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La domenica della nonviolenza. 87
- Subject: La domenica della nonviolenza. 87
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 Aug 2006 11:35:49 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 87 del 20 agosto 2006 In questo numero: 1. Murray Bookchin: Presentazione di "Comment" (1979) 2. Murray Bookchin: Lettera aperta al movimento ecologista (1980) 1. MAESTRI E COMPAGNI. MURRAY BOOKCHIN: PRESENTAZIONE DI "COMMENT" (1979) [Da "A. rivista anarchica", n. 75, maggio 1979 (disponibile anche nel sito: www.arivista.org); in quel fascicolo della prestigiosa rivista italiana il testo veniva cosi' presentato dalla redazione: "Autore del volume Post-scarcity anarchism, un saggio del quale abbiamo pubblicato qualche anno fa sulla rivista, Murray Bookchin e' certamente una delle menti piu' lucide ed originali del pensiero libertario contemporaneo. Pubblichiamo in queste pagine il documento programmatico del nuovo periodico 'Comment' del quale Bookchin e' il promotore". Murray Bookchin, pensatore e militante libertario americano, e' stato tra i principali punti di riferimento della "ecologia sociale"; nato a New York nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una rivoluzionaria populista), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo scrittore, il docente universitario; e' deceduto sul finire di luglio 2006. Tra le opere di Murray Bookchin: I limiti della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988 (terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989; Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993] "Comment" costituisce la ripresa di un mio progetto personale, che inaugurai nell'inverno del 1964-'65 con la pubblicazione di un foglio d'informazione a carattere saggistico e di grandi dimensioni. Il primo numero fu occupato da Ecology and Revolutionary Thought (Ecologia e pensiero rivoluzionario); il secondo da Toward a Liberatory Technology (verso una tecnologia liberatoria). In seguito il foglio d'informazione, se cosi' possiamo definirlo, subi' notevoli trasformazioni e, con la formazione di un collettivo redazionale, si muto' nella rivista "Anarchos" - che usci' sporadicamente e scomparve verso la fine degli anni '60. I miei articoli su "Anarchos" sono stati pubblicati in forma piu' ampia in un libro intitolato Post-scarcity anarchism (Ramparts Press), ristampato in sei edizioni e tradotto in diverse lingue anche in Europa [di prossima pubblicazione in Italia con il titolo L'anarchismo nella societa' del benessere - Ndt]. Quella di battezzare questa nuova rivista con lo stesso nome della precedente e' stata una scelta precisa. Il nome "Comment" fu adottato, in origine, per evitare uno dei soliti titoli di carattere esortativo che spesso vengono affibbiati alle pubblicazione della sinistra - anche se poi fanno a pugni con il contenuto della rivista. "Comment" non ha mai preteso di essere una pubblicazione "militante", e tanto meno la "sentinella" di un'"avanguardia". Anzi, essa sperava di contribuire alla rimozione di quella mistica militante, della pretenziosita' e dell'ipocrisia che ancora oggi caratterizzano le organizzazioni e le sette politiche radicali. Inoltre, mi e' sembrato che un titolo sobrio fosse piu' consono al contenuto saggistico del periodico, che spero possa essere non tanto un organo di informazione, quanto uno stimolante strumento di riflessione. Cio' che mi preme mettere in risalto e' che la mia scelta ha anche un valore sociale. "Comment" fu pubblicata nella prima meta' degli anni '60 e tento' di esprimere con il maggior grado possibile di consapevolezza il progetto storico varato in quel decennio. A mio modo di vedere, quel progetto consisteva soprattutto in una tendenza operante a livello intuitivo in milioni di giovani e tesa alla creazione di una cultura ricca, multiforme, umanistica e libertaria - percio', non di un semplice "movimento" - che si ponesse in contrasto con la cultura superficiale, povera, disumanizzante e gerarchica che caratterizzava la societa' di allora. Quella controcultura possedeva implicitamente un carattere piu' rivoluzionario ed emancipatorio di qualsiasi movimento politico radicale del nostro tempo. Per quanto ingenuamente la controcultura degli anni '60 rivendicasse una maggiore coscienza, una nuova sensibilita', una nuova concezione dell'amore, della vita comunitaria, della semplicita' materiale e rapporti umani piu' aperti, diretti, disinibiti, resta il fatto che queste idee rappresentano ancora oggi, per noi, l'incarnazione dei concetti di liberta' e di solidarieta' umana. Che la controcultura degli anni '60 affondasse le proprie radici in un'immagine della realta' sociale tragicamente semplicistica e che fosse destinata ad essere spietatamente sfruttata dai mass-media e da una sordida masnada di profittatori - non solo commerciali, ma anche politici - non toglie che essa abbia trasferito il problema della trasformazione e della riedificazione sociale e individuale su un piano qualitativamente migliore. Ma questa dimensione e', ancora oggi, vaga, non chiaramente delimitata. Percio', a mio avviso, la controcultura degli anni '60 non ha mai "fallito" lo scopo; semplicemente, non e' riuscita a portare a conclusione il suo progetto. Dichiararne il fallimento significa intonare una marcia funebre per qualsiasi forma di societa' libera e, addirittura, per le stesse idee utopiche e libertarie espresse da Charles Fourier e da William Morris. Significa negare la possibilita' di una societa' futura libera dalla gerarchia e dalla dominazione. * "Comment" e' soprattutto un tentativo sincero - inizialmente ad opera di un singolo individuo, ma si spera anche di molti altri negli anni a venire - per dimostrare che non e' lecito esprimere un simile giudizio sul futuro dell'umanita'. Essa cerchera' di affermare la necessita' di una nuova sensibilita' che superera' la concezione ingenua ma intrinsecamente emancipatoria dell'ultimo decennio, infondendovi una nuova coscienza, una nuova consistenza e un impegno per la trasformazione radicale della societa'. Lungi dal rinnegare la necessita' di una controcultura, cerchera' di conferirle il rigore intellettuale