rice che definiva
gli obiettivi e Blair che li giustificava. Inoltre, le esternazioni del
segretario generale Kofi Annan, in visita in questi giorni nella regione,
dimostrano apertamente che il ruolo concepito dalla massima autorita'
dell'Onu non e' ristabilire un ordine internazionale decente. Annan non
critica nessuno; richiede la liberazione dei due militari prigionieri
israeliani, obiettivo mancato della guerra, ma non menziona i detenuti
libanesi nelle prigioni israeliane (e ce ne sono parecchi), ne' la gravita'
della violazione (che persiste) dell'integrita' territoriale del Libano; ne'
il fatto che durante le ultime settimane sono stati uccisi piu' di duecento
palestinesi nella striscia di Gaza; ne' il fatto che una gran parte del
sistema governativo palestinese, democraticamente eletto, e' stato rapito da
Israele (formalmente parlando).
*
Una deflagrazione inevitabile
Sembra sempre piu' logico attribuire all'Onu e al suo segretario generale il
ruolo di "interprete" per coloro che sono militarmente piu' forti. E
l'Europa, che si vanta di aver trovato il suo ruolo di autonomia in politica
estera, purtroppo si presta al ruolo di foglia di fico in questo schema. Il
problema e' che questo sviluppo non rappresenta solo la mancata
realizzazione di un ideale di rispetto del diritto internazionale e dei
diritti umani (il che non sarebbe poco), ma che soprattutto costituisce una
ricetta di instabilita' foriera di una prossima deflagrazione, che in
Israele e' considerata ineluttabile.
Tutti questi argomenti non toccano molto la gente al potere, purtroppo. Loro
fanno i debiti calcoli di rischi e benefici. Ma da qualche parte dovrebbe
essere preservata una dimensione di autonomia, che confronti la realpolitik
della nostra epoca con uno specchio critico senza compromessi, e che
continui a pensare soluzioni giuste e durature ai conflitti internazionali.

4. MONDO. MARINA FORTI: DONNE IRANIANE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo settembre 2006. Marina Forti,
giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti
umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano
"Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia
globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per
sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di
Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel
Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004]

Raccogliere un milione di firme per chiedere di cambiare le leggi che
discriminano le donne. E' l'obiettivo di un folto gruppo di attiviste
iraniane.
La petizione e' pubblicata su un sito web (www.we-change.org): sottolinea
che le leggi in Iran "considerano le donne cittadine di seconda classe",
discriminate in molti modi: dalle norme su divorzio, affidamento dei figli
ed eredita' a quelle secondo cui serve la testimonianza di due donne per
pareggiare quella di un uomo, o che richiedono a una donna il permesso del
padre o marito per viaggiare.
Da tempo gruppi di iraniane fanno campagna perche le donne siano cittadine
uguali di fronte alla legge.
Era anche l'obiettivo di una manifestazione, il 12 giugno a Teheran,
violentemente repressa dalla polizia. Tra le promotrici della campagna ci
sono persone note per l'impegno sociale e intellettuali, avvocatesse,
editrici. Contano di raccogliere le firme con un lavoro porta a porta, in
luoghi pubblici, conferenze, consultazioni con le donne in tutto il paese:
dicono che la maggioranza delle donne e degli uomini di ogni estrazione
sociale in Iran vuole il cambiamento.

5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: RIPARTIAMO DALLA FAMIGLIA
[Dal sito dell'Universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul
quotidiano "Liberazione" del 20 agosto 2006. Lea Melandri, nata nel 1941,
acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba
voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel
movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea
Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio,
Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore,
Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della
memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita'
indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati
Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo
la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e
nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una
Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme
ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio
Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato
l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi
1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di
questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono
testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio
1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 (
ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

