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Nonviolenza. Femminile plurale. 79
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 79
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 31 Aug 2006 13:47:12 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 79 del 31 agosto 2006 In questo numero: 1. Annamaria Rivera: Femminicidio, sessismo, razzismo 2. Lea Melandri: Il boia domestico non ha patria 3. Gabriella Paparazzo: Hina, Manem e le altre 4. Giuliana Sgrena: Segnali 5. Patricia Lombroso intervista Kelly Dougherty 6. Giovanna Providenti: Madri russe contro il militarismo 7. Fatema Mernissi: Certe verita' 8. Silvia Vegetti Finzi: Un balzo di straordinaria semplicita' 1. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: FEMMINICIDIO, SESSISMO, RAZZISMO [Dal quotidiano "Liberazione" del 29 agosto 2006. Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa, vive a Roma e insegna etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l'impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l'analisi delle molteplici forme di razzismo, l'indagine sui nodi e i problemi della societa' pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu' recenti: (con Gallissot e Kilani), L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita', Dedalo, Bari 2005] Conviene anzitutto sgomberare il campo del dibattito da una confusione niente affatto spontanea e innocente: la campagna propagandistica di stampo razzista che ha preso le mosse da alcuni episodi recenti di cronaca nera e' cosa radicalmente diversa - e cosi' va trattata - da una seria e pacata discussione sull'intollerabile escalation della violenza patriarcale contro le donne. Del pari, nessun serio dibattito sulla riforma della cittadinanza o sui modelli d'integrazione e sulle loro eventuali derive puo' muovere da quell'ordine di discorso. Come, fra gli altri, ha scritto efficacemente Alessandro Dal Lago in un editoriale su questo giornale ["Liberazione" - ndr], la campagna di sciocchezze, diffamazioni e volgarita' razziste dopo i cosiddetti fatti di Brescia denota una logica da faida: la responsabilita' individuale di un crimine commesso da un certo soggetto viene fatta ricadere come colpa collettiva sull'intero suo gruppo di appartenenza o addirittura sul sistema religioso cui si suppone egli aderisca. Emblematica di questa strategia retorica - che si serve del dispositivo dell'etnicizzazione del crimine individuale per gettare discredito sull'intero mondo dell'immigrazione e, piu' in generale, sul Nemico musulmano - e' una delle numerose pagine di cronaca che un giornale indipendente ha dedicato alla tragica vicenda dell'assassinio per mano del padre di Hina Saleem, la giovane pakistana di Brescia: una "finestra" a centropagina spiegava ai lettori "cosa afferma il Corano" a proposito di punizione delle donne. Per cogliere la logica aberrante che guida questo dispositivo comunicativo basterebbe immaginare che putiferio solleverebbe un'improbabile pagina dello stesso quotidiano che, dando conto alla stessa maniera scandalistica dell'omicidio di una donna per mano del marito italiano, presuntamente cattolico, dedicasse una finestra a "cosa afferma la Bibbia", magari citandone i passi piu' violentemente misogini. Come suggerisce ironicamente qualcuno, forse bisognerebbe proporre ai media ed ai politici una moratoria dei termini "religione", "cultura", "tradizione"... Certo, essendo il razzismo un fenomeno a geometria variabile, si troverebbero prontamente altri termini per dire i medesimi argomenti standard - gli immigrati sono una minaccia per la nostra "civilta'", societa', economia, sistema di valori... - e dunque la moratoria sarebbe del tutto vana. Cio' che e' impressionante, infatti, e' la ripetitivita' dei dispositivi e dei topoi che permettono la riproduzione del discorso razzista: la generalizzazione arbitraria, il caso individuale elevato ad emblema ed essenza di un'intera categoria di persone, la costruzione dell'idea di una pericolosita' ontologica dello Straniero, l'associazione fra immigrati e ogni genere di mali e allarmi sociali. Basta ricordare che in un altro agosto, quello del 1997, un'analoga campagna allarmistica assunse a pretesto tre omicidi compiuti da altrettanti cittadini stranieri per scatenare un'isterica offensiva contro la preannunciata legge organica sull'immigrazione, che si andava profilando come alquanto avanzata rispetto agli standard europei. La campagna non fu vana, se e' vero che il testo di legge subi' una serie di modifiche peggiorative... Se non avessero la memoria assai corta, i nostri giornalisti si sarebbero chiesti come mai in agosto gli