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La nonviolenza e' in cammino. 1381
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1381
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 8 Aug 2006 00:42:59 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1381 dell'8 agosto 2006 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, Tomas Stockmann: Non ci sono sottouomini 2. Anne Penketh e Kim Sengupta: Bambini 3. Giulio Vittorangeli: Dov'e' il mondo? E dove siamo noi? 4. Brenda Gazzar: Donne contro la guerra 5. Johan Galtung: Il Medio Oriente e il modello dell'Unione Europea come soluzione 6. Giobbe Santabarbara: Una netta opposizione ad alcune parti del testo che precede 7. Riedizioni: Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Opere 8. Luciano Bonfrate: Ai vecchi compagni 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI, TOMAS STOCKMANN: NON CI SONO SOTTOUOMINI La guerra intrapresa dallo stato di Israele contro il territorio e la popolazione del Libano e' un orrore inammissibile. Ed e' un orrore inammissibile la perdurante illegale occupazione e la costante feroce violenza contro la popolazione dei territori palestinesi. La guerra e l'occupazione devono cessare: ogni persona ragionevole lo pensa e lo sa; ogni persona dunque lo dica, poiche' e' giusto dirlo, poiche' e' necessario che eccidi e sopraffazioni cessino. * Ma e' un orrore anche la costante aggressione terroristica contro la popolazione israeliana. Ed e' un orrore anche la continua riproposizione - da parte sia di forze politiche che di governanti di piu' paesi mediorientali, e nell'indifferenza del mondo - di una esplicitamente proclamata volonta' genocida contro la popolazione israeliana. Far vivere la popolazione di un intero paese sotto la costante minaccia del genocidio non e' anche questo terrorismo? Non ci sono vittime di prima e di seconda categoria; i diritti umani o valgono per tutti gli esseri umani o non sono nulla. E non ci sono uccisioni di prima e di seconda categoria: una strage e' una strage, un'uccisione e' un'uccisione, chiunque li commetta. E lo stesso diritto alla pace e alla liberta' e alla sicurezza deve valere per la popolazione palestinese, per quella libanese, per quella israeliana, ma anche per quella irachena, per quella afgana. Per tutti i popoli e i paesi del mondo. * Perche' quando gli europei parlano di Medio Oriente sentiamo risuonare nelle nostre orecchie le salivose urla, le rabbiose urla, le ferine urla del Trionfo della volonta'? Perche' tanta parte delle persone che solidarizzano col popolo palestinese (ed e' dovere dell'umanita' intera solidarizzare col popolo palestinese) per dchiararlo debbono usare le formule del "Volkische Beobachter"? Perche' i bambini libanesi commuovono la stampa europea e quelli israeliani no? Perche' i crimini di guerra e contro l'umanita' commessi dallo stato di Israele sono crimini di guerra e contro l'umanita' (e non vi e' dubbio che lo siano, orribili crimini), mentre gli eccidi - gli eccidi - commessi dai gruppi terroristi antisraeliani e antiebraici - che non fanno mistero di voler portare a compimento la Shoah nazista - vengono considerati bagatelle (le bagatelle di Celine)? * Perche' ci si stupisce che la popolazione israeliana si senta aggredita? Forse che non e' vero? Perche' ci si stupisce che la popolazione israeliana, tra cui molti sono i figli delle vittime della Shoah, non abbia granche' fiducia nei proclami degli europei, tra cui molti sono i figli degli esecutori, dei complici e degli spettatori della Shoah? Forse che non ha ragione? E cosa dovrebbe pensare la popolazione israeliana di movimenti sedicenti pacifisti europei che contro Israele ripetono pari pari - senza saperlo, forse - le parole d'ordine di due millenni di pregiudizio e persecuzione antiebraica? E quando cristiani pontificano su cio' che Israele deve o non deve fare, non par di sentir cigolare le porte dei ghetti? Non senti in sottofondo l'eco crepitante degli autos da fe', della furia onnicida dei pogrom? La persecuzione antiebraica da parte del regime nazista e' durata quanto quell'abominevole regime: un decennio e mezzo; quella da parte dei regimi cristiani secoli e secoli e secoli - e senza di essa neppure la Shoah sarebbe stata possibile. * E perche' quando la guerra la fa anche l'Italia in Afghanistan e in Iraq, e quando le stragi le fa anche l'Italia come nel '99 in Jugoslavia, allora gli eccidi e la guerra sono cosa buona e giusta, e solo quando le fa l'esercito israeliano la guerra e le stragi tornano ad essere crimini? La guerra e i massacri sono un crimine sempre. Un governo italiano, un parlamento italiano, un arco di forze politiche italiane unanimi ancor oggi nel sostenere l'atroce infinita guerra afgana, quale credibilita' hanno quando chiedono a Israele di rinunciare a difendersi con le armi dall'aggressione terroristica, e per essere chiari: di organizzazioni terroristiche (non solo, ma anche) che stanno al governo di ordinamenti giuridici: entita' amministrative e stati confinanti? E vogliamo o no rompere ogni contiguita' con gli idioti e gli sciagurati che senza obiezioni da parte di alcuno nelle manifestazioni pacifiste e di solidarieta' replicano per simboli - i cori, le scritte, i roghi - la notte dei cristalli? Queste domande ce le vogliamo porre? * Questo noi pensiamo: - che occorre opporsi a tutte le guerre; ma anche che ogni persona, ogni popolo e ogni stato legalmente costituito e ordinato ha diritto alla legittima difesa; - che occorre scegliere la nonviolenza; ma che anche chi non e' persuaso di questo ha comunque il dovere di non uccidere; - che vi e' una sola umanita'. * Ed anche questo noi pensiamo: - che Israele deve cessare di occupare i territori palestinesi, subito e senza condizioni; - che deve sorgere subito lo stato palestinese; - che tutti i paesi e le forze politiche legali dell'area mediorientale devono riconoscere ufficialmente e incondizionatamente l'esistenza dello stato di Israele; - che nessun atto di terrorismo, e di preparazione e di istigazione ad essi, deve essere tollerato dagli ordinamenti giuridici aventi giurisdizione sui territori da cui tali atti vengono effettuati, organizzati, promossi, coadiuvati, finanziati, propagandati; - che la guerra in corso deve cessare subito, subito; - che la comunita' internazionale e la societa' civile internazionale debbono intervenire l'una anche attraverso interventi di polizia internazionale, e l'una e l'altra anche in forme nonviolente di interposizione, di solidarieta' e di riconciliazione a sostegno di tutti i popoli, per i diritti di tutte le persone, per la sicurezza di tutte le popolazioni e tutti gli ordinamenti giuridici legittimi. * Ed ancora, ed infine, questo noi pensiamo: - che ogni colonialismo, ogni razzismo, ogni imperialismo vadano rifiutati e contrastati; - che ogni propaganda d'odio e disprezzo vada rifiutata e contrastata; - che e' ormai necessario ed urgente che la nonviolenza entri nelle legislazioni e divenga principio ispiratore e condizione cogente delle relazioni internazionali e della politica tout court; - che la guerra, le stragi, le uccisioni, e quanto ad esse e' inteso ed ordinato, vadano rifiutati e contrastati sempre. * Solidali col popolo palestinese, solidali col popolo libanese, solidali col popolo israeliano, solidali con tutte le diaspore. Contro ogni guerra, contro ogni terrorismo, contro ogni oppressione. Vi e' una sola umanita'. E non ci sono sottouomini. 2. LIBANO. ANNE PENKETH E KIM SENGUPTA: BAMBINI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Anne Penketh e Kim Sengupta, apparso sul giornale britannico "The Independent" il 4 agosto 2006] "Non voglio morire, voglio andare a scuola", dice Jamal, un bimbo libanese di quattro anni terrorizzato dal bombardamento del suo paese. "Casa", per Jamal, e' ora un centro profughi nella citta' di Jezzine, nel sud del Libano, dove la sua famiglia e' fuggita per salvarsi. "Il picnic l'abbiamo fatto, adesso vogliamo andare a casa", dice un altro bambino, nel campo per rifugiati sito nei giardini pubblici di Sanayeh, a Beirut. "Siamo stanchi e spaventati, vogliamo andare a casa", ribadisce un altro. Queste sono le voci degli spossessati del Libano, le centinaia di migliaia di bambini il cui mondo e' cambiato per sempre nei pochi secondi che seguono l'esplosione di una bomba. "Mamma, cosa vuol dire massacro?", domanda un terzo piccino. Sono circa 300.000 i bambini libanesi resi profughi alla terza settimana della guerra di Israele contro Hezbollah: si tratta di un terzo sul totale delle persone che hanno abbandonato le proprie case. In molti casi sono stati i volantini israeliani ad ordinare loro di andarsene. Vivono ora in campi all'aria aperta, come quello del parco di Beirut, o nelle scuole trasformate in rifugi. Numerosi bambini sono stati ospitati da famiglie estranee; nel porto di Sidone, a 48 chilometri dalla capitale, questi piccoli ospiti sono il 40% dei 22.700 bambini profughi arrivati sul posto. Il resto si trova nei centri di accoglienza. Deborah Haines, una volontaria dell'ong "Save the Children" presente a Sidone, dice che i bambini stanno soffrendo uno stress enorme: "Sebbene alcuni possano ancora giocare all'aperto ci sono tutti i problemi relativi alla loro sicurezza. Molti sono sconvolti dall'essere lontani da cio' che era familiare, come i loro giocattoli. I genitori non hanno avuto il tempo o il modo di arrangiare le cose per i bambini". Parecchi dei bambini profughi presenti nei campi stanno agendo in modo aggressivo, si impegnano in zuffe e litigi, un segno della pressione che vivono e che si manifesta anche nel pianto continuo, nel bagnare il letto la notte e negli incubi. I bambini che sono ospitati da famiglie non stanno necessariamente meglio, dice Haines: "Ci sono tensioni, ovviamente: devono aver il tempo di abituarsi a vivere con degli estranei". Rania al-Ameri, una psicologa per l'infanzia libanese che sta lavorando con i giovani profughi aggiunge: "Hanno disperatamente bisogno di aiuti, perche' sono quelli che stanno soffrendo di piu'. Molti hanno perduto oltre alla casa dei membri della famiglia. Sono profondamente traumatizzati". Le scuole sono divenute la scelta piu' semplice per organizzare centri per via delle vacanze, che in Libano terminano il 15 settembre. Ma in questi luoghi l'acqua sta diventando di cattiva qualita', le docce, quando ci sono, sono superaffollate, e gli impianti igienici ormai intasati. Oltre alle necessita' materiali di base, come i materassi, i bambini hanno bisogno di frutta fresca e di verdura per una nutrizione bilanciata. Ma "In alcuni campi di Tiro la gente ha bisogno di cibo e basta", dice il volontario di "Save the Children" Jeremie Bodin, ìIl trauma ha significato che le donne che allattavano hanno perso il latte, percio' abbiamo bisogno di alimenti sostitutivi, e di pannolini, perche' ci sono infanti a cui non sono stati cambiati per giorni e giorni". Emergendo dalla cantina, dove ha vissuto le ultime tre settimane, Ali, di nove anni, racconta: "Mio padre e mia madre sono andati con le mie sorelle e i miei fratelli in un'altra citta'. Hanno detto che vengono a prendermi quando le bombe finiscono". Dopo l'ennesima esplosione nei paraggi ci guarda e dice: "Perche' Israele ci sta colpendo? Ci odiano? Mio cugino mi ha detto che le bombe nucleari sono grandissime. Sono grandi come questi razzi?". 3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DOV'E' IL MONDO? E DOVE SIAMO NOI? [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] L'operazione militare israeliana "Piogge d'estate" ha riportato la guerra nella Striscia di Gaza e in Libano; a conferma che la guerra sembra sia diventata l'unico modo di affrontare le questioni internazionali. Ci sarebbero stati altri modi di rispondere al lancio di missili degli hezbollah, senza bisogno di polverizzare il Libano. Del resto, si puo' scatenare l'inferno sull'intera e indifesa popolazione civile del Libano per due soldati quando Israele da anni sequestra i palestinesi a migliaia, senza che nessuno apra bocca? Ancora una volta, percio', viene premiata la forza a scapito del diritto e della legalita' internazionale, e di nuovo si paralizzano le Nazioni Unite, alle quali viene consentita solamente la legittimazione della guerra e non la sua prevenzione. In realta' e' stato raggiunto un accordo tra Stati Uniti e Francia su una risoluzione dell'Onu per la fine delle ostilita', ma senza una tregua; in pratica lascia ad Israele il tempo per "completare il lavoro". Cosi' l'invio di una eventuale e futura forza multinazionale o internazionale di pace, (quella cui l'Italia ha detto di essere pronta a partecipare), rischia di diventare come la Nato in Afghanistan, in funzione esclusivamente anti-hezbollah (e anche anti-Siria). Come non vedere che la quarantennale occupazione israeliana della Palestina costituisce la vera aggressione che impedira' sempre un qualsiasi accordo di cessazione delle ostilita' o tregua o cessate il fuoco: in una parola, una pace minimamente equa e, quella si', duratura? * Intanto l'uccisione di dieci o venti palestinesi al giorno, e fra questi donne e bambini, non scuote nessuno. Naturalmente il ministro della difesa israeliano ha rassicurato e tranquillizzato l'opinione pubblica internazionale informando che le sue truppe aprono il fuoco solo contro i palestinesi armati. La tragica realta' e' che l'uccisione di centinaia di civili libanesi, appartenenti a tutte le comunita', l'aver fatto della vita altrui un inferno, la distruzione delle infrastrutture civili libanesi, sollevera' tempeste di furia e odio contro Israele. Il risultato sara' il rafforzamento degli hezbollah, non soltanto oggi, ma per gli anni a venire. Forse sara' il principale risultato di questa guerra, piu' importante di qualsiasi vittoria militare, se ve ne saranno. E non soltanto in Libano, ma in tutto il mondo arabo e musulmano. Comunque vada, non verra' niente di buono da questa guerra, non per Israele, ne' per il Libano, ne' per la Palestina. E il "nuovo Medio Oriente" che ne verra' sara' il peggiore posto in cui vivere. * Intanto l'appello per la pace di giornalisti italiani in Libano, si chiede dov'e' il mondo: "Noi giornalisti, testimoni della guerra che sta devastando il Libano e il Medio Oriente, sentiamo il dovere di rilanciare il disperato appello dei bambini, delle donne, degli uomini, dei feriti, degli sfollati, degli ammalati di questa terra insanguinata: ma dov'e' il mondo? Fate qualcosa per fermare questa follia senza misura. Chiedete l'immediato cessate il fuoco. Non restate in silenzio. Fatelo subito. Fatelo ora". Ed io mi chiedo dove siamo noi, vista l'ininfluenza dell'Europa e la sua incapacita' di incidere in un teatro in fiamme alle sue porte di casa. A Londra c'e' stata la prima grande manifestazione internazionale contro la guerra e le stragi in Libano. Si parla di centomila manifestanti che hanno lasciato scarpe da bambino davanti alla residenza del premier, Tony Blair, per ricordare le centinaia di bambini vittime del conflitto libanese. Anche a Tel Aviv i pacifisti, 6-7.000, sono scesi in corteo. E in Italia? Da noi, c'e' solo un senso di impotenza e di frustrazione. All'orizzonte non si vedono grandi mobilitazioni di massa per fermare l'orrore cui stiamo assistendo; e non solo perche' siamo nel periodo delle vacanze. In parlamento non c'e' rappresentanza del movimento per la pace. Se uno prova a dire no fino in fondo alla missione di guerra in Afghanistan, e a denunciare la menzogna che dice che la' andiamo a ricostruire il paese, mentre siamo nella linea di comando degli Usa dentro la Nato, ecco che e' fuori dalla politica di stato. Ed e' costretto a dimettersi (ma puo' mai dimettersi da se stesso?). E resta la domanda: che ce ne facciamo di una sinistra che va al governo per votare la guerra? Cosi' l'attualita' diventa Madonna, la popstar, con il suo concerto allo stadio olimpico di Roma, che ha sollevato l'indignazione dei cattolici dell'Ulivo ed i vertici del Vaticano hanno gia' recensito come "sacrilego"... ma si', andiamo al concerto di Madonna ad applaudirla per solidarieta', tanto abbiamo totalmente smarrito il sentimento della condivisione, della corresponsabilita' e della vergogna. E con esso il povero diritto a poterci chiamare esseri umani, invece che animali da guerra e da rapina. Ecco perche' e' faticoso guardare in faccia i nostri tempi, c'e' il rischio di scoprire che, questa volta, il ruolo di grassi e indifferenti, che pensano solo al loro benessere e se ne fregano degli ultimi del mondo, delle guerre, di chi ingiustamente soffre, puo' toccare a noi. 4. RIFLESSIONE. BRENDA GAZZAR: DONNE CONTRO LA GUERRA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo. Brenda Gazzar, giornalista indipendente, vive a Gerusalemme ed e' corrispondente per "We News"] Haifa, Israele. Nelle ultime settimane, Abir Kopty e Hannah Safran hanno protestato praticamente ogni giorno contro il conflitto in Libano e a Gaza. Persino quando le temute sirene suonano, avvisando degli attacchi missilistici di Hezbollah, Abir Kopty, un'araba israeliana, e Hannah Safran, un'ebrea israeliana, restano sulle strade di questa citta' del nord, non lontana dal confine libanese, per chiedere al loro governo di fermare la guerra, di intraprendere negoziati e di scambiare i prigionieri. Fondatrici di "Donne contro la guerra", gruppo che si e' formato pochi giorni dopo l'inizio del conflitto tra Israele ed Hezbollah, le due pacifiste di lunga data fanno parte delle donne che tentano di mettere fine all'ultima ondata di violenza, che minaccia di investire l'intera regione. "Non si tratta di chi biasimare di piu', si tratta di fermare questa guerra", dice Kopty, portavoce di un'ong israeliana impegnata nella tutela dei diritti umani dei cittadini arabi del paese, "Non vogliamo vedere nessun cittadino ucciso da ambo le parti per una guerra evitabile. Non c'e' alcun senso in quello che sta succedendo". * Israele ha lanciato l'operazione militare in Libano dopo che Hezbollah ha lanciato missili sulle citta' israeliane del nord il 12 luglio, ha rapito due soldati israeliani e ne ha uccisi altri tre in un raid lungo il confine libanese. I dirigenti di Hezbollah hanno dichiarato di aver catturato i soldati per assicurarsi il rilascio dei prigionieri libanesi tenuti nelle carceri israeliane dall'epoca del precedente conflitto. Hezbollah, un'organizzazione islamista sciita che in Libano ha membri in parlamento e ministri nel governo, e' considerata un gruppo terroristico da Israele e dagli Usa, ma e' lodata come legittima resistenza da molti nel mondo arabo, che ritengono Hezbollah l'artefice del ritiro israeliano, nel 2000, dal sud del Libano dopo due decenni di occupazione. Sino a giovedi' scorso, l'escalation del conflitto fra Israele ed Hezbollah ha spento le vite di 900 libanesi, in maggioranza civili, e di piu' di 60 israeliani, inclusi 28 civili. L'Unicef stima che circa un terzo dei morti in Libano siano bambini. * Kopty e Safran dicono che le operazioni militari in Libano e Gaza ed il continuo bombardamento missilistico delle citta' israeliane del nord sono un'inutile rovina. Safran ha ricevuto esplicite minacce di morte per aver espresso il suo punto di visto sul conflitto in corso. Le due donne sono state fra le organizzatrici della marcia contro la guerra che si e' tenuta il 29 luglio a Tel Aviv, voluta e pensata da piu' gruppi pacifisti di donne, che ha raccolto oltre tremila dimostranti. La manifestazione e' iniziata a Rabin Square, i cartelli dicevano "Smettete di uccidere i cittadini" e "Scambiate subito i prigionieri". Alcuni sostenitori della guerra hanno gridato "traditori" ed hanno assalito i partecipanti. * Insieme a queste donne che protestano ormai ogni giorno ad Haifa, numerosi altri gruppi femminili hanno tenuto veglie e dimostrazioni in ogni angolo del paese. "Al di fuori di questo, non ho una vita. Sono spaventata. Sono disperata", dice Safran, cinquantaseenne, mentre nel centro donne di Haifa scrive cartelli di protesta in ebraico, arabo ed inglese. "Fare questo e' cio' che mi da' la capacita' di affrontare la situazione, mi da' la speranza che possiamo cambiare qualcosa, e che la nostra vita ha un significato". Un altro gruppo femminile, la Commissione Internazionale delle donne per una pace giusta e sostenibile fra Israele e Palestina, ha diffuso un appello urgente dopo la sua riunione ad Atene del 13 luglio, in esso si chiede il rigetto dell'uso della forza a Gaza, Israele e in Libano. L'appello chiede a Usa, Unione Europea, Russia e Onu, che stanno mediando il processo di pace israeliano-palestinese, di intervenire immediatamente per arrestare i combattimenti, e di inviare delegazioni che includano donne a negoziare la tregua e lo scambio di prigionieri, per riportare le parti in conflitto ad agirlo sul piano politico interrogandone le cause. "I civili, in maggior parte donne e bambini, stanno pagando il prezzo di questo circolo vizioso di rappresaglie e controrappresaglie", si legge nell'appello, "Questo e' un momento gravemente pericoloso. Se nessuna azione non viene intrapresa oggi, domani potrebbe essere troppo tardi". La Commissione internazionale, creata con il sostegno del fondo Onu per le donne, include parlamentari, studiose, rappresentanti della societa' civile; si incontrera' con i capi di stato a settembre, durante l'assemblea generale delle Nazioni Unite, e pensa di ritornare in sede Onu anche ad ottobre per incontrare il Consiglio di sicurezza durante la discussione sulla risoluzione 1325, che chiama ad un maggior coinvolgimento delle donne nella risoluzione dei conflitti e nelle negoziazioni di pace. * Naomi Chazan, ex membro del parlamento israeliano e membro della Commissione internazionale dice: "I nostri scopi principali sono mettere fine alla guerra e riportare l'attenzione sul centro del problema, che e' il conflitto israeliano-palestinese". Hezbollah, aggiunge, sta usando quest'ultimo per promuovere la propria agenda, che include l'espansione di un islam radicale, la distruzione di Israele e l'indebolimento degli Usa. "Mentre Hezbollah ed i suoi alleati vogliono la distruzione di Israele, i palestinesi e gli stati arabi moderati vogliono trovare un modo per raggiungere un accordo soddisfacente". La collega palestinese di Chazan nella Commissione, Lama Hourani, dice che la vita a Gaza e' diventata particolarmente difficile sin dallo scorso giugno, quando Israele lancio' un attacco a seguito del rapimento di un soldato. Secondo il Ministero palestinese della sanita', piu' di 180 persone sono morte a Gaza dall'inizio di questa operazione militare israeliana, e tra essi 78 bambini. Israele sostiene che le sue azioni sono dirette contro le organizzazioni terroristiche, guidate da Hamas, e contro le postazioni missilistiche. Lama Hourani, che e' anche la coordinatrice del gruppo palestinese "Donne lavoratrici per lo sviluppo", sta vivendo senza elettricita' da quando uno dei maggiori impianti di fornitura elettrica e' stato colpito da un attacco israeliano diverse settimane fa. "Sin dalla vittoria elettorale di Hamas in marzo", racconta, "l'embargo internazionale ha fatto si' che gli impiegati dell'Autorita' palestinese non ricevessero i loro stipendi". In aggiunta, lei e gli altri abitanti della striscia di Gaza subiscono ogni giorno bombardamenti e uccisioni. "E' una vita terribile. Non la augurerei al mio peggior nemico". * Per maggiori informazioni: Coalition of Women for Peace: http://coalitionofwomen.org/home 5. DOCUMENTAZIONE. JOHAN GALTUNG: IL MEDIO ORIENTE E IL MODELLO DELL'UNIONE EUROPEA COME SOLUZIONE [Ringraziamo gli amici del Centro studi "Sereno Regis" di Torino per averci inviato il seguente recentissimo intervento di Johan Galtung; il titolo originale e' "The Middle East and the EU Model as a solution", il testo originale e' nel sito www.Transnational.org, la traduzione (purtroppo frettolosa e inadeguata) e' a cura del Centro studi "Sereno Regis" di Torino. Non c'e' bisogno di dire che alcune delle cose che qui afferma Galtung ci trovano in netto dissenso (p. s.). Johan Galtung, nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu, e' a livello mondiale il piu' noto studioso di peace research e una delle piu' autorevoli figure della nonviolenza. Una bibliografia completa degli scritti di Galtung e' nel sito della rete "Transcend", il network per la pace da lui diretto, cui rinviamo: www.transcend.org. Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo la seguente scheda su Galtung: "Johan Galtung (Oslo, 1930) e' il piu' insigne teorico dei moderni studi della pace. Fondatore nel 1959 dell''International Peace Research Institute' di Oslo, consigliere presso le Nazioni Unite, professore onorario in numerose universita', tra cui la Princeton University e la Freie Universitaet di Berlino, e' attualmente titolare della cattedra di 'Peace Studies' presso l'Universita' delle Hawaii. Galtung ha dato vita nel 1964 al 'Journal for Peace Research' e nel 1987 e' stato insignito del 'Right Livelihood Award' (il cosiddetto 'Premio Nobel alternativo per la pace'). Fondatore e direttore di 'Transcend' (www.transcend.org), un'organizzazione internazionale per la risoluzione nonviolenta dei conflitti che opera in tutto il mondo, e' il rettore della Transcend Peace University. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia e' La pace con mezzi pacifici (Esperia Edizioni)"] L'indicibile tragedia che si sta svolgendo in questa sesta guerra tra Israele e il mondo arabo dovrebbe obbligarci a focalizzare la nostra attenzione su come potrebbe essere realizzata la pace in quest'area. I punti principali sono chiari, ma sono minacciati in particolare da coloro che smettono di pensare proprio quando ve ne sarebbe piu' bisogno. Questi punti sono: 1. Le risoluzioni 194 e 242 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che chiedono il ritorno dei palestinesi e il ritiro di Israele ai confini del 1967 (prima della guerra del giugno di quell'anno). 2. La risoluzione del Consiglio nazionale palestinese del 15 novembre 1988, che accetta la soluzione dei due stati. 3. La proposta avanzata dall'Arabia Saudita nel 2002 che Israele si ritiri entro i confini del 1967 in cambio del riconoscimento di tutti gli stati arabi. Applicando questi punti si otterrebbero due stati tra loro confinanti, con Gerusalemme Est e la Cisgiordania (West Bank) che ritornano alla Palestina (Israele si e' gia' ritirata da Gaza), le alture del Golan restituite alla Siria, e qualche problema minore di confine da risolvere, talvolta attraverso aggiustamenti creativi. Nessuna grande rivoluzione, solo buon senso. Ma ci sono anche richieste minime e massime da entrambe le parti. La Palestina ha tre richieste minime, non negoziabili: - uno stato palestinese secondo i punti 1 e 2 precedenti, con - Gerusalemme Est capitale, e - il diritto al ritorno, inteso come diritto ma negoziabile nella quantita'. Israele ha due richieste minime, non negoziabili: - riconoscimento dello stato ebraico di Israele - entro confini sicuri. Tutti i cinque punti sono legittimi, e compatibili. La legittimita' palestinese si basa sulla continua permanenza, e quella ebraica sull'attaccamento al territorio nella loro narrazione culturale e sulla residenza nel passato. Essa non si basa sulla loro sofferenza causata per mano della Germania e dell'Europa. Ogni richiesta territoriale su questa base dovrebbe essere risolta a scapito della Germania. Le richieste sono compatibili perche' possono essere soddisfatte dalla soluzione dei due stati entro i confini del 1967, come precisato piu' avanti. Ma ci sono anche degli obiettivi massimi: una Grande Israele (Eretz Israel) definita dalla Genesi, tra i due fiumi Nilo ed Eufrate (o qualcosa del genere), e da parte palestinese/musulmana/araba nessuna Israele del tutto, cancellata dalla mappa. La loro incompatibilita' e' ovvia. Ma sono anche illegittime. C'e' piu' che una base di fatto per l'esistenza di una stato ebraico, anche non con tale estensione. Quanto sono forti le richieste massime? Una delle principali conseguenze tragiche di questa guerra e' che essa rafforza i massimalisti, non solo l'"odio". Da parte israeliana alcuni considereranno i confini sicuri solo se saranno sufficientemente lontani, almeno per quanto riguarda il disarmo di chiunque sia ostile a Israele. E il loro numero cresce per ogni giorno, settimana, mese (?) di guerra. Da parte araba/musulmana alcuni penseranno che la soluzione con Israele e' nessuna Israele del tutto; non c'e' dubbio che anche il loro numero sta crescendo. Le due posizioni massimaliste sono emotivamente e intellettualmente soddisfacenti, essendo semplici, facili da comprendere. E non significano altro che una guerra senza fine. Gli arabi debbono accettare in qualche modo lo stato di Israele, ma non il sovraesteso, belligerante mostro di oggi. E gli ebrei debbono capire che il colonialismo degli insediamenti, l'occupazione e la continua espansione non porteranno mai a confini sicuri. * La strada per la sicurezza passa attraverso la pace. Non c'e' una strada per la pace che passa attraverso la sicurezza nel senso di eliminare il sostegno popolare degli Hezbollah e di Hamas, eletto democraticamente. Quello che forse potrebbe funzionare contro dei piccoli gruppi meno profondamente radicati non funzionera' mai oggi. Ci saranno nuovi gruppi emergenti ogni volta. I governi possono essere comprati o minacciati sino a renderli consenzienti, ma le popolazioni no. Dietro Israele vi sono dei governi sempre piu' indisponibili, anche dietro il colonialismo degli insediamenti: Usa, Gran Bretagna, Australia. Dietro la Palestina c'e' il mondo arabo e musulmano, considerevolmente piu' ampio: circa 1,3 miliardi, in crescita, contro 0,3 miliardi, in diminuzione. La posizione di pace intermedia tra le due parti dev'essere resa altrettanto affascinante. C'e' il possibile punto di incontro del 1967 con piccole revisioni secondarie e l'idea di due stati con capitali in Gerusalemme, che quindi diventerebbe una confederazione di due citta', Est e Ovest. Ma ci sono ancora due richieste a cui rispondere: il bisogno di sicurezza di Israele e il diritto dei palestinesi per una qualche forma di ritorno, limitato. Il riconoscimento dell'Arabia Saudita e' una condizione necessaria ma non sufficiente per una pace positiva. Gli stati sovrani possono riconoscersi tra loro e ciononostante entrare ancora in guerra. Devono essere interconnessi tra loro in una rete di interdipendenza positiva che renda la pace sostenibile desiderabile a entrambi. Poiche' Israele vuole dei confini sicuri, perche' non focalizzarsi sui paesi confinanti: Libano, Siria, la Palestina riconosciuta, Giordania ed Egitto? Immaginiamo che i cinque paesi confinanti aggiungano al riconoscimento la disponibilita' a prendere in considerazione l'idea di una Comunita' del Medio Oriente, sulle linee della Comunita' Europea, come strumento principale per una pace sostenibile nella regione. La formula che ha funzionato per la Germania puo' funzionare anche per Israele. Ci sarebbe ancora il problema del ritorno dei palestinesi, mezzo milione soltanto in Libano. E c'e' il problema di alcuni settori della Cisgiordania che fanno parte della narrazione del passato di Israele. Allora, perche' non scambiare gli uni con gli altri? Alcuni cantoni ebrei nella Cisgiordania sotto la sovranita' palestinese in cambio di alcuni cantoni arabi sotto la sovranita' israeliana? Entrambi gli stati potrebbero diventare delle federazioni invece che stati unitari che comunque sono relitti del passato. Gli accordi non governativi di Ginevra non sono un punto di partenza perche' inadeguati sui tre punti principali: - Gerusalemme Est come capitale e il diritto al ritorno non sono negoziabili; - I confini possono diventare ragionevolmente sicuri solo in una comunita' di pace, come l'Unione dei paesi nordici, l'Unione Europea, l'Asean. * La soluzione di pace e' affascinante per essere cosi' ovvia. Ma non e' cosi' ovvia per i leader occidentali e di Israele che si stanno incamminando lungo la strada del Vietnam, con Israele : Libano = Usa : Vietnam. Gli Usa non vinsero e si ritirarono. Lo stesso succedera' a Israele. Ancora piu' giu', lungo la stessa strada di folle stupidita', dove ci attendono l'11 settembre e l'Iraq. C'e' l'idea di un Libano diviso in due parti, con forze internazionali che pacifichino un sud isolato da due mali esterni, Siria e Iran. Destinata a fallire come in Vietnam. Hezbollah e' parte del Libano come i vietcong in Vietnam. E le armi sono facilmente disponibili. C'e' l'uccisione indiscriminata dei civili, in linea con i due punti dichiarati dal capo dell'esercito israeliano, generale Dan Halutz: bombardare dieci palazzi nel quartiere sciita di Beirut per ogni missile katyusha lanciato contro Israele, e "bombardare il Libano per riportarlo vent'anni indietro" ("El Pais" del 28 luglio, "Haaretz" e "Jerusalem Post"; gli Usa dicevano: indietro all'eta' della pietra). Anche Hezbollah uccide civili, ma il rapporto e' di almeno 10:1. Il rapporto finale puo' essere vicino al famoso ordine di Hitler del 1941 di uccidere 50 civili per ogni soldato tedesco ucciso dai "terroristi" (usavano questo termine): Lidice nella Repubblica Ceca, Oradour-sur-Glane in Francia, Kortelisy in Ucraina. Oggi gran parte del Libano e' usato per una punizione collettiva. E per Israele le vite degli ebrei valgono molto di piu' di quelle arabe. C'e' l'idea ingenua che la violenza scomparira' se Hezbollah verra' disarmato, secondo le indicazioni della risoluzione 1559 dell'Unsc. Ma questa risoluzione non ha alcun senso senza la 194 e la 242. Israele non puo' scegliere la risoluzione che vuole, affidandosi agli Usa per controllare per sempre l'Onu. E gli Hezbollah rinasceranno. C'e' un conflitto, il conflitto invoca una soluzione, la soluzione e' a portata di mano e ungiorno sara' cosi' ovvia come la Comunita' Europea / Unione Europea. Ognuno deve lavorare per una pace reale come complemento politico di un immediato cessate il fuoco umanitario. Aiutare Israele a impantanarsi nella strada del Vietnam e' una solidarieta' cieca, non un atto di amicizia. Gli europei debbono mettere a disposizione il talento e l'esperienza della Comunita'/Unione Europea per una pace sostenibile, non per una guerra infinita e crescente. Questo e' un atto di dovuta amicizia. E Israele stessa? La prossima generazione dovra' pur mettere in discussione la saggezza del maggiore ideologo sionista, Vladimir Yabotinsky, ispiratore di Begin, Netanyahu, Sharon e ora Olmert. Per Yabotinsky c'erano solo due opzioni, in alternativa "autosacrificio impotente, umiliante oppure un furore militante invincibile" (Jacqueline Rose, The Zionist imagination, in "The Nation", 26 giugno 2006, p. 34). Per Yabotinsky, gli ebrei sono stati umiliati, disonorati con la violenza, e la risposta e' la militanza, la violenza. Questa visione, oltre a fare della violenza la pietra angolare dell'esistenza umana, non tiene conto della terza possibilita': negoziato, accordo, pace. E gli arabi, i musulmani? Qualcosa di analogo. Ma l'Islam comprende una terza possibilita': non solo dar-al-Islam, ma anche dar-al-Harb, la Casa della Pace, la Casa della guerra, ma c'e' anche dar-al-Ahd, la coesistenza con gli infedeli, possibilmente in una comunita', non troppo vicina, non troppo distante. Forse anche una Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Medio Oriente. L'attuale generazione dovra' anche elaborare quest'idea piu' in dettaglio, oggi. Quando verranno queste generazioni, dove ci troveremo? Difficile dirlo. I tre punti principali per la pace sono presenti da qualche tempo, ma nulla sembra accettabile per Israele. Non sono mai stati presenti nella mente collettiva, nello spazio pubblico. La pressione esterna non fa che confermare la rigida dicotomia di Yabotinsky. Se Israele vuole la sicurezza, la maggior parte di Israele deve volere la pace. Questo ci lascia con i massimalisti. Il loro argomento piu' forte contro i moderati e' "la vostra proposta non funziona". E il controargomento piu' forte, come per l'Eta e per l'Ira, e' di dimostrare che sbagliano. 6. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: UNA NETTA OPPOSIZIONE AD ALCUNE PARTI DEL TESTO CHE PRECEDE Stupisce l'incredibile rozzezza e l'effettuale dereismo di alcune parti di questo intervento di uno studioso solitamente acuto ed autorevole come Galtung, per rconoscimento unanime uno dei maestri maggiori della peace research a livello internazionale, che alla vicenda mediorientale e al conflitto israelo-palestinese ha dedicato in anni passati pregevoli studi che costituiscono un punto di riferimento per tutti gli studiosi e i decisori politici oltre che per gli attivisti impegnati per la pace e la nonviolenza. * Attribuire alla politica israeliana sempre e solo intendimenti criminali e contemporaneamente la piu' completa idiozia, che senso ha? Continuare a paragonare Israele al nazismo e' una infamia e una follia, come si fa a non rendersene conto? Rappresentare una cospicua e complessa tradizione politica risorgimentale di ascendenza europea ed ottocentesca come il sionismo riducendolo a una ignobile caricatura, che senso ha? * Cio' che vi e' di utile e di interessante nel ragionamento di prospettiva di Galtung (che l'autore ha piu' volte proposto nel corso degli anni in interventi assai piu' ampi, approfonditi e argomentati), qui viene purtroppo peggio che indebolito dalla presenza di espressioni bieche, di argomentazioni insostenibili, di esemplificazioni improponibili, di omissioni e travisamenti inammissibili, tali che rendono inaccettabile questo intervento. Perche' lo abbiamo pubblicato, allora? Per due motivi: il primo, perche' tuttavia alcune cose degne di attenzione e discussione ovviamente vi sono, e ci piace ritenere che chi legge questo foglio sia abituato a saper discernere quel che vale da quel che non vale; il secondo: perche' le parti peggiori e pessime di questo intervento sono purtroppo non individuali stravaganze di un episodio di scrittura currenti calamo in un momento di deconcentrazione (talvolta anche Omero sonnecchia, sapevano gia' gli antichi - che del resto sapevano tutto, beati e poveri loro), ma un esempio e un sintomo di quella irriflessa koine' che corrompe tanta parte del movimento pacifista internazionale, e forse per una volta poteva esser utile darne un saggio, beninteso senza ad essa koine' essere in alcun modo corrivi. Galtung ci perdonera' se di questo suo testo abbiamo voluto fare questo uso doppiamente pedagogico: un maestro e' maestro anche nei suoi errori. * A onor del vero un'ultima cosa ancora vorremmo aggiungere, che i piu' giovani non sanno, e forse non riescono ad immaginare: che prima del 1989 - intendendo: il crollo dell'Unione Sovietica e la fine con essa non solo del totalitarismo nell'Europa dell'est ma anche di una situazione internazionale fissata dal 1945 nelle sue linee essenziali dalla lotta tra le due superpotenze e dal collocarsi di fatto all'interno di questa cornice delle lotte sociali e politiche in tutto il mondo - altro era il quadro concettuale di riferimento nell'interpretazione delle relazioni internazionali, altra la ratio e la caratterizzazione dei conflitti e dei movimenti di trasformazione sociale, altri gli elementi salienti del pensiero politico e dei sistemi ideologici. Altra cosa era il conflitto mediorientale, altre le letture di esso, altra l'autopercezione dei soggetti coinvolti, altri i programmi. Forse varrebbe la pena un giorno ricostruire questa storia ad uso di chi non c'era, e di chi ha frettolosamente dimenticato (un'amnesia sovente tutt'altro che casuale). 7. RIEDIZIONI. GIORDANO BRUNO, TOMMASO CAMPANELLA: OPERE Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp. XX + 670, euro 12,90 (in suppl. a "Il sole 24 ore"). Dalla classica Letteratura Italiana Ricciardi una selezione delle opere bruniane e campanelliane a cura rispettivamente di Augusto Guzzo e di Romano Amerio. Del Nolano il Candelaio, La cena de le ceneri e assaggi dal De la causa, principio e uno, dallo Spaccio de la bestia trionfante, dal De immenso et innumerabilibus; di quel di Stilo alcune poesie filosofiche, alcune lettere, brani dell'Apologia pro Galilaeo e Del senso delle cose e della magia, il compendio dei Discorsi universali del governo eclesiastico per far una gregge e un pastore, e naturalmente La citta' del sole. Per quanto sovente faticoso sia leggere questa scrittura scoscesa e affannata, di un tempo in cui fin nella sintassi, nella morfologia e nel lessico si riflette il dolore, la paura, l'angoscia, come non voler tornare ancora una volta a rendere il miglior omaggio - che e' il prestare ascolto senza pretendere di tutto ridurre a formula e monolite - all'arso in Campo de' Fiori, e al lungamente carcerato Settimontano Squilla nemico di tirannide, sofismi, ipocrisia. 8. LE ULTIME COSE. LUCIANO BONFRATE: AI VECCHI COMPAGNI E dico a voi, compagni di un tempo quando tutto ci pareva da cambiare e nessuna ingiustizia tollerabile. Cosa siete diventati nel frattempo? E' davvero bastato che vi dessero qualche stelletta, qualche prebenda qualche incarico, cattedra, bastone perche' vi tramutaste in quel sistema che dicevate essere oppressivo? Bastava davvero cosi' poco per convertirvi alla guerra e al fascismo? Guardo stanotte la pioggia che cade da un cielo nero come di pece e mi dico felice di essere restato povero, e che i miei pochi amici son quasi tutti dal vostro mondo esclusi, gente che campa di magri espedienti e tutte le conosce le ferite. Ma ancora posso parlare, la mia parola ha ancora un valore: non ho fatto morire nessuno a nessuno ho sottratto un boccone con gli stragisti non ho combinato affari degli schiavisti al desco non mi sono accomodato agli affamatori non ho retto il sacco non ho mai detto la parola disonesta sono ancora un compagno. Voi no. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1381 dell'8 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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