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La nonviolenza e' in cammino. 1382
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1382
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 9 Aug 2006 02:33:41 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1382 del 9 agosto 2006 Sommario di questo numero: 1. Cindy Sheehan: La connessione dei cuori 2. Robi Damelin: Non ci sono vincitori, solo cuori spezzati 3. Barbara Spinelli: Il sonno dogmatico 4. Da una lettera di Sinide Corinzio all'amica sua Eleuteria 5. Zia Jaffrey: Una storia vera a Johannesburg 6. Rosa Luxemburg: La cosa piu' fatale 7. Agnes Heller: Quattro massime 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: LA CONNESSIONE DEI CUORI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan al trentaquattresimo giorno di digiuno contro la guerra. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Giusto un anno fa, il 7 agosto, in cento sfilammo lungo la Prairie Chapel Road, nel terribile calore texano, ed entrammo nella storia. Oggi, notati assai meno, abbiamo marciato lungo la stessa strada, ottenendo il medesimo risultato: il cowboy codardo, detto anche "vorrei essere il capo", non ci incontrera'. Dall'inizio di Camp Casey nell'agosto dello scorso anno, ho viaggiato per migliaia di miglia in tutto il mondo. Sono stata in undici paesi stranieri e in piu' della meta' degli stati americani. Ho incontrato capi di stato e parlamentari, ho parlato in centinaia di conferenze e ho sfilato con centinaia di migliaia di pacifisti in tutto il mondo. Ho ricevuto chiavi di citta', riconoscimenti ufficiali, onorificenze parlamentari e una nomination al premio Nobel per la pace. Ho coronato quest'anno con una visita ad Amman, in Giordania, dove l'altro giorno abbiamo incontrato parlamentari iracheni ed attivisti per i diritti umani che ci hanno parlato del loro paese e delle loro richieste di pace. Ogni singolo iracheno che abbiamo incontrato e' stato terribilmente ferito dall'invasione statunitense e dall'occupazione dell'Iraq. Uno sceicco che abbiamo incontrato ha avuto la porta di casa sfondata ed e' stato trascinato in prigione mentre i soldati stupravano sua moglie. Nel frattempo, il loro figlio adolescente era costretto a guardare. Lo sceicco e' stato torturato in modo tale da non essersi ancora ripreso a tutt'oggi dalle ferite. Io mi sono scusata con lui, in nome degli esseri umani che aborrono la tortura e l'abuso di un essere umano da parte di un altro, e lui ci ha raccontato il seguito orrendo della storia: il sogno di suo figlio e' di comprarsi un fucile estremamente potente e di uccidere piu' americani possibile prima di essere ucciso lui stesso. Ma dopo aver parlato con noi, ha aggiunto, e' sicuro di riuscire a convincere suo figlio ad abbandonare questo proposito, perche' potra' assicurargli che vi sono statunitensi a cui tutto cio' importa. Io penso che se mio figlio avesse visto suo padre torturato e sua madre abusata sessualmente da una forza di occupazione, avrebbe avuto probabilmente la stessa reazione. Vi assicuro, dopo aver parlato con tanti iracheni ed altri che vivono in Medio Oriente, che non abbiamo affatto conquistato ne' i loro cuori ne' le loro menti. * All'aeroporto Queen Alia di Amman, verso le 20 ore di aereo necessarie per giungere a Crawford, sono arrivata con il taxi di Abu Salem. Abu Salem e' un palestinese che vive ad Amman da oltre vent'anni, ed e' un attivista per i diritti umani. La sua famiglia e' stata abbastanza fortunata da fuggire dall'oppressione e riparare in Giordania, dove vivono oltre un milione di palestinesi. Abu Salem aveva le lacrime agli occhi mentre mi raccontava quanto la Palestina gli manchi. Abbiamo parlato di come noi si sia tutti simili dentro, non importa che colore abbiamo, che religione professiamo, che lingua parliamo, o dentro quali confini artificiali siamo accidentalmente nati. Abbiamo tutti gli stessi cuori. E tutti i nostri cuori sono connessi. Quando, pur con difficolta', ho detto ad Abu Salem che persino il cuore di George Bush era connesso ai nostri, ho pensato che sfasciasse il taxi contro qualcosa. Ha urlato: "Al diavolo Bush! Quell'uomo non ha cuore, e' un demonio!". Ho replicato sommessamente, mentre io stessa capivo qualcosa di nuovo: "No, Abu Salem, il suo cuore e' connesso ai nostri. Il suo cuore lo ha solo dimenticato". Non ha importanza quanto io lotti con questo fatto, ma anche George Bush e' un essere umano. Non ha importanza quanto si sia allontanato dalla sua stessa umanita', e quanto sembri sguazzare insensibilmente nel massacro di esseri umani innocenti e nella distruzione di un paese che non era una minaccia per noi: lo stesso creatore dell'universo che ci ha creati, ha creato anche lui. Lo stesso creatore che ha creato bambini in Palestina, Libano, Iraq, Afghanistan e Israele, ha creato George. Lo stesso creatore che ha fatto il mio caro, fedele e dolce figlio Casey, ha creato George. Per quanto possa non piacerci, e' fondamentalmente vero. * Percio', ecco la missione di Camp Casey per quest'anno: ricordare a George e al resto della sua amministrazione che i loro cuori sono connessi ai nostri e a quelli delle persone innocenti che in tutto il mondo vengono uccise dalla loro insensata avidita'. Fa parte della nostra missione anche ricordare alla gente che negli Usa ancora sostiene la carneficina, che i loro cuori sono connessi a quelli dei bambini che vengono uccisi senza pensarci. Io capii dall'inizio della guerra contro l'Iraq che George stava uccidendo persone connesse al mio cuore. Capisco ora che sta