In un articolo uscito su "Liberazione" il 10 agosto 2006, Susanna Camusso,
riferendosi all'impegno politico delle assemblee "Usciamo dal silenzio" da
gennaio ad oggi, e notando che sulle questioni legate all'aborto -
applicabilita' della legge 194, sperimentazione di nuove terapie - era
prevalsa una posizione "difensiva", si chiedeva quando e dove il movimento
femminista degli anni '70 aveva perso "la sua presa", la capacita' di
produrre cambiamenti significativi. Forse - era la risposta- nell'aver dato
per scontato che i consultori fossero ormai luoghi acquisiti di tutela della
salute delle donne, o, peggio ancora, nell'averli visti progressivamente
trasformarsi in servizi per genitori e figli, nell'avere piu' o meno
consapevolmente accettato di restare "donna di", e aver quindi permesso che
la famiglia diventasse il "centro di tutto". Un discorso, concludeva
Camusso, che ci porterebbe lontano.
Ma forse e' proprio lontano che dobbiamo spingerci, per non cadere nelle
secche di rivendicazioni apparentemente piu' concrete, come la difesa di
un'idea restrittiva di "salute della donna" o la scelta di una particolare
pratica abortiva. Gli interrogativi che sono stati posti dall'avvicendarsi
di manifestazioni, assemblee, seminari nazionali, documenti, comunicazioni
via internet, hanno oscillato, mi verrebbe da dire con una semplificazione,
tra corpo (sessualita') e politica, un vecchio dilemma del femminismo, che
aspetta ancora risposte adeguate, e che solo in senso lato puo' essere
ricondotto all'incerto, difficile rapporto tra partiti e movimenti.
*
A portarci sull'orizzonte piu' ampio, che ci sembra di aver progressivamente
smarrito negli ultimi due decenni, e' oggi un documento che viene da una
sponda imprevista, guardata con diffidenza da molte di noi, pur nella
manifesta e pressoche' unanime simpatia per la donna che se ne e' fatta
promotrice: Rosy Bindi e il suo Ministero della famiglia.
La relazione con cui Bindi si e' presentata alla Commissione affari sociali
della Camera dei deputati e' uno straordinario affresco del disagio che
attraversa la nostra societa', delle ansie sotterranee che la politica
ignora o traduce malamente in diatribe astratte, un esempio chiaro delle
contraddizioni che rendono uno sforzo autenticamente democratico inefficace,
quando non riesce a individuare gli interlocutori reali, le loro storie e le
loro aspettative. Chi ha deciso di istituire un Ministero della famiglia di
certo non si aspettava che essa sarebbe stata messa sullo stesso piano delle
"grandi opere" necessarie allo sviluppo umano, economico, sociale, che
avrebbe ritrovato quella centralita' che la storia le ha via via sottratto,
e, insieme, gli inequivocabili, mai tramontati legami di parentela con la
societa' nel suo complesso.
Fuori dalla retorica che ne ha cosi' a lungo coperto la marginalita', la
famiglia e' chiamata a una "cittadinanza sociale" che la impegna come
"soggetto attivo di welfare", accanto alle massime istituzioni dello Stato.
Ma il lungo esilio, la colpevole latitanza della responsabilita' pubblica,
la persistenza di abitudini e antichi conflitti mescolati a rapide,
incontrollate trasformazioni, hanno fatto si' che una fondamentale risorsa
della collettivita' si presentasse all'appuntamento con la storia come un
malato terminale, al cui letto e' chiamato per un ultimo tentativo di
guarigione l'intero "sistema Paese", coi suoi Ministeri - salute, lavoro,
solidarieta' sociale, giustizia, ecc. -, le sue diramazioni locali -
Regioni, Comuni -, le sue strategie di governo, e un investimento di spesa
quale nessun Ministero senza portafoglio penso abbia mai osato chiedere.
*
Le funzioni di cui si e' continuato a far carico alla famiglia non sono
cambiate molto rispetto alla descrizione che ne facevano i sociologi
all'inizio del '900: "governo della casa, procreazione, allevamento e
educazione dei figli, regolazione dell'incremento demografico,
socializzazione, mantenimento dei malati e dei vecchi, possesso e
trasmissione ereditaria del capitale e di altre proprieta', determinazione
della scelta della professione" (Max Horkheimer, Studi sull'autorita' e la
famiglia, Utet, 1968).
La famiglia, si legge nel documento di Rosy Bindi, e' chiamata a far fronte
ai problemi che accompagnano ogni "percorso di vita": nascita, crescita dei
figli, cura dei piu' deboli, gestione dei conflitti, solidarieta' tra
generazioni. Ma e' anche "il primo spazio in cui si sperimenta la quotidiana