che deriva dalla critica sociale, dall'analisi razionale, dal rispetto di certi principi morali e dall'idealismo rivoluzionario. Di conseguenza, "Comment" cerchera' di dare una risposta ai seguenti quesiti: - Che significato ha, oggi, un progetto rivoluzionario? Quali ne sono gli obiettivi e le forme in quest'epoca, che e' forse l'ultima della storia - un'epoca nella quale l'umanita' si trova a dover scegliere tra l'utopia o il sacrificio estremo e totale? - Il progetto rivoluzionario puo' risolversi nella formazione di movimenti "di massa" che mirano a trasformazioni parcellizzate della societa', come vanno affermando coloro che oggi si definiscono "radicali", come Tom Hayden e David Harris? Oppure il progetto rivoluzionario deve farsi carico di un obiettivo a lunga scadenza, cioe' della distruzione non solo del capitalismo, delle classi e del sistema di sfruttamento, ma anche e soprattutto di ogni minima traccia di oppressione che l'umanita' ha ereditato da tutte le societa' gerarchiche del passato, cioe' tutti i tipi di famiglia, tutti i sistemi educativi, i legami sessuali, le entita' urbane, in breve ogni forma di dominazione e di gerarchia che sopravvive nella sfera inconscia della psiche umana? - Che tipo di cultura e di movimento sociale puo' istituirsi come centro focale alternativo alla societa' attuale e alla sua carica disumanizzante? E quali forme strutturali, organizzative e comunitarie puo' sperare di creare? - Chi sono le persone che si dedicano a questi compiti e a questi ideali? Chi sono, per usare il gergo marxista, i "soggetti rivoluzionari" che cercheranno di attuare questo radicale sconvolgimento? I lavoratori? Le classi medie? I popoli del terzo mondo? Le donne? I giovani? O dobbiamo forse modificare radicalmente la nostra visione del problema e chiederci invece se la crisi universale e generalizzata della societa' gerarchica e la moltitudine di conflitti che essa ha prodotto in tutti gli aspetti della vita, dal rapporto dell'uomo con la natura ai rapporti tra i sessi, da un sempre maggiore svuotamento di significato del lavoro alla brutale atomizzazione dell'individuo, non abbiano attribuito un significato del tutto nuovo al concetto amorfo di "popolo", degli innumerevoli individui che non hanno alcuna possibilita' di controllare la propria vita e il proprio destino e che nutrono un muto odio verso tutti i sistemi di dominazione e di gerarchia? Infine, dobbiamo chiederci quali sono i "problemi" che possono elevare il livello di coscienza del nostro potenziale "soggetto rivoluzionario" e spingerlo all'azione. Forse lo sfruttamento nelle fabbriche? O la dominazione sessuale? L'oppressione razziale? Il dissesto ecologico? Il deterioramento urbano? L'isolamento sociale dell'individuo e lo sgretolamento della comunita'? Gli ideali e gli obiettivi libertari sono sufficienti a spingere il popolo all'azione o dobbiamo far conto sulle "inesorabili leggi sociali" e sulle "irresistibili forze storiche" quali le crisi economiche, la guerra, lo sfruttamento economico e l'impoverimento perche' gli oppressi siano "spinti" ad agire per la trasformazione della societa'? In breve, come possiamo muoverci dal "qui" della gerarchia, della dominazione, della centralizzazione, della proprieta' privata, dell'isolamento e del depauperamento psichico per spingerci altrove, verso il "la'" di una societa' veramente egualitaria, decentralizzata, comunista e comunitaria che consenta di realizzare le potenzialita' di tutti gli esseri umani? * Tutti questi problemi furono presenti negli anni '60, ma non furono mai oggetto di un'analisi veramente lucida e cosciente. L'elaborazione teorica fu spesso ostacolata e bloccata proprio da quei singoli problemi - la guerra nel Vietnam, la discriminazione razziale e, piu' tardi, un'anemica filosofia del riciclaggio che veniva impropriamente definita ecologia - che offuscarono in quel decennio ogni possibilita' di un vero arricchimento di coscienza. Perche' accadde tutto questo? Come hanno potuto gli anni '60, ricchi di tante promesse, precipitare nel sensazionalismo orchestrato dai mass-media degli anni '70, un sensazionalismo che non puo' certo essere nobilitato col termine sensuale di "decadenza"? Per quanto repellenti siano i connotati reali di questa parola, vediamo di farne un uso corretto. I romani del tempo di Caligola avevano le qualita' necessarie per dar luogo a una decadenza; gli americani degli anni '70, invece, hanno al piu' quelle per inscenare una festa in maschera. Dobbiamo percio' chiederci seriamente che cosa abbiano realmente significato gli anni '60, a che cosa abbiano portato, e dobbiamo infine esorcizzare il mistero che pende oggi sul capo di tutti coloro che riflettono: come siamo potuti precipitare in un simile abisso? Certo non si puo' tornare al mondo ingenuo, ascetico, "appartato" e lacrimoso che nel frattempo e' stato colonizzato da uno Steve Gasken e da "The Farm" (La fattoria). La coscienza - sia politica che morale, sia rigorosa che idealista - deve infondere sensibilita' e deve essere inflessibilmente critica, oltre che costruttiva. Deve dissipare la falsita', l'ipocrisia e l'eclettismo in virtu' dei quali concetti assolutamente inconsistenti possono tranquillamente convivere gli uni accanto agli altri. Il libro di Mark Satin, New Age Politics, non ha nulla di eccezionale: offre un ciliegino a tutti. Nella sua nauseante dolcezza, e' sintetico quanto il marxismo e il liberalismo che pretende di trascendere. Ma c'e' ben altri che Satin. A dispetto del compianto Fritz Schumacher, una societa' libera decentralizzata, fondata sull'"economia buddista", e' del tutto incompatibile con la proprieta' privata e con le corporazioni multinazionali. E checche' ne dica Bucky Fuller, l'utopia ecologica e' del tutto incompatibile con la costruzione di una cupola di plastica sopra Manhattan e con le astronavi spaziali. Infine, per quanto ne dica Barry Commoner, un mondo libero dall'energia nucleare e dai veleni che inquinano l'ambiente e' del tutto incompatibile con il razionalismo industriale del socialismo marxista. Si potrebbe compilare un lungo elenco di opere inconsistenti, nelle quali il concetto rivoluzionario dell'azione diretta