uccidendo i miei fratelli e le mie sorelle del cuore, ed io non posso accettarlo. La gente dell'Iraq vuole che gli americani se ne vadano. Scrivero' un rapporto su cio' che vogliono gli iracheni, mentre staro' seduta davanti al ranch di George, domani, per ricordargli che ha ucciso una larga parte del mio cuore e del suo il 4 aprile 2004 (data in cui Casey Sheehan, figlio di Cindy, mori' in Iraq - ndt) e che sta uccidendo altri figli nostri ogni giorno. George sta facendo il suo cuore a pezzi pericolosamente piccoli. Io so che non vorrei incontrare il mio creatore con tante morti inutili sul cuore. In piedi o seduta, chiedero' per tutto questo mese a George di smettere di uccidere il cuore della mia famiglia, di mettere se stesso e la sua amministrazione al lavoro per la pace, e di smettere di uccidere per giustificare le uccisioni precedenti. * Fa caldo, qui. Ma in Iraq e' piu' caldo. Ho fame. Ma ho la possibilita' di smettere il digiuno quando voglio, mentre gli iracheni vengono fatti saltare in aria se solo vanno al mercato. Casey mi manca terribilmente, ma ci sono persone che hanno perso la propria famiglia per intero, e le cui case sono state distrutte. Le condizioni a Crawford possono essere ostili, tanto che uno dei miei nuovi vicini di casa ha affisso un cartello sulla sua siepe che recita: "Perche' digiunare? Muori di fame!" (non penso sia un segno di buon vicinato, che ne dite?), ma le condizioni in Medio Oriente non hanno paragone. Lavorare per la pace non e' cosa da deboli. La forza viene attraverso la pace. Unitevi a noi per la pace. 2. TESTIMONIANZE. ROBI DAMELIN: NON CI SONO VINCITORI, SOLO CUORI SPEZZATI [Dalla mailing list femminista e pacifista "Lisistrata" (per contatti: lisistrata at yahoogroups.com) riprendiamo il seguente appello di Robi Damelin diffuso anche dal movimento pacifista israeliano "Gush Shalom" e pubblicato sul sito di "Haaretz" (www.haaretz.com), tradotto in italiano da Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at fastwebnet.it ). Robi Damelin e' la madre di David Damelin, che e' stato ucciso nel marzo 2002; fa parte di "Parents Circe Families Forum. Bereaved Israeli and Palestinian Families supporting Peace, Reconciliation and Tolerance". Floriana Lipparini, giornalista (tra l'altro ha lavorato per il mensile "Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche diretto, occupandosi soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia), impegnata nel movimento delle donne (Collettivo della Libreria Utopia, Donne per la pace, Genere e politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha coordinato negli anni del conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista delle donne di Rijeka, un'esperienza di condivisione e relazione nel segno del femminile, del pacifismo, dell'interculturalita', dell'opposizione nonviolenta attiva alla guerra, da cui e' lentamente nato un libro, Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi, edito in Croazia da Shura publications, in edizione bilingue, italiana e croata] La retorica su questa guerra mi fa pensare a una gara sportiva. Noi battiamo loro di tanti punti, oppure loro battono noi di tanti punti. Ma non e' di punti che stiamo parlando e non c'e' un premio. I punti sono esseri umani con famiglie che tentano di fuggire a volte riuscendovi e a volte no. Che parte prenderemo nella gara? Dopo tutto, ci sentiamo molto bene con noi stessi quando abbiamo una parte da prendere. Sceglieremo il verde in Libano - loro sono i disperati - o sceglieremo il blu in Israele? Ci sentiremmo meglio forse rispetto al blu se avessero perso piu' uomini. E' questo il modo in cui il mondo guarda a un conflitto, come una gara gloriosa? In questa gara dobbiamo naturalmente avere un vincitore, altrimenti come potremo mai sederci e parlarci l'un l'altro? Percio' il verde e il blu andranno avanti rivendicando la vittoria fino all'ultimissimo uomo, o fino a quando si renderanno conto che nessuno vince? E poi cosa? Abbandoneremo la battaglia per leccarci le ferite? Torneremo a vivere? Per alcuni, la vita dopo non sara' piu' la stessa. E i nostri cari che non vedremo mai piu'? Per cosa hanno perso la vita? Un altro status quo? Una vita di incertezza, una roulette di sopravvivenza? Il mio cuore duole per ogni immagine di vittime che vedo sui giornali. So cosa aspetta la madre, il padre, la famiglia e tutti gli amici. Conosco l'attesa, la pena e gli occhi costantemente colmi di lacrime, ansia e sofferenza. Non c'e' vincitore, solo una smisurata collezione di cuori spezzati. * Madri d'Israele, Libano e Palestina: quante altre tombe prima di gridare basta? Quanti altri pianti collettivi prima di gridare basta? Guardiamoci negli occhi e riconosciamo il dolore di ognuno con empatia; guardiamo gli esseri umani oltre il verde e il blu. Obblighiamo tutti a parlare intorno a un tavolo e non intorno a una tomba. Quanti altri nostri figli devono morire prima di renderci conto che non c'e' vendetta per un bambino perduto? Non possiamo lasciare che portino via i nostri figli senza dire una parola. Dov'e' la nostra voce in tutta questa follia? Madri d'Israele, Libano e Palestina, dobbiamo unirci nel sentimento della comprensione, e gridare: basta uccidere, basta uccidere. Per molti anni abbiamo risposto alla gara di violenza, e' tempo di cercare un'altra via, non piu' la retorica della vittoria ma piuttosto la via del dialogo verso la riconciliazione, la scelta di vedere l'essere umano oltre lo schema - in altre parole, riconoscere il nostro dolore comune. A coloro in Libano che hanno perso i