[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1408
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1408
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 4 Sep 2006 00:21:38 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1408 del 4 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Una lettera di solidarieta' con Ehren Watada 2. A Pisa un convegno su "La forza della nonviolenza" 3. Daniel Amit: Qui a Gerusalemme... 4. Marina Forti: Donne iraniane contro la discriminazione 5. Lea Melandri: Ripartiamo dalla famiglia 6. La famiglia che uccide 7. Riletture: Fatema Mernissi, Karawan. Dal deserto al web 8. Ristampe: Dante Alighieri, Commedia - Inferno 9. Ristampe: Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia 10. Riedizioni: Niccolo' Tommaseo, Opere 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. APPELLI. MARIA G. DI RIENZO: UNA LETTERA DI SOLIDARIETA' CON EHREN WATADA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) ed invitiamo chi legge ad aderire al seguente appello. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Ehren Watada, tenente dell'esercito statunitense, il 22 giugno scorso si e' rifiutato di partire per l'Iraq, considerando illegali la guerra e l'occupazione; un suo intervento e' nel n. 1390 di questo foglio; nel n. 1391 e' apparso anche un intervento di sua madre Carolyn Ho; per ulteriori informazioni si veda nel sito www.thankyoult.org] Il tenente obiettore Ehren Watada potrebbe comparire di fronte alla corte marziale in autunno (forse ai primi di novembre). Il giudice militare per le udienze preliminari, tenente colonnello Mark Keith, pur affermando di crederlo "sincero nei suoi convincimenti" e di essere d'accordo con la tesi presentata dalla difesa, ovvero che "ogni ufficiale ha il dovere di valutare la legalita' degli ordini ricevuti", ha aggiunto che la "complessita' delle leggi statunitensi ed internazionali rende molto difficile agli ufficiali dell'esercito determinare la legalita' delle operazioni di combattimento ordinate dal presidente degli Usa, nonche' comandante in capo, ne' dovrebbero tentare di farlo". Dopo questo ragionamento, il tenente colonnello ha ritenuto che vi siano "prove ragionevoli" per ritenere Watada colpevole delle violazioni degli articoli del codice militare per i quali era comparso all'udienza preliminare, tra cui: l'aver mancato di unirsi al movimento delle truppe (87), il che potrebbe "essere di cattivo esempio per altri"; l'aver mancato di rispetto agli ufficiali superiori (88), per le dichiarazioni rese alla stampa sul presidente Bush, le quali avrebbero "minato il buon ordine e la disciplina di tutto il personale militare"; l'aver tenuto una condotta indegna di un ufficiale e di un gentiluomo (133) per aver descritto le azioni dell'esercito in Iraq come un "massacro indiscriminato". Oltre poi a confermare le accuse, il tenente colonnello Keith ne ha aggiunta una di propria iniziativa, "ammutinamento e sedizione" (articolo 94), per aver "disprezzato il presidente degli Usa e aver suggerito che i soldati statunitensi possono fermare la guerra semplicemente rifiutandosi di combatterla". E si' che il docente di diritto Francis Boyle, del collegio di difesa di Watada, lo aveva spiegato piuttosto chiaramente: "Perche' gli Usa possano entrare in guerra vi sono due condizioni base da rispettare. Primo, l'entrata in guerra deve essere autorizzata dal Congresso secondo la clausola costituzionale (War powers clause), e secondo, fino a che gli Usa stessi non vengono attaccati a livello militare, l'entrata in guerra deve essere autorizzato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. In tutti gli altri casi, una guerra di aggressione e' un crimine contro la pace secondo gli statuti di Norimberga, e cio' e' attestato nella nostre specifiche leggi (Laws of land warfare). L'uso di bombe a frammentazione in aree civili e di uranio impoverito ha inoltre violato varie leggi internazionali". La famiglia e i sostenitori del tenente obiettore chiedono di scrivere (a mano, non via mail) al comandante di Fort Lewis, dove Ehren Watada presta servizio. Chiedono di esprimere in modo rispettoso il proprio sostegno all'azione del tenente. Un testo suggerito e' il seguente: "Along with tens of thousands, I support Lt. Ehren Watada's right to refuse an illegal war. I ask that you not bring court martial proceedings against him". (Traduzione italiana: "Assieme a migliaia di altre persone, sostengo il diritto del tenente Ehren