coesiste con futili "strategie" di riforma elettorale, il controllo popolare dei processi sociali convive con i partiti politici gerarchici, un modo di vita piu' semplice e ricco di significato convive con la propaganda per la "semplicita' volontaria" operata dallo Stanford Research Institute al fine di sfruttare uno dei "mercati" del futuro in piu' rapida espansione. Questo miscuglio ideologico acritico, cosi' diffuso nella nostra epoca, riflette pateticamente una condizione di sradicamento presente non solo nelle realta' esistenziali della vita quotidiana, ma anche nello spirito e nella psiche dell'individuo, che s'impoverisce sempre piu' in conseguenza del continuo depauperamento della vita sociale. * Dobbiamo liberarci dal vincolo dell'adattamento, che attanaglia oggi la nostra vita e il nostro pensiero, dal miraggio del successo e del potere, che finisce per farci deporre cinicamente gli ideali piu' preziosi; dalla volonta' pragmatica di ottenere un effimero consenso rispetto ad obiettivi specifici mentre, di fatto, quelli piu' importanti e di piu' vasta portata non vengono minimamente compresi. Questo terrore regressivo dell'"isolamento" porta a "vittorie" immediate che nutrono, a lunga scadenza, il germe della sconfitta. La piu' grave di queste sconfitte e' lo sconvolgimento degli stessi principi e degli obiettivi radicali. Che cosa hanno conquistato quegli idealisti che dirigono gli uffici e le commissioni governative e che si fanno beffe dei propri ideali? L'apertura di un "Ufficio di programmazione tecnologica" o di un altro equivalente, significa forse che il governo ha fatto proprie le implicazioni sociali e culturali della tecnologia alternativa o non significa, invece, che la tecnologia viene 'programmata' in funzione di obiettivi cinicamente manipolatori? La storia dell'amministrazione Carter a Washington e dell'amministrazione Brown a Sacramento dimostra come individui dotati e bene intenzionati abbiano appreso le "tecniche" della manipolazione - o siano stati irrimediabilmente corrotti con l'inganno. Cio' che vale per i singoli individui vale ancor piu' per i movimenti. Il movimento "antinucleare" sta lentamente disgregandosi ad opera di quegli artisti del "successo" la cui innata ostilita' nei confronti dell'azione diretta conduce migliaia di attivisti ad impastoiarsi nella politica ambientale di tipo piu' convenzionale, cosi' come molte organizzazioni comunitarie tendono a dimenticare che le loro azioni devono essere finalizzate all'organizzazione delle strutture comunitarie ed educative, e non all'accaparramento dei voti per le elezioni municipali. Viviamo in un mondo di "politica rapida", assai simile a quello alimentare della "cucina rapida". Un rapido morso, un boccone deglutito in fretta, un rutto e siamo momentaneamente "soddisfatti" - e tutto cio' a discapito della nutrizione, che richiede cure, attenzioni, preparazioni laboriose, ma ci fornisce sostanze vitali ed energiche preziose. Ci sono gia' abbastanza persone - i Ralph Nadar, i Michael Harrington, gli Irving Howes e, ancor piu' tremendi, i Ted Kennedy e i Jerry Brown - che si battono per la riforma dello status quo e fanno sembrare razionale una societa' irrazionale. I truccatori - che imbellettano e profumano questa societa' di "Vogue" - abbondano ovunque. E' ora che si alzino voci capaci di colpire nel cuore stesso dell'irrazionalita' e che chiedano di sostituire ad essa una societa', una comunita', una personalita' e una sensibilita' del tutto nuove. * Quando mai la storia ha detto che nei periodi non rivoluzionari i rivoluzionari devono abdicare dalla funzione di contribuire allo sviluppo delle coscienze? O che le loro "strategie" e le loro "tattiche" sono "fallimentari" perche' mancano di ampi consensi da parte degli schieramenti amorfi e riformisti impreparati a sostenere un processo radicale di trasformazione sociale? Chiunque si definisce rivoluzionario e valuta poi il proprio successo in termini di tecniche, di forme politiche e di "strategie" per l'accesso a schieramenti del tutto alieni dimostra di aver tradito i propri ideali in favore della manipolazione, gli obiettivi di ampia portata in favore di un successo momentaneo, la critica radicale in favore dell'accomodamento e comunque, sempre, la causa rivoluzionaria. Non possiamo permettere che le rivendicazioni libertarie siano zittite dai clamori di conquiste immediate e di effimeri successi - a meno di non voler zittire anche l'ultima voce in favore dell'emancipazione dello spirito umano. Non c'e' pensiero piu' traditore di un pensiero incompleto, cosi' come non c'e' rivoluzione piu' pericolosa di una rivoluzione incompleta. "Comment" cerchera' di seguire fino in fondo la logica di tutti i problemi proposti, cosi' come cerchera' di seguirne gli agganci e le connessioni con tutti gli altri problemi del nostro tempo. Soprattutto, cerchera' di essere coerente, di individuare un punto focale comune che consenta di stabilire un rapporto unico tra ecologia e dominazione, tra dominazione e gerarchia, tra gerarchia e sessismo, tra sessismo e individualita', tra individualita' e liberta' basata sull'autogoverno, sull'autodeterminazione, sullo sviluppo autonomo dell'individuo. A questo aggiungerei subito il rapporto esistente tra problemi economici e valori culturali, tra coscienza di classe e coscienza rivoluzionaria, tra sfruttamento economico e oppressione spirituale, tra tecnologia industriale e tecnologia alternativa. "Comment" cerchera' di scoprire cio' che unisce tutti questi fili, apparentemente diversi e incompatibili, in un tutto omogeneo, cio' che li solidifica in un aggregato rivoluzionario che conferisce significato agli avvenimenti e ai problemi. Un grande rivoluzionario, Josef Weber, affermo' una volta che ora si puo' giungere al centro partendo da qualsiasi direzione. E' questo centro che "Comment" analizzera' ed esplorera', finche' la dedizione agli ideali rivoluzionari cessera' di essere intuitiva e istintiva, ma si imporra' con la forza di una piena coscienza, di una chiara prospettiva e, perche' no, di una capacita' artistica. "Comment" non cessera' mai di occuparsi del problema della degradazione della rivoluzione in riformismo, della