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La nonviolenza e' in cammino. 1394
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1394
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 21 Aug 2006 00:23:36 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1394 del 21 agosto 2006 Sommario di questo numero: 1. Luca Decanacchi: Verso Pisa 2. Enrico Peyretti: La bibbia di tutti e' il cuore dell'uomo. Un ricordo di Michele Do (parte prima) 3. Gianni Beretta intervista Rigoberta Menchu' 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. LUCA DECANACCHI: VERSO PISA [Si svolgera' a Pisa dall'8-11 settembre 2006 un convegno internazionale sul tema "Il potere della nonviolenza" nel centenario della nascita del satyagraha (11 settembre 1906); per informazioni, adesione e partecipazione contattare il Centro Gandhi di Pisa, tel. 3355861242 (Leila), fax: 1782205126, e-mail: 11settembre.nonviolenza at centrogandhi.it, sito: www.centrogandhi.it] Il convegno promosso dai "Quaderni satyagraha" e dal Centro Gandhi di Pisa che in quella citta' si terra' dall'8 all'11 settembre puo' essere, al di la' degli aspetti meramente celebrativi, non solo palestra accademica e passerella di candori come tante volte e' accaduto in passato, ma anche un momento di verita', di esplicito confronto, di ricerca non ipocrita e non menzognera. * Recenti vicende hanno rivelato in forme fin paradossali quanti e quanto profondi equivoci ancora offuscano non solo la percezione della nonviolenza da parte di soggetti ignari delle sue prove e del suo portato e ad essa ostili o che ne fanno un uso proditorio e strumentale (si pensi alle talora fin ripugnanti sciocchezze che sulla nonviolenza dicono i vertici di partiti politici - radicali, verdi, prc - che pretendono di appropriarsene dopo averla mutilata di ogni verita' ed averla ridotta al suo osceno contrario, a mera ideologia di ricambio, a mero paravento), ma anche la lettura di essa da parte di persone che pure se ne sentono attratte e che talora ad essa si sono accostate con intima persuasione. Il convegno pisano puo' essere il luogo - uno dei luoghi e dei momenti - in cui si torna a riflettere sia sui caratteri fondamentali della nonviolenza, sia anche sul suo concreto inveramento nella sfera pubblica, e particolarmente nell'agire politico hic et nunc. Uscendo da ogni subalternita', da ogni ambiguita', da ogni complicita' con la violenza, e le sue ideologie, le sue strutture, le sue manifestazioni. * Si pongono ormai domande ineludibili: - le persone e i movimenti che si dichiarano amici della nonviolenza possono continuare a vivacchiare nel ghetto della testimonianza e della ricerca, o non devono invece finalmente proporre la nonviolenza come principio di organizzazione sociale, come progetto politico, come proposta giuriscostituente e come movimento storico? - il collateralismo a ideologie ed organizzazioni violentiste e oppressive, e la subalternita' a varie forme di "disordine costituito", collateralismo e subalternita' troppo a lungo coltivati (fraintendendo e in definitiva tradendo il concetto capitiniano di "aggiunta") devono persistere, fino all'esito sciagurato e insensato di appoggiare addirittura la guerra, o non devono invece cessare, per dar luogo piuttosto a una capacita' persuasa di autonomia e fin di egemonia - che fu propria ad esempio di Gandhi - nel porsi alla guida del processo di trasformazione sociale nelle sue mille concrete occasioni di inveramento? - e si deve continuare a permettere che si spaccino per nonviolenza azioni irresponsabili, acquiescenze innominabili, ambiguita' che danno luogo ad effettuali complicita' con l'oppressione e l'ingiustizia, o non si deve finalmente decidersi a fare chiarezza ed a porre senza esitazioni la necessita' della coerenza tra mezzi e fini, operando anche le rotture indispensabili? - ed ancora: si deve continuare a tacere sugli scandalosi tratti autoritari e patriarcali che hanno reso oppressive almeno in alcuni tratti anche alcune esperienze storiche della nonviolenza, o non si deve finalmente cogliere la necessita' che la nonviolenza si liberi anche da queste catene e riconosca nei femminismi - nei pensieri e nelle prassi dei movimenti delle donne, ed anche delle donne senza movimenti - forse la sua piu' coerente tradizione storica di lotta e di ricerca (senza eludere i nodi terribili del generare e dell'estinguersi, della vita e del fallire della vita, che l'esperienza delle donne ha saputo affrontare con infinitamente maggior densita' e serieta' rispetto a quanto ha fatto l'esperienza maschile), e ci si disponga tutte e tutti quindi all'ascolto della voce delle donne, affrontando anche finalmente in un corale colloquio franco e leale quanto vi era di carente ed inerte, ed a tratti di discutibile e fin inaccettabile in tradizioni e figure che pure mantengono intatto tutto il loro valore e che da una demitizzazione e demonumentalizzazione e verifica critica hanno solo da guadagnare in comprensione e in amore, in illimpidimento della loro verita' liberandole dalle scorie - e talora non sono solo scorie, ma tratti costitutivi di potere che opprime - che le maculano? E molte altre domande ancora si potrebbero certo aggiungere, ma per questa volta fermiamoci qui. * Si dira': un convegno e' un'occasione di studio, non e' ne' un congresso di fondazione ne' una conferenza programmatica. Vero. Ma qui non si tratta ne' di fondare ne' di