Watada a rifiutare una guerra illegale. Chiedo che lei non porti avanti il procedimento della corte marziale contro di lui"). L'indirizzo cui inviare le lettere e': Commanding General Fort Lewis and I Corps Lt. Gen. James M. Dubik, Bldg 2025 Stop 1 Fort Lewis WA 98433 Usa. 2. INCONTRI. A PISA UN CONVEGNO SU "LA FORZA DELLA NONVIOLENZA" [Da Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui' Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti: digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese) www.canva.org] Cento anni di satyagraha: La forza della nonviolenza: 11 settembre 1906 - 11 settembre 2006. Tre giorni di studi e proposte dal 9 all'11 settembre in occasione del centenario della nonviolenza gandhiana (Calambrone - Pisa). * Il modo in cui registriamo la storia e raccontiamo il nostro passato ha un'influenza determinante sul futuro corso dell'umanita'. L'11 settembre puo' essere ricordato per gli attentati terroristici del 2001, che produssero dolore e rabbia in Occidente, tanto da indurre molti a giustificare la logica perversa della guerra preventiva. Oppure possiamo decidere di ricordare un evento piu' antico, foriero di speranza, che interpella le nostre coscienze poiche' prospetta una modalita' radicalmente alternativa di gestione dei conflitti. L'11 settembre 1906 si svolgeva, nel vecchio Teatro imperiale di Johannesburg, convocata dal giovane avvocato Gandhi, una grande assemblea degli immigrati indiani in Sud Africa che decidevano di intraprendere una campagna di lotta e di disobbedienza civile contro leggi discriminatorie ed umilianti. In seguito il Mahatma Gandhi riconobbe in quell'evento l'atto di nascita del satyagraha, parola sanscrita che significa il potere della verita': un modo nuovo di lottare che sostituisce alla forza fisica il ricorso a una forza piu' grande, che nasce dall'amore per gli altri e per la verita'. Nell'avvicinarsi del centenario di quello storico evento, il Centro Gandhi di Pisa e i "Quaderni satyagraha" vogliono avviare una riflessione e una ricerca comune che indichino i percorsi attuali e ininterrotti del satyagraha di Gandhi organizzando la manifestazione "Cento anni di satyagraha: La forza della nonviolenza. 11 settembre 1906 - 11 settembre 2006". Saranno tre giorni di studi e proposte, dal 9 all'11 settembre presso il "Regina mundi" di Calambrone (PI) con tavole rotonde e dibattiti sul metodo rivoluzionario e nonviolento di liberazione sociale. Il pomeriggio dell'11 settembre a Pisa (ore 17 presso l'auditorium della Provincia "Centro Maccarrone") ci sara' la celebrazione pubblica del centenario, con una tavola rotonda sulla nascente campagna di mobilitazione popolare per la messa al bando delle armi atomiche. Parteciperanno Alex Zanotelli (sacerdote comboniano), Anthony Elenjimittam (sacerdote, fu discepolo di Gandhi), Lidia Menapace (senatrice), Nanni Salio (Centro "Sereno Regis' di Torino), Alberto L'Abate e Angelo Baracca (Universita' di Firenze). "Alle guerre mondiali del XX secolo c'e' una risposta ed una compensazione: questa risposta, questa compensazione, e' l'epopea di Gandhi... Le due grandi scoperte del secolo sono: la bomba atomica e la forza della verita' o nonviolenza. Non e' a caso che si sono rivelate contemporaneamente. Esiste un vincolo logico tra loro: quello della potenza delle Tenebre con la Luce, quello della Morte con la Vita. Ed ora la logica esige che venga fatta una scelta" (Lanza del Vasto). Programma e informazioni sullíiniziativa sono disponibili nel sito www.centrogandhi.it * Per contattare i promotori dell'iniziativa: Centro Gandhi - associazione per la nonviolenza onlus, redazione "Quaderni satyagraha", via Santa Cecilia 30, Pisa, tel. e fax: 050542573, e-mail: pdpace at interfree.it, sito: www.centrogandhi.it Il Centro Gandhi si e' costituito nel giugno 2000 con l'obiettivo di promuovere la cultura e la pratica della nonviolenza e la realizzazione di una societa' nonviolenta. Dal 2002 pubblica i semestrali "Quaderni satyagraha", rivista di approfondimento sul metodo nonviolento di trasformazione dei conflitti. 