stranieri si dedichino alla pratica dell'omicidio e dello stupro: chissa', avrebbero scoperto una nuova sindrome patologica da canicola, che colpisce coloro che sono privi di nazionalita' italiana... In assenza di stupri e di omicidi volontari compiuti da "extracomunitari", si puo' raschiare il barile delle notizie d'agenzia per tirarne fuori fatti d'altro genere imputabili agli immigrati. E' cio' che fecero i media nel dicembre del 2000 quando, assumendo a pretesto un incidente automobilistico mortale provocato dalla guida maldestra di uno straniero e poi selezionando accuratamente altri casi analoghi, inventarono il teorema degli immigrati come responsabili della "piaga" degli incidenti stradali (e' un costume che appartiene alla loro "tradizione", che discende dalla loro "cultura", che e' prescritto dalla loro religione?). * Al di la' della manipolazione dei media, resta il tragico fatto di due omicidi di donne per motivi che sembrano avere strettamente a che fare con la cultura patriarcale; restano le cronache degli stupri di questa estate, anch'essi propri di sistemi sessisti fondati sull'appropriazione delle donne, di qualunque nazionalita' e condizione sociale siano gli autori dei crimini. La violenza, anche mortale, contro le donne davvero non ha confini: ne' di nazionalita' e "colore", ne' di status e classe. Non e' forse un cittadino italiano, stimato direttore artistico del teatro di Macerata, colui che, neppure due mesi fa, dopo aver tentato di strangolare la moglie, la getto' ancora viva in un cassonetto dell'immondizia, impacchettata in un sacco di plastica? Non si tratta, allora, di minimizzare o derubricare gli assassinii di Hina Saleem e di Elena Lonati ne' gli stupri compiuti da immigrati, ma (come giustamente ha rimarcato Ida Dominijanni in un recente articolo sul "Manifesto") di "drammatizzare quelli nostrani che la cronaca gonfia e sgonfia nel giro di ventiquattr'ore". Nel 2005 solo in Italia almeno un centinaio di donne sono state uccise per mano di uomini per lo piu' appartenenti alla loro cerchia (mariti, partner, parenti, vicini...). E su scala mondiale v'e' il dato agghiacciante dell'omicidio come prima causa di morte delle donne. Ma quanti sono gli uomini disposti a mettere radicalmente in discussione l'ordine ideologico, culturale, economico, sociale, politico, fondato sul dominio maschile? E non v'e' forse il rischio che i "femminicidi" e gli stupri compiuti dagli Altri assolvano la funzione di occultare o minimizzare l'ordine sessista che governa anche le nostre societa' generandovi discriminazioni e violenze? * Certo, il sessismo, le ideologie e le pratiche che da esso discendono non possono essere rappresentati come una notte in cui tutte le vacche sono nere (la nozione di patriarcato e' stata spesso sottratta ad ogni dimensione storica, anche in ambito femminista). Il dominio maschile si manifesta, infatti, secondo forme, gradi, livelli diversi nel tempo e nello spazio, secondo norme sociali e costumi differenziati. Che in alcuni paesi e in alcuni ambienti permangano l'ideologia o la pratica del delitto d'onore e' cosa ben nota. Ma che il modello liberale sia sufficiente a liberare le donne e' cosa discutibile. E' in questo quadro che andrebbero iscritti il dibattito sui cosiddetti modelli d'integrazione e la critica del modello multiculturalista di stampo anglosassone, intorno al quale fra gli specialisti continua una discussione vecchia di decenni (Amartya Sen non fa che riprenderne alcuni termini). Ben al di la' della contrapposizione fra modelli idealtipici (quello "multiculturalista" all'anglosassone versus quello "universalista" alla francese), la realta' ci mostra ogni giorno che il razzismo neocoloniale verso popolazioni immigrate o d'origine immigrata produce nei paesi europei effetti sociali comparabili in termini di discriminazione, segregazione, ineguaglianza... Speriamo che il governo di centrosinistra non si lasci abbindolare dalle sirene delle campagne allarmistiche e che comprenda altresi' (come auspica anche Dal Lago) che il tema della cittadinanza sociale e politica puo' essere efficacemente articolato e affrontato solo se si abbandonano le retoriche dell'emergenza e dell'invasione. 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL BOIA DOMESTICO NON HA PATRIA [Dal quotidiano "Liberazione" del 25 agosto 2006. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Dopo l'islamo-fascismo di Bush, l'equiparazione tra stragi di Israele e stragi naziste fatta dall'Ucoii, non poteva mancare - in cauda venenum - lo "stupro etnico", definizione con cui Francesco Merlo ha pensato di cacciare nel grande calderone dei Mostri della Storia gli stranieri che, in questi giorni, hanno usato violenza a donne italiane. Ma l'insulto piu' bilioso e immaginifico lo riserva alle femministe, colte, a suo dire, da amnesia riguardo alle passate battaglie per l'inviolabilita' del corpo, e disposte oggi a sacrificare le loro simili sull'altare di uno "stupido terzomondismo". Di contro a bestie assatanate, venute da fuori a "predare" le "nostre" donne, si ergerebbe la "civilta' della sessualita'", quella capace di proteggersi contro le sue perversioni con buone leggi, ottenute - ma questo Merlo si guarda bene dal dirlo - da donne italiane, femministe, contro, prima di tutto, la violenza di uomini italiani, in maggioranza congiunti. Nel gennaio 2000, in una frazione di Cesena, in Romagna, Massimo Predi uccise a martellate l'intera famiglia, madre, padre, moglie e figlia, e getto' i cadaveri dentro un pozzo artesiano nel cortile di casa. L'innamoramento per una giovane ragazza slava, il sogno di un'"altra" vita all'estero, l'avevano spinto a cancellare ogni traccia del suo passato, a "rimuoverlo" - in senso letterale - nel sottosuolo della casa. Quando fu fermato alla stazione di Bari, ai carabinieri che l'avevano riconosciuto rispose: "Sono un rumeno". Nessun giornale sottolineo' il fatto che fosse romagnolo, ne' si preoccupo' di fare un qualche riferimento all'idea di famiglia che vige in quella regione, ne' sembro' sorprendente che la "straniera" o lo "straniero" in quel caso non fossero sinonimo di poverta', arretratezza, tradizionalismo, ma, al contrario, illusione di liberta' e piaceri sconosciuti alle ristrettezze del proprio ambiente famigliare. Se e' vero, come si apprende dalle inchieste su scala mondiale, che la prima causa di morte delle donne e' l'omicidio per mano di padri, mariti, fratelli, figli, amanti, vuol dire che il "boia domestico" non abita di preferenza in questo o quel paese, ma e' per cosi' dire di casa in ogni tempo e luogo. Inoltre, si puo' pensare che non sia solo l'"onore" ferito dei suoi convincimenti virili, etici e religiosi, ad armargli la mano, ma anche il suo contrario: il desiderio di liberarsene. * Gli uomini dunque uccidono, uccidono preferibilmente o coattivamente le donne, e questo, come si sa, e' solo il traguardo estremo di una serie variegata di altre violenze per la maggior parte domestiche. Uccidono, in alcuni Paesi e culture, per ottemperanza a una legislazione arcaica desunta dalla lettura piu' o meno ortodossa dei testi sacri della loro religione; in altri, invece, in dispregio di tutte le leggi e i diritti acquisiti dagli Stati a cui appartengono. Uccidono sotto le dittature e sotto i governi democratici, nell'Occidente emancipato da remoti vincoli tribali e nei Paesi gia' decimati da poverta' e guerre. Uccidono per odio o amore, per affermare il loro potere o per sfuggire all'impotenza, per dare un segno di fedelta' a un ideale comunitario condiviso o per dimostrare che possono farne a meno. Delitti di questo genere in Italia sono pressoche' quotidiani, e i protagonisti finora sono stati indifferentemente connazionali e immigrati; evidenti spesso anche le analogie sia per quanto riguarda il movente che la messa in atto. Allora come mai il caso di Hina ha assunto una cosi' grande rilevanza da interessare opinionisti, intellettuali, e da ultimo anche le maggiori istituzioni politiche: il ministro dell'Interno Amato, il premier Prodi, il ministero delle Pari Opportunita'? Dopo l'arresto a Londra, l'11 luglio 2006, di presunti terroristi britannici di origine pachistana, i giornali si sono riempiti di biografie di giovani nati e cresciuti in Europa, ma affiliati per odio contro l'Occidente al piu' agguerrito fondamentalismo islamico, un nemico insidioso proprio perche' invisibile, apparentemente integrato, straniero alla sua stessa comunita'. Il "kamikaze occidentale" - nella interessante descrizione che ne fa Enzo Guolo su "La Repubblica" (12 agosto 2006) - e' l'esatto opposto di Hina, la ragazza pachistana uccisa dal padre per aver assunto le abitudini e le liberta' delle donne italiane. Ribelle, per non dover elaborare "il lutto di una originaria comunita' in versione islamista", che vorrebbe rifondare, il giovane suicida-omicida, con la sua disponibilita' alla morte, si va a collocare in un punto cruciale dello scontro Islam-Occidente, che alcuni vorrebbero cristallizzare nel binomio vita-morte, civilta'-barbarie. Sullo stesso snodo, che oggi rischia di precipitare la nostra societa' in un cerchio senza uscita di ritorsioni, umori razzisti, pulsioni distruttive, Hina diventa a sua volta un "simbolo": della segregazione che