programmare alcunche', si tratta di cercare di illimpidire i termini di cio' che ci sta a cuore, di fare opera di chiarificazione sui fondamenti e sulle prassi conseguenti. Attenzione, pero': non stiamo affatto proponendo una nuova dogmatica, ma il suo esatto contrario: della nonviolenza noi proponiamo una nozione complessa ed aperta, dialettica e contestuale, critica e autocritica, e come insieme di insiemi, ma che ha due punti fermi nel portato ermeneutico ed assiologico, epistemologico e metodologico, operativo e progettuale, del densi e complessi concetti di ahimsa e satyagraha, che noi leggiamo in una prospettiva storica e relazionale: nonviolenza come teoria-prassi della responsabilita', della solidarieta' e della liberazione. Ovviamente il convegno pisano, dal punto di vista di chi scrive queste righe, e' anche un passaggio di un cammino. Gia' in ottobre forse vi sara' per iniziativa del Movimento Nonviolento un seminario di approfondimento specifico sulla politica della nonviolenza oggi in Italia. Che riprendera' la discussione avviata al convegno fiorentino di qualche mese fa: quell'incontro su "nonviolenza e politica" venuto forse ad un tempo troppo presto e troppo tardi: troppo tardi rispetto alla necessita' di incidere piu' adeguatamente sulle prospettive di mutamento del quadro politico (occorreva per questo che avesse avuto luogo forse un anno prima), e troppo presto rispetto alla catastrofe del pacifismo parastatale manifestatasi in forme flagranti e fin dirompenti in occasione del decreto governativo e del voto parlamentare di rifinanziamento della partecipazione italiana alla guerra afgana. * E del resto nei prossimi mesi si trattera' anche di portare a una prima sintesi (provvisoria, rivedibile, certo, ma sintesi vera) quel percorso avviato con la marcia specifica per la nonviolenza Perugia-Assisi del settembre 2000, che - sia detto en passant - fu anche l'occasione che diede luogo alla nascita di questo foglio che da allora ad oggi ha inteso non solo documentare la complessita' e la varieta' delle riflessioni e delle esperienze della nonviolenza, non solo porre a confronto tradizioni diverse e tutte invitarle a un colloquio dal punto di vista della nonviolenza, non solo fornire strumenti e materiali di riflessione e per l'azione, non solo promuovere o sostenere alcuni dibattiti ed alcune iniziative; ma forse anche soprattutto accompagnare un cammino di riconoscimento reciproco tra persone e tra esperienze, senza pretese di rappresentanza o peggio di direzione, ma certo nel senso che la marcia Perugia-Assisi del 2000 intendeva sollecitare e forse nuovamente aprire: nuovamente, intendiamo, poiche' la prima apertura era stata quella dell'originaria Perugia-Assisi capitiniana e della fondazione del Movimento Nonviolento: oltre quarant'anni dopo e' tempo di fare un passo ulteriore. Il passo ulteriore della definitiva uscita dei movimenti e delle persone amiche dalla nonviolenza dalla timidezza e dalla marginalita', dalla mera testimonianza e dal mero studio, dalla subalternita' e dalla confusione, dalla rassegnazione e dalle meschinita', dalle piccole baruffe e dalle piccole furbizie, dalle grandi incertezze ed acquiescenze. Orsu', in cammino. 2. MEMORIA. ENRICO PEYRETTI: LA BIBBIA DI TUTTI E' IL CUORE DELL'UOMO. UN RICORDO DI MICHELE DO (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione la sua relazione svolta al convegno in memoria di don Michele Do tenutosi a St Jacques il 12-14 agosto 2006. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Su Michele Do riportiamo alcuni frammenti da un piu' ampio ricordo scritto da Enrico Peyretti che abbiamo pubblicato nel n. 1118 di questo foglio: "E' morto sabato 12 novembre 2005 ad Aosta, don Michele Do, un uomo autentico, un prete cristiano, un testimone dell'umana sete di Dio. Nato a Canale, presso Alba (provincia di Cuneo), il 13 aprile 1918, abbandono' l'insegnamento in seminario nel 1945, ritirandosi nella frazione di St. Jacques di Champoluc (Aosta), allora senza strada, villaggio di alta montagna, nel quale don Michele cercava la vita ritirata, pensosa. E' stato rettore di quella piccola chiesa fino a quando, nella vecchiaia, si e' ritirato nella Casa Favre, sulla pendice del monte, sopra il villaggio, una pensione-fraternita', luogo di amicizia e spiritualita' aperta. Il suo maggiore riferimento, nella linea del modernismo piu' spirituale - il cuore umano come primo luogo della sete religiosa e dell'evangelo universale - fu don Primo Mazzolari, insieme a tanti altri spiriti ardenti della chiesa e di ogni focolare religioso. I suoi maggiori amici e fratelli di cammino furono David Maria Turoldo, Umberto Vivarelli, padre Acchiappati, Ernesto Balducci, sorella Maria di Spello e, tramite lei, Ernesto Buonaiuti, padre Rogers e sua moglie (anglicani) e tanti, tanti altri, non solo credenti, ma tutti assetati e commensali di verita' e autenticita' vissuta. Appartato, ma senza polemiche superficiali, rispetto alle strutture ecclesiastiche, e' stato un centro vivissimo di aperte amicizie e accoglienze, che ha attirato una quantita' di cuori vivi in ricerca, da tutte le condizioni umane. E' stato una grande anima, uno spirito acceso dal fuoco vivo dello Spirito. Un cercatore instancabile di Dio. Fremeva e cercava, in ogni colloquio e incontro, l'aiuto e l'ascolto nostro per una rilettura essenziale del cristianesimo e di tutta la ricerca spirituale umana, e comunicava