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La nonviolenza e' in cammino. 1391
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1391
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 18 Aug 2006 00:18:58 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1391 del 18 agosto 2006 Sommario di questo numero: 1. Tigrin de la Sassetta: Una lettera dalla montagna 2. Carolyn Ho: Un appello a tutte le persone di volonta' buona 3. "Transnational foundation for peace and future research": Lettera aperta al presidente dell'Assemblea generale dell'Onu 4. Murray Bookchin 5. Monica Lanfranco: Hina 6. Anna Segre: Il diario 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. LETTERE. TIGRIN DE LA SASSETTA: UNA LETTERA DALLA MONTAGNA [Ringraziamo il nostro poco raccomandabile amico Tigrin de la Sassetta, di rustici costumi solo esperto, per questo intervento] Egregio direttore, sarebbe il momento di fare buon uso dell'unica virtu' che all'Italia viene internazionalmente riconosciuta: la nostra ben nota codardia. Mandare soldati italiani in Libano mentre altri soldati italiani sono impegnati nelle coalizioni che conducono illegali e criminali guerre stragiste, imperialiste e razziste in Afghanistan e in Iraq e' una ulteriore follia. Una follia certo coerente con la scellerata politica di potenza perseguita dai governi italiani fin dal '99. Ma il fatto che ci sia del metodo in questa follia non la rende meno folle, la rende piuttosto piu' tragica. Nessuno che avesse un briciolo di discernimento chiederebbe all'Italia di mandare truppe ad occupare il Libano meridionale in una situazione di transizione delicatissima come l'attuale: ma al governo del nostro paese ci sono degli sciagurati che come gli sciagurati del governo precedente si propongono loro stessi di offrire vite di ragazzi italiani al rischio del massacro. * Dal '99 la politica internazionale italiana, indipendentemente dal variare dei governi, si fonda sull'idea che suo principale strumento debbano essere le forze armate, che principale modalita' d'intervento sullo scacchiere globale debba essere la partecipazione alle guerre, che principale idea-guida nella definizione della collocazione italiana debba essere la fedelta' pronta e totale - perinde ac cadaver - alla Casa Bianca quale che sia la politica del suo inquilino pro tempore. E tanti saluti alla Costituzione della Repubblica Italiana. Si', sarebbe il momento di fare buon uso dell'unica virtu' che all'Italia viene internazionalmente riconosciuta: la nostra ben nota codardia. E questo per quanto concerne la politica politicante. * Poi c'e' la politica vera: quella che sa che l'unica forma adeguata di intervento internazionale nel conflitto mediorientale e' e deve essere rigorosamente nonviolenta. Con tutte le articolazioni e le risorse che la nonviolenza organizzata puo' mettere a disposizione: corpi civili di pace; aiuti umanitari che favoriscano la ricostruzione di economie autocentrate con tecnologie appropriate; assistenza logistica ed infrastrutturale che consenta e promuova il ricostituirsi di una societa' civile garantendo le basi della sussistenza e della promozione del diritto per tutti all'abitazione, all'educazione, alla salute, al lavoro, alla sicurezza e alla dignita' personale; costruzione di ponti tra persone, popoli e culture; disarmo in senso stretto, ma anche disarmo culturale: nella cultura materiale, nei mondi vitali quotidiani, e fin nelle strutture ideologiche e nelle risorse linguistiche; pratiche di reciproco riconoscimento di umanita' e di riconciliazione valorizzando gli insegnamenti e le eredita' delle esperienze sia gia' presenti in Medio Oriente (Parents Circle, ad esempio), sia agite con esiti positivi in altre parti del mondo (la Commissione per la verita' e la riconciliazione in Sudafrica, la campagna di consegna e distruzione delle armi in Brasile), cosi' accompagnando il processo politico (politico e di polizia: non militare; e gestito dal Libano, assolutamente non da truppe straniere d'occupazione) che deve far cessare gli attacchi missilistici sulle citta' israeliane, e che deve disarmare Hezbollah al fine di ottenere quantomeno di consegnare alla sola autorita' statuale il monopolio dell'uso della forza in Libano, monopolio che come e' noto e' caratteristica base dello stato moderno, senza di cui vige solo il bellum omnium contra omnes. Ma questa politica, anche per inadeguatezza dei soggetti sociali che dovrebbero farsene promotori, stenta a trovare riconoscimento, al punto che anche brave persone che scrivono su autorevoli quotidiani e che in passato sapevano la guerra e gli eserciti e le armi essere nemici dell'umanita', oggi per intima disfatta e disperazione, e per limiti culturali prima ancora che morali e politici, si arrendono all'idea che solo la guerra e gli eserciti e le armi presiedano alla storia: penosissimo spettacolo di una resa inaccettabile. * Talche' almeno qui e adesso vogliamo dirlo chiaro: no all'intervento militare italiano in Libano. Si' a un intervento rigorosamente di pace con mezzi di pace da parte dell'Onu. No all'ulteriore internazionalizzazione della guerra. Si' a un'azione internazionale in forme rigorosamente nonarmate e nonviolente contro tutte le guerre e i terrorismi. Si' ad aiuti immediati a tutte le vittime. Si' alla ricostruzione. Si' al disarmo. Vi e' una sola umanita'. 