subiscono le donne straniere nelle loro famiglie e comunita' di origine, oggi residenti in Italia, e di tutte le donne che ancora "non hanno il coraggio di ribellarsi e di amare", come ha detto la ministra Barbara Pollastrini. * L'omicidio di Brescia e' caduto dunque in un contesto di paura e ostilita' crescente - verso gli immigrati musulmani, pakistani in particolare -, che non chiedeva altro che trovare conferma. Era inevitabile che la tragedia di Sarezzo, pur sempre cresciuta all'interno di una determinata situazione famigliare - che non puo' essere appiattita sulla comunita' di appartenenza -, e legata a persone, singoli individui, con le loro storie uniche, irriducibili ai condizionamenti culturali e sociali, trasmigrasse, per cosi' dire, nel gran calderone delle questioni che turbano i sonni della nostra societa': prima fra tutte, la presenza crescente di immigrati e il riacutizzarsi dell'antico riflesso, oggi da molti alimentato ad arte, che vede in ogni straniero un nemico; ma anche le politiche che il nuovo governo si accinge a promuovere per favorire processi di integrazione e di piu' armoniosa convivenza. E' proprio questa amplificazione, cresciuta sull'onda emotiva e irrazionale purtroppo predominante nella parte piu' conservatrice e bellicosa del Paese, a produrre travisamenti, conclusioni affrettate, accostamenti discutibili e risposte preoccupanti. Dietro la richiesta del ministero delle Pari Opportunita', intervengono Amato e Prodi, e l'assassinio di Hina si avvia, sia pure tra ostacoli e ambiguita', a diventare un caso dello Stato italiano, chiamato a presentarsi come parte civile nel processo di Brescia. Giustamente qualcuno ha fatto osservare quanto sia delicato "configurare un interesse dello Stato a costituirsi come parte lesa in un processo nato dal fondamentalismo religioso". Se la morte di Hina parla di un potere e di una violenza maschile che attraversano lingue e culture diverse, a cui le religioni storiche hanno dato di volta in volta norme e rituali destinati a radicarsi nel senso e nella morale comune, perche' ancorarla cosi' vistosamente a quell'assillo che sta diventando per l'Europa la "questione islamica", associata ormai irresponsabilmente da piu' parti al terrorismo, alla barbarie, a quello che c'e' di animalesco nella specie umana? Sono d'accordo con Adriano Sofri quando dice che il riconoscimento delle donne "e' oggi la posta prima tra diversi modi di vita" che si trovano a convivere nello stesso Paese, sotto le stesse leggi ("Il foglio", 18 agosto 2006). Ma perche' chiedere agli immigrati di sottoscrivere una specie di "patto d'onore" che li impegni a riconoscere diritti e liberta' delle donne, quando cosi' platealmente se ne scordano i nostri connazionali, vissuti qui per generazioni? Perche' non dire che c'e' una parentela tra la legge barbara che punisce con la morte la donna che "consuma" rapporti sessuali prima del matrimonio, e l'ombra di "peccato" che la Chiesa cattolica continua a far cadere su comportamenti analoghi, un retropensiero inculcato nel sentire comune e che non ha mai smesso di convivere col suo volto trasgressivo, quale e' l'immagine del femminile e della sessualita' nei media? * La discriminazione, lo sfruttamento, le molteplici forme di violenza che subiscono ancora le donne parlano una lingua universale, e se sembrano talvolta "altre", straniere tra loro, e' solo per una sfasatura di tempi, di "emancipazione" - quel "ritardo" o "avanzamento" per cui il "delitto d'onore", oggi giustamente deprecato per l'omicidio di Brescia, ha smesso di costituire un'attenuante nei tribunali italiani solo venticinque anni fa. Intervenire repressivamente, prolungando di anni l'attesa della cittadinanza per gli immigrati, vincolandola a obblighi formali di rispetto per i nostri valori e diritti sulla base magari di un test, come ha fatto lo Stato tedesco di Baden Wuerttemberg, oltre a essere un provvedimento di buone intenzioni ma inefficace, risulta soprattutto fuorviante per un problema che riguarda prioritariamente l'educazione, la formazione dell'individuo, le relazioni sociali, il confronto delle esperienze, l'allenamento quotidiano alla reciprocita', la conoscenza di cio' che ci rende differenti e simili al tempo stesso a tutti gli altri. Di fronte al disagio che sta lievitando in una delicata fase di mutazione dell'Occidente, sembra che l'unica strada praticabile sia quella di "tutelare", "monitorare": tenere tutto sotto controllo, accumulare dati, statistiche, rapporti che finiranno regolarmente negli archivi - dopo aver rassicurato i lettori dei giornali -, salvaguardare un'immagine di ordine alzando barriere, imponendo agli immigrati un "tirocinio" o "prova" di civilta' che, a questo punto, o coinvolge anche l'Occidente, la sua storia, i suoi contraddittori "valori", o il futuro di tutti si fa davvero inquietante. 