3. RIFLESSIONE. DANIEL AMIT: QUI A GERUSALEMME... [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 settembre 2006. Daniel Amit, nato nel 1938 a Lodz, in Polonia, cittadino israeliano, docente di fisica all'Universita' ebraica di Gerusalemme e all'Universita' "La Sapienza" di Roma, e' una delle figure piu' vive dell'impegno pacifista; ha pubblicato vari lavori scientifici e molti interventi per la pace, il dialogo e la convivenza, per i diritti e la liberazione dei popoli e delle persone] Qui a Gerusalemme abbiamo vissuto questa guerra di distruzione del Libano con grande angoscia e frustrazione. E' apparso subito chiaro che questo orrore era stato premeditato. Non e' stato minimamente conseguenza dell'incidente di frontiera in cui sono stati catturati i due militari israeliani. E' stato invece lanciato con la palese connivenza (materiale e politica) degli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna (il cosiddetto "asse del bene"). Eppure, le forze pacifiste si sono trovate per lo piu' paralizzate. La manifestazione piu' grande ha radunato due-tremila persone. I massimi portavoce di quel movimento - come Yehoshua, Grossmann, Oz, Sobol - cosi' come il movimento Peace Now, si sono lasciati convincere ad assumere, dopo tanto tempo, il ruolo di "violenti giusti" dalla parte del potere e del consenso nazionale. * Un partito laburista allo sbaraglio Non minori sono stati la confusione e il disorientamento creati dal partito laburista, secondo partito della coalizione. Questo partito era stato eletto con alla testa Amir Peretz, leader sindacalista, pacifista, con un'agenda la cui massima priorita' era la situazione sociale, che proprio oggi ha raggiunto (secondo il rapporto dell'Istituto della previdenza sociale) nuovi massimi di tassi di poverta'. Eppure, il governo ha votato tagli alla spesa sociale (per finanziare la guerra) con i voti dei laburisti. E Peretz, ministro della difesa, ha assunto fin dal primo istante un atteggiamento estremamente bellicoso. Questa combinazione tra una vita da oppositore anti-guerra e la necessita' di ottenere una legittimita' maggioritaria, e' una miscela politico-psicologica micidiale. * Il nuovo ruolo dell'Italia In questo contesto per la prima volta nella memoria israeliana l'Italia e' finita al centro dei notiziari e molto ben vista dagli ambienti governativi. Tanti bollettini richiamano le parole del ministro degli esteri italiano e del rapporto speciale che si e' venuto a creare tra lui e la sua omologa israeliana. Tutto questo in un ambito in cui Israele interpreta il ruolo dell'Onu come un garante degli obiettivi militari mancati dalla violenza militare. Ma le notizie dal fronte pacifista italiano, sempre da lontano e attraverso internet, testimoniano di una sindrome simile a quella della sinistra israeliana. Sembra una corsa al sostegno del ruolo italiano nel sud-Libano come forza militare sotto l'egida dell'Onu. Da un lato appare una rivincita sul ruolo italiano umiliante, e assai controverso, in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo. Le considerazioni politiche della guerra e del dopo-guerra nel Libano sembrano del tutto assenti. L'unica cosa che si propone come giustificazione di quella esultanza e' il fatto che l'intervento militare (perche' di intervento militare si tratta) e' coperto dalla risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza. Sembra proprio quella tipica euforia legata al rovesciamento dei ruoli: eravamo in forte opposizione alla presenza militare italiana in Iraq perche' non era sancita dall'Onu. Ora siamo orgogliosamente a favore perche' i nostri sono al governo, e l'Onu siamo noi. Ma questo ragionamento rischia di incappare in un errore logico. Essere contrari a un intervento militare non sancito dall'Onu e' un dovere categorico. Esso non implica minimamente che sia giustificato sostenere (in modo acritico) un intervento militare votato (in extremis) dal Consiglio di sicurezza. Il ruolo dell'Onu in questo conflitto e' quantomeno ambiguo. Se l'Onu fosse intervenuta tempestivamente dopo l'inizio dell'attacco, puntando sull'offensore (Israele) e sui complici (Stati Uniti e Gran Bretagna) e imponendo un cessate-il-fuoco e un ritiro immediati, con pagamento dei danni, e minacciando sanzioni in caso di omissione, si sarebbe guadagnata un minimo di fiducia. * Il silenzio di Kofi Annan Invece l'attacco e' stato fatto proseguire per 33 giorni, con flusso continuo di materiale bellico dagli Stati Uniti, con la Rice che definiva gli obiettivi e Blair che li giustificava. Inoltre, le esternazioni del segretario generale Kofi Annan, in visita in questi giorni nella regione, dimostrano apertamente che il ruolo concepito dalla massima autorita' dell'Onu non e' ristabilire un ordine internazionale decente. Annan non critica nessuno; richiede la liberazione dei due militari prigionieri israeliani, obiettivo mancato della