tracce preziose di luce...". Un testo di Michele Do e' nel n. 1133, ed alcune sue parole dette in una conversazione nel n. 1134 di questo foglio] 1. Metodo Abbiate pazienza, non giudicate severamente questo mio discorso difficile, nel tentativo di capire e raccogliere un aspetto dell'eredita' di don Michele, parlando dal basso su cose alte. Esporro' un mazzetto di "schede", senza pretesa di organica sistemazione, semplici riflessioni su parole e pensieri che abbiamo udito da don Michele. Di una persona come lui si puo' parlare su due registri: il primo filologico, teso a raccogliere con precisione scrupolosa la sua parola e testimonianza; il secondo consistente nel rispondere al suo stimolo accettando l'impegno che ci trasmette. Il primo modo e' quanto piu' possibile oggettivo, il secondo e' personale, implica scelte che non sono necessariamente condivise da tutti, sebbene orientate agli stessi valori e proponibili alla considerazione di tutti, nel tentativo di accogliere responsabilmente un'eredita' e continuare un cammino. Insomma, un doppio movimento: l'uno fare memoria, raccogliere, nutrirsi; l'altro elaborare, proseguire, andare, su responsabilita' nostra. Don Michele diceva cose simili a queste, parlando di don Primo Mazzolari. La fedelta' ad un maestro, come ai propri padri, non sta tanto nel ripetere. C'e' fedelta' persino quando si dimentica il maestro perche' si e' interiorizzato il suo insegnamento e testimonianza. Dunque, non facciamo un culto della personalita', ne' una canonizzazione di don Michele (e' una affettuosa tentazione possibile), ma cerchiamo di assumere la nostra responsabilita', registrando la grandezza chiara della sua testimonianza, e le nostre lentezze e difficolta'. * 2. Un testo di riferimento Manca in questo convegno una relazione sulla chiesa, nel pensiero di don Michele. Al riguardo, oltre a parole e ricordi, abbiamo due testi pubblicati: - uno del 1968, circa: La nostra appartenenza alla chiesa, pubblicato su "il foglio" n. 327, dicembre 2005, col titolo Pace con la chiesa, e su "La nonviolenza e' in cammino", n. 1134, del 4 dicembre 2005. In questo testo c'e' gia' un paragrafo Il cuore dell'uomo, primo vangelo. - l'altro del 1985: La chiesa: con amore e per amore oltre don Primo, in AA. VV., Don Primo Mazzolari. L'uomo, il cristiano, il prete, Cens, Milano 1986, pp. 129-174 (qui citato in sigla Codp), volume ora ristampato - compresi gli errori di stampa! - dalla editrice Servitium, Sotto il Monte 1999. Questo secondo e' uno dei pochi testi da lui rivisti e rifiniti, cosicche' si puo' considerarlo un suo scritto, piu' unico che raro. Inoltre, i due testi vanno messi in rapporto storico tra loro: il primo, all'indomani del Concilio, e' una riflessione autobiografica sulla chiesa; il secondo registra una ulteriore evoluzione del pensiero di don Michele sulla chiesa. Faro' dei riferimenti a questo secondo testo, oltre che alla memoria viva che tutti abbiamo di don Michele. Il mio tema ora non e' la chiesa, ma il cuore dell'uomo come primo luogo della parola di Dio che tutti chiama e illumina: "la luce vera, che illumina ogni uomo" (Giovanni 1, 9). I due testi sono come allacciati dall'ultima parola del primo e da questa del secondo: "La chiesa e' tutta l'umanita', e' la creazione intera in quanto si apre alla presenza dello Spirito che la fa ascendere a divina pienezza" (Codp 158). Siamo, ovviamente, a distanza siderale, diametrale, da una colonizzazione chiesastica dell'intera umanita': si tratta invece della dispersione del lievito, incurante di se', nella pasta, e della immersione, senza risparmio, della luce, del sole e della pioggia, in ogni terreno da fecondare. "La chiesa e' il mondo che va faticosamente trasfigurandosi nella bellezza" (Codp 167). Se la chiesa e' l'umanita', allora l'umanita', in quanto aperta allo Spirito, convocata, raccolta, illuminata, e' la chiesa, luogo della discesa dello Spirito e dell'ascesa del mondo a Dio. E l'umanita' e' presente, concentrata e riposta nel profondo di ogni cuore umano, al centro di ogni persona. Ogni persona e', come universale concreto, l'umanita', in una forma tutta particolare. Ogni cuore, nella sua nuda sincerita', nella sua condizione essenziale, riflette l'identita' umana universale, che ci unisce attraverso ogni differenza, che tutti accomuna liberamente, e questo riconoscimento e' la condizione della pace. Ogni cuore e' visitato da Dio. * 3. La prima Bibbia Lo dice lui stesso: "Il cuore dell'uomo (per don Primo) era 'cosa di Dio', testo sacro. La prima Bibbia, il primo Evangelo, quello non scritto da mano d'uomo ma costruito da Dio a sua immagine e somiglianza. (...) Dio e' presente in noi come domanda, prima di presentarsi come risposta. Il cuore [umano] e l'evangelo, due realta' egualmente sacre che stanno tra loro come la sete e la sorgente" (Codp 143). Ma qui sentiamo un primo problema, un interrogativo. Dice Sartre che la sete non dimostra la sorgente: "L'uomo e' una passione inutile". Se il nostro cuore e' questa sete di Dio, questo anelito, come la cerva "sospira" (traduzione Ravasi) all'acqua della fonte (salmo 42), ci sara' poi la sorgente che la disseta? E se c'e', la trovera'? La cerva puo' anche morire di sete. L'interrogativo pesa. Nella relazione di Giancarlo Bruni ho ascoltato un passo di don Michele sulla scorta di Simone Weil: se anche il pane non ci fosse, la fame di pane e' il grido, il diritto, la dignita' del