3. RIFLESSIONE. GABRIELLA PAPARAZZO: HINA, MANEM E LE ALTRE [Dal quotidiano "Liberazione" del 27 agosto 2006. Gabriella Paparazzo e' impegnata nell'associazione "Differenza donna"] Un padre ha assassinato la propria figlia, Hina, di 20 anni. Nell'attuale contesto storico caratterizzato dalle guerre "umanitarie" e infinite - che pur con il loro portato di morte e distruzione (ambientale e di corpi) vengono considerate "necessarie" per esportare la democrazia e combattere il terrorismo -: il fatto e' stato usato da molti per consolidare la convinzione di trovarsi di fronte ad un inevitabile scontro tra civilta': quella musulmana "inferiore" e quella occidentale giudaico-cristiana "superiore". E di conseguenza e' stato fin troppo semplice, per l'opinione pubblica e per alcuni "esperti", definire la morte di Hina un fatto prodotto da arretrate credenze religiose, che, garantendo la condizione di proprieta' del padre sulla figlia, ne legittimano l'esercizio di potere fino al punto da sfociare, per una mortale ma estrema coerenza, nel diritto di ammazzarla. In realta' Hina non e' una vittima ma una donna forte che si e' ribellata ad un padre violento, rifiutando quella cultura che le impediva di agire il suo essere donna; ha trovato il coraggio nella consapevolezza del valore di se' per contrapporre la sua soggettivita' femminile all'oggettivazione di un padre-padrone che la considerava una sua cosa, convinto di poterne disporre fino a decidere di ucciderla. Come lei era Manem, la giovane insegnante tunisina uccisa venerdi' a Bologna dal marito (accoltellata e poi gettata dal balcone) per la sua determinazione a portare avanti una gravidanza che lui invece rifiutava. Hina, come Manem, non sono vittime ma donne coraggiose che amavano la vita e sono morte perche' sono rimaste sole a condurre la loro battaglia contro la violenza maschile, quella battaglia che tante donne, nei Centri antiviolenza, da anni e ogni giorno stanno conducendo per sottrarsi a mariti, conviventi, fidanzati violenti, a padri, fratelli, compagni, maestri, preti stupratori. E' proprio vero, c'e' un grande scontro tra civilta' in atto: sono italiane e colombiane, marocchine e svedesi, russe ed egiziane, francesi e palestinesi, statunitensi e albanesi, israeliane e pakistane, peruviane e canadesi, cinesi e spagnole... che hanno stabilito un vincolo politico tra di loro e rotto la complicita' con quella globale cultura maschile che autorizza gli uomini a disporre del corpo delle donne, attraverso il controllo e l'esercizio del potere sulla sessualita' femminile. E' "un popolo ormai sparso in tutto il mondo" per ricordare una efficace espressione di Shirin Ebadi, che sta conducendo questa guerra con lo strumento della solidarieta' femminile, della relazione tra donne, dell'essere in prima linea, coniugando politica di genere con professionalita' e competenze specifiche, per abbattere la legge dei padri, per sconfiggere il fenomeno planetario della violenza sulle donne, per riappropriarsi di se stesse, per affermare una cultura che renda certo il diritto all'inviolabilita' del corpo femminile. E' una lotta che non ha come obiettivo l'eliminazione del nemico, diversamente da quella prima "guerra umanitaria" dichiarata dagli uomini contro l'altra da se' quale nemica, che ha dato origine al dominio. La nostra e' una lotta che e' iniziata non in nome di Dio, non in nome del mercato, ma in nome nostro, una lotta questa si' vitale, dove la vittoria di una e delle altre non vedra' ne' martiri, ne' eroi, ne' vincitori ne' vinti, ma donne libere insieme. E con noi ci sara' Hina, ci sara' Manem. 4. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: SEGNALI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 agosto 2006. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005] Kofi Annan a Beirut, prima tappa del suo viaggio mediorientale, non ha perso tempo. Forte della ripresa di autorita' dell'Onu ha chiesto a Hezbollah di liberare i due israeliani sequestrati consegnandoli alla Croce rossa, e a Israele "la fine immediata" del blocco aeronavale imposto al Libano. Annan era stato preceduto da una intervista del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che sembra far intravedere una insolita duttilita' del leader sciita, che di fatto ha ammesso un "errore". "Non pensavamo che la cattura (dei due soldati israeliani) avrebbe portato a una guerra di queste dimensioni... Se l'avessimo saputo l'11 giugno non l'avremmo fatto", ha detto Nasrallah in una intervista alla New tv libanese. Un errore di calcolo dell'abile leader del movimento fondamentalista filo-iraniano? Puo' darsi. Abile ma anche tanto pragmatico da fare una sorta di autocritica solo dopo aver ottenuto una "vittoria" su Israele. Ora se lo puo' permettere, come puo' permettersi di accettare l'arrivo di una forza di interposizione che per la prima volta Israele e' stata costretta ad accettare. Tutto questo fa parte dell'evoluzione imprevista e imprevedibile anche per Nasrallah. Allora perche' questa fuga in avanti? Non puo' essere certo la questione palestinese che tutti i leader arabi hanno sempre usato a proprio uso e consumo. E allora? C'e' chi sostiene che lo spettro di al Qaeda si stia avvicinando al Libano e ai territori palestinesi. E questo gli sciiti non lo possono permettere. I fratelli iracheni con il supporto dei pasdaran iraniani stanno combattendo una sanguinosa guerra contro i gruppi di al Qaeda in Iraq. Ma l'"irachizzazione" di tutta la regione sarebbe una catastrofe per gli sciiti e per l'Iran. Da evitare con ogni mezzo. E' stato questo il calcolo di Nasrallah? Forse. Oppure e' stato il calcolo degli iraniani per ridurre l'impatto del nucleare e indurre l'occidente a trattare il pacchetto mediorientale con maggiore oculatezza? Gli sviluppi della situazione e il viaggio di Annan, che ieri a Beirut ha incontrato tutti i leader politici Hezbollah compresi, sembrano andare in questa direzione. "E' giunta l'ora che l'occidente metta da parte le sue ostilita' preconcette nei nostri confronti e accetti di sedersi intorno a un tavolo per cercare una via d'uscita", ha detto il portavoce del ministero degli esteri iraniano Reza Asef dando l'annuncio della prossima visita di Annan. E se nel gruppo della trattativa (5+1) con Tehran rientrasse anche l'Italia, uno dei maggiori partner commerciali, non sarebbe solo un nuovo successo per D'Alema, ma anche un vantaggio per l'Iran. E come considerare il recente sequestro dei due giornalisti di Fox news a Gaza? Un sequestro inedito, per la prima volta non si e' risolto in poche ore. La rivendicazione delle Brigate del sacro jihad e' inedita come la sigla: nessun riferimento all'occupazione della Palestina e la conversione all'islam come condizione per il rilascio. Sembrerebbe uno scimiottamento dei rapimenti in Iraq magari ad opera invece che di al Qaeda di gruppi fuori controllo, ma non meno pericolosi. Il premier di Hamas Haniyeh si e' preso i meriti della liberazione. Ora c'e' da chiedersi fino a quando la comunita' internazionale potra' ignorare il governo palestinese e Israele tenere in carcere i suoi ministi. Ma e' possibile che i sequestratori abbiano potuto agire in quel fazzoletto di terra che e' Gaza inosservati? Chi lo sapeva forse voleva dare un avvertimento: non si puo' dimenticare la Palestina. Lo spettro di al Qaeda si avvicina. 5. TESTIMONIANZE. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA KELLY DOUGHERTY [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 agosto 2006. Patricia Lombroso e' corrispondente da New York del quotidiano; ha pubblicato in volume una raccolta di sue interviste a Noam Chomsky dal 1975 al 2003: Noam Chomsky, Dal Vietnam all'Iraq. Colloqui con Patricia Lombroso, Manifestolibri, Roma 2003. Kelly Dougherty, soldatessa in Iraq dal 2003 al 2004, e' ora la presidente dell'organizzazione "Iraq veterans against the war"] Nell'anniversario dell'uragano Katrina, a New Orleans sono entrati in funzione i bulldozer: "Raderanno al suolo tutte le case non ancora ricostruite, quelle di proprietari che non tornati: cosi' esproprieranno la terra che sara' a disposizione della speculazione edilizia", ci spiega Kelly Dougherty, soldatessa inviata in Iraq dal febbraio 2003 al 2004 e ora presidente dell'organizzazione "Iraq veterans against the war". Dougherty e' appena tornata da un periodo di volontariato tra i sopravvissuti di Katrina, e della citta' della Louisiana conserva un'immagine spettrale e violenta. "La povera gente ancora oggi in molte parti della citta' vive senza elettricita' e senza acqua potabile. Dei novantamila e piu' fuggiti dalle loro case, solo il 16% e' tornato a casa". Chi ha deciso di radere al suolo le case non ricostruite? "Forse la direttiva e' locale, ma la decisione di certo proviene da Washington. La motivazione addotta e' che i proprietari originari delle case che non sono potuti ancora tornare a New Orleans e sono ancora rifugiati in altri stati perdono ogni diritto di residenza a New Orleans. Di conseguenza non risultano piu' nel catasto come legittimi