propri cari nel conflitto: vi invitiamo a mettervi in contatto con i membri israeliani e palestinesi del Parents Circle Families Forum. Vi invitiamo a lavorare con noi per un dialogo a lungo termine che punti alla riconciliazione. Noi che abbiamo pagato il prezzo piu' alto comprendiamo le conseguenze di un'infinita retorica della vittoria. Vi invitiamo a guardare a un futuro di qualche speranza per i figli della nostra aerea. Un futuro libero dalla violenza, dalla paura. Possiamo forse appellarci al mondo e dire: smettete di prendere parte alla gara, non state aiutando. Gli israeliani non scompariranno in un soffio di fumo, nemmeno i palestinesi e neanche i libanesi. Non state aiutando nessuno. Forse e' tempo per tutti voi di sostenere il dialogo verso un lungo processo di riconciliazione. Rinunciamo al verde e al blu e creiamo un colore comune. 3. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: IL SONNO DOGMATICO [Dal quotidiano "La stampa" del 6 agosto 2006 riprendiamo il seguente articolo (disponibile anche nel sito www.lastampa.it). Barbara Spinelli e' una prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001, 2004; una selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del quotidiano (www.lastampa.it)] Gli israeliani lo sperimentano sulla propria pelle ogni giorno, da quando il 12 luglio si son trovati nell'obbligo di rispondere a un attacco hezbollah che non ha piu' come scusa i territori occupati, ma e' un'aggressione che minaccia esistenzialmente Israele ed e' al contempo laboratorio di uno scontro Iran-Usa: in questa guerra libanese sono in realta' soli, nonostante le attestazioni solidali che vengono da Bush e Blair. Non si sentono rassicurati neppure dall'accordo, ambiguo, che si delinea fra Parigi e Washington al Consiglio di sicurezza Onu. Quella congerie di stati cui viene dato il nome falso di comunita' internazionale si agita, domanda la "piena cessazione delle ostilita'", ma non osa chiedere che essa sia "immediata" e simultanea. Nell'immediato devono cessare gli attacchi hezbollah e le operazioni offensive israeliane: una formula che consente a Israele di restare in Libano per operazioni difensive, ma che non gli risparmiera' aggressioni. Difficilmente infatti Hezbollah - non sconfitto - accettera' la tregua. Alcuni governi europei son pronti a schierare soldati per aiutare l'esercito libanese a conquistare il monopolio della violenza ai confini meridionali, ma e' improbabile che intervengano finche' la tregua sara' ambigua: un'ambiguita' cui l'amministrazione Usa non sembra rinunciare. Quel che Bush desidera e' la continuazione della guerra contro Hezbollah, fatta da Israele o da altri: gli strumenti impiegati possono cambiare ma non l'obiettivo, e l'obiettivo e' una guerra-test con l'Iran, con la Siria, per interposte persone. E' come se l'amministrazione volesse proprio quello che sta accadendo: lo stato d'Israele sprofondato in un conflitto che sta perdendo, il Libano che e' stato scardinato e offeso, l'Iran e la Siria che manovrando Hezbollah son divenuti attori di primo piano in Medio Oriente e nell'Islam, e in quanto tali vengono messi in guardia e minacciati. Poi c'e' il conflitto in Iraq, da cui l'odierna catastrofe discende e che il Libano ha oscurato: anche qui, e' forte l'impressione di un voluto ampliamento dei disastri. Ogni giorno muoiono cento civili in Iraq, ma e' la guerra in Libano che occupa le prime pagine dei giornali. In America, lo spazio televisivo dedicato a Baghdad e' caduto del 60% fra il 2003 e questa primavera. Una manna, per il governo americano: fin quando dura la piaga libanese, Washington non dovra' rispondere del caos suscitato - tramite l'Iraq - in Medio Oriente e nel mondo. Non son pochi gli israeliani che cominciano a intuire il terribile ingranaggio in cui rischiano di restar impigliati: un ingranaggio che fa del loro Paese il tassello della strategia Usa di esportazione della democrazia e di guerra mondiale antiterrorista, e che ha finito col debilitare Israele anziche' proteggerlo. Una strategia che ha tutta l'aria di trattare Israele come un mezzo, non un fine come Bush pretendeva. Lo storico Tom Segev s'indigna sulle colonne di "Haaretz", denunciando una politica americana che lascia solo Israele, che lo aizza in guerre perdenti, che ha perduto ogni autorita' nel mondo. Daniel Levy che ha partecipato a numerosi negoziati di pace (Oslo, Taba, accordi di Ginevra) scrive che Israele non puo' continuare a subire una linea dettata fin dal '96 da neoconservatori come Richard Perle e Douglas Feith ("Haaretz" del 4 agosto 2006). E ricostruisce quella linea, che i neocon suggerirono all'allora premier Netanyahu e che aveva come scopo la fine delle trattative di pace e una rivoluzione nei rapporti tra Israele e Usa. Oggi, essi adoperano la guerra libanese per rifarsi della bancarotta irachena. * Molti (Tom Segev, Avi Schlaim sull'"Herald Tribune") sostengono che l'America non aiuta piu' Israele, dal momento che l'aizza invece di disciplinarlo: "Mai nella nostra storia e' accaduto che Washington ci spronasse cosi' poco all'autocontrollo", scrive Schlaim, ed e' il motivo per cui gli Stati Uniti "sono ormai parte del problema e non della sua soluzione". Segev sospetta che le modalita' della guerra libanese nascano da un coordinamento con Washington e ricalchino il modello Iraq, con effetti perniciosi: anche questa guerra sembrava facilissima, anch'essa era un tassello d'una vasta lotta contro "l'asse del male", e la degenerazione insidia anche lei. Uscire dall'Asse del Bene, ritrovare la realta' di questioni e guerre che hanno origini locali: e' questa l'opportunita', per i critici dell'America in Israele, di uscire dal sonno dogmatico che l'alleanza esclusiva con Washington impone agli israeliani. Il sonno dogmatico sacrifica l'esperienza, sull'altare di concetti generali e globalizzanti; non vede il particolare, dunque il reale. Secondo Levy, questo e' il vizio dei neoconservatori che da un decennio propugnano un Nuovo Medio Oriente, una rottura netta con le passate politiche israeliane (cosi' s'intitola il documento del '96, A Clean Break). Il loro obiettivo: spingere i governi israeliani ad abbandonare la strategia di restituzione dei territori; incitarli a regolare i conti con Siria, Iran, Autorita' palestinese; convincerli a cercare un'autosufficienza che spezzi le pratiche del contenimento e della cooperazione internazionale tornando ai vecchi equilibri di potenza. La cosa piu' esiziale e' stata quando questa visione si e' intrecciata con quella degli evangelicali, in cui Bush si riconosce. Gli evangelicali americani sono filo-israeliani solo in apparenza. Nei loro affreschi messianici la nazione ebraica deve disporre di territori possibilmente vasti, per poter accogliere il secondo avvento di Cristo. Un avvento non promettente per gli ebrei: nei Tempi Finali Israele sara' convertito, distrutto. Anche per gli evangelicali Israele e' un mezzo, non un fine. Chi aspira all'uscita dal sonno dogmatico chiede passi politici sostanziali anche se scabrosi, per il Libano. Chiede che si negozi col nemico (fu Rabin a dirlo, dopo gli accordi di Oslo nel '93: "Con chi dobbiamo negoziare, se non con il nemico? La pace non si fa con gli amici!"). Chiede il ritorno alla diplomazia, alla restituzione delle terre, e se la guerra e' necessaria: che sia la continuazione di una politica, non di una non-politica. L'uso americano d'Israele e' un male che puo' rivelarsi grande, ed e' la ragione per cui Segev e altri sperano disperatamente nell'Europa: "La spinta su Israele perche' eserciti autocontrollo non viene piu' da Washington, ma dagli europei". Il senso delle realta' locali sono gli europei ad averlo. Bisogna negoziare con l'Iran, con la Siria: gli europei ne sono convinti e sapranno farlo. La maniera in cui Israele viene adoperato (come non-persona) e' utile a tutti coloro che si sentono orfani di lotte ideologiche fra bene e male, fra destra e sinistra. Israele e' pedina dispensabile, in quest'ordine del giorno interamente occidentale. * "Anche se 'íAmerica conquistasse l'Iran, a Israele restera' pur sempre l'obbligo di vivere accanto ai palestinesi", spiega Segev. Il che vuol dire: Israele deve capire di cosa e' fatto l'odio hezbollah in Libano, deve distinguerlo da quello di Hamas nelle terre occupate, deve tener conto che la Siria reclama con ragione la restituzione delle alture del Golan. Hezbollah e' una malattia difficilmente estirpabile perche' non e' solo una cellula terrorista: in Libano e' al governo e ha un'agenda politica, si occupa di sanita' e scuola in regioni povere, e' profondamente scontento per come gli sciiti sono emarginati, nonostante l'alta loro forza demografica (40-50% della popolazione. Gli equilibri attuali si basano sul censimento del 1932, che premiava sunniti e cristiani). Secondo Robert Pape, studioso di terrorismo a Chicago, il "Partito di Dio" e' proteiforme, raccoglie tutti coloro che hanno combattuto i 18 anni d'occupazione israeliana. Nel suo libro sul terrorismo, ha studiato da vicino il profilo di 38 hezbollah kamikaze: "Ho scoperto che solo 8 erano fondamentalisti islamici. 27 appartenevano a gruppi di sinistra (Partito comunista, Unione socialista araba), 3 erano cristiani, tutti erano libanesi" ("New York Times" del 3 agosto 2006. Il libro s'intitola: Dying to Win - Morire per vincere, Usa 2005): Studiare piu' da vicino e non da lontano: uscire dai sonni dogmatici comincia cosi', aiutando davvero Israele. Ed e' significativo che a mostrare la strada siano studiosi di terrorismo come Pappe. O come Jessica Stern, che suggerisce di non mescolare Iraq e Libano, guerra globale anti-terrore e guerre locali: "Gli errori fatti su un fronte guastano l'efficacia nell'altro, anche perche' gli eventi (Guantanamo, Abu Ghraib, Cana) vengono filmati, confermando l'idea che l'Occidente stia combattendo una guerra contro l'Islam" ("The Boston Globe" del primo agosto 2006). Da questo punto di vista, scrive Stern, i terroristi hanno vinto. Il Gihad e' divenuto una "moda globale", non diversa dai violenti ritmi del gangsta rap: si nutre di bambini morti, di risentimento, pervadendo le zone di conflitto come le citta' d'Occidente. Ignorare questi pericoli e' sonno dogmatico. Lo dice Thomas Friedman, che approvo' la guerra in Iraq e ora invita a riconoscerne il fiasco. Essa ha moltiplicato il terrorismo, ha irrobustito l'Iran suscitando negli sciiti una sete di rivincita mondiale, e ha lasciato solo Israele. Dunque oggi non resta che trattare con l'Iran oltre che con la Siria, "cosi' come la Casa Bianca tratto' nel 2003 con la Libia" ("New York Times" del 2 agosto 2006). Non si puo' ottenere da Ahmadinejad la rinuncia all'atomica, e al tempo stesso tenere l'Iran sotto tiro. Bisogna dargli precise garanzie di sicurezza, simili a quelle date a Gheddafi. Bisogna instaurare con Teheran una guerra fredda, fondata sul suo contenimento anziche' sul suo arretramento forzato (roll-back). Si dira' che il comunismo sovietico non colpiva come oggi vengono colpiti Israele e Occidente. Ma l'Urss non aggrediva alla maniera di Hezbollah perche' contenimento e dissuasione avevano funzionato, non perche' esistessero buone condotte da premiare. E' questa dissuasione che oggi non funziona e per questo Washington barcolla come un ubriaco, fra la brama di abbattere regimi avversari e il desiderio - limitato ma piu' praticabile - di modificare i loro comportamenti. 4. CARTEGGI. DA UNA LETTERA DI SINIDE CORINZIO ALL'AMICA SUA ELEUTERIA [Ringraziamo il nostro vecchio amico esercente dalle parti dell'istmo di Corinto nel ramo dei tributi e del legname per averci messo a disposizione questa sua lettera] Carissima Eleuteria, solo una banale osservazione: si puo' benissimo sedere in parlamento e votare no alla guerra. La sinistra italiana, con tutti i suoi limiti e difetti, lo ha fatto per tanti anni. La tesi secondo cui le persone impegnate per la pace non possono stare in parlamento senza rinunciare a un impegno limpido e intransigente per la pace implica che la cosa pubblica possa e debba essere governata solo dagli assassini e dai loro complici, che a fare le leggi siano abilitati solo i bellicosi, che la rappresentanza democratica escluda chi e' contrario ai massacri. E' vero l'esatto contrario: la Costituzione fa obbligo a ministri e parlamentari di opporsi a una guerra come quella afgana (e ad ogni guerra che non sia strettamente difensiva del territorio, della popolazione e dell'ordinamento giuridico del nostro paese). Non c'e' bisogno di ricordare quell'aurea opinione di Hannah Arendt ("Si puo' sempre dire un si' o un no") per sapere che alla guerra occorre votare no. Quattro parlamentari lo hanno fatto, tutti gli altri si sono accodati a Berlusconi, che la partecipazione militare italiana alla guerra afgana ha voluto (e naturalmente ne ha votato l'ennesimo rifinanziamento). Amen. 5. STORIE. ZIA JAFFREY: UNA STORIA VERA A JOHANNESBURG [Dal quotisiano "Il manifesto" del 6 agosto 2006 riprendiamo il seguente racconto di Zia Jaffrey, nella traduzione di Maria Antonietta Saracino. Zia Jaffrey e' una giornalista e scrittrice americana. Dalla medesima fonte riprendiamo anche la seguente scheda sull'autrice: "Autrice di racconti, saggi e articoli, Zia Jaffrey e' nota negli Stati Uniti soprattutto per un libro singolare, in bilico fra narrativa e reportage, The Invisibles. A Tale of the Eunuchs in India, uscito per Vintage nel 1996: attraverso testimonianze dirette raccolte nel corso di una ricerca svolta sul campo, il libro ricostruisce la storia e le storie degli 'hijiras', una comunita' folta quanto elusiva, da molti considerata una subcultura, che ha tuttavia una tradizione antica e complessa. La scrittrice e' nata a New York da genitori indiani di religione hindu immigrati in America per lavorare nel cinema, ha trascorso alcuni anni in India presso parenti, ma ancora bambina e' tornata a vivere stabilmente a New York, dove si e' laureata in letteratura inglese, alla Columbia University. Dopo un'esperienza come redattrice per la casa editrice Simon & Schuster, e poi per la rivista "The Nation", ha avviato una serie di collaborazioni per diverse testate (fra l'altro i quotidiani "New York Times" e "Washington Post" e le riviste "Elle", "Vogue" e "Marie Claire") scrivendo numerosi reportages dal Medioriente, dal Pakistan, dal Sudafrica. Attualmente Zia Jaffrey, che insegna letteratura contemporanea alla New School University di New York, sta lavorando a un libro di racconti (da cui e' tratto il testo inedito che presentiamo in questa pagina) in cui rielabora una serie di storie sull'aids in Sudafrica raccolte dalla viva voce dei protagonisti. Maria Antonietta Saracino, anglista, insegna all'Universita' di Roma "La Sapienza"; si occupa di letterature anglofone di Africa, Caraibi, India e di multiculturalismo. Ha curato numerosi testi, tra cui Altri lati del mondo (Roma, 1994), ha tradotto e curato testi di Bessie Head (Sudafrica), Miriam Makeba (Sudafrica), la narrativa africana di Doris Lessing e Joseph Conrad, testi di Edward Said, di poeti africani contemporanei, di Aphra Behn; ha curato Africapoesia, all'interno del festival Romapoesia del 1999; ha pubblicato saggi sulle principali aree delle letterature post-coloniali anglofone, collabora regolarmente con le pagine culturali de "Il manifesto" e con i programmi culturali di Radio3] All'ingresso dell'edificio nel quale ha sede il Tribunale per i diritti di famiglia, proprio al centro di Johannesburg, mi hanno perquisito, volevano accertarsi che non avessi armi, poi mi hanno detto di andare al secondo piano. Lassu', ad attendermi sul pianerottolo in cima alle scale, ho trovato Cynthia Molefe, una donna prossima alla quarantina, alta, che portava una sciarpa di seta e numerosi bracciali al polso. Cynthia lavora come interprete presso il tribunale. Mi ha guidato verso una rotonda, un posto, mi ha detto, dove avremmo potuto sederci e parlare con tranquillita'. Questa e' la storia che mi ha raccontato. Era un mercoledi', la fine di una normale giornata di lavoro, quando il maggiore dei suoi figli, Sishle, che l'aveva raggiunta in ufficio con i fratellini, le aveva chiesto di andare al gabinetto. Sishle aveva undici anni e portava ancora indosso la divisa della scuola. Cynthia aveva appena chiuso a chiave la porta dell'ufficio e non vedeva l'ora di tornare a casa. "Non ce la fai proprio ad aspettare?", aveva domandato al bambino. "No, mamma, ti prego", aveva risposto lui. "Allora vai, ma fa' presto", aveva ribattuto la donna. A pochi metri di distanza da quell'ufficio sorgeva la famigerata stazione di polizia di John Vorster Square, l'edificio nel quale, ai tempi dell'apartheid, attivisti neri e indiani erano stati torturati con scariche elettriche, costretti a strisciare sul pavimento con le mani spezzate o scaraventati giu' dalle finestre del decimo piano, ancora vivi. Orrori che le audizioni del Tribunale per la Verita' e la Riconciliazione avevano portato alla luce ponendoli dinanzi agli occhi distratti della popolazione bianca del Sudafrica. Gli altri, coloro che erano stati costretti a soggiornare per tempi anche brevi in quei locali, al solo sentir nominare John Vorster Square si sentivano percorrere il corpo da brividi gelati. L'ombra di quel passato incombeva ancora sul presente. Ma erano passati otto anni, il Sudafrica adesso era un paese libero e Sishle, il figlio di Cynthia, voleva semplicemente andare al gabinetto. * Si era fatto tardi, erano passate le sei del pomeriggio, e Sishle percorse correndo il corridoio per raggiungere il bagno degli uomini, accanto al ballatoio su cui si affacciavano le scale. Il bambino entro'. Lo investi' un tanfo insopportabile. Era un locale piccolo, senza finestra, con un lavandino e un gabinetto. Quando Sishle apri' la porta, quello che vide lo blocco' di colpo. Ritorno' indietro di corsa, urlando: "Mamma, vieni, presto, nel gabinetto c'e' un bambino appena nato!". "Non dire sciocchezze - rispose Cynthia - avrai disturbato qualcuno; sicuramente la madre del bambino e' ancora in bagno...". Sishle pero' insisteva: "No, mamma, il bambino e' li' da solo, ed e' tutto nudo". La donna si precipito' allora verso il bagno, e quando vide quello che suo figlio - poveretto - aveva dovuto vedere, anche lei si spavento' a morte. Buon Dio, il neonato c'era davvero, ed era per terra. Era stato abbandonato la', accanto alla tazza del gabinetto. Il cordone ombelicale ancora umido, tagliato di fresco. Attorno a una caviglia c'era la fascetta di un ospedale, ma i dati erano stati cancellati. Chi mai aveva potuto infilare nella minuscola bocca del proprio bambino due palline di carta igienica arrotolate con cura lasciandolo li', a morire? A terra, senza una coperta, un pannolino, niente di niente! Il piccolo respirava ancora, ma il corpo era gelato. La donna aveva persino paura a prenderlo in braccio. In preda al panico ordino' a Sishle di correre al piano di sopra a chiamare sua sorella che lavorava nell'infermeria, perche' portasse in fretta una coperta. Insieme, le due donne corsero al quinto piano, dove c'era la cucina, accesero la stufa e vi si accostarono, per dare al piccolo un po' di calore. Con il cellulare, Cynthia chiamo' immediatamente la sorveglianza del palazzo, e subito dopo telefono' alla polizia, nell'edificio di John Vorster Square. L'addetto della sorveglianza in servizio quel pomeriggio, un giovanotto che si chiamava Polite, a sua volta si mise in contatto con il suo capo, un giovanotto bianco di nome Stols. Cynthia attese la polizia a lungo, molto a lungo, ma non arrivo' nessuno. Apparve invece Mr Stols, insieme a un'amica. Decisero che sarebbe stato lui, con la sua macchina, a portare il neonato in ospedale. Nel frattempo il piccolo non aveva mai aperto gli occhi. Per non vedere quanto male c'e' a questo mondo, pensava Cynthia. Era un maschietto dai lineamenti delicati, un piccolo africano dalla pelle piuttosto chiara. Doveva avere all'incirca due giorni. Si era fatta sera. Prima di lasciare l'edificio Cynthia decise di telefonare ai giornali. Era furiosa nei confronti della polizia, al solo pensiero di essere stata lasciata sola, con un neonato in quelle condizioni. Il comportamento dei poliziotti non le era davvero andato giu'. Telefono' al "Sowetan". Racconto' tutto quello che era accaduto e sottolineo': "E' passata un'ora, ormai, e qui non si e' ancora fatto vedere nessuno. Quando li ho chiamati per insistere, ho parlato con un poliziotto molto maleducato, mi ha ripetuto piu' volte che sarebbero arrivati, mi ha detto che non stava a me ricordargli che e' loro dovere intervenire". Con il poliziotto il tono della donna era stato sarcastico: "Siete a John Vorster Square, a pochi minuti a piedi da questo ufficio: cosa c'e'? vi serve forse un visto apposito, per arrivare fin qui?", e aveva interrotto la comunicazione. "Questa cosa deve uscire sulla stampa - Cynthia disse al giornalista del "Sowetan" - bisogna scriverlo, che la polizia si comporta cosi'. E che noi non abbiamo nessuna fiducia". Il giornalista le domando' se era d'accordo che pubblicassero il suo nome. No, rispose lei, preferiva conservare l'anonimato. Cynthia torno' a casa. Si sentiva a pezzi. Perche' aveva consegnato ad altri quel bambino? In fin dei conti avrebbe potuto portarlo a casa con se'. Ma sapeva che era sbagliato. Era furiosa e disgustata. Non riusciva a immaginare come qualcuno avesse potuto abbandonare quel piccino in un gabinetto. Pensava, come e' possibile fare una cosa del genere a un bambino appena nato, oggigiorno ci sono assistenti sociali, e tante persone che avrebbero potuto rendersi utili, proprio in quello stesso edificio. Pensava: il neonato e' innocente, non e' stato lui a chiedere di venire al mondo, perche' deve soffrire in questo modo? Immagina, si chiedeva, che cosa sarebbe successo se qualcuno, entrando in quel gabinetto, avesse trovato il piccolo gia' morto? Immagina. * L'indomani Cynthia stava ancora peggio. Si sentiva morire. Ormai fra lei e quel bambino si era creato un legame. Mio Dio, devo assolutamente ritrovarlo, pensava. E cosi' comincio' a telefonare, uno dopo l'altro, a tutti gli ospedali della zona. Ma tutti le rispondevano che no, di quel neonato non sapevano proprio niente. Cynthia riflette', perche' continuo a chiamare gli ospedali? e' quel Mr Stols che devo cercare. Chiamo' la sorveglianza e si fece dare il numero. L'uomo le racconto' che aveva tentato di far accettare il piccolo in ospedale: "Ma nessuno ha voluto prendersene cura, alla fine l'ho portato al Cotlands Baby Sanctuary, un istituto per bambini abbandonati". Mr Stols aggiunse che era riuscito a rintracciare quel ricovero solo intorno a mezzanotte. E che, una volta la', gli avevano chiesto di dare un nome al piccolo. Cosi' lo aveva chiamato Mark. Di nuovo Cynthia si arrabbio'. Il bambino, pensava, avrebbe dovuto chiamarsi Victor, il vincitore. Una vittoria che si era guadagnata. Oppure Blessing, Benedetto. Era stato suo figlio, Sishle, a suggerirglielo la sera prima, quando aveva detto: "Mamma, questo bambino per noi e' una benedizione, una benedizione che ci arriva dal cielo". * Il giorno dopo sul "Sowetan" usci' un articolo, e un altro anche su "Beeld", un quotidiano di lingua afrikaans, e questo per merito di Mr Stols. Fu solo allora che Cynthia venne a sapere con precisione quanto era accaduto quella sera all'uomo. Dopo che ebbe lasciato l'edificio del tribunale, Mr Stols era andato al Coronationville Hospital dove era riuscito con grande fatica a fare in modo che il neonato venisse visitato. Ma il medico gli aveva detto che l'ospedale non poteva ricoverare un bambino abbandonato. Uscito di la', mentre correva sull'autostrada alla ricerca di un altro ospedale - nel frattempo il piccolo si era svegliato e urlava per la fame - Mr Stols era stato fermato dalla polizia che lo aveva multato per eccesso di velocita', nonostante i suoi tentativi di spiegare la situazione. Era stato pero' proprio il poliziotto a suggerirgli di andare alla stazione di polizia di Brixton dove, aveva detto, c'era uno speciale ufficio che si occupava dell'infanzia abbandonata. Arrivato sul posto, pero', l'uomo era stato informato che quell'ufficio non esisteva piu'. E che doveva rivolgersi al comando centrale di polizia di John Vorster Square. Che doveva tornare al posto da cui era partito. E una volta la' la polizia gli aveva comunicato che avrebbe dovuto sporgere una denuncia. Gli avevano dato dei moduli da riempire, ma l'uomo era esploso: "Non e' mio compito, aprire una pratica, - aveva gridato schiumando di rabbia - questo e' compito vostro, della polizia di John Vorster Square!". Era calata la notte. Per fortuna, mentre Mr Stols discuteva con i poliziotti, la sua amica, Nicolette Parry, aveva saputo per telefono dalla sorella dell'esistenza del Cotlands Baby Sanctuary. E cosi' i due ci erano andati, ancora furibondi: "Per tutto il tempo in cui abbiamo avuto a che fare con la polizia, sembrava che il piccolo fosse un animale, o qualcosa del genere", avrebbe detto piu' tardi Nicolette Parry. * Fu allora che il sovrintendente della stazione di polizia di John Vorster Square chiamo' Cynthia al cellulare. Come avesse fatto a procurarsi il suo numero, lo sapeva il cielo. La donna aveva la sensazione che, per coprire il fatto che la polizia non era intervenuta al momento giusto, quell'uomo cercasse di insinuare qualcosa sul suo operato. Si aspettava forse che lei lo aiutasse a dare della vicenda la versione che gli faceva comodo? A un certo punto, il poliziotto disse addirittura: "Eravate a pochi metri di distanza da John Vorster Square, perche' non siete venuti voi stessi, velocemente, al distretto di polizia?". Ma Cynthia fu svelta a ribattere: "In che modo, con quel bambino, nudo e gelato, che avrebbe potuto morirmi tra le braccia? Voi davvero avreste preteso che io arrivassi correndo fino a John Vorster Square?". Si', la donna era davvero molto arrabbiata con quel poliziotto. Qualche giorno dopo Cynthia chiamo' il Cotlands Baby Sanctuary. La sua decisione era presa. Era una madre di tre figli che allevava da sola, spiego'. Ma doveva assolutamente continuare a rivedere il piccolo Mark (o Victor, o Blessing). La sua richiesta fu accolta. Anche Nicolette Parry e Mr Stols chiesero di poter mantenere un contatto con il bambino. E anche a loro fu risposto di si'. * Marzo 2002. A pochi chilometri di distanza dall'edificio del tribunale, a Rosebank, una zona elegante della citta', su un muro di mattoni, qualcuno ha dipinto a grandi lettere a stampatello la frase: "Madri, vi preghiamo, non abbandonate i vostri figli a causa dell'aids". Una giovane donna africana, dritta come un fuso, se ne sta li' davanti, completamente immobile, ferma a un incrocio, con le macchine che le sfrecciano accanto. Pare uscita da un dipinto di Monet. Indossa una camicetta bianca in stile vittoriano, colletto alto e maniche lunghe, e una gonna bianca di cotone che le arriva alle caviglie. Con una mano tiene un quadrato di cartone su cui c'e' scritto, "Sono disoccupata. Vi prego, aiutatemi. Che Dio vi benedica". Con l'altra regge un parasole aperto sulla testa, sostenendolo per il manico sottile, leggermente piegato per fare ombra al suo bambino che porta legato sulla schiena con una stoffa di colore giallo luminoso, e ripararlo dal sole. 6. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: LA COSA PIU' FATALE [Da Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 189. E' un passo da una lettera del dicembre 1914 alla redazione del "Labour Leader". Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi, Torino 1975, 1976; Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976 (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori, Milano 1977; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore 1970; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia, Milano 1974; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta, Milano 1977] La cosa piu' fatale per il futuro del socialismo sarebbe che i partiti operai dei diversi paesi decidessero di accettare pienamente la teoria e la prassi borghesi, per le quali e' naturale ed inevitabile che i proletari delle diverse nazioni in guerra si sgozzino reciprocamente al comando delle loro classi dominanti, per tornare poi, dopo la guerra, a scambiarsi abbracci fraterni, come se niente fosse successo. (...) Il terribile reciproco macello di milioni di proletari, cui stiamo adesso assistendo con orrore, queste orge del truce imperialismo che sotto l'ipocrita insegna della "patria", della "cultura", della "liberta'" e del "diritto dei popoli" distruggono paesi e citta', offendono la civilta' e calpestano il diritto dei popoli, sono un puro tradimento del socialismo. 7. MAESTRE. AGNES HELLER: QUATTRO MASSIME [Da Agnes Heller, Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 56. Agnes Heller, illustre filosofa ungherese, nata a Budapest nel 1929, sopravvissuta alla Shoah, allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata dall'Ungheria, ha poi insegnato in Australia e in America. In Italia e' particolarmente nota per la "teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro paese un notevole dibattito anche con riferimento ai movimenti degli anni '70. Su posizioni democratiche radicali, e' una interlocutrice preziosa anche laddove non se ne condividessero alcuni impianti ed esiti teorici. Dal sito della New school for social research di New York (www.newschool.edu) presso cui attualmente insegna traduciamo questa breve notizia biografica essenziale aggiornata al 2000: "Nata nel 1929 a Budapest. Sopravvissuta alla Shoah, in cui ha perso la maggior parte dei suoi familiari morti in diversi campi di concentramento. Allieva di Gyorgy Lukacs dal 1947 e successivamente professoressa associata nel suo dipartimento. Prima curatrice della 'Rivista ungherese di filosofia' nel dopoguerra (1955-'56). Destituita dai suoi incarichi accademici insieme con Lukacs per motivi politici dopo la rivoluzione ungherese. Trascorse molti anni ad insegnare in scuole secondarie e le fu proibita ogni pubblicazione. Nel 1968 protesto' contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, e subi' una nuova persecuzione politica e poliziesca. Nel 1973, sulla base di un provvedimento ad personam delle autorita' del partito, perse di nuovo tutti gli incarichi accademici. 'Disoccupata per motivi politici', tra il 1973 e il 1977 lavoro' come traduttrice. Nel 1977 emigro' in Australia. A partire dall'enorme cambiamento del 1989, attualmente trascorre parte dell'anno nella nativa Ungheria dove e' stata designata membro dell'Accademia ungherese delle scienze. Nel 1995 le sono stati conferiti il 'Szechenyi National Prize' in Ungheria e l''Hannah Arendt Prize' a Brema; ha ricevuto la laurea ad honorem dalla 'La Trobe University' di Melbourne nel 1996 e dall'Universita di Buenos Aires nel 1997". Opere di Agnes Heller: nella sua vastissima ed articolata produzione segnaliamo almeno: Per una teoria marxista del valore, Editori Riuniti, Roma 1974; La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1974, 1978; Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, Roma 1975; L'uomo del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1977; La teoria, la prassi e i bisogni, Savelli, Roma 1978; Istinto e aggressivita'. Introduzione a un'antropologia sociale marxista, Feltrinelli, Milano 1978; (con Ferenc Feher), Le forme dell'uguaglianza, Edizioni aut aut, Milano 1978; Morale e rivoluzione, Savelli, Roma 1979; La filosofia radicale, il Saggiatore, Milano 1979; Per cambiare la vita, Editori Riuniti, Roma 1980; Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980, 1981; Teoria della storia, Editori Riuniti, Roma 1982; (con F. Feher, G. Markus), La dittatura sui bisogni. Analisi socio-politica della realta' est-europea, SugarCo, Milano 1982; (con Ferenc Feher), Ungheria 1956, Sugarco, Milano 1983; Il potere della vergogna. Saggi sulla razionalita', Editori Riuniti, Roma 1985; Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma, 1985; (con Ferenc Feher), Apocalisse atomica. Il movimento antinucleare e il destino dell'Occidente, Milano 1985; Oltre la giustizia, Il Mulino, Bologna, 1990; (con Ferenc Feher), La condizione politica postmoderna, Marietti, Genova 1992; Etica generale, Il Mulino, Bologna 1994; Filosofia morale, Il Mulino, Bologna, 1997; Dove siamo a casa. Pisan Lectures 1993-1998, Angeli, Milano 1999. Opere su Agnes Heller: Nino Molinu, Heller e Lukacs. Amicus Plato sed magis amica veritas: topica della moderna utopia, Montagnoli, Roma 1984; Giampiero Stabile, Soggetti e bisogni. Saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni, La Nuova Italia, Firenze 1979; la rivista filosofica italiana "aut aut" ha spesso ospitato e discusso la riflessione della Heller; cfr. in particolare gli studi di Laura Boella] 1) Non scegliere norme che non possano essere rese pubbliche; 2) non scegliere norme la cui osservanza implichi - per ragioni di principio - l'uso degli altri esseri umani come puri mezzi; 3) non scegliere norme che non possano essere scelte liberamente da tutti; 4) non scegliere norme come norme morali (norme vincolanti) la cui osservanza non sia uno scopo in se'. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1382 del 9 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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