bambino, di ogni uomo. Sant'Agostino dice: "Il tuo desiderio e' la tua preghiera" (Sermones 80, 7; Enarrationes in psalmos 37, 14), e la preghiera e' gia' grandezza dell'uomo. E' gia' gloria di Dio che l'uomo lo cerchi dal fondo del cuore. Ma un interrogativo ancora precedente possiamo ascoltare. Don Michele scrive: "L'evangelo trova un consenso profondo nel cuore dell'uomo. La sua forza di seduzione e' grande in ogni spirito nobile, se pur non credente" (Codp 134). Ma e' proprio vero? C'e' davvero questa sete nel cuore umano? In ogni cuore umano? Vediamo persone che ne sono apparentemente immuni, esenti. Cercano e gustano cose ben piu' limitate, e sembrano sazi. Tutta un'apologetica cristiana si fondava sulla necessita' di Dio per l'uomo, che subito diventa necessita' tua della mia religione, della mia chiesa: io ho la risposta, tu hai bisogno di me. E c'e' anche una replica dell'uomo che fa a meno di Dio, pur vivendo una vita degnamente umana, ne' barbara ne' idolatrica, una "etica del finito" (come dice Rossana Rossanda). Viene alla memoria un atteggiamento di don Michele, anche sdegnato e brusco e quasi duro: "Con chi non sente questa sete, non ho nulla da dire, nulla in comune!", anche se non ne faceva un perduto, un uomo minorato. Sentiva insieme fastidio e comprensione per i cuori sordi, ottusi. Credo che vedesse Dio alla fine abbracciare anche i cuori sordi. Ma con questi, lungo la via, occupati e distratti completamente in altro, in cose da meno, non c'era discorso, non c'era il discorso importante, della pienezza umana, e per le chiacchiere secondarie non c'e' mai abbastanza tempo. Se guardiamo alto e lontano, incoraggiamo, svegliamo e invitiamo anche i cuori pigri e pesanti. Ma dunque e' proprio vero che "L'evangelo trova un consenso profondo nel cuore dell'uomo"? Quella di don Michele non e' tanto una teoria sull'uomo, quanto piuttosto la testimonianza dell'esperienza che fa lui stesso, che soprattutto vede e riconosce in cuori grandi, in Gesu' soprattutto - "immagine alta e pura del volto dell'uomo cosi' come lo ha sognato il cuore di Dio" (dal suo Credo). Dunque, una proposta e una possibilita' bella, piu' che un dato di fatto naturale e connaturato. Il cuore dell'uomo non e' sempre come lo sogna il cuore di Dio, che vorrebbe abitarvi liberamente accolto, per attuarvi la pienezza della vita donata. Allora, il titolo di questa conversazione, "La bibbia di tutti e' il cuore dell'uomo", con cui credo di poter interpretare un sentire di Michele Do, credo anche che non debba pretendere un valore quantitativo universale: non significa ogni cuore umano, nessuno escluso; non significa il cuore umano sempre, naturalisticamente. Ci sono anche cuori chiusi, rozzi, violenti, oppure dispersi fuori di se' (vedi la parabola del seminatore e dei diversi terreni). "L'uomo bruto non comprende e lo stolto non capisce" (salmo 92, 7). Ci sono anche cuori malvagi. Quel detto non e' una constatazione statistica, che dia una vittoria alla religione nel sondaggio sulle umane aspirazioni. E' piuttosto un appello, una rivelazione di se' a chi l'ascolta: "Senti, ascolta, nel tuo cuore, nel piu' intimo di te c'e' una parola, una voce che chiama e una luce che illumina, che ti trasforma da cio' che sei alla tua verita'. Vivi la tua essenza piu' vera". Un appello non moralistico ne', tanto meno, proselitistico, ma la fraterna condivisione di un'esperienza, che risveglia e unisce: "Nel mio cuore ho sentito questa voce e questa luce, in questo centro di me io riconosco anche te e il tuo centro, e lo venero senza nulla importi". La religione si offre come un abbraccio, un dono di luce, non una necessita', senza di cui non saresti uomo. Aldo Capitini direbbe "una libera aggiunta". Oppure, forse meglio, mi pare che don Michele ci dica: "La religione, amico, non ti viene da fuori, estrinseca. E' il centro piu' vivo e intimo di te, anche se non gli hai dato nome, anche se hai tanti dubbi e ti senti incapace, anche se rivolgi ancora la tua maggiore attenzione a tante cose che invano moltiplichi per tentare di saziarti". Insomma, non credo che si potrebbe intendere il sentire di Michele Do come un puro umanesimo positivo, tutto ottimistico, un cristianesimo naturale, come se intendesse: chi non e' cristiano non e' umano! E tuttavia diceva di non vedere un ateo felice. Penso che, senza nulla ignorare della realta' umana, dei suoi abissi, errori e orrori, egli veda l'essere umano come aperto, non concluso, non chiuso. Semmai, potrebbe riportarsi al grande umanesimo cristiano rinascimentale, consapevole di tutto il dramma e di tutta la vocazione umana. * 4. Sulla via di Emmaus, interrogando e ascoltando il cuore Parlando della chiesa, Michele dice ancora: "la chiesa e' (...) un camminare insieme come sulla strada di Emmaus interrogando ed ascoltando ognuno il proprio cuore e il cuore del compagno di viaggio" (Codp 148). E' "lo Spirito creatore [che] opera ovunque c'e' un puro anelito religioso" (Codp 157). Ma questo anelito e' dappertutto? No. Occorre aspirare per respirare. "Occorre dilatare l'anima su misura del Mistero di Dio che sempre ci trascende: "Dio e' piu' grande del nostro cuore" (1 Giovanni 3, 20). E' l'illimite di Dio nel limite umano" (Codp 170). Allora, non il cuore com'e', non il cuore pigro e vivacchiante, ma il cuore che si allarga e scruta e aspira, puo' scoprire nel profondo di se' la parola che rivela lui a lui stesso. Quel fondo di noi, che