guerra, ma non menziona i detenuti libanesi nelle prigioni israeliane (e ce ne sono parecchi), ne' la gravita' della violazione (che persiste) dell'integrita' territoriale del Libano; ne' il fatto che durante le ultime settimane sono stati uccisi piu' di duecento palestinesi nella striscia di Gaza; ne' il fatto che una gran parte del sistema governativo palestinese, democraticamente eletto, e' stato rapito da Israele (formalmente parlando). * Una deflagrazione inevitabile Sembra sempre piu' logico attribuire all'Onu e al suo segretario generale il ruolo di "interprete" per coloro che sono militarmente piu' forti. E l'Europa, che si vanta di aver trovato il suo ruolo di autonomia in politica estera, purtroppo si presta al ruolo di foglia di fico in questo schema. Il problema e' che questo sviluppo non rappresenta solo la mancata realizzazione di un ideale di rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani (il che non sarebbe poco), ma che soprattutto costituisce una ricetta di instabilita' foriera di una prossima deflagrazione, che in Israele e' considerata ineluttabile. Tutti questi argomenti non toccano molto la gente al potere, purtroppo. Loro fanno i debiti calcoli di rischi e benefici. Ma da qualche parte dovrebbe essere preservata una dimensione di autonomia, che confronti la realpolitik della nostra epoca con uno specchio critico senza compromessi, e che continui a pensare soluzioni giuste e durature ai conflitti internazionali. 4. MONDO. MARINA FORTI: DONNE IRANIANE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo settembre 2006. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Raccogliere un milione di firme per chiedere di cambiare le leggi che discriminano le donne. E' l'obiettivo di un folto gruppo di attiviste iraniane. La petizione e' pubblicata su un sito web (www.we-change.org): sottolinea che le leggi in Iran "considerano le donne cittadine di seconda classe", discriminate in molti modi: dalle norme su divorzio, affidamento dei figli ed eredita' a quelle secondo cui serve la testimonianza di due donne per pareggiare quella di un uomo, o che richiedono a una donna il permesso del padre o marito per viaggiare. Da tempo gruppi di iraniane fanno campagna perche le donne siano cittadine uguali di fronte alla legge. Era anche l'obiettivo di una manifestazione, il 12 giugno a Teheran, violentemente repressa dalla polizia. Tra le promotrici della campagna ci sono persone note per l'impegno sociale e intellettuali, avvocatesse, editrici. Contano di raccogliere le firme con un lavoro porta a porta, in luoghi pubblici, conferenze, consultazioni con le donne in tutto il paese: dicono che la maggioranza delle donne e degli uomini di ogni estrazione sociale in Iran vuole il cambiamento. 5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: RIPARTIAMO DALLA FAMIGLIA [Dal sito dell'Universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 20 agosto 2006. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] In un articolo uscito su "Liberazione" il 10 agosto 2006, Susanna Camusso, riferendosi all'impegno politico delle assemblee "Usciamo dal silenzio" da gennaio ad oggi, e notando che sulle questioni legate all'aborto - applicabilita' della legge 194, sperimentazione di nuove terapie - era prevalsa una posizione "difensiva", si chiedeva quando e dove il movimento femminista degli anni '70 aveva perso "la sua presa", la capacita' di produrre cambiamenti significativi. Forse - era la risposta- nell'aver dato per scontato che i consultori fossero ormai luoghi acquisiti di tutela della salute delle donne, o, peggio ancora, nell'averli visti progressivamente trasformarsi in servizi per genitori e figli, nell'avere piu' o meno consapevolmente accettato di restare "donna di", e aver quindi permesso che la famiglia diventasse il "centro di tutto". Un discorso, concludeva Camusso, che ci porterebbe lontano. Ma forse e' proprio lontano che dobbiamo spingerci, per non cadere nelle secche di rivendicazioni apparentemente piu' concrete, come la difesa di un'idea restrittiva di "salute della donna" o la scelta di una particolare pratica abortiva. Gli interrogativi che sono stati posti dall'avvicendarsi di manifestazioni, assemblee, seminari nazionali, documenti, comunicazioni via internet, hanno oscillato, mi verrebbe da dire con una semplificazione, tra corpo (sessualita') e politica, un vecchio dilemma del femminismo, che aspetta ancora risposte adeguate, e che solo in senso lato puo' essere