fatica di gestire la sfera degli interessi e delle emozioni. Produrre
ricchezza e risparmio con il lavoro che le sue componenti svolgono
all'interno e all'esterno. Al tempo stesso produce e riflette antiche
tensioni e nuovi conflitti sociali... la violenza sui bambini e le donne, il
disagio degli adolescenti, l'aumento delle poverta', la solitudine delle
persone, l'emarginazione degli anziani".
Su un luogo che conserva quasi invariati nel tempo ruoli, gerarchie,
pregiudizi, consuetudini, adattamenti, cadono oggi emergenze prodotte da
trasformazioni culturali, economiche e sociali, di cui la famiglia e' al
medesimo tempo origine, riflesso e contenimento. Il declino demografico -
denatalita' e invecchiamento della popolazione, con il conseguente numero
sempre maggiore di anziani non autogestiti -, la deistituzionalizzazione,
l'aumento delle coppie non sposate e dei figli nati fuori dal matrimonio,
fanno dire a Rosy Bindi che diventa sempre piu' difficile "fare",
"continuare" e persino "resistere" a fare famiglia, ma che, ciononostante,
la famiglia "regge".
Il malato e' grave, ma non moribondo, e lodevole e' sicuramente l'insistenza
con cui nell'ordinato sviluppo dei temi ritorna la sollecitazione a
riconoscere il "valore sociale" della famiglia, il "bene" fondamentale che
essa rappresenta per lo sviluppo, la crescita, la coesione. Una buona
ragione perche' non sia piu' permesso a una responsabilita' pubblica finora
carente di esimersi da tutelarla, garantirle un'esistenza dignitosa.
*
Detto questo, e riconosciuto che la nuova politica con cui Bindi pensa si
debba affrontare il problema famiglia e' molto lontana dalle soluzioni
compassionevoli di un certo conservatorismo cattolico, ancorata com'e' a
logiche di diritto, impegni istituzionali, risorse pubbliche, e' come se un
ostacolo, una di quelle barriere che nascondono all'improvviso l'intero
paesaggio, ci rimandasse all'assunto iniziale: che cos'e' la famiglia? Che
senso ha parlarne come di un'entita' a se' stante, distinta dai singoli
componenti? Benche' formulata in modo meno esplicito, la domanda e'
sicuramente presente dietro le spiegazioni che vengono date quasi in
apertura del documento.
Il rimando e' alla Costituzione, articolo 29, comma primo, laddove si dice
che "si riconoscono diritti alla famiglia come societa' naturale fondata sul
matrimonio". Preoccupata di "armonizzare" diritti della persona e della
famiglia, ben sapendo quanto confligga tuttora la liberta' del singolo con
le richieste del gruppo di appartenenza, Rosy Bindi conclude sbrigativamente
e in modo assiomatico che "la famiglia non puo' essere nemica delle persone"
e che, come tutte le "formazioni sociali", essa ha come fine "lo svolgimento
della personalita' degli esseri umani". A riparo di ulteriori obiezioni,
viene detto chiaramente che, rispetto ai suoi componenti, la famiglia gode
di un "plusvalore istituzionale", o, come si legge piu' avanti nel capitolo
sulle "unioni di fatto", una "dignita' superiore", non solo perche'
rispondente a un "ordine naturale", ma perche' garanzia di stabilita',
certezza, reciprocita' di diritti e doveri, in virtu' del matrimonio.
Il fatto che i dati Istat, e tutte le ricerche sociologiche riportate
scrupolosamente nel testo dicano il contrario - separazioni e divorzi in
crescita, violenze, obblighi disattesi dai coniugi, allentamento dei legami
di parentela -, non distoglie da quello che e' l'assunto pregiudiziale del
documento: per avere cittadinanza negli ambiti istituzionali della politica
la famiglia non puo' parlare un'altra lingua, non puo' rivelare il volto dei
suoi reali componenti, l'uomo e la donna, ne' dire della storia di  dominio
che ha sottomesso un sesso all'altro, escluso la donna dalla scena pubblica,
legittimato il potere maschile e la divisione dei ruoli sessuali sulla base
di un dato biologico assunto in modo astorico e deterministico. Questo
significherebbe riconoscere l'inimicizia che fin dai primordi ha
contrapposto la famiglia e la societa', l'amore come tendenza a creare
appartenenze intime, esclusive, e il bisogno altrettanto forte di allargare
il cerchio della vita. Vorrebbe dire, soprattutto, che all'origine del lungo
esilio della famiglia dalla societa' nel suo complesso c'e' la pretesa
"naturalita'" del ruolo materno, l'identificazione della donna con la
genitrice, e quindi della sessualita' con la procreazione.
La senatrice socialista Lina Merlin, come si apprende da una recente
biografia a cura di Anna Maria Zanetti (Marsilio 2006), nel dibattito in