non conosciamo, che spesso non cerchiamo, e' una presenza vivente, nel cuore del cuore, e' Dio. * 5. Le attese nell'uomo piu' alte Vive poco il cuore che non ha attese grandi, ansima come un polmone compresso, schiacciato, ridotto. Don Michele parla di "le attese piu' alte del cuore", "le sue attese piu' vere e profonde" (Codp 131 e 137). Non semplicemente l'uomo e' bibbia, ma la verita' genuina dell'uomo, spesso nascosta, sepolta, ignorata. C'e' un tesoro nascosto nel campo e il campo piu' ricco di segreti e' l'uomo, ma, se non scavi, nulla vi trovi. Quel cuore nascosto e ignorato, latente, spesso in letargo, che si sveglia alle attese, e' tuttavia piu' grande della chiesa: "Le strutture della chiesa di Gesu' sono strutture della esperienza spirituale. Sono strutture ontologiche, non strutture giuridiche: segnano l'essere di ogni discepolo" (Codp 149). Il discorso cristiano di don Michele e' un'antropologia aperta alla luce (cosi' pensavo ascoltando il suo testo sull'eucarestia, il 29 luglio scorso, a Casa Favre); e' una lettura dell'esperienza piu' profondamente umana. Carlo Molari, quel giorno, diceva: "Nessuna parola su Dio ha senso se non e' parola sull'uomo". * 6. Ecclesia propter homines "L'uomo e' troppo grande perche' si possa riconoscere pienamente in una istituzione, anche la piu' sacra, percio' la saggezza del detto antico: Ecclesia propter homines. (...) L'uomo e' un mistero inesauribile e insondabile perche' ha in se' il mistero inesauribile e insondabile di Dio" (Codp 151). E' quello che ha detto Giovanni Paolo II: "L'uomo e' il fine della chiesa". Ma in quale senso? Anche il cliente e' il fine - il target! - del produttore e del venditore. La chiesa porta qualcosa all'uomo che l'uomo non ha? La chiesa salva l'uomo? La chiesa porta Dio all'uomo? Oppure il mistero dell'uomo e' l'oggetto dell'ammirazione della chiesa, che vi scopre, vi legge, vi venera e vi chiarisce e illimpidisce l'immagine di Dio? Tante volte e in tanti modi il potere si e' dichiarato al servizio degli uomini, e ha servito comandando, imprimendo se stesso sull'umanita', come il volto di Cesare sulla moneta. Non e' col "potere su" qualcuno che si e' per lui, ma dando a colui che serviamo il "potere di", la possibilita' di essere e di svolgere le potenzialita' che contiene, i frutti che puo' dare. Non "potere su", ma "potere di". * 7. Potere spirituale e dignita' della persona "E' stato un giorno di grazia quello in cui e' caduto il potere temporale della chiesa, ma giorno di grazia piu' grande sara' quello in cui cadra' il potere spirituale, assai piu' insidioso e deleterio" (Codp 168). "Potere giuridico e potere dello Spirito. Si puo' ambiguamente passare dall'uno all'altro significato operando una perniciosa contaminazione. Contaminazione che si fa evidente, dolorosamente evidente, nel sacramento della penitenza, dove il sacramento puo' diventare tribunale e il sacerdote puo' farsi giudice che assolve e condanna, frugando talvolta senza pudore nella intimita' sacra di una creatura gia' umiliata dalla sua colpa" (Codp 163). Questo cenno preciso tocca il punto piu' nevralgico del rispetto che l'istituzione chiesa deve alla persona, oppure le fa mancare. Altre istituzioni possono violare o di fatto violano diritti umani. La chiesa che si fa potere giuridico, piu' che focolare dello Spirito, rischia di violare il tempio dello Spirito nella persona umana, fragile e sacra. La chiesa istituzione si e' fatta nei tempi recenti paladina dei diritti umani. Ma e' stato osservato che, sotto vari aspetti, non li rispetta e non li realizza al proprio interno: diritti ecclesiali della donna; diritto di parola, informazione, partecipazione; diritto di ricerca teologica; diritto di difesa dalle accuse dottrinali in teologi processati a loro insaputa, ecc. L'immagine del libro sacro scritto anzitutto nel cuore si completa con l'immagine della persona, del cuore e del corpo umano tempio dello Spirito santo (Romani 5, 5; 1 Corinti 3,16; 6,19) , e con quella giovannea della inabitazione di Dio nella persona umana (Giovanni 14, 23) che ama e crede. Dio abita l'uomo anzitutto, ogni singolo, e lo chiama col suo nome unico (Apocalisse 2, 17), non come un numero di una massa; e poi abita la chiesa, perche' abita l'umanita'. Percio' la persona ha una dignita' inviolabile di fronte alla chiesa. In questo scritto su Mazzolari, Michele Do porta un grande documento di questa fierezza santa, le parole scritte da Mazzolari al cardinal Montini quando fu colpito da castigo e divieto di parola nella chiesa: "Nel 1953 fui condannato senza essere interrogato ne' prima ne' poi (...). Il silenzio non mi spaventa, ne' mi spaventa il sine die poco umano. Ho la morte a due passi la quale mi liberera' da ogni limite e da ogni potere dell'uomo. Lassu', l'adorazione in spirito e verita' e' cosi' larga da compensare ogni strettezza terrena (...). Domando la grazia di darmi l'obbedienza in una forma che rispetti davanti ai miei parrocchiani di dentro e di fuori, se non l'uomo, l'ortodossia della mia fede e la dignita' della mia vita sacerdotale" (Codp 136). E riferisce pure le parole di Mazzolari al suo vescovo che gli aveva letto il decreto di condanna del S. Uffizio: "Sono piu' contento di essere da questa parte del tavolo a sentirmi leggere la condanna, che da quella parte a doverla leggere" (Codp 142). Senza fare paragoni forzati, sono le parole di Giordano Bruno ai suoi giudici: "Avete