proprietari della propria casa". * - Patricia Lombroso: Cosa l'ha spinta, dopo l'esperienza in Iraq, ad andare dai sopravvissuti di Katrina? - Kelly Dougherty: A marzo di quest'anno, in occasione del terzo anniversario dell'invasione e occupazione americana in Iraq, organizzammo una carovana di protesta di reduci e famiglie di soldati in Iraq, con una marcia da Mobile in Alabama sino a New Orleans come segno simbolico di solidarieta'. Rimanemmo scioccati. Non ci aspettavamo una situazione cosi' tragica sette mesi dopo l'uragano. Ci siamo resi conto che a New Orleans non e' stato fatto nulla per la ricostruzione. I media ci avevano fatto vedere solo una minima parte della devastazione materiale e umana. Lungo chilometri di costa del Golfo abbiamo visto solo cumuli di immondizia putrida mai raccolta; gli abitanti siedono sui bordi delle strade in mezzo a liquami e acqua contaminata dagli agenti tossici fuoriusciti dalle fabbriche e dalle raffinerie distrutte. Abbiamo constatato l'indifferenza e lo stesso cinismo per la sorte di civili innocenti che abbiamo visto in Iraq. Per questo abbiamo deciso di tornare a New Orleans nell'estate, e dare il nostro aiuto di soldati con l'esperienza dell'Iraq. Durante il nostro soggiorno non abbiamo visto nemmeno un funzionario della Croce Rossa: solo la solidarieta' di comunita' religiose e civili volontari. * - Patricia Lombroso: Perche' lei paragona la sua esperienza in Iraq con quanto ha constatato a New Orleans? - Kelly Dougherty: In Iraq come nelle comunita' devastate di New Orleans ho visto persone senza acqua potabile ne' elettricita' che chiedevano aiuto, e non bulldozers. In Iraq, dove la mia unita' effettuava controllo di polizia, mi resi conto molto presto che il nostro ruolo non aveva nulla a che vedere con la ricostruzione. Avevamo l'ordine di distruggere e incendiare noi stessi case di gente poverissima: dovevamo terrorizzare e far morire tanti civili innocenti con le nostre incursioni immotivate, coperte da tante menzogne. A New Orleans ho visto situazioni diverse, ma forse peggiori. Una tragedia umana si svolgeva nell'indifferenza piu' totale, per opera dei nostri governanti, e a casa nostra. Meta' della popolazione di New Orleans e' dispersa negli altri stati, che hanno dato loro asilo. Il tasso di suicidi e' triplicato. Gran parte degli ospedali e delle scuole per i piu' poveri restano chiusi. I liquami tossici fra cui si aggirano gli abitanti non sono mai stati analizzati per capire la natura della contaminazione. L'amministrazione Bush ha promesso finanziamenti mai arrivati, e 18 miliardi di dollari sono spariti senza troppo scandalo. Pensate: con solo 3 miliardi di dollari gli argini potevano essere gia' ricostruiti. In Iraq, soltanto nel primo anno della nostra invasione sono scomparsi 8 miliardi di dollari destinati alla ricostruzione: nelle tasche di politici e contractors corrotti, ma amici di Bush. L'esperienza a New Orleans mi conferma nella mia tesi: Bush e i suoi corrotti politici prestano attenzione solo quando vedono un tornaconto economico. 6. ESPERIENZE. GIOVANNA PROVIDENTI: MADRI RUSSE CONTRO IL MILITARISMO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo di Giovanna Providenti. Giovanna Providenti (per contatti: g.providenti at uniroma3.it) e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori. E' di imminente pubblicazione nella collana dei "Quaderni Satyagraha" il volume da lei curato, La nonviolenza delle donne, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2006] Il nonnismo [la violenza esercitata da militari con piu' anzianita' di servizio ai danni delle nuove reclute - ndr] non e' solo un fenomeno triste denunciato ogni tanto sulle pagine dei giornali, ma uno strumento formativo radicato nella stessa struttura e concezione militare: perche' nutrendo rabbia, rancore e molta sofferenza, contribuisce ad annebbiare la coscienza. Dove hanno riposto il bagaglio della violenza accumulata i soldati di leva, una volta rientrati a casa? Le vessazioni subite nel periodo di formazione alla guerra sono state sufficienti a far credere loro che l'uso della violenza sia cosa lecita, funzionale addirittura. E lasciano che la violenza incarnata si esprima, come un campo minato, nella loro vita quotidiana: contro mogli, madri, sorelle. Anche per questo le donne hanno una sapienza in piu' per avversare l'obbligo militare. * Alcuni, invece di trasformarsi in torturatori si costruiscono una personalita' da depresso e altri, nostalgici, cercano "emozioni" simili a quelle di gioventu'. E sembra che questo tipo di ex militari siano abbastanza in Russia, da far guadagnare un'impresa di