aula del 15 gennaio 1947, si era detta contraria all'inserzione della
famiglia nella Costituzione, per timore di definizioni destinate a
cristallizzare un credo piuttosto che un altro. Ma poi scriveva: "Proteggere
la maternita' significa proteggere la societa' alla sua radice". La
continuita' tra famiglia e istituzioni sociali si e' retta per millenni sul
potere dell'uomo, presente sia nella sfera pubblica che privata, ma anche
sulla complementarieta' di natura e cultura, rappresentata dalla
differenziazione dei ruoli del maschio e della femmina. Questo "ordine", sia
esso dato come naturale o sovrannaturale, laico o religioso, non sfugge alla
sacralita' di tutto cio' che e' posto fuori dalla storia, e come tale
immodificabile e misterioso. La prima rappresentazione dissacrante della
famiglia e' venuta dal femminismo degli anni '70, nel momento in cui ha
separato l'individualita' femminile dalla funzione di madre, la sessualita'
dalla procreazione. Se la donna puo' scegliere se fare o non fare figli, il
matrimonio perde il suo fondamento biologico, la prole, e la famiglia non e'
piu' quell'assetto naturale di cui parla la Costituzione.
E' questa la prima grande trasformazione che, insieme al complesso della
ragioni economico-sociali descritte da Rosy Bindi, ha messo in crisi la
natalita', reso piu' gravoso e sempre meno sopportabile quel "lavoro di
cura" e di assistenza di bambini e anziani, malati, che ancora viene
richiesto alle donne in virtu' delle loro "naturali" doti materne, della
loro lunga frequentazione di corpi, sentimenti, sofferenze. Se e' cosi'
forte la preoccupazione di distinguere la famiglia fondata sul matrimonio
dalle unioni di fatto, e' perche' in realta' si somigliano sempre di piu',
perche' la convivenza comincia a strutturarsi sempre piu' spesso sulla base
di relazioni sessuali, sentimentali e di solidarieta', scelte liberamente.
E' questo spostamento lento, che ha fatto seguito alle grandi scosse degli
anni '70, a inquietare al punto da dover essere detto e contraddetto,
mostrato e al medesimo tempo nascosto, quando non del tutto cancellato. E'
cosi' che le figure dell'uomo e della donna spariscono dietro le maschere
della coppia genitoriale; e' cosi' che la centralita' del disagio femminile,
su cui pesano violenza, sacrificio, fatica, dispendio di energie fisiche e
intellettuali, viene soppiantata dall'attenzione quasi esclusiva al diritto
dei bambini.
*
Ma dove la contraddizione tra il mostrare e il negare e' piu' scoperta, e'
laddove si parla del bisogno di tenere insieme tempo di lavoro e tempo di
cura, ben sapendo che si sta parlando dell'incidenza che hanno avuto e hanno
tuttora la maternita', la responsabilita' della famiglia, la cura e
l'assistenza dei suoi componenti, nel trattenere le donne fuori da ogni
potere, decisionalita', realizzazione personale. Dovrebbe bastare questa
consapevolezza per capire che nessuna tutela, nessun rappezzamento, nessun
servizio di pubblica sussidiarieta' potra' sostituire l'unica vera reale via
d'uscita: il cambiamento del rapporto tra i sessi, la ridefinizione della
sfera pubblica e privata, lo sforzo di immaginare altri modelli di sviluppo,
di crescita, di invecchiamento, di amore e di solidarieta' coi piu' deboli.
Politiche famigliari volte ad alleviare un carico insostenibile di spesa per
l'assistenza domiciliare degli anziani sono sicuramente desiderabili, come
sa chi ha visto genitori invalidi, nullatenenti, ricevere assegni di cura e
accompagnamento a pochi mesi della morte.
Ma ne' lo sgravio economico, ne' il ricorso ad assistenti familiari
straniere, costrette a un "percorso lavorativo" che avviene all'insegna
della poverta' di alcuni popoli e del privilegio di altri, e in molti casi
in condizione di semischiavitu', riusciranno ad appagare quel bisogno di
liberta', padronanza di se', protagonismo politico, che una coscienza
femminile recente ha posto con forza per le donne, e per tutti. Non ci sono
Osservatori, Giudici e Garanti, monitoraggi permanenti per controllare lo
stato di salute della famiglia, che possano illudersi di avere una qualche
benefica incidenza senza "mettersi all'ascolto" - per usare un'espressione
di Rosy Bindi - di quella che e' stata tradizionalmente la "risorsa" prima
della sopravvivenza: la maternita' di destino delle donne.
E' da qui che puo' ricominciare una riflessione che responsabilizzi,
riguardo al modello di civilta' che vogliamo, donne e uomini: singoli,
associazioni, movimenti.