piu' paura voi di me". * 8. Quei testi rispondono al cuore Se l'attenzione alle religioni e la loro conoscenza diventa fede e' perche' qualcosa e qualcuno la', attraverso quei testi e quelle tradizioni, ci tocca ben piu' intimamente che nell'intelletto speculativo, o nelle regole di vita, o nella conoscenza delle tradizioni, o nell'appartenenza a un cammino spirituale, cioe' ci tocca nel "cuore", nel centro dell'essere. E se qualcosa di vivo e vero ci tocca li', e' perche' ci tocca anche in tanti modi nella vita quotidiana piu' comune: desiderio di bene, dolore e scandalo del male, indignazione per le violenze, bisogno di amore, volonta' di giustizia, nostalgia di pace, gioia della bellezza, coscienza della colpa, alterita' dell'altro, voglia di far piacere, sentimento di pieta' e compassione, caducita' e speranza della vita, ecc. In simili momenti di vita piena, o di sete di vita, qualcosa di vivo e di vero ci tocca nell'intimo. Allora nei testi "rivelati" di ogni religione noi riconosciamo - quei testi ci rivelano - che li' c'e' della verita', perche' esprimono - anche rimproverandoci, accusandoci, correggendoci, stupendoci, e consolandoci (a volte anche lasciandoci perplessi) - quelle apparizioni piu' incerte o piu' chiare di mistero, che si affacciano nelle esperienze quotidiane; dunque ci chiariscono l'esistenza, rispondono al "cuore inquieto" (detto cosi' bene da Agostino, ma anche da Manzoni e da quanti altri, persino da chiunque tra noi...) che non ha pace fin quando non dimora in Dio. E' la vita, l'esperienza profonda della persona, la verifica del carattere rivelativo dei testi sacri. * 9. Perche' crediamo In definitiva, crediamo a quei messaggi religiosi perche' ci permettono di vivere, cioe' danno un senso al bello e al brutto della vita, ai giorni e alle notti, al vivere e al morire. La verifica delle religioni e' la vita. Il criterio per credere o no, per riconoscere o no un valore di verita' ad un messaggio e ad un annunciatore, non e' l'autorita' della tradizione, ma e' lo sperimentare se aiuta o no a trovare un senso della vita. Il dio di cui mi parlano, o la sapienza di vita che mi propongono, rispondono o no a cio' che la mia vita grida e invoca? "Tu solo hai parole di vita" e' la risposta della fede (anche se quel "solo" oggi forse lo attenuiamo, senza negarlo, perche' riceviamo piu' di un raggio di quella "luce che illumina ogni uomo" su una "pluralita' di vie", come evidenzia Pier Cesare Bori: Pluralita' delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignita' umana di Pico della Mirandola, Feltrinelli, Milano 2000; Universalismo come pluralita' delle vie, Marietti, Genova 2004). Insomma, sentire che la prima bibbia di tutti e' il cuore umano, non e' mica chiudere le altre bibbie, non e' perdere la ricca varieta' delle scritture sacre e sapienti! Senza le domande di quel cuore, tutte le bibbie sarebbero mute, non darebbero risposte. Il limite dei bravi biblisti specialisti, che aiutano a fare una lettura piu' esatta, a volte e' il biblicismo: stare dentro il recinto del libro, girarlo e citarlo per ogni verso, senza abbastanza metterlo in contatto col discorso quotidiano della vita, del cuore, dentro le vicende del mondo. La bibbia - e ogni grande libro sacro - veramente insegna a vivere, ma se non c'e' domanda e bisogno di imparare - il "cuore inquieto" che cerca e interroga -, se non c'e' un'attrazione sulla via della vita, non insegna niente di vivo, resta un fenomeno letterario o storico. * 10. Possiamo noi scrivere la bibbia La grande maggioranza dei credenti in Dio, lungo la storia, non ha certamente "letto" tutti i testi sacri da cima a fondo, ma ha ricevuto la loro sostanza attraverso l'educazione materna, le testimonianze di vita, la pre-dicazione (cioe' il "dire" le esperienze interpretate), le "storie" (fino agli affreschi nelle cattedrali; quando ero bimbo la bibbia si chiamava "storia sacra" e si leggeva nelle figure dei libri). Parlando dei libri sacri non ne parliamo in senso "colto", da alfabetizzati, ma appunto come trasmissione di depositi narrativi e sapienziali che interpretano l'esistenza. Michele Do aveva presenti come testimoni del vangelo gli "indotti intelligenti": quelli che hanno compreso e accolto lo Spirito pur senza costruire o ripetere dottrine. Cosi' nasceva quell'affermazione audace di san Gregorio Magno (papa 590-604), ripetuta con gioia da padre Benedetto Calati, che se la bibbia non ci fosse potremmo scriverla noi (cfr. Benedetto Calati, Sapienza monastica, Studia Anselmiana, Roma 1994, pp. 57, 189-190, 319. Il testo di Gregorio e': In Librum I Regum, III; PL LXXIX, 216 C). Calati commenta: "Se le Scritture non fossero state scritte, questa esperienza vitale, vissuta dal credente oggi, sarebbe essa stessa Sacra Scrittura" (op. cit., p. 190). Innocenzo Gargano interpreta: "I Santi, ma in fondo tutti i battezzati, sono pagina aggiunta alle Scritture ispirate. La stessa attenzione richiesta nella lettura delle Scritture Sante occorre averla dunque anche nella lettura degli eventi storici che si sviluppano nel tempo fino alla consumazione dei secoli" (Introduzione a Calati, op. cit., p. 56). Potremmo scrivere la Scrittura, spiegano questi padri, perche' abbiamo ricevuto in cuore lo stesso Spirito che ispiro' gli agiografi, non importa se in misura assai piu' piccola, ma uguale nella sostanza viva. Lo spiega con uguali parole don Michele: "Lo stesso Spirito che