liberta' in giustizia, dell'organizzazione in gerarchia, dell'anarchismo in sindacalismo, del comunismo in marxismo, dell'ecologia in ambientalismo, della comunita' in urbanesimo, dell'utopia in fantascienza. Certo molti di questi concetti richiedono chiarimenti ed una nuova definizione; a molti lettori potranno parere abbastanza compatibili gli uni con gli altri, addirittura congruenti come termini e come obiettivi. Questo fara' parte dell'avventura ideologica che vivremo insieme nei prossimi numeri di "Comment", del processo comune di evoluzione della rivista e dei suoi lettori, nel corso del quale ciascuno completera' e definira' i concetti che nell'altro sono vaghi e incompleti e portera' a un livello di maggiore comprensione reciproca quelli che gia' sono definiti e completi. "Comment" non cerca un pubblico "di massa". Credo che nessun periodico rivoluzionario possa piu' accettare il concetto di "massa", cosi' come una vera e profonda rivoluzione non puo' essere intrapresa da persone che manchino di individualita'. Se "Comment" crescera', se riempira' il vuoto creato nella stampa radicale dalla scomparsa di "Ramparts", di "Liberation" e, recentemente di "New Times", sara' perche' puntera' sulla qualita' dei contenuti e non sulla quantita' dei lettori; perche' non si limitera' ad esporre dei fatti, ma li analizzera', perche' offrira' una solida unita' di pensiero, e non una speciosa "arena" che consenta a idee diametralmente opposte di trovar posto, fianco a fianco e in tutta tranquillita', sullo stesso numero. Naturalmente, rifuggira' da qualsiasi forma di giornalismo predigerito, che intrattiene piu' che informare. A questo compito educativo "Comment" e' chiamata non per scopi retorici, ma per convinzione e in virtu' del suo intrinseco anarchismo e delle sue idee libertarie. * A rischio di sembrare monotono, vorrei ribadire che e' tempo di prendere possesso di noi stessi - perche' non e' solo la societa' ad essere in pericolo di disfacimento, ma l'uomo stesso come individuo. Per l'intellighenzia americana gli anni '70 sono stati un periodo di riflusso mascherato da progresso, di indifferenza camuffata da tolleranza, di piccoli piaceri contrabbandati come edonismo, di insicurezza spacciata per cinismo. Il profondo senso di paura che pervade i "figli" degli anni '60 deriva dalla realta' tangibile della coercizione e della sorveglianza esercitate dallo stato organizzato, una realta' contro la quale gia' dieci anni fa avevo messo in guardia nell'editoriale redatto per "Anarchos". Per la maggior parte del popolo americano, gli anni '70 sono stati un periodo di frustrante impotenza dissimulata come apatia. Questo popolo non ha "tradito" nessuno - ne' la "nuova sinistra", che ha trasformato la rivoluzione in un'opera buffa cercando di conquistare il potere senza l'appoggio popolare, ne' i "figli dei fiori", che ingenuamente si aspettavano che i soldati della Guardia Nazionale, a Kent, ornassero di rose i loro fucili. Tuttavia, c'e' ancora troppo in cui sperare, perche' possiamo sentirci abbandonati dalla storia. Le speranze suscitate dalla tecnologia moderna, che potrebbe liberare l'umanita' intera dalla poverta' materiale e dalla schiavitu' del lavoro, sono ancora vive e reali, sia che decidiamo di mantenere questa stessa tecnologia, sia che decidiamo di sostituirla con una tecnologia piu' ecologica. Resta comunque il fatto che la storia ci concede il lusso di decidere - un lusso che nessuna epoca prima della nostra ha potuto godere, poiche' la storia si costruiva sopra la testa degli schiavi e dei servi. La razionalita', il fervore e la speranza di un futuro utopico sono ancora latenti in noi e riemergono ad ogni nuova generazione, ad ogni nuovo ciclo naturale e vitale. Nel caso che vi sembri troppo severo, troppo critico, permettetemi di concludere queste note con un brano tratto dall'editoriale con il quale inaugurai "Anarchos". Anche se furono scritte negli anni '60, queste parole restano, a mio avviso, valide ancora oggi: "Crediamo che i movimenti rivoluzionari non possano piu' limitare la propria azione stimolatrice delle coscienze ad una semplice critica della societa'. La critica deve ormai comprendere anche la visione della ricostruzione globale di una civilta' non repressiva, dello sviluppo utopico basato sulle possibilita' oggettive, materiali. Il futuro deve vivere, palpabilmente, nel presente. Percio', i movimenti rivoluzionari non possono piu' criticare la miseria dei ghetti e dell'urbanesimo moderno senza offrire la visione liberatoria di una comunita' libera e di una nuova polis. Non potranno piu' criticare lo spettacolo di una falsa esistenza - l'asservimento degli esseri umani ai beni di consumo, dei rapporti umani ai rapporti gerarchici - senza evocare una nuova prospettiva di esperienza quotidiana e di solidarieta' sociale. Non possono piu' criticare il carattere repressivo della vita privata - la famiglia patriarcale, la socializzazione autoritaria dei giovani, la sostituzione del condizionamento all'istruzione - senza offrire una nuova visione di libera associazione tra i sessi, tra le diverse generazioni, e di pieno autogoverno della vita individuale come di quella sociale (...). L'intensita' delle possibilita' future suscita pari reazioni da parte dell'ordine costituito in difesa del passato. Come la situazione si evolve oggi in senso rivoluzionario verso una civilta' liberata e non repressiva, cosi' essa rischia ad ogni momento di precipitare verso la barbarie piu' selvaggia e totalitaria. Il movimento rivoluzionario deve riconoscere la necessita' di elevare la coscienza sociale al massimo grado di ogni situazione e la sua attivita' deve svolgersi all'insegna della massima sensibilita'. Mai come d'ora si e' reso necessario coordinare la pratica quotidiana con un'analisi accurata e continua della situazione; anticipare gli sviluppi (...) e, soprattutto, acquisire chiaramente la consapevolezza della direzione in cui muoversi - nella teoria come nella pratica - negli eventi futuri. E' questo il compito che ci assumiamo (...) e per il quale chiediamo il vostro aiuto e la vostra partecipazione". 