6. RIFLESSIONE. LA FAMIGLIA CHE UCCIDE

Sapevano tutti gli antichi greci, e sapevano anche che la famiglia e'
insieme il luogo della massima solidarieta' e dei massimi conflitti tra le
persone: proprio perche' e' il luogo della vicinanza estrema, del conoscersi
piu' radicale e anche della piu' straziante estraneita' e dell'oppressione
piu' crudele. Tra pericolo e salvezza, tra male e bene, tra violenza e
amore, sappiamo, vi e' un vincolo stretto, e sempiterno un conflitto
(poiche' invero non il due si ricompone nell'uno, ma sempre l'uno si
risquarcia in due, come sapeva quel dialettico cinese), che puo' strozzare o
sorreggere: di piu', vi e' il rapporto che tiene insieme ombra e luce,
tenebre e giorno, e ti chiama alla scelta del bene, del vero, del giusto,
alla lotta infinita per l'umanita'.
Cosi' tutto e' detto gia' nel ciclo tebano, ed ancora nel ciclo troiano
tornano padri che sgozzano figlie, scontri tra maschi per il possesso di
schiave, e genealogie di violenze inaudite, e tutte le forme ulteriori di
una combinatoria che rinvia alle strutture elementari della parentela
levi-straussiane, ma in forme corrusche ed esplosive, di lacerate carni e
affannato respiro, soma e pneuma, tellus e ruah.
E queste antiche storie ci parlano dell'oggi, di noi, del fascismo dei
maschi, della famiglia che uccide le donne, della lunga scia di sangue che
segna il cammino della figura del pater familias e del potere patriarcale: e
ci interrogano, queste storie antiche, e ci convocano alla lotta contro
quella radice profonda della violenza che e' il maschilismo, e ci ricordano
che e' nella riflessione e nelle prassi del movimento di liberazione delle
donne, nel femminismo, la corrente calda, l'inveramento storico maggiore
nell'epoca nostra, di quella speranza e di quella scelta che chiamiamo
nonviolenza.

7. RILETTURE. FATEMA MERNISSI: KARAWAN. DAL DESERTO AL WEB
Fatema Mernissi, Karawan. Dal deserto al web, Giunti, Firenze 2004, pp. 256,
euro 12. Un libro vivacissimo (e con un efficacissimo uso del colore, della
grafica, delle immagini), gremito di esperienze, idee e proposte. Fatema
Mernissi, straordinaria intellettuale femminista marocchina, e' una delle
maestre della nonviolenza in cammino.