e' all'opera nel cuore del Maestro e' all'opera nel cuore dei discepoli" (Codp 155). Va bene un canone di riferimento, ma perche' vedere la bibbia come un libro finito e chiuso, se narra un'avventura sempre in corso nel cuore dell'umanita' e di ogni persona umana? Il vangelo e' sempre quello, eppure, come tutta la Scrittura, "cresce con chi lo legge" (Gregorio Magno, opera citata, pp. 57, 72, 337-343, e passim); allora si tratta di essere vangelo che vive, e dunque anche si esprime, dialoga e comunica in pensiero e parole. Ogni persona e' vangelo o attesa di vangelo, come il vecchio calabrese, compagno di camera in ospedale di don Michele, a Ivrea, che gli dice "Bisogna vivere secondo il vero", e lui si annota le parole di quel vecchio come un "quinto vangelo" (lo racconta nell'omelia del 31 dicembre 1985). Un giorno, sul prato davanti a Casa Favre, mi diceva: "Se si scrivesse oggi, la bibbia comprenderebbe anche, per esempio, le pagine sulla notte dell'Innominato". (Parte prima - Segue) 3. RIFLESSIONE. GIANNI BERETTA INTERVISTA RIGOBERTA MENCHU' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 agosto 2006. Gianni Beretta e' corrispondente dal Centroamerica del quotidiano "Il manifesto". Rigoberta Menchu', india guatemalteca, premio Nobel per la pace, e' una delle figure piu' belle dell'impegno per la dignita' umana, i diritti, la pace, la solidarieta'. Opere di Rigoberta Menchu': Mi chiamo Rigoberta Menchu', (a cura di Elisabeth Burgos), Giunti, Firenze 1987; Rigoberta, i maya e il mondo, (con la collaborazione di Dante Liano e Gianni Mina'), Giunti, Firenze 1997] Il mandato di cattura internazionale per crimini contro l'umanita', emesso dalla giustizia spagnola il mese scorso nei confronti dell'ex dittatore Efrain Rios Montt (e di altri sei alti ufficiali dell'esercito) ha avuto un grande impatto in Guatemala. Ne abbiamo parlato con il Nobel per la pace Rigoberta Menchu', promotrice della denuncia contro Rios Montt presso le corti spagnole. Rigoberta, assai raffinatasi nelle sue riflessioni e nei suoi progetti, ci racconta pure del suo ruolo nell'attuale governo e dei suoi propositi per la formazione di un partito indigeno, in un paese dove la violenza e l'intimidazione continuano a farla da padrona. * - Gianni Beretta: Quella denuncia potra' sortire qualche effetto pratico, visto che l'ex-generale genocida continua a girare libero e impune nel suo paese? - Rigoberta Menchu': Credo che l'ordine di arresto internazionale contro i responsabili del genocidio costituisca innanzitutto un trionfo per le vittime e i loro familiari, un riscatto della loro dignita' e per la memoria dei loro morti. E' poi un successo per la giustizia universale, che mette alla prova l'applicazione delle convenzioni internazionali contro i delitti di lesa umanita'. Ma si tratta soprattutto di un test decisivo per l'efficacia dello stato e della giustizia guatemalteca; una sfida contro l'impunita'. Credo che questo mandato di cattura presto o tardi sara' eseguito. Ma non sara' facile perche' i responsabili del terrorismo di stato, delle torture e delle mattanze del passato sono ancora molto influenti nella politica e nelle istituzioni. Non solo: posso affermare senza remore che questi gruppi sono alla testa della criminalita' organizzata, del sistema di corruzione e del narcotraffico. Dunque perseguirli non significa solo fare i conti con il fascismo genocida di un tempo ma con enormi interessi dell'oggi. Che poi significa un grande rischio per l'incolumita' dei testimoni e dei denuncianti di quei crimini. E' per questo che ho preferito ricevervi nella mia casa, da dove, per motivi di sicurezza, esco solo se necessario. * - Gianni Beretta: Rigoberta, come ti trovi nel ruolo di ambasciatrice di buona volonta' per gli accordi di pace in questo governo della destra moderata del presidente Oscar Berger? - Rigoberta Menchu': Fui io a propormi per rilanciare l'applicazione degli accordi di pace nella loro integralita', che significa salute, istruzione, terra, nazione multiculturale e plurietnica. Sono ambasciatrice ad honorem; partecipo alle riunioni di gabinetto (anche se ci sono state molte resistenze) dove pongo i problemi sul tavolo; ma mantengo tutta la mia autonomia. Ho un'agenda propria per la costruzione della pace che va al di la' dell'agenda di questo governo. * - Gianni Beretta: Con quali risultati? - Rigoberta Menchu': Devo riconoscere che questo governo ha ampliato gli spazi di partecipazione degli indigeni nelle istituzioni dello stato e nell'esecutivo. Svolgono un ruolo importante la Commissione presidenziale contro il razzismo e le discriminazioni, l'Accademia delle lingue maya, il Consiglio nazionale di educazione maya e il Coordinamento interistituzionale delle organizzazioni maya. Molti di noi ricoprono oggi incarichi di responsabilita'. La battaglia l'abbiamo data. Forse non si vedra' ancora molto. Ma quando uno e' rinchiuso in una gabbia dove ci sono piu' belve feroci che animali docili... * - Gianni Beretta: Per il resto che opinione hai del presidente Berger? - Rigoberta Menchu': I miei rapporti con il presidente sono buoni. Il problema e' che questo governo non ha i sufficienti rapporti di forza per far passare i suoi programmi in parlamento. Faccio un esempio: il Congresso non ha ancora approvato la legge per combattere il crimine organizzato; il Fronte repubblicano guatemalteco (il Frg di Rios Montt e di Alfonso Portillo, precedentemente