ricondotto all'incerto, difficile rapporto tra partiti e movimenti. * A portarci sull'orizzonte piu' ampio, che ci sembra di aver progressivamente smarrito negli ultimi due decenni, e' oggi un documento che viene da una sponda imprevista, guardata con diffidenza da molte di noi, pur nella manifesta e pressoche' unanime simpatia per la donna che se ne e' fatta promotrice: Rosy Bindi e il suo Ministero della famiglia. La relazione con cui Bindi si e' presentata alla Commissione affari sociali della Camera dei deputati e' uno straordinario affresco del disagio che attraversa la nostra societa', delle ansie sotterranee che la politica ignora o traduce malamente in diatribe astratte, un esempio chiaro delle contraddizioni che rendono uno sforzo autenticamente democratico inefficace, quando non riesce a individuare gli interlocutori reali, le loro storie e le loro aspettative. Chi ha deciso di istituire un Ministero della famiglia di certo non si aspettava che essa sarebbe stata messa sullo stesso piano delle "grandi opere" necessarie allo sviluppo umano, economico, sociale, che avrebbe ritrovato quella centralita' che la storia le ha via via sottratto, e, insieme, gli inequivocabili, mai tramontati legami di parentela con la societa' nel suo complesso. Fuori dalla retorica che ne ha cosi' a lungo coperto la marginalita', la famiglia e' chiamata a una "cittadinanza sociale" che la impegna come "soggetto attivo di welfare", accanto alle massime istituzioni dello Stato. Ma il lungo esilio, la colpevole latitanza della responsabilita' pubblica, la persistenza di abitudini e antichi conflitti mescolati a rapide, incontrollate trasformazioni, hanno fatto si' che una fondamentale risorsa della collettivita' si presentasse all'appuntamento con la storia come un malato terminale, al cui letto e' chiamato per un ultimo tentativo di guarigione l'intero "sistema Paese", coi suoi Ministeri - salute, lavoro, solidarieta' sociale, giustizia, ecc. -, le sue diramazioni locali - Regioni, Comuni -, le sue strategie di governo, e un investimento di spesa quale nessun Ministero senza portafoglio penso abbia mai osato chiedere. * Le funzioni di cui si e' continuato a far carico alla famiglia non sono cambiate molto rispetto alla descrizione che ne facevano i sociologi all'inizio del '900: "governo della casa, procreazione, allevamento e educazione dei figli, regolazione dell'incremento demografico, socializzazione, mantenimento dei malati e dei vecchi, possesso e trasmissione ereditaria del capitale e di altre proprieta', determinazione della scelta della professione" (Max Horkheimer, Studi sull'autorita' e la famiglia, Utet, 1968). La famiglia, si legge nel documento di Rosy Bindi, e' chiamata a far fronte ai problemi che accompagnano ogni "percorso di vita": nascita, crescita dei figli, cura dei piu' deboli, gestione dei conflitti, solidarieta' tra generazioni. Ma e' anche "il primo spazio in cui si sperimenta la quotidiana fatica di gestire la sfera degli interessi e delle emozioni. Produrre ricchezza e risparmio con il lavoro che le sue componenti svolgono all'interno e all'esterno. Al tempo stesso produce e riflette antiche tensioni e nuovi conflitti sociali... la violenza sui bambini e le donne, il disagio degli adolescenti, l'aumento delle poverta', la solitudine delle persone, l'emarginazione degli anziani". Su un luogo che conserva quasi invariati nel tempo ruoli, gerarchie, pregiudizi, consuetudini, adattamenti, cadono oggi emergenze prodotte da trasformazioni culturali, economiche e sociali, di cui la famiglia e' al medesimo tempo origine, riflesso e contenimento. Il declino demografico - denatalita' e invecchiamento della popolazione, con il conseguente numero sempre maggiore di anziani non autogestiti -, la deistituzionalizzazione, l'aumento delle coppie non sposate e dei figli nati fuori dal matrimonio, fanno dire a Rosy Bindi che diventa sempre piu' difficile "fare", "continuare" e persino "resistere" a fare famiglia, ma che, ciononostante, la famiglia "regge". Il malato e' grave, ma non moribondo, e lodevole e' sicuramente l'insistenza con cui nell'ordinato sviluppo dei temi ritorna la sollecitazione a riconoscere il "valore sociale" della famiglia, il "bene" fondamentale che essa rappresenta per lo sviluppo, la crescita, la coesione. Una buona ragione perche' non sia piu' permesso a una responsabilita' pubblica finora carente di esimersi da tutelarla, garantirle un'esistenza dignitosa. * Detto questo, e