2. APPELLI. CAROLYN HO: UN APPELLO A TUTTE LE PERSONE DI VOLONTA' BUONA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente lettera aperta di Carolyn Ho. Carolyn Ho e' la madre del tenente statunitense obiettore alla guerra irachena Ehren Watada, di cui cfr. l'intervento al convegno dei Veterani per la pace riportato nel notiziario di ieri] Cari amici americani e cittadini della comunita' internazionale, sono la madre del tenente Ehren Watada, un ufficiale di stanza a Fort Lewis. Mio figlio faceva parte di una brigata che avrebbe dovuto partire per l'Iraq il 22 giugno scorso. In quel giorno fatale, egli ha quietamente sfidato l'ordine di partenza e ha scelto di non salire sull'aereo con i suoi uomini. Nonostante le continue pressioni subite da quando ha fatto richiesta di essere congedato (nel gennaio 2006) sino al giorno della partenza per l'Iraq, egli e' rimasto fedele alla sua decisione. Ehren ha creduto di sostenere assai meglio i suoi uomini non guidandoli in una guerra ed un'occupazione illegali, che hanno gia' reclamato innumerevoli vite, di iracheni e di statunitensi. Ha creduto che li avrebbe serviti meglio opponendosi alla guerra, piuttosto che divenendo un complice nelle politiche che usano le nostre truppe per scopi immorali, non etici. Attraverso il rigoroso esame dei fatti, ottenuto con la ricerca e con la consultazione di esperti, fuori e dentro l'esercito e le strutture governative, mio figlio ha concluso che non poteva piu' rimanere silenzioso, mentre atrocita' venivano commesse in nome della democrazia. Non poteva essere piu' a lungo uno strumento di un'amministrazione che non ha usato altro che invenzioni e menzogne per creare il caso della "guerra preventiva". Ehren Watada ha compreso che non aveva ceduto la sua liberta' di scegliere cio' che e' giusto, e che la liberta' di scegliere cio' che e' giusto trascende la lealta' ad un uomo o alle istituzioni. Come ufficiale, il suo dovere e' di sostenere e difendere la Costituzione statunitense, e di obbedire solo agli ordini legittimi. Nel rifiutarsi di andare in Iraq, ha assolto questo dovere. In risposta, l'esercito lo ha incriminato per rifiuto del trasferimento, commenti sprezzanti sul presidente e comportamento non consono ad un ufficiale. Messe insieme, queste accuse ammontano a sette anni di detenzione in una prigione militare. * Come madre, io ho compiuto il primo passo di un viaggio lungo un migliaio di miglia. La decisione di mio figlio ha risvegliato la mia coscienza rispetto al distacco fra cio' che gli avevo insegnato e cio' che realmente volevo lui facesse. All'inizio, il momento della verita' mi ha sconvolta, ed onestamente non trovavo parole per giustificare la risposta protettiva ed autocentrata che sussurrava: "Non mio figlio. Che a fare l'eroe sia il figlio di qualcun altro". Inutile dire che questa esperienza ha cambiato la mia vita. Non ho che ammirazione e rispetto per la condotta che mio figlio ha scelto di tenere. Ha il mio incondizionato sostegno. * Vi scrivo per invitarvi a mostrare anche voi il vostro sostegno al tenente Watada ora, durante le udienze preliminari del suo processo il 17 e 18 agosto, ed in futuro. E' ancora incerto se gli sara' permesso di motivare il suo rifiuto di partire e di affermare i suoi diritti relativi al primo emendamento. Inoltre, l'esercito deve sapere che il mondo sta osservando e che la giustizia deve essere onorata. Il 16 agosto, Giorno nazionale dell'istruzione, vari gruppi nazionali ed internazionali terranno sessioni di studio per spiegare l'illegalita' e l'immoralita' della guerra e dell'occupazione irachene, nonche' il messaggio che mio figlio ha voluto mandare. Iniziative informative e colloqui di sensibilizzazione si terranno in scuole, chiese, case, centri comunitari; e vi saranno veglie e manifestazione a Fort Lewis ed in tutti gli Usa. E' un'opportunita' per risvegliare le coscienze, per dare potere alla gente ed ispirarla ad agire. Vi chiedo di unirvi a noi in questo lavoro sul campo per la mobilitazione di massa e la disobbedienza civile durante le udienze della corte marziale. Per ogni informazione, potete fare riferimento al nostro sito: www.thankyoult.org In pace, con gratitudine, Carolyn Ho, la mamma di Ehren 3. DOCUMENTI. "TRANSNATIONAL FOUNDATION FOR PEACE AND FUTURE RESEARCH": LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU [Dal Centro studi "Sereno Regis" di Torino (per contatti: info at cssr-pas.org) riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente lettera aperta promossa dalla Transnational Foundation for Peace and Future Research e sottoscritta da varie autorevoli personalita'] Al Presidente dell'Assemblea generale dell'Onu, Jan Eliasson Lund, Svezia 14 agosto 2006 Il Consiglio della Transnational Foundation for Peace and Future Research [in sigla: Tff] (Svezia) invia la seguente lettera aperta allo scopo di stimolare un'ampia discussione sulle precondizioni per un autentico processo di pace dopo la Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Gia' sottoscritta da autorevoli esponenti della societa' civile mondiale, incoraggiamo tutti coloro, singoli e organizzazioni, che condividono questa proposta a firmarla e diffonderla. * Uniti per la pace La storia di questo conflitto permette di capire con chiarezza che la violenza dell'una o dell'altra parte non ha alcuna possibilita' di alleviare la sofferenza di tutte le parti in conflitto. Continuando su questa strada, si avranno conseguenze