al governo) vogliono emendarla con la non estradabilita' dei narcotrafficanti cui sono legati. Pensate che tutti sanno chi sono e dove stanno i capi narcos, ma sono intoccabili: la loro capacita' di intimidazione e' piu' forte di quella repressiva dello stato. Rios Montt e Portillo prima di andarsene hanno creato per legge entita' inquinate e infiltrato gli apparati dello stato con le mafie del crimine. Cosi' che l'attuale governo avrebbe pure buoni propositi ma e' troppo debole. La situazione in Guatemala e' dunque ancora molto grave. Io stessa, se fossi al posto del presidente non saprei bene cosa fare in materia di legalita' e sicurezza dei cittadini. L'aiuto della comunita' internazionale e' fondamentale. * - Gianni Beretta: Ci sono poi i fenomeni dilaganti delle bande giovanili e dell'assassinio indiscriminato delle donne. - Rigoberta Menchu': Le maras (bande giovanili) sono nate a Los Angeles e sono state trapiantate in Centroamerica dai giovani deportati. Sono una nuova modalita' di espressione della violenza che i boss della criminalita' usano come proprio capitale d'investimento. Le modalita' della violazione dei diritti umani in Guatemala oggi sono cambiate; ma per mantenere lo stesso risultato: la paura, la psicosi del terrore. Le mafie manipolano le maras che sono organizzate capillarmente nei quartieri dove esigono il pizzo da chiunque svolga un'attivita': persino dall'anziana povera signora che vende zuppe all'angolo della strada. E la polizia, essa stessa intimidita, non riesce a intervenire. Tantomeno trova testimoni disposti a denunciare. Per questo capita pure che qualcuno finisca col farsi giustizia da se'. Anche il numero crescente di assassinii di giovani donne si consuma all'interno delle bande e delle mafie, con un ritorno prepotente del machismo, legato alla cultura del terrore. E' urgentissimo lavorare per sostenere le istituzioni del sistema democratico prima che la sfiducia e la disperazione abbiamo definitivamente il sopravvento. * - Gianni Beretta: Rigoberta, recentemente hai ventilato l'ipotesi di formare un partito degli indigeni. - Rigoberta Menchu': Quello dell'organizzazione e' uno dei miei nahuales (energie spirituali) che piu' mi protegge in questo mondo. Fin da bambina mio padre mi ha insegnato a organizzare nella comunita'. E da quando ho avuto il Nobel ho pensato a uno strumento politico che rendesse possibile la partecipazione delle popolazioni indigene al potere. Nel 1993 ci ho provato insieme ad altri leader conosciuti. Formammo il Kamal-E. Ma non funziono' perche' un gruppo maya che unisse diverse tendenze non piacque all'allora guerriglia e alla sinistra. Ci disperdemmo nella post-guerra ciascuno facendo preziosi censimenti del genocidio. Non rilanciai quell'idea per non dar corda a coloro che mi accusavano di voler figurare alla testa di ogni iniziativa senza avere una vera base sociale. Ho riflettuto molto su quelle critiche giungendo alla conclusione che non si trattava altro che dei soliti argomenti di chi imbraccia gli strumenti dell'oppressione e del razzismo. Volevano condizionarmi; arrivai in effetti a chiedermi persino se il progetto di un partito non avesse macchiato lo stesso premio Nobel. Ora quei condizionamenti li ho lasciati alle spalle. Sono una dirigente politica che ha ricevuto una missione dai suoi avi; e la devo compiere fino in fondo. Dunque, anche se non per le elezioni dell'anno prossimo, fondero' un partito indigeno. Qualcuno dice che voglio essere presidente della repubblica; se il destino lo vorra' saro' presidente del Guatemala. * - Gianni Beretta: Pensi a un percorso come quello di Evo Morales in Bolivia; una sorta di riscatto dopo cinque secoli di sottomissione? - Rigoberta Menchu': Non bastera' un mandato per Evo Morales per cambiare istituzioni escludenti e per mostrare miglioramenti decisivi nella vita dei boliviani. E' un lungo processo del quale lui deve gettare le fondamenta, ma che i fratelli indigeni boliviani devono sostenere preparandosi per essere in grado di condurre le redini del paese. Io appoggiai molto l'avvento al governo di Lucio Gutierrez in Ecuador, eletto grazie al voto indigeno. Ma poi e' risultato che non avevamo sufficiente gente preparata per gestire lo stato e l'economia; e tutto e' caduto. Dobbiamo essere prudenti altrimenti cresciamo come un vulcano in eruzione. Mentre i soliti reazionari ci aspettano al varco per dire: lo vedete che gli indigeni non sono cambiati e non sono buoni a nulla? * - Gianni Beretta: Anche il peruviano Alejandro Toledo, prima di assumere la fascia presidenziale, ando' a Machu Picchu a invocare i buoni auspici delle divinita' ancestrali... - Rigoberta Menchu': Non mi interessa se un presidente e' indigeno o no. Cosi' come non giudico il presidente Berger in quanto ladino. Mi importa solo che sia un buon amministratore, trasparente, democratico, partecipativo, pluriculturale. Certo ci vuole anche tanta spiritualita'. Le aspirazioni materiali devono essere in equilibrio con quelle spirituali. Ma posso affermare che ci sono fior di europei che conoscono le energie maya da diventarne guide spirituali; e indigeni maya che di queste energie non sanno proprio niente. Sono argomenti profondi che non si possono banalizzare con luoghi comuni. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1394 del 21 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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