2. MAESTRI E COMPAGNI. MURRAY BOOKCHIN: LETTERA APERTA AL MOVIMENTO ECOLOGISTA (1980) [Da "A. rivista anarchica", n. 85, giugno 1980 (disponibile anche nel sito: www.arivista.org); in quel fascicolo della prestigiosa rivista italiana il testo veniva cosi' presentato dalla redazione: "Originariamente pubblicata su 'Comment' e subito ripresa da 'Open Road' (Canada) e 'Peace News' (Inghilterra), questa 'lettera aperta al movimento ecologista' di Murray Bookchin appare qui per la prima volta in italiano. Ci teniamo a precisare che in questo, come in altri saggi tradotti dall'inglese su 'A' abbiamo ritenuto di tradurre il termine 'radical' con 'rivoluzionario', per evitare gli equivoci che una traduzione piu' meccanica con il termine 'radicale' avrebbe comportato"] Gli anni '80 saranno un periodo estremamente critico per il movimento ecologico, sia negli Stati Uniti, sia in Europa. Il pericolo e' quello di una crisi di identita' e di obiettivi, ed e' in gioco la capacita' del movimento di adempiere alle fertili aspettative di soluzioni progressiste in alternativa alla sensibilita' dominante, alle istituzioni gerarchiche politiche ed economiche e alle strategie manipolatorie per la trasformazione sociale, che hanno provocato una frattura catastrofica tra l'uomo e la natura. Per dirla senza mezzi termini: e' probabile che nel prossimo decennio si decida definitivamente quale sara' il ruolo futuro del movimento ecologico: semplice appendice decorativa di una societa' intrinsecamente malate e antiecologica, perennemente dilaniata dal conflitto tra la natura e un'incontrollabile bisogno di dominazione, di controllo e di sfruttamento; oppure, come speriamo, campo sempre piu' vasto di esperienza e di apprendimento per una nuova societa' ecologica fondata sulla collaborazione reciproca, sulle comunita' decentralizzate, sulla tecnologia popolare e su rapporti non-gerarchici, libertari, che realizzino una nuova armonia non solo tra gli uomini, ma anche tra l'uomo e la natura. Potra' forse sembrare presuntuoso che io, singolo individuo, rivolga un appello a quell'ormai vasto gruppo di persone le cui attivita' sono ispirate da un impegno in campo ecologico. Tuttavia, le mie preoccupazioni circa il futuro del movimento ecologico non sono impersonali, ne' effimere. Per quasi trent'anni ho affrontato nei miei scritti i problemi delle degenerazioni antiecologiche in tutti i settori della vita del nostro paese. Inoltre, mi sono battuto attivamente fin dal 1952 contro l'uso crescente degli insetticidi e degli additivi alimentari; nel 1954 ho denunciato il rischio del fallout nucleare dopo l'esplosione sperimentale della prima bomba all'idrogeno nel Pacifico; nel 1956 ho denunciato il rischio di inquinamento radioattivo dopo l'"incidente" al reattore nucleare della centrale di Windscale; nel 1963 mi sono battuto contro il progetto di Con Edison per la costruzione della piu' grande centrale atomica del mondo nel centro della citta' di New York. In seguito ho fatto parte di gruppi antinucleari come quello di Clamshell e Shad e come Ecology Action East, suo immediato predecessore (del quale nel 1969 scrissi anche il manifesto: The Power to Destroy, The Power to Create), oltre che del Citizens Committee on Radiation Information, che nel 1963 fu uno dei protagonisti dell'azione di protesta che porto' alla cessazione dell'attivita' del reattore nucleare di Ravenswood. Credo, percio', che il movimento ecologico possa considerarmi qualcosa di piu' che un intruso o un novellino. Le osservazioni contenute in questa lettera sono il frutto di una vasta esperienza personale e di una giustificata preoccupazione per la sorte delle idee alle quali per decenni ho dedicato grande attenzione. Sono convinto che il mio lavoro e la mia esperienza in tutti i campi dell'impegno ecologico avrebbero scarso significato, se si limitassero ai problemi in se', per quanto ciascuno di essi sia importante. Dire "no" al nucleare, o agli additivi alimentari, all'industrializzazione dell'agricoltura, alla bomba atomica non e' sufficiente, se limitiamo il nostro orizzonte affrontando isolatamente ciascun problema. E' ugualmente importante individuare e svelare le cause sociali, i valori e i rapporti inumani che hanno portato alla creazione di un pianeta gia' profondamente intriso di veleni. Ho sempre pensato che ecologia fosse sinonimo di ecologia sociale e percio' ho sempre nutrito la convinzione che la stessa idea di dominare la natura derivi dalla dominazione dell'uomo sull'uomo, o dell'uomo sulla donna, del vecchio sul giovane, di un gruppo etnico su un altro, dello stato sulla societa', della burocrazia sull'individuo, cosi' come di una classe economica su un'altra e dei colonizzatori sui colonizzati. A mio avviso, l'ecologia sociale deve iniziare la lotta per la liberta' non solo in fabbrica, ma anche nella famiglia; non solo nell'economia, ma anche nella psiche; non solo nelle condizioni materiali di vita, ma anche in quelle spirituali. Se non interverremo modificando anche i rapporti molecolari all'interno della societa' - e cioe' quelli tra uomo e donna, tra adulti e bambini, tra gruppi razziali diversi, tra etero ed omosessuali (l'elenco potrebbe continuare a lungo) - il problema della dominazione restera' immutato anche in una forma sociale "senza classi" e "senza sfruttamento". E la societa' sarebbe intrisa di gerarchismo anche se celebrasse i dubbi valori della "democrazia popolare", del "socialismo" e della "proprieta' collettiva" delle "risorse naturali". Finche' durera' la gerarchia e finche' la dominazione organizzera' l'umanita' in un sistema elitario, l'obiettivo del dominio sulla natura non verra' mai abbandonato e condurra' inevitabilmente il pianeta all'estinzione ecologica. Il nuovo movimento delle donne, ancor piu' della controcultura, della crociata per una tecnologia "appropriata" e del movimento antinucleare (dal quale escluderei pero' la frangia dell'"Earth Day", con le sue sortite repulistiche) mira al cuore della dominazione gerarchica che alimenta la nostra crisi ecologica. Il movimento ecologico potra' realizzare tutta la sua ricca e multiforme potenzialita' di trasformazione della societa' antiecologica e dei suoi valori solo se la controcultura, il movimento per una tecnologia alternativa e il movimento antinucleare si fonderanno sulla sensibilita' e sulle strutture non-gerarchiche che risultano soprattutto evidenti nelle tendenze veramente rivoluzionarie del femminismo. Infine, il movimento ecologico potra' conservare intatta la sua funzione di espressione di un nuovo equilibrio tra uomo e natura e il suo obiettivo di una societa' veramente ecologica solo se coltivera' coscientemente una sensibilita', una struttura e una strategia per la trasformazione sociale non-gerarchica e aliene dal concetto di dominazione. Oggi questa funzione e questo obiettivo sono seriamente minacciati. L'ecologia e' diventata una disciplina alla moda, direi quasi bizzarra, e la frivola popolarita' di cui gode ha fatto nascere un nuovo tipo di maniaco dell'ambiente. Da una prospettiva e da un movimento che perlomeno facevano sperare nella possibilita' di una lotta contro la gerarchia e la dominazione e' nata una forma di ambientalismo fondato non sulla volonta' di modificare le istituzioni, i rapporti sociali, le tecnologie e i valori esistenti, bensi' sulla volonta' di rabberciarli alla meglio. In questo senso uso il termine "ambientalismo" per significare un fenomeno in contrasto con l'ecologia, e in particolare con l'ecologia sociale. Mentre l'ecologia sociale mira all'eliminazione del concetto della dominazione dell'uomo sulla natura attraverso l'eliminazione della dominazione dell'uomo sull'uomo, l'ambientalismo e' il riflesso di una sensibilita' "strumentale" o tecnica, che considera la natura un semplice habitat passivo, un agglomerato di forze e di oggetti esterni, e si pone il fine di renderla piu' "utile" all'uomo, senza curarsi troppo di quale uso egli intenda farne. Di fatto, l'ambientalismo si riduce a mera ingegneria ambientale, e non affronta il problema cruciale della societa' in cui viviamo: la volonta' dell'uomo di dominare la natura. Al contrario, mira a rendere piu' facile questa dominazione eliminando i rischi che essa potrebbe comportare. Gli stessi concetti di gerarchia e di dominazione sfumano dinanzi all'enfasi tecnicistica posta sulla ricerca di fonti energetiche "alternative", cioe' sui progetti strutturali per il "risparmio" di energia; dinanzi ai modi di vita "semplici" che si identificano con i "limiti alla crescita" e che rappresentano ormai a buon diritto un'industria enormemente crescente; infine, naturalmente, dinanzi al proliferare dei candidati "ecologisti" alle elezioni politiche e addirittura dei partiti "ecologici", il cui scopo non e' solo quello di dominare la natura, ma anche quello di indirizzare l'opinione pubblica sui binari di un atteggiamento accomodante nei confronti del sistema sociale esistente. * La moda dell'ecologia Il satellite solare "ecologico" di 24 miglia quadrate di Nathan Glazer, le astronavi "ecologiche" di O'Neill e i giganteschi mulini a vento "ecologici" del Doe (tanto per citare gli esempi piu' macroscopici della mentalita' ambientalista) non sono in realta' piu' "ecologici" delle centrali nucleari o dell'industrializzazione dell'agricoltura. Anzi, le loro pretese "ecologiche" sono piu' dannose, perche' ingannano e disorientano la gente. Le ciance su una nuova "era della terra", o del sole o del vento, cosi' come la futile retorica dei produttori di pannelli solari e degli inventori "ecologici" alla frenetica ricerca di un brevetto, riescono solo a nascondere la realta' dei fatti: e cioe' che l'energia solare o eolica, l'agricoltura organica, il culto della salubrita' e le conversioni alla "semplicita'" modificheranno in modo quasi impercettibile lo squilibrio tra l'uomo e la natura, se continueranno a esistere la famiglia patriarcale, le multinazionali, le strutture politiche burocratiche e centralizzate, il sistema della proprieta' privata e la razionalita' tecnocratica che oggi prevalgono ovunque. L'energia solare, l'energia eolica, il metano, l'energia geotermica resteranno sempre e soltanto fonti di energia, finche' i mezzi per utilizzarle saranno inutilmente complessi, controllati in modo burocratico, proprieta' di monopolio o centralizzati in forme istituzionali. Certo, il danno che provocheranno alla salute degli esseri umani sara' assai minore di quello prodotto potenzialmente dalle centrali nucleari e dai combustibili fossili; tuttavia, la salute spirituale, morale e sociale dell'umanita' subira' ugualmente un danno se le si considerera' semplici tecniche, incapaci di generare nuovi rapporti tra l'uomo e la natura e nell'ambito stesso della societa'. Il progettista, il burocrate, il dirigente aziendale e il politico di carriera non arricchiscono la societa' e la nostra sensibilita' verso la natura in senso ecologico perche' seguono una via energetica "dolce"; come tutti i "tecnocritici" (per usare un appellativo che Amory Lovins adotto' per definire se stesso in una conversazione con il sottoscritto), costoro tentano semplicemente di sminuire o di occultare i pericoli per la biosfera e per la vita umana costringendo le tecnologie ecologiche nella camicia di forza dei valori gerarchici, invece di criticare i valori e le istituzioni di cui sono rappresentanti. * Gerarchia e dominazione Alla stessa stregua, anche la decentralizzazione perde ogni significato, se non presuppone una dimensione piu' umana e fa invece propri i concetti dell'accumulazione logistica delle scorte e del riciclaggio. Se il nostro obiettivo per la decentralizzazione sociale (o, come amano dire gli "ecologi" politici, per la ricerca di un equilibrio tra centralizzazione e decentralizzazione) consiste nell'approvvigionamento di "alimenti freschi" e nella possibilita' di "riciclare i rifiuti", nel ridurre i "costi di trasporto" o nell'"incrementare" il controllo popolare totale e completo) sulla vita sociale, allora il concetto stesso di decentralizzazione perde il significato ecologico e libertario che la caratterizza come creazione di una rete di comunita' libere e naturalmente equilibrate, fondate sulla democrazia diretta e sulla piena realizzazione dell'individuo, cioe' sulla possibilita' di gestirsi ed agire in quella piena e totale autonomia che e' una componente vitale nella realizzazione di una societa' ecologica. Come la tecnologia alternativa, anche la decentralizzazione si riduce a mero artificio tecnico finalizzato all'occultamento della gerarchia e della dominazione. Gli ideali "ecologici" di un "controllo municipale del potere", di una "nazionalizzazione dell'industria", per non parlare di concetti vaghi come quello di "democrazia economica", sembrano porre in forse il sistema dei profitti e delle corporazioni industriali, ma in realta' non scalfiscono il sistema di controllo sociale. Infatti, una struttura corporativa nazionalizzata resta pur sempre una struttura burocratica e gerarchica. Come individuo che per decenni si e' interessato, impegnato e battuto per i problemi ecologici, mi rivolgo agli ecologi piu' seri e consapevoli nella speranza di sensibilizzarli a un grave problema che affligge il movimento. Per esprimere le mie preoccupazioni nel modo piu' esplicito e diretto possibile: temo il diffondersi di una mentalita' tecnocratica e di un opportunismo politico che minacciano di sostituire all'ecologia sociale una nuova forma di ingegneria sociale. Per un certo periodo il movimento e' parso ben avviato verso la realizzazione del suo potenziale libertario e non-gerarchico. Rinvigorito dalle nuove tendenze progressiste del movimento femminista, omosessuale, comunitario e rivoluzionario, il movimento ecologico sembrava finalmente pronto a concentrare le proprie forze nel tentativo di trasformare le strutture basilari della societa' anti-ecologica, e non semplicemente nel tentativo di trovare nuove tecniche piu' allettanti per perpetuarla o nuovi cosmetici istituzionali per occultarne le piaghe inguaribili. La nascita e lo sviluppo dei gruppi antinucleari, di una rete decentralizzata di gruppi di affinita' la cui attivita' si fondava su processi decisionali direttamente democratici, sembro' alimentare questa speranza. Il problema del movimento sembrava essere principalmente un problema di autoformazione e di educazione sociale - la necessita' di comprendere a fondo il significato della struttura dei gruppi di affinita' come forma durevole e "familiare", il significato della democrazia diretta e del concetto di azione diretta come qualcosa di piu' che una "strategia": una sensibilita' profonda, l'espressione del diritto che tutti hanno di controllare in modo diretto la propria vita. * Il nuovo opportunismo Per colmo d'ironia, gli anni '80, cosi' promettenti nel senso di una trasformazione radicale dei valori e della consapevolezza, hanno visto nascere anche una nuova forma di opportunismo, che minaccia di ridurre il movimento ecologico a una patina di belletto sul volto della societa'. Molti dei piu' intraprendenti "fondatori" dei gruppi antinucleari (e pensiamo soprattutto alla Clamshell Alliance) si sono trasformati in quelli che Andrew Kopkind ha definito " rivoluzionari manageriali" - manipolatori di un consenso politico che opera all'interno del sistema nonostante affermi di opporvisi. Il "rivoluzionario manageriale" non e' un fenomeno nuovo. Jerry Brown (attuale governatore democratico della California - n.d.r.), cosi' come la dinastia dei Kennedy, ha praticato quest'arte in politica per anni. Cio' che colpisce nell'ultima leva e' l'elevata percentuale di provenienza dai piu' importanti movimenti rivoluzionari degli anni '60 e, fatto ancor piu' significativo, dal movimento ecologico degli anni '70. Ai rivoluzionari e agli idealisti degli anni '30 sono occorsi decenni per maturare quel cinismo da mezza eta' che li ha portati a cedere le armi, e in ogni caso hanno avuto l'onesta' di ammetterlo pubblicamente. I membri della Sds (Students for Democratic Society) e dei gruppi di azione ecologici hanno capitolato nella tarda giovinezza o nei primi anni della maturita' e all'eta' di 25, 30, 35 anni hanno scritto autobiografie "amareggiate", cercando di giustificare razionalmente la resa allo status quo. Per quel che riguarda Tom Hayden (uno dei leader del movimento pacifista, attuale marito di Jane Fonda - n.d.r.), il suo discorso di quest'autunno a Seabrook contro l'azione diretta non ha bisogno di ulteriori commenti, e mi risparmia il compito di criticarlo. Peggio ancora, forse, sono le nuove organizzazioni come il "Citizen's Party" di Barry Commoner, o le istituzioni finanziarie come la Muse (Musician United for Safe Energy), cosi' come la celebrazione della "Semplicita' Volontaria" ad opera di una societa' dualistica formata da una parte dalle elites intellettuali in blue-jeans delle classi medie e dall'altra dai poveri cristi in abbigliamento convenzionale delle classi lavoratrici e consumatrici; una societa' dualistica partorita dai cervelloni dello Stanford Research Institute, finanziato dalle corporazioni industriali. * I rivoluzionari manageriali In tutti questi casi, i connotati radicali di una societa' decentralizzata fondata sull'uso di tecnologie alternative e su un saldo tessuto comunitario vengono cinicamente e astutamente asserviti alla sensibilita' tecnocratica dei "rivoluzionari manageriali" e degli opportunisti che mirano alla carriera politica. Il pericolo piu' grave e' rappresentato dall'incapacita' di molti idealisti di affrontare i grandi problemi sociali nei termini che sono loro propri - di riconoscere l'evidente incompatibilita' di obiettivi in profondo contrasto gli uni con gli altri, di obiettivi che non possono necessariamente coesistere senza consegnare il movimento ecologico nelle mani dei suoi peggiori nemici. Spesso, purtroppo, questi nemici sono quei "leaders" e quei "fondatori" del movimento, i quali hanno cercato di manipolarlo per renderlo conforme a quel sistema e a quelle ideologie che impediscono ogni forma di riconciliazione sociale o ecologica nella forma di una societa' ecologica. Il fascino dell'"influenza", della "politica istituzionale", dell'"efficacia" dimostra in modo lampante la mancanza di coerenza e di consapevolezza che affligge il movimento ecologico dei giorni nostri. I gruppi di affinita', la democrazia diretta e l'azione diretta potranno difficilmente essere allettanti - o, se e' per questo, neppure comprensibili - ai milioni di individui che passano la vita in solitudine nei bar e nelle discoteche. Quel che e' tragico e' che questi milioni di individui hanno delegato il loro potere sociale, anzi hanno ceduto la loro personalita', a politicanti e burocrati che vivono in una dimensione di obbedienza e di comando nella quale loro, gli individui, sono normalmente tenuti a giocare un ruolo subordinato. Eppure e' proprio questa la causa piu' immediata della crisi ecologica che affligge il nostro tempo - una causa che ha la sua origine storica nella societa' mercantile che ci sommerge. Chiedere a coloro che sono privi di potere di riconquistare il controllo sulla loro esistenza e' anche piu' importante che installare un collettore solare, complicato, costoso e spesso incomprensibile, sul tetto della casa in cui abitano. Finche' costoro non riacquisteranno un senso di potere sulla vita, finche' non creeranno un sistema autonomo di gestione in contrapposizione a quello gerarchico attuale, finche' non troveranno nuovi valori ecologici con i quali sostituire i valori sociali del sistema dominante - un processo, questo, che i collettori solari, i mulini a vento e l'orticoltura possono facilitare, ma non rimpiazzare - nessuna trasformazione sociale potra' instaurare un nuovo equilibrio con il mondo naturale. Ovviamente, coloro che sono privi di potere non saranno propensi ad accettare, in situazioni normali, i gruppi di affinita', la democrazia diretta e l'azione diretta. Tuttavia, il fatto che essi nutrano impulsi basilari tali da determinare una elevata suscettibilita' nei confronti di queste forme e di queste attivita' - fatto che non manca mai di sorprendere i "rivoluzionari manageriali" in periodi di crisi e di conflitto - esprime una potenzialita' che deve ancora essere pienamente valutata, compresa e resa intellettualmente coerente mediante un paziente lavoro di educazione e con un continuo ricorso all'esemplificazione. Ed e' precisamente questa educazione e questa esemplificazione che certi gruppi femministi e antinucleari hanno cominciato a fornire. Il carattere piu' sorprendentemente reazionario del tecnicismo e della politica elettorale dei tecnocrati ambientalisti e dei "rivoluzionari manageriali" di oggi e' insito nel tentativo di ricreare, nel nome di una via "dolce" all'energia, di una "decentralizzazione" del tutto speciosa e di strutture partitiche intrinsecamente gerarchiche, le forme e le abitudini peggiori che incrementano nell'opinione pubblica americana la passivita', l'obbedienza e la vulnerabilita' nei confronti dei mass-media. La politica pubblicistica di Brown, di Hayden, di Commoner e dei "fondatori" della Clamshell come Wasserman e Lovejoy, cosi' come le recenti, enormi manifestazioni a Washington e a New York, non educano cittadini: allevano masse. Le masse, infatti, sono sempre l'oggetto manipolato dai mass-media, sia quando li usa la Exxon, sia quando li usano la Ced (Campaign for Economic Democracy), il Citizen's Party o la Muse. L'ecologia viene usata contro ogni sensibilita' ecologica, contro ogni forma di organizzazione o pratica ecologica per "conquistare" gruppi sempre piu' vasti, non per educare. Il terrore dell'"isolamento", della "futilita'", dell'"inefficacia" genera una nuova forma di isolamento, di futilita' e di inefficacia: l'abdicazione dagli ideali, dagli obiettivi basilari e fondamentali. Il prezzo della conquista del "potere" e' la perdita dell'unico potere del quale realmente disponiamo per trasformare questa societa' folle e malata: quello della nostra integrita', dei nostri principi, dei nostri ideali. Tutto cio' potra' fare la fortuna di chi usa i problemi ecologici per dare la scalata al prestigio e al potere, ma potra' essere la tomba di un movimento che coltivava l'ideale di un mondo nuovo, nel quale le masse si tramutino in individui, nel quale le risorse naturali si tramutino in natura e nel quale entrambe queste entita' godano del rispetto dovuto alla loro unicita' e spiritualita'. * L'ecologia sociale Un nuovo movimento femminista orientato in senso ecologico sta nascendo e i gruppi antinucleari non sono ancora scomparsi. La fusione di entrambi con altri movimenti che probabilmente emergeranno dalle svariate crisi che funestano la nostra epoca potra' inaugurare uno dei decenni piu' esaltanti e libertari del secolo. Il problema ecologico non deve essere separato dal sessismo, dal problema degli anziani, dall'oppressione razziale, dalla "crisi energetica", dal problema del potere delle corporazioni, dalla medicina tradizionale, dalla manipolazione burocratica, dalla coscrizione, dal militarismo, dalla degradazione urbana, dal centralismo politico. I denominatori comuni di tutti questi problemi, e il bersaglio principale di una ecologia sociale radicale, sono la gerarchia e la dominazione. Credo sia necessario che tutti coloro che militano nel movimento ecologico decidano una volta per tutte: gli anni '80 saranno ancora vissuti all'insegna dell'ideale visionario di un futuro ecologico fondato sull'impegno libertario verso la decentralizzazione, la tecnologia alternativa, i gruppi di affinita', la democrazia diretta, l'azione diretta, oppure saranno contrassegnati da un angoscioso regresso nell'oscurantismo ideologico e nella "politica istituzionale", che mira al "potere" e all'"efficacia" conservando quelle stesse istituzioni che dovrebbe distruggere? Il movimento cerchera' di aggregare "vasti gruppi" del tutto fittizi, imitando quelle stesse forme di manipolazione di massa e usando quegli stessi mass-media e quella stessa cultura di massa che dichiarava di aborrire? Le due vie sono incompatibili. Il nostro uso dei "media", le nostre azioni e mobilitazioni devono stimolare la mente e lo spirito, non fondarsi su riflessi condizionati e su tattiche d'urto che non lasciano spazio alla ragione e all'umanita'. In ogni caso, e' giunto il momento di scegliere, e bisogna farlo ora, prima che il movimento assuma il carattere di un'istituzione e diventi una semplice appendice del sistema la cui struttura e i cui metodi vuole contrastare. E la scelta dev'essere definitiva e consapevole, altrimenti non solo questo decennio, ma tutto il secolo sara' perduto. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 87 del 20 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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