reduci, denominata Sashitnik, che propone vacanze in una caserma dell'esercito russo, in balia dei "nonni" che impongono alle particolari "reclute" il trattamento riservato ai veri giovani soldati. Siamo in tempo di vacanze e, per chi voglia approfittarne, l'iniziativa turistica e' nata da due anni e si svolge a Jaroslav, citta' storica a 250 chilometri da Mosca. Con 70 dollari al giorno, e 600 dollari per la "serie completa" di dieci giorni. La stessa agenzia turistica propone anche emozioni piu' costose: guidare un carro armato (6.000 dollari per un'ora) o salire a bordo di un aereo da trasporto militare (10.500 dollari). L'altro risvolto di queste conseguenze della militarizzazione culturale della societa', e' l'alto tasso di morti tra i soldati di leva e di ufficiali uccisi dai commilitoni esasperati. * Ma anche una sempre piu' significativa opposizione al militarismo, compiuta da donne che si pronunciano, in nome del loro essere madri, contro le pratiche di nonnismo (particolarmente diffuse in Russia) e l'obbligo di leva. L'Unione dei Comitati delle Madri dei Soldati Russi (Ucsmr, sito: www.ucsmr.ru) e' una rete di associazioni ad ampia, ma non unica, maggioranza femminile, che recentemente ha deciso di costituirsi in Partito Popolare Unito delle Madri dei Soldati con la prospettiva di partecipare alle elezioni politiche del 2007. L'inizio della loro storia, e la fondazione del primo comitato, a San Pietroburgo, risale al 1989, al picco della mobilitazione democratica della perestrojka quando emergeva pubblicamente, come parte della glasnost, la violazione sistematica dei diritti umani all'interno dell'apparato militare sovietico. In particolare aveva suscitato scalpore, e una pubblica indagine, il caso della recluta Arturas Sakalauskas, che ripetutamente torturato e violentato da tre militari in servizio, li aveva infine uccisi, con l'arma in dotazione. Da allora le Madri dei Soldati hanno operato varie forme di protesta: marce, raduni, picchetti, pubblicazioni sui diritti umani, dimostrazioni simboliche, gratuita consulenza legale alternativa a coloro che abbiano subito violenza nell'esercito e cercano avvocati non collusi con le forze armate. Nei confronti della guerra in Cecenia l'Ucsmr, oltre ad aiutare le madri in cerca dei cadaveri dei loro figli, indicando percorsi e raccogliendo soldi per il viaggio, si oppone alla guerra in maniera molto chiara, creando alleanze con le donne cecene, anche loro organizzatesi, e tra le quali spicca la figura di Zainap Gashaeva (su di lei in internet: www.cocathedove.com). L'impegno di queste donne non e' solo quello della madre che vuole, egoisticamente, salvare il proprio figlio, perche' la loro richiesta di abrogare (come in Italia e in altri paesi europei sta gia' accadendo) l'obbligo di leva non ricade solo sul destino dei loro figli, ma sulla trasformazione delle coscienze di generazioni di giovani uomini, e quindi su tutta la societa' civile. Come gia' sa chi ha fatto il servizio civile: se un giovane uomo, o donna, trascorre un periodo di tempo ad assistere persone sofferenti, o a collaborare con Ong e simili, il bagaglio culturale, e di coscienza, che poi riversera' nelle proprie relazioni interpersonali e sociali sara' certo diverso da quello di chi, per lo stesso periodo di tempo, sia stato sottoposto all'addestramento del nonnismo. 7. MAESTRE. FATEMA MERNISSI: CERTE VERITA' [Da Fatema Mernissi, L'harem e l'Occidente, Giunti, Firenze 2000, p. 94. Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale di forte impegno civile, impegnata per i diritti delle donne, per la democrazia e i diritti umani di tutti gli esseri umani, docente universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Il sito internet di Fatema Mernissi e' www.mernissi.net] Ci sono certe verita' che richiedono molto tempo per essere digerite. 8. MAESTRE. SILVIA VEGETTI FINZI: UN BALZO DI STRAORDINARIA SEMPLICITA' [Da Silvia Vegetti Finzi, "Il mito delle origini. Dalla Madre alle madri, un percorso di identita' femminile", in Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi, Se noi siamo la terra, Il Saggiatore, Milano 1996, a p. 70. Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005] Sara' piuttosto un balzo di straordinaria semplicita' a ricollocarci in una possibile genealogia femminile, fondata sulla priorita' dell'origine piuttosto che della fine, della nascita contro la morte, della potenza rispetto al potere, della Madre invece che del Padre. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 79 del 31 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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