8. RISTAMPE. DANTE ALIGHIERI: COMMEDIA - INFERNO
Dante Alighieri, Commedia - Inferno, Mondadori, Milano 1991, 2006, pp. LXII
+ 1058, euro 4,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori).
Nell'eccellente recente edizione a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi
nella collana dei Meridiani, l'infinita felicita' di rileggere Dante.

9. RISTAMPE. MIGUEL DE CERVANTES: DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, Mondadori, Milano 1974,
2006, pp. LXVIII + 1452, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici
Mondadori). Nella ormai storica traduzione di Ferdinando Carlesi, e per le
cure di Cesare Segre e Donatella Moro Pini, il capolavoro cervantino - con
un cospicuo apparato. Ma naturalmente almeno il Chisciotte va letto in
castigliano, ed altrettanto naturalmente di Cervantes va letta l'opera omnia
(in italiano nell'edizione diretta da Franco Meregalli per Mursia).

10. RIEDIZIONI. NICCOLO' TOMMASEO: OPERE
Riedizioni: Niccolo' Tommaseo, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore,
Milano 2006, pp. LVIII + 562, euro 12,90 (in supplemento a "Il sole 24
ore"). Dalla Letteratura Italiana Ricciardi una scelta antologica (invero
troppo ristretta) dalle opere dell'inesauribile poligrafo e combattente per
la liberta'. Caviamoci subito questo dente: leggemmo da giovani (forse nei
Sette anni del Ranieri, per quanto possa essere attendibile: ma
nell'epistolario di suo proprio pugno Leopardi non e' da meno, e si veda
conclusivamente quanto scrive al de Sinner ancora nel dicembre del '36) quel
giudizio irriferibile di Leopardi, e nella nostra militanza leopardiana
pensammo che in quanto del partito del recanatese (e classicisti, e
materialisti storici per giunta) dovessimo - sia pur rispettosamente, non
eravamo poi del tutto scempi - tenerci a qualche distanza dal coraggioso
patriota cattolico liberale e prolifico e incontrollato autore romantico e
sentimentale dalle cui mani colavano scritture infinite. Anni dopo un
maestro come Giacomo Debenedetti (nel libro che raccoglie i quaderni alla
base delle sue lezioni sul Tommaseo alla Sapienza) ci rivelo' la grandezza
di un'opera che ci pareva talora un agitarsi tanto generoso quanto confuso,
di una scrittura che ci pareva sovente frenetica e scomposta o leziosa e
logorroica (e dire che amavamo gia' quel Bruno che quanto a scrittura al
galoppo non scherzava). E ci decidemmo quindi ad abbordare i due volumi
sansoniani del dalmata, di cui prima avevamo letto solo sparsi frammenti
della sua vertiginosa pubblicistica (l'insopportabile Fede e bellezza,
talora splendide le traduzioni dei canti popolari greci e illirici, e
finanche gli Esempi di generosita' che se la memoria non ci inganna leggemmo
in una vecchia edizione delle Paoline - quei libriccini degli anni Cinquanta
e Sessanta con la copertina verde...). E dalla lettura sansoniana - che pure
e' solo un lacerto del corpulento corpus dell'opera del Tommaseo - siamo
riemersi rinati a nuova intellezione: pensiamo ancora che Leopardi sia
infallibile, ma anche Tommaseo pur nella lutulenza e limacciosita'
dell'opera sua, e con tutti gli errori (e qualche orrore) che commette nel
suo caracollare e' infine un nostro compagno (scrivo queste note e mi dico:
guarda come invecchiando ti vien voglia - come Origene e Hans-Urs von
Balthasar - di salvare tutti, e il tuo sguardo che si offusca coglie ed ama
ogni piu' piccolo lumicino riesca a scorgere... ma Tommaseo certo non e' un
lumicino, e' un faro).

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1408 del 4 settembre 2006

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