devastanti per la sicurezza globale. Un processo globale, che comprenda tutti i soggetti, costruito sul dialogo, su iniziative civili e sulle moderne tecniche di risoluzione del conflitto e' l'unica strada verso la pace e la giustizia. Mentre vi sono stati sforzi sinceri da parte di alcuni governi per porre fine al massacro da entrambe le parti, vi e' stato anche un grave ritardo nel giungere a un armistizio nel confronto tra Israele e il Libano. Purtroppo, ancora una volta il Consiglio di sicurezza dell'Onu e' stato vittima di voluti ritardi. Al tempo stesso la tragedia della Palestina mantiene il suo irrisolto carattere onnipervasivo e la situazione in Iraq si e' ulteriormente aggravata. Alla luce di tutto cio', chiediamo al presidente dell'Assemblea generale dell'Onu di avviare la preparazione di una risoluzione Uniti per la Pace al fine di imboccare con urgenza la lunga strada verso la sicurezza umana, la risoluzione del conflitto, la giustizia e la riconciliazione in tutta la regione. La base di questa proposta e' data dalla risoluzione 377 dell'Assemblea generale dell'Onu, nota anche come risoluzione "Uniti per la pace": essa afferma che, qualora il Consiglio di sicurezza dell'Onu non sia in grado di mantenere la pace internazionale, una iniziativa puo' essere presa dall'Assemblea generale. La risoluzione fu proposta dagli Stati Uniti nel 1950 come mezzo per poter aggirare eventuali veti dell'Unione Sovietica. "... se il Consiglio di sicurezza, a causa della mancanza di unanimita' dei membri permanenti, fallisce nell'esercitare la sua responsabilita' primaria nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale in qualsiasi caso in cui vi sia una minaccia per la pace, una rottura della pace, o un atto di aggressione, l'Assemblea generale prendera' immediatamente in considerazione la questione al fine di formulare raccomandazioni appropriate ai membri per assumere misure collettive, compreso, nel caso di una rottura della pace o di un atto di aggressione, l'uso di una forza armata, qualora sia necessario, per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale". L'Assemblea generale, non meno dei governi degli stati membri, dovrebbe occuparsi essa stessa della insidiosa questione dell'arricchimento dell'uranio da parte dell'Iran, che aggrava ulteriormente le condizioni del Medio Oriente. E' importante osservare che sin dal 1974 diverse risoluzioni dell'Assemblea generale e la risoluzione 687 (1991) del Consiglio di sicurezza dell'Onu propongono una "zona libera da armi nucleari" (Nuclear-Free Zone) in Medio Oriente, ma non sono state implementate. La proliferazione nucleare non e' l'unica questione; finche' le potenze nucleari ignoreranno il loro obbligo a disarmare, stabilito dal Trattato di non proliferazione, la proliferazione sara' inevitabile. Per prevenire l'ulteriore perdita di vite umane e la distruzione di infrastrutture, le parole debbono essere tradotte nelle dovute azioni. - La prima priorita' e' fermare la guerra in corso tra Israele e il Libano, a cui dovra' seguire una conferenza internazionale sul Medio Oriente secondo il modello Osce in Europa. - Questa conferenza offre l'opportunita' di iniziare un nuovo e olistico processo di pace nella regione. - Tale iniziativa tuttavia puo' avere successo solo se tutte le parti dei vari conflitti in corso partecipano. Questo vuol dire: Libano compreso Hezbollah, Israele, Palestina con Hamas e Fatah, Siria, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Giordania, Lega Araba, Usa, Gran Bretagna, Russia, Turchia e Unione Europea. E' essenziale che i governi incoraggino le organizzazioni della societa' civile a inviare proposte a questa conferenza, prima, durante e dopo. - Questo processo dovrebbe essere guidato dall'Onu. Nessuno deve porre alcuna precondizione per questo incontro. Ognuno deve avere il diritto di porre le sue questioni e preoccupazioni al tavolo di discussione. - C'e' urgente bisogno di un mediatore autentico e imparziale. - La maggior parte dell'opinione pubblica mondiale non e' piu' disposta ad accettare modalita' politiche finalizzate al proprio potere che non rispettino elementi fondamentali della legge internazionale. - I cittadini in tutto il mondo chiedono una risposta globale e nonviolenta all'inazione dei leader politici in questo difficile momento della storia, e sono preoccupati che anni di interventi grossolani e disonesti nell'affrontare questo insieme di conflitti in Medio Oriente possano provocare proteste violente contro lo status quo e alimentino, invece che limitare, la minaccia di una guerra piu' vasta e anche quella del terrorismo. - Sollecitiamo urgentemente gli Stati Membri a garantire che l'Onu, se assumera' un ruolo di peacekeeping e peacebuilding, abbia un mandato preciso e risorse materiali e umane adeguate a compiere la sua missione. Cordialmente, Christian Harleman presidente Tff, Hans von Sponeck, Annette Schiffmann, Annabel McGoldrick, Bo Rybeck, Jan Oberg e Christina Spannar soci fondatori * Primi ulteriori firmatari della lettera aperta: Gunnar Westberg, Fiona Dove,,Dietrich Fischer, Farhang Jahanpour, Edward Canfor-Dumas, Eirwen Harbottle e Diana Basterfield, Claire Hickson, Kevin Clements, Paul Ingram, Scilla Ellworthy, Johan Galtung, Gabriel Carlyle, Tun Mahathir Mohamad, John Sloboda, David Krieger, Richard Falk, Stuart Rees, Kathy Kelly e Jeff Leys, James A. Paul, Barbara Mueller, Stella Cornelius, Jens-Peter Steffen. * Per adesioni collegarsi direttamente al sito della Tff: www.transnational.org 4. LUTTI. MURRAY BOOKCHIN Molte cose abbiamo imparato molti anni fa da Murray Bookchin, deceduto sul finire dello scorso mese. E soprattutto che era giunta l'ora di un'apertura oltre ogni dogmatismo, di integrare nuove e piu' complesse riflessioni, di esplorare nuove vie di ricerca e d'azione per un'umanita' di persone libere ed eguali. La sua proposta libertaria che non elude il nodo delle istituzioni della civile convivenza, la sua tematizzazione dell'ecologia sociale, la sua costante ricerca e azione contro ogni autoritarismo ed ogni feticismo ed ogni alienazione, restano un lascito tuttora fecondo: e rispetto alle banalita' e fin trivialita' di tanto dibattito attuale le cose da lui scritte decine di anni or sono (come del resto anche quelle piu' recenti) mantengono la loro fragranza e la loro luminosita', come un pane ancora fresco, come una stella sempre lucente. E in questa travagliata navigazione, e in questo faticoso operare, lo sa il cielo quanto ne abbiamo bisogno. 5. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO: HINA [Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: monica.lanfranco at gmail.com) per averci messo a disposizione il seguente articolo gia' apparso sul quotidiano "Liberazione" del 15 agosto 2006, di cui riportiamo ampi stralci. Monica Lanfranco, giornalista professionista, nata a Genova il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con le testate delle donne "DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il trimestrale "Marea"; dirige il semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'"; collabora con il quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute"; e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto per l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995 ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della partoriente (La Clessidra). Recentemente ha pubblicato due importanti volumi curati in collaborazione con Maria G. Di Rienzo: Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici) sulla storia del movimento delle donne e sulla comunicazione] Facciamo un gioco: troviamo insieme quante piu' frasi e aforismi misogini, anche apparentemente lievi e persino ritenuti spiritosi, presenti in ogni tradizione e cultura? Inizio io: donne e buoi dei paesi tuoi (che allude al patto tra uomini sul non interferire in materia di governo delle femmine, bene economico fondamentale equiparato appunto al bestiame); chi dice donna dice danno (che traduce l'inevitabilita' della sventura legata al sesso femminile e alla sua frequentazione...); la donna e' la porta del diavolo (significato chiaro...). Mi fermo qui, rammentando l'apparentemente innocuo auguri e figli maschi che non e' raro incontrare, anche solo per scherzo, nei pronostici nazionali. * E' nell'intreccio di questi fattori, impastati micidialmente di ossequio della tradizione, di fondamentalismo religioso e di legge patriarcale che origina la drammatica vicenda planetaria della guerra contro le donne, guerra che miete ogni anno vittime a milioni in tempi e luoghi dove infuria la guerra guerreggiata ma che parimenti umilia, schiavizza e uccide meta' del genere umano anche dove non suonano le sirene, cadono bombe o esplodono corpi assassini. In questi giorni di ansia per il Libano, per l'Iraq e per chissa' quante altre guerre e pericoli che incombono, rischia di passare come secondaria, o solo come fatto di ordinaria cronaca nera, la morte atroce, in luogo e tempo di relativa pace quale e' la provincia bresciana, della giovane Hina Saleem, di origine pakistana, trovata uccisa e seppellita nel giardino della casa paterna. Dopo due giorni di inutili ricerche, innescate dall'allarme lanciato dal fidanzato italiano con il quale la ragazza viveva da poco, il ritrovamento del corpo ha dato il via alle indagini, dalle quale emergono inquietanti risvolti. Sembrerebbe infatti che l'esecuzione di Hina sia stata decisa da un consiglio di famiglia, che ne preferiva la morte piuttosto che il disonore di una convivenza con un uomo di diversa religione: la giovane si sarebbe sottratta ad un matrimonio combinato, trasgredendo al punto da osare convivere. Il padre, che si e' costituito ieri pomeriggio, sta raccontando agli inquirenti la dinamica dell'omicidio. La foto della ragazza pubblicata dai giornali la ritrae bella, profondi occhi scuri, il sorriso aperto e pieno di vita che ogni ragazza dovrebbe avere nell'affrontare le promesse dell'amore, del futuro, della costruzione della propria esistenza, che invece e' stata fermata per sempre dal coltello che le ha tagliato la gola. * L'orrore della sua morte ci ricorda che ancora troppi sono i pericoli che le donne corrono, solo perche' sono donne: pericoli che hanno le sembianze non di maniaci sconosciuti, di uomini folli o spietati che ti aggrediscono per strada, ma che hanno il volto, lo sguardo e le mani di tuo marito, del tuo compagno, di un tuo parente, di tuo fratello, di tuo padre. Uomini vicini, vicinissimi, che hai amato, spesso che ti sei scelta, con i quali hai progettato la vita, o percorsi di esistenza. Ci rammenta che fino a quando la liberta' di scelta delle donne di vivere pienamente e senza vincoli, terreni e ultraterreni, non verra' considerata indicatore prioritario per la realizzazione della civilta', della cultura e della politica di un paese e di un popolo nessuna donna e nessun uomo saranno al sicuro. Ci testimonia che la pace e l'armonia tra i generi si costruiscono a cominciare dalla sconfitta delle tenaci e letali visioni fondamentaliste di chi usa le religioni brandendole come spade e come uniche fonti per tenere l'ordine e il controllo, visioni che diventano leggi di regimi totalitari, spesso succhiate con il latte dalle madri, che purtroppo sorreggono l'architrave patriarcale, potente alleato di ogni regime liberticida, sessuofobo e oscurantista. Ci incalza a non perdere di vista che la sfida che deve raccogliere chi si dice femminista e di sinistra, specialmente oggi in tempi di guerra e "scontro di civilta'", e' quella di rilanciare i valori della laicita' e dell'autodeterminazione femminile, fragili sempre e da tramandare con costanza e ostinazione alle giovani generazioni, per metterli a disposizione di ogni persona, specialmente di chi arriva in occidente, come beni preziosi, collettivi, e irrinunciabili. * Hina ne voleva godere, e forse e' stata lasciata sola, troppo sola di fronte al pericolo. Cosi' come era stata lasciata sola la giovane operaia italiana perseguitata dall'ex fidanzato, nonostante lo avesse piu' volte denunciato alla polizia, e uccisa dallo stesso alcuni mesi fa. Cosi' come sole sono state lasciate le oltre duecento donne ammazzate tra le mura domestiche lo scorso anno, punte sanguinanti dell'iceberg della violenza di genere. Sole, perche' accanto alla costernazione e all'orrore c'e' ancora troppa gente, e troppe culture, e troppi modi di pensare, che giustificano la violenza contro le donne. Si dice: certo e' orribile che sia stata stuprata, picchiata o uccisa. Pero' . Pero' forse una donna non dovrebbe essere troppo libera; non dovrebbe provocare con l'abbigliamento, e perche' poi studiare, o lavorare fuori casa invece di sposarsi e fare la mamma, perche' essere inquieta, non stare al suo posto, chiedere, volere vivere? Perche' non sottostare alla legge del padre, a quella del clan, a quella di dio? Troppo spesso gli omicidi di donne vengono giustificati e letti, quasi compresi e quasi empatizzati, come gesti di uomini disperati che non sono riusciti a sopportare il dolore e il peso della separazione, per troppo amore, per troppo attaccamento. E va a finire che era lei, la vittima, quella donna cosi' troppo autonoma, ad essere egoista, insensibile: troppo poco donna, appunto. 6. MEMORIA. ANNA SEGRE: IL DIARIO [Da "Una citta'" n. 79 del luglio-settembre 1999 (disponibile anche nel sito www.unacitta.it). Anna Segre, scomparsa nel 2004, e' stata docente di geografia economica e politica dell'ambiente all'Universita' di Torino, ricercatrice nei campi della sostenibilita' ambientale dello sviluppo, dello sviluppo locale e dei sistemi territoriali locali, di una visione di genere dello sviluppo, di problemi ambientali e cartografia; persona di forte impegno civile, impegnata nel tramandare la memoria della Shoah e nel contrastare ogni violazione dei diritti umani. Da un documento sottoscritto da colleghe e colleghi riprendiamo le seguenti parole in suo ricordo: "Le linee di pensiero e di ricerca, le esperienze, le relazioni umane e politiche in cui si e' impegnata nel corso della sua vita sono state molto numerose e varie. Pur se e' ben difficile fare riemergere tutta la complessita' e la ricchezza della sua figura, si vuole dare valore almeno ad alcuni degli aspetti che paiono essere stati per lei piu' intensi e piu' significativi. Il primo e' l'attenta tenacia con cui Anna nella ricerca, nell'insegnamento e nell'impegno civile mirava a saldare le dimensioni teoriche e concettuali della geografia economica e delle politiche ambientali con il piano concreto dei problemi e dei soggetti presenti sul territorio. Insegnava infatti Geografia economica e Politica dell'ambiente presso la Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' degli Studi di Torino, ma al tempo stesso si impegnava direttamente nelle iniziative sul terreno: ricordiamo in particolare che all'inizio degli anni '90 era stata eletta nel Consiglio Regionale del Piemonte nelle liste dei Verdi. Importante e' stato poi il rapporto di Anna con l'ebraismo: l'amore per la cultura ebraica, nei suoi fondamenti spirituali e nei suoi aspetti minuti; l'interesse per la storia ebraica, in particolare la storia della Shoah, cui non solo ha dedicato un'attenzione costante, ma ha offerto un contributo di rilievo, pubblicando il diario che suo padre Renzo aveva tenuto nei venti mesi dell'occupazione nazista, ricostruendo le vicende della sua famiglia, promuovendo la conoscenza pubblica dello sterminio fino a assumere su di se' il ruolo difficilissimo di candela della memoria. Sensibile alle questioni sollevate dalla prospettiva di genere, e' stata rappresentante del Dipartimento Interateneo Territorio nel Cirsde (Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne dell'Universita' di Torino) e vicepresidente della Fondazione Langer: amava i costruttori di ponti, gli esploratori di frontiera". Tra le opere di Anna Segre: (a cura di), Renzo Segre, Venti mesi, Sellerio 1995; con Egidio Dansero, Politiche per l'ambiente. Dalla natura al territorio, Utet, Torino 1996; con Egidio Dansero, Per un Atlante dei problemi ambientali del Piemonte, Consiglio Regionale del Piemonte, Torino 2000; con Claudia De Benedetti, Luisa Sacerdote, La Pasqua ebraica Zamorani, Torino 2001; (a cura di), Atlante dell'ambiente in Piemonte, Consiglio regionale del Piemonte, Torino 2003; The local Territorial System and their Environmental Sustainability, paper presentato alla Regional Science Association International Conference, Pisa 12/15 aprile 2003; con A. Calvo, E. Donini, Un approccio di genere al problema dello sviluppo, in "Rivista Geografica Italiana", giugno 2003. Una sua intervista e' riportata in "Voci e volti della nonviolenza" n. 35. Una bella, profonda, luminosa commemorazione di Anna Segre tenuta da Anna Bravo e' ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 1218 del febbraio 2005] Il diario ho sempre saputo che esisteva. Un centinaio di pagine scritte a macchina ordinate in una cartellina rigida marrone, mio padre era una persona ordinatissima, riposta in quel mobile li', che era il mobile dove mio padre ha tenuto sempre anche la sua collezione di francobolli. E che avesse tenuto un diario non mi sembrava poi strano. Era un uomo sedentario, con l'hobby, appunto, della filatelia, ero abituata a vederlo sempre al suo tavolo, in una nuvola di fumo intento a guardare i francobolli o a scrivere e prendere appunti... * Me l'aveva fatto leggere a pezzi. La storia ha dei momenti drammatici, ma anche altri piu' distensivi, di descrizione di paesaggi, di persone, e lui adattava molto quello che mi faceva leggere alla mia eta'. Man mano che crescevo mi faceva leggere anche delle altre cose, ma dall'inizio alla fine non me lo aveva mai fatto leggere. Della guerra e anche delle vicissitudini passate insieme a mia madre, me ne parlava, ma mai in modo tragico, credo per non spaventarmi. Mi raccontava che loro erano scappati, e dato che in un primo momento erano finiti intorno a Biella, in posti che erano anche quelli delle nostre passeggiate, sovente se ne parlava. Quando andavamo al santuario di Graglia, che e' stato il loro primo rifugio, guardava quella tal finestra e diceva: "Quella e' la finestra della nostra stanza, li' c'era la biblioteca a cui io badavo in modo particolare". Si vedeva che aveva voglia di parlarne, non era restio. Per esempio mi faceva vedere i documenti di cui era ancora in possesso, i documenti falsi, le tessere annonarie, le ricevute dei conti della clinica in cui erano stati ricoverati. Credo solo che non volesse spaventarmi, voleva raccontarmela come una vicenda che lui e mia madre avevano vissuto, tremenda, terribile, perche' non risparmiava gli aggettivi, ma certo non voleva crearmi delle ansie nuove. Quel racconto faceva un po' parte della mia educazione politica, cosi' come quando mi portava alle manifestazioni del 25 aprile e del primo maggio. Non perche' fosse particolarmente implicato, non era iscritto a nessun partito e mai avrebbe voluto esserlo, pero' tutto quello faceva parte della nostra storia e un po' alla volta me lo insegnava. * L'episodio che piu' mi aveva fatto impressione, e le pagine in cui lo racconta me le aveva fatte leggere quando ero gia' grandina, era proprio quello del santuario di Graglia, quando erano arrivati i tedeschi. Cercavano ebrei rifugiati e fecero aprire tutte le porte, perquisirono tutte le stanze e alla fine di porte da aprire ne rimaneva solo una, quella della loro stanza e i preti del santuario a dire che quella era la dispensa e che momentaneamente non trovavano la chiave... I tedeschi si accontentarono della risposta, o capirono e lasciarono perdere, chissa', insomma se ne andarono. Mi ha sempre fatto molta impressione pensare a mio padre e a mia madre chiusi dietro a quella porta, che non potevano respirare perche' anche quello faceva un rumore di troppo rispetto a quello che i tedeschi dovevano sentire o intuire. Me li immaginavo in silenzio, paurosi, sentire tutto il tramestio, tutto il colloquio. Credo abbiano vissuto istanti di paura immensa, c'era solo una porta di mezzo e sarebbero stati portati via. Io poi non ho mai immaginato ne' mio padre ne' mia madre come particolarmente coraggiosi e, invece, in certi momenti, evidentemente, si trova il coraggio per forza. * Nel diario, poi, la storia dei miei si intreccia con quella di una persona la cui importanza solo in ritardo sono riuscita a comprendere pienamente. All'inizio della televisione, nei primi anni '60, comincio' ad apparire in video un giovane giornalista che faceva reportage dagli Stati Uniti o da Parigi. Ogni volta che mio padre lo vedeva diceva: "Quello e' il figlio di chi ci ha salvato la vita". Io capivo e non capivo, perche' sapevo che il padre di Piero Angela era un medico che lavorava nella clinica dove loro erano rifugiati, ma non avevo capito l'importanza che quell'uomo aveva avuto nel salvare i miei genitori, nel proteggerli. Beh, devo dire che il professor Angela fu veramente una persona straordinaria. Basti pensare che quando si sparse la voce che in clinica c'erano degli ebrei lui fu chiamato al comando delle SS in via Asti, qui a Torino. Gli chiesero espressamente notizie dei miei genitori, che, evidentemente, erano stati scoperti, e lui giuro' che non erano ebrei, che erano malati; li copri' a rischio della sua vita e cosi', ancora una volta, i miei si salvarono. Certamente, pero' cosi' il professor Angela mise in serio pericolo la sua vita, perche' mentiva e probabilmente i tedeschi lo sapevano, perche' tra i medici e gli infermieri sicuramente c'erano delle spie e le notizie su chi aveva comportamenti strani, sulle degenze lunghissime, uscivano. I miei stettero la' ben venti mesi, che anche oggi sarebbe per lo meno improbabile. Queste sono delle figure bellissime, che son state sottovalutate, che non hanno avuto alcun riconoscimento. Angela padre e' morto presto, nel '49; era molto anziano, quindi non ha fatto materialmente in tempo a vivere il periodo in cui un po' di riconoscimenti sono stati dati. Quel che e' certo e' che queste persone hanno fatto un gran bene nel silenzio piu' totale; hanno messo a repentaglio la loro vita, la loro tranquillita' da agiata famiglia borghese, per salvare la vita di altri. Angela, poi, gia' da prima era un esponente dell'antifascismo torinese; pare che la sua casa fosse un luogo di ritrovo e di organizzazione dell'antifascismo, ciononostante e' poco citato, non si trovano tracce di lui nemmeno nel paese in cui c'e' ancora la clinica. Io sono andata a visitarla, ma della storia di quegli anni non c'e' piu' nessuno che si ricordi. Credo che qualcosa andrebbe fatto, che so, intitolare una via... Ovviamente non avevo mai conosciuto ne' Piero Angela ne' sua sorella e solo dopo l'uscita del libro, quando mi sono sentita in dovere di farlo avere a Piero Angela, ho scoperto che lui si ricordava benissimo di quel periodo, della clinica che era la sua casa, dove viveva, e si ricordava dei miei genitori. E proprio attraverso i figli di Angela ho scoperto che le persone nascoste, ebrei o comunque antifascisti, erano tante, non c'erano solo mio padre e mia madre, ma altri gruppi familiari, che sono stati solo per un periodo e poi se ne sono andati e sono stati deportati. * Quanto fu duro per mio padre fingere? Secondo me fu durissimo, al punto da rasentare la realta'. Fingere una malattia psichiatrica dev'essere difficilissimo, soprattutto in una situazione in cui i medici erano fascisti, e solo il direttore della clinica, Angela, sapeva che mio padre non era malato e che era li' per rifugiarsi. Bisognava fingere e fingere bene, bisognava farsi venire i sintomi fino al limite del vero, fino a lasciarsi contagiare dalla malattia stessa. Non e' come fingere una broncopolmonite, o un mal di pancia. Star chiuso in una clinica psichiatrica, in un paesino del canavese, dove nessuno puo' venirti a trovare, con nomi falsi, dove da un momento all'altro puoi essere scoperto, con una persona sola che sa la tua situazione, il resto sono fascisti e magari anche spie, dove non puoi andare nella mensa comune perche' si aumenterebbe ancora la possibilita' di essere scoperto, senza poter avere notizie della tua famiglia, senza sapere quando finira', con le notizie delle rappresaglie... Mio padre e' diventato poi un depresso cronico. Nei primi anni '50 ha dovuto davvero essere ricoverato in una clinica in cui si curavano gli esaurimenti nervosi, cosi' si chiamavano a quei tempi le depressioni. Io non l'ho conosciuto prima e quindi non posso fare il confronto, comunque era una persona estremamente ansiosa. Se e' stato un periodo difficilissimo il durante, lo e' stato altrettanto il dopo. Si diceva: "Ha un carattere chiuso, ha un carattere nervoso", ma io penso che quei mesi, a differenza di mia madre che aveva un carattere piu' ottimista, piu' positivo, non se li sia mai scrollati di dosso, abbia continuato a portarseli dietro. Non e' riuscito non dico a dimenticarseli, ma ad allontanarsene, a mettere una separazione tra il prima e il dopo. Non credo che fosse una persona di molte parole, che amasse particolarmente il divertirsi neanche prima, quel che e' certo e' che dopo non lo fece mai: se ne stava sempre chiuso per conto suo, aveva pochi amici, amava leggere, amava scrivere, cose che si fanno da soli. Non amava la compagnia, aveva tutte le caratteristiche di una persona depressa e lo e' stata fino alla fine dei suoi giorni. * La collezione? Era una cosa che lui faceva molto seriamente e gli permetteva di fare grandi studi, storici soprattutto, perche' era una collezione del tutto particolare. Lui collezionava solo francobolli degli antichi Stati italiani e tra questi solo quelli del Regno di Sardegna. Bisogna sapere che i francobolli emessi durante il Regno di Sardegna sono stati, se non sbaglio, diciassette e di questi lui teneva non una, ma due grandi collezioni: una per annulli, cioe' per i diversi timbri postali di tutti i Comuni del Regno di Sardegna che voleva dire Piemonte, Liguria, Sardegna, Nizza e Savoia; e una per colori, la qual cosa era da grandi specialisti, perche', a seconda delle tipografie dove i francobolli erano stampati, i colori erano di sfumature diverse. In Italia erano in pochi a fare collezioni di questo genere e si scambiavano non solo i francobolli, ma anche tutta la letteratura in proposito. Quindi mio padre si occupava anche di storia postale e questo gli consentiva di scrivere di storia, di storia di Torino, di storia del Piemonte ed era sempre indaffaratissimo a vedere, rivedere, scambiare, scrivere lettere e leggere quelle che riceveva. Lo ricordo alla domenica, quando non uscivamo insieme, abbandonarsi a rimirare tutta questa sua collezione... E' stato l'hobby di tutta la sua vita, ma qualcosa di piu' di un hobby, perche' lui ci studiava ed era considerato uno dei pochi esperti in materia che c'erano in Italia a quei tempi. Ma anche li' c'era qualcosa di particolare, qualcosa che lo vedeva impegnato in modo solitario, tranne in occasione di scambi e di mostre. Fra l'altro la collezione richiedeva un grande sforzo per gli occhi, soprattutto per andare a leggere i nomi dei Comuni e vedere le sfumature dei colori. Ha sempre tentato di coinvolgermi nella collezione, ma non ci e' mai riuscito, per cui e' finita venduta. E' uscita dai cassetti di quel mobile prima del diario. * Quello che mi ha colpito in modo particolare e' il fatto che tutto sembrava gia' previsto per la fuga da casa. Evidentemente mio padre ci pensava da tantissimo tempo a quell'eventualita'. Si dice solitamente che gli ebrei son stati colti di sorpresa. Secondo me mio padre, che era uno molto riflessivo, ci pensava gia' da lungo tempo. D'altronde lui era un impiegato pubblico, stava a Roma quando sono state emanate le leggi razziali nel '38 ed era stato immediatamente licenziato... Quindi gia' dal '38 aveva dovuto farci i conti, era dovuto venire via da Roma, andare a Biella in un'azienda di famiglia, dove poteva lavorare. Certamente non e' stato colto impreparato: ha saputo procurarsi documenti falsi, le tessere annonarie, il denaro. A me risulta molto difficile immaginare come una persona da un giorno all'altro possa essere obbligata ad abbandonare la sua casa con poche cose, senza peraltro sapere quando e se potra' mai ritornare. Io, che sono molto legata alle mie cose, sarei imbarazzatissima a fare una valigia, a riempire una valigetta per scappare. Cosa ci metti dentro? Solo vestiario, anche qualcosa da mangiare, anche un libro, del denaro. E come procurarsi il denaro per vivere durante un periodo che non si sa quanto puo' durare? Sarei imbarazzatissima: prendi il cappotto o prendi la camicia leggera? Scappi d'inverno, ma poi sai che stai fuori anche d'estate... Insomma, a me questo abbandono della casa mi ha colpito tantissimo, anche perche' e' poi stata la stessa casa in cui io sono nata e vissuta, perche' mio padre riusci' a ritornarne in possesso. Durante il periodo in cui i miei furono clandestini era stata occupata da dei tedeschi che vissero li'. * C'e' un mistero in tutta questa vicenda, che nessuno, nemmeno i fratelli Angela, hanno saputo svelare ed e' dove mio padre tenesse questo diario durante quel periodo. In fondo la clinica psichiatrica poteva essere sempre rovistata da tutti? Eppure che l'abbia scritto giorno per giorno non ho dubbi perche' tutte le date sono esatte. Prima di pubblicarlo ho fatto le mie verifiche e le date, i luoghi dei rastrellamenti, dei bombardamenti corrispondono, e' tutto molto preciso. Quindi vuol dire che degli appunti se li e' certamente tenuti, dove, non ci e' dato di saperlo. Certamente il diario che io ho trovato e' una riscrittura, dell'originale non c'e' traccia e non se ne parla neanche, quindi io m'immagino dei pezzettini di carta tenuti chissa' dove... * Rimpianti, rispetto a mio padre, ne ho tantissimi, perche' il mio rapporto con lui e' stato estremamente conflittuale, specie quando sono cresciuta e dopo la morte di mia madre, nel '66. E' stata malata un anno del morbo di Hodgkin, e mio padre impazziva perche' allora non c'era ancora la cura per questa malattia e la fine era scontata. Per lui la morte di mia madre fu una catastrofe, anche perche' si appoggiava molto a lei. Ha cercato di trasferire su di me tutto questo appoggio che mia madre gli dava e io mi sono sempre ribellata a svolgere questo ruolo. Avevo sedici anni, non erano certo gli anni per starmene tranquilla vicino a un padre che mi avrebbe voluto in casa con se', sul lavoro con se', in vacanza con se', sempre a badare a lui come una moglie. Invece ero una figlia. Come dicevo, aveva mantenuto questo suo carattere chiuso, triste, per cui divento' molto possessivo nei miei confronti proprio quando io ero in piena ribellione adolescenziale. Non ci capivamo piu' e sono stati anni molto duri quelli che abbiamo vissuto insieme. Erano gli anni in cui io facevo l'universita' e venivo a Torino, cercavo di aprirmi la strada e avevo gia' abbastanza le idee chiare su quello che volevo fare dopo, mentre lui continuava a stare a Biella, e non stava bene, soffriva molto. Mi dispiace molto, ma non posso dire che gli ultimi anni passati con mio padre siano stati degli anni belli... * Mi sembra pure strano, devo dire, da quando ho pubblicato il libro, parlare cosi' tanto di mio padre. Mi sembra anche di fare un torto a mia madre. Il libro ne parla, ma, tutto sommato, poco, mentre dev'esser stata lei la figura forte della situazione. Era la persona sana che doveva assistere la persona malata, quindi lei poteva fare la sana e certamente, col carattere che aveva, molto piu' aperto, molto piu' socievole, contribui' in modo decisivo a tenere in piedi una situazione sempre al limite del crollo. Se ne parla troppo poco nel libro di questo suo ruolo, viene citata poco, anche se sempre con moti elogiativi sul suo comportamento di donna forte. Certamente il fatto che sia morta quando io ero ancora giovane mi ha impedito di parlarle di piu'. Certamente, lei non parlava di questa esperienza, certamente sapeva del diario, ma era un argomento tra me e mio padre, non era un argomento tra me e lei. Non ne abbiamo parlato mai. Per lei era una storia veramente lasciata alle spalle per poter vivere decentemente. E devo dire, fece bene, perche' poi, tutto sommato, ha avuto poco tempo. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1391 del 18 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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