riconosciuto che la nuova politica con cui Bindi pensa si debba affrontare il problema famiglia e' molto lontana dalle soluzioni compassionevoli di un certo conservatorismo cattolico, ancorata com'e' a logiche di diritto, impegni istituzionali, risorse pubbliche, e' come se un ostacolo, una di quelle barriere che nascondono all'improvviso l'intero paesaggio, ci rimandasse all'assunto iniziale: che cos'e' la famiglia? Che senso ha parlarne come di un'entita' a se' stante, distinta dai singoli componenti? Benche' formulata in modo meno esplicito, la domanda e' sicuramente presente dietro le spiegazioni che vengono date quasi in apertura del documento. Il rimando e' alla Costituzione, articolo 29, comma primo, laddove si dice che "si riconoscono diritti alla famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio". Preoccupata di "armonizzare" diritti della persona e della famiglia, ben sapendo quanto confligga tuttora la liberta' del singolo con le richieste del gruppo di appartenenza, Rosy Bindi conclude sbrigativamente e in modo assiomatico che "la famiglia non puo' essere nemica delle persone" e che, come tutte le "formazioni sociali", essa ha come fine "lo svolgimento della personalita' degli esseri umani". A riparo di ulteriori obiezioni, viene detto chiaramente che, rispetto ai suoi componenti, la famiglia gode di un "plusvalore istituzionale", o, come si legge piu' avanti nel capitolo sulle "unioni di fatto", una "dignita' superiore", non solo perche' rispondente a un "ordine naturale", ma perche' garanzia di stabilita', certezza, reciprocita' di diritti e doveri, in virtu' del matrimonio. Il fatto che i dati Istat, e tutte le ricerche sociologiche riportate scrupolosamente nel testo dicano il contrario - separazioni e divorzi in crescita, violenze, obblighi disattesi dai coniugi, allentamento dei legami di parentela -, non distoglie da quello che e' l'assunto pregiudiziale del documento: per avere cittadinanza negli ambiti istituzionali della politica la famiglia non puo' parlare un'altra lingua, non puo' rivelare il volto dei suoi reali componenti, l'uomo e la donna, ne' dire della storia di dominio che ha sottomesso un sesso all'altro, escluso la donna dalla scena pubblica, legittimato il potere maschile e la divisione dei ruoli sessuali sulla base di un dato biologico assunto in modo astorico e deterministico. Questo significherebbe riconoscere l'inimicizia che fin dai primordi ha contrapposto la famiglia e la societa', l'amore come tendenza a creare appartenenze intime, esclusive, e il bisogno altrettanto forte di allargare il cerchio della vita. Vorrebbe dire, soprattutto, che all'origine del lungo esilio della famiglia dalla societa' nel suo complesso c'e' la pretesa "naturalita'" del ruolo materno, l'identificazione della donna con la genitrice, e quindi della sessualita' con la procreazione. La senatrice socialista Lina Merlin, come si apprende da una recente biografia a cura di Anna Maria Zanetti (Marsilio 2006), nel dibattito in aula del 15 gennaio 1947, si era detta contraria all'inserzione della famiglia nella Costituzione, per timore di definizioni destinate a cristallizzare un credo piuttosto che un altro. Ma poi scriveva: "Proteggere la maternita' significa proteggere la societa' alla sua radice". La continuita' tra famiglia e istituzioni sociali si e' retta per millenni sul potere dell'uomo, presente sia nella sfera pubblica che privata, ma anche sulla complementarieta' di natura e cultura, rappresentata dalla differenziazione dei ruoli del maschio e della femmina. Questo "ordine", sia esso dato come naturale o sovrannaturale, laico o religioso, non sfugge alla sacralita' di tutto cio' che e' posto fuori dalla storia, e come tale immodificabile e misterioso. La prima rappresentazione dissacrante della famiglia e' venuta dal femminismo degli anni '70, nel momento in cui ha separato l'individualita' femminile dalla funzione di madre, la sessualita' dalla procreazione. Se la donna puo' scegliere se fare o non fare figli, il matrimonio perde il suo fondamento biologico, la prole, e la famiglia non e' piu' quell'assetto naturale di cui parla la Costituzione. E' questa la prima grande trasformazione che, insieme al complesso della ragioni economico-sociali descritte da Rosy Bindi, ha messo in crisi la natalita', reso piu' gravoso e sempre meno sopportabile quel "lavoro di cura" e di assistenza di bambini e anziani, malati, che ancora viene richiesto alle donne in virtu' delle loro "naturali" doti materne, della loro lunga frequentazione di corpi, sentimenti, sofferenze. Se e' cosi' forte la preoccupazione di distinguere la famiglia fondata sul matrimonio dalle unioni di fatto, e' perche' in realta' si somigliano sempre di piu', perche' la convivenza comincia a strutturarsi sempre piu' spesso sulla base di relazioni sessuali, sentimentali e di solidarieta', scelte liberamente. E' questo spostamento lento, che ha fatto seguito alle grandi scosse degli anni '70, a inquietare al punto da dover essere detto e contraddetto, mostrato e al medesimo tempo nascosto, quando non del tutto cancellato. E' cosi' che le figure dell'uomo e della donna spariscono dietro le maschere della coppia genitoriale; e' cosi' che la centralita' del disagio femminile, su cui pesano violenza, sacrificio, fatica, dispendio di energie fisiche e intellettuali, viene soppiantata dall'attenzione quasi esclusiva al diritto dei bambini. * Ma dove la contraddizione tra il mostrare e il negare e' piu' scoperta, e' laddove si parla del bisogno di tenere insieme tempo di lavoro e tempo di cura, ben sapendo che si sta parlando dell'incidenza che hanno avuto e hanno tuttora la maternita', la responsabilita' della famiglia, la cura e l'assistenza dei suoi componenti, nel trattenere le donne fuori da ogni potere, decisionalita', realizzazione personale. Dovrebbe bastare questa consapevolezza per capire che nessuna tutela, nessun rappezzamento, nessun servizio di pubblica sussidiarieta' potra' sostituire l'unica vera reale via d'uscita: il cambiamento del rapporto tra i sessi, la ridefinizione della sfera pubblica e privata, lo sforzo di immaginare altri modelli di sviluppo, di crescita, di invecchiamento, di amore e di solidarieta' coi piu' deboli. Politiche famigliari volte ad alleviare un carico insostenibile di spesa per l'assistenza domiciliare degli anziani sono sicuramente desiderabili, come sa chi ha visto genitori invalidi, nullatenenti, ricevere assegni di cura e accompagnamento a pochi mesi della morte. Ma ne' lo sgravio economico, ne' il ricorso ad assistenti familiari straniere, costrette a un "percorso lavorativo" che avviene all'insegna della poverta' di alcuni popoli e del privilegio di altri, e in molti casi in condizione di semischiavitu', riusciranno ad appagare quel bisogno di liberta', padronanza di se', protagonismo politico, che una coscienza femminile recente ha posto con forza per le donne, e per tutti. Non ci sono Osservatori, Giudici e Garanti, monitoraggi permanenti per controllare lo stato di salute della famiglia, che possano illudersi di avere una qualche benefica incidenza senza "mettersi all'ascolto" - per usare un'espressione di Rosy Bindi - di quella che e' stata tradizionalmente la "risorsa" prima della sopravvivenza: la maternita' di destino delle donne. E' da qui che puo' ricominciare una riflessione che responsabilizzi, riguardo al modello di civilta' che vogliamo, donne e uomini: singoli, associazioni, movimenti. 6. RIFLESSIONE. LA FAMIGLIA CHE UCCIDE Sapevano tutti gli antichi greci, e sapevano anche che la famiglia e' insieme il luogo della massima solidarieta' e dei massimi conflitti tra le persone: proprio perche' e' il luogo della vicinanza estrema, del conoscersi piu' radicale e anche della piu' straziante estraneita' e dell'oppressione piu' crudele. Tra pericolo e salvezza, tra male e bene, tra violenza e amore, sappiamo, vi e' un vincolo stretto, e sempiterno un conflitto (poiche' invero non il due si ricompone nell'uno, ma sempre l'uno si risquarcia in due, come sapeva quel dialettico cinese), che puo' strozzare o sorreggere: di piu', vi e' il rapporto che tiene insieme ombra e luce, tenebre e giorno, e ti chiama alla scelta del bene, del vero, del giusto, alla lotta infinita per l'umanita'. Cosi' tutto e' detto gia' nel ciclo tebano, ed ancora nel ciclo troiano tornano padri che sgozzano figlie, scontri tra maschi per il possesso di schiave, e genealogie di violenze inaudite, e tutte le forme ulteriori di una combinatoria che rinvia alle strutture elementari della parentela levi-straussiane, ma in forme corrusche ed esplosive, di lacerate carni e affannato respiro, soma e pneuma, tellus e ruah. E queste antiche storie ci parlano dell'oggi, di noi, del fascismo dei maschi, della famiglia che uccide le donne, della lunga scia di sangue che segna il cammino della figura del pater familias e del potere patriarcale: e ci interrogano, queste storie antiche, e ci convocano alla lotta contro quella radice profonda della violenza che e' il maschilismo, e ci ricordano che e' nella riflessione e nelle prassi del movimento di liberazione delle donne, nel femminismo, la corrente calda, l'inveramento storico maggiore nell'epoca nostra, di quella speranza e di quella scelta che chiamiamo nonviolenza. 7. RILETTURE. FATEMA MERNISSI: KARAWAN. DAL DESERTO AL WEB Fatema Mernissi, Karawan. Dal deserto al web, Giunti, Firenze 2004, pp. 256, euro 12. Un libro vivacissimo (e con un efficacissimo uso del colore, della grafica, delle immagini), gremito di esperienze, idee e proposte. Fatema Mernissi, straordinaria intellettuale femminista marocchina, e' una delle maestre della nonviolenza in cammino. 8. RISTAMPE. DANTE ALIGHIERI: COMMEDIA - INFERNO Dante Alighieri, Commedia - Inferno, Mondadori, Milano 1991, 2006, pp. LXII + 1058, euro 4,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nell'eccellente recente edizione a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi nella collana dei Meridiani, l'infinita felicita' di rileggere Dante. 9. RISTAMPE. MIGUEL DE CERVANTES: DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, Mondadori, Milano 1974, 2006, pp. LXVIII + 1452, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nella ormai storica traduzione di Ferdinando Carlesi, e per le cure di Cesare Segre e Donatella Moro Pini, il capolavoro cervantino - con un cospicuo apparato. Ma naturalmente almeno il Chisciotte va letto in castigliano, ed altrettanto naturalmente di Cervantes va letta l'opera omnia (in italiano nell'edizione diretta da Franco Meregalli per Mursia). 10. RIEDIZIONI. NICCOLO' TOMMASEO: OPERE Riedizioni: Niccolo' Tommaseo, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp. LVIII + 562, euro 12,90 (in supplemento a "Il sole 24 ore"). Dalla Letteratura Italiana Ricciardi una scelta antologica (invero troppo ristretta) dalle opere dell'inesauribile poligrafo e combattente per la liberta'. Caviamoci subito questo dente: leggemmo da giovani (forse nei Sette anni del Ranieri, per quanto possa essere attendibile: ma nell'epistolario di suo proprio pugno Leopardi non e' da meno, e si veda conclusivamente quanto scrive al de Sinner ancora nel dicembre del '36) quel giudizio irriferibile di Leopardi, e nella nostra militanza leopardiana pensammo che in quanto del partito del recanatese (e classicisti, e materialisti storici per giunta) dovessimo - sia pur rispettosamente, non eravamo poi del tutto scempi - tenerci a qualche distanza dal coraggioso patriota cattolico liberale e prolifico e incontrollato autore romantico e sentimentale dalle cui mani colavano scritture infinite. Anni dopo un maestro come Giacomo Debenedetti (nel libro che raccoglie i quaderni alla base delle sue lezioni sul Tommaseo alla Sapienza) ci rivelo' la grandezza di un'opera che ci pareva talora un agitarsi tanto generoso quanto confuso, di una scrittura che ci pareva sovente frenetica e scomposta o leziosa e logorroica (e dire che amavamo gia' quel Bruno che quanto a scrittura al galoppo non scherzava). E ci decidemmo quindi ad abbordare i due volumi sansoniani del dalmata, di cui prima avevamo letto solo sparsi frammenti della sua vertiginosa pubblicistica (l'insopportabile Fede e bellezza, talora splendide le traduzioni dei canti popolari greci e illirici, e finanche gli Esempi di generosita' che se la memoria non ci inganna leggemmo in una vecchia edizione delle Paoline - quei libriccini degli anni Cinquanta e Sessanta con la copertina verde...). E dalla lettura sansoniana - che pure e' solo un lacerto del corpulento corpus dell'opera del Tommaseo - siamo riemersi rinati a nuova intellezione: pensiamo ancora che Leopardi sia infallibile, ma anche Tommaseo pur nella lutulenza e limacciosita' dell'opera sua, e con tutti gli errori (e qualche orrore) che commette nel suo caracollare e' infine un nostro compagno (scrivo queste note e mi dico: guarda come invecchiando ti vien voglia - come Origene e Hans-Urs von Balthasar - di salvare tutti, e il tuo sguardo che si offusca coglie ed ama ogni piu' piccolo lumicino riesca a scorgere... ma Tommaseo certo non e' un lumicino, e' un faro). 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1408 del 4 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La domenica della nonviolenza. 89
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1409
- Previous by thread: La domenica della nonviolenza. 89
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1409
- Indice: