Nonviolenza. Femminile plurale. 75



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 75 del 3 agosto 2006

In questo numero:
1. Virginia Woolf: Pensieri di pace durante un'incursione aerea
2. Sveva Haertter intervista Peretz Kidron
3. Marina Forti: Teheran tra atomo e Libano
4. Annamaria Rivera ricorda Pierre Vidal-Naquet
5. Maria Zambrano: L'effetto
6. Silvia Calamandrei presenta "Un passato che ritorna" di Valerio
Castronovo

1. MAESTRE. VIRGINIA WOOLF: PENSIERI DI PACE DURANTE UN'INCURSIONE AEREA
[Ancora una volta riproponiamo, riprendendolo dal sito dell'Universita'
delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) il seguente testo,
scritto nell'agosto 1940 per una raccolta statunitense di saggi su argomenti
di attualita' riguardanti la donna, e pubblicato in italiano in Virginia
Woolf, Per le strade di Londra, Il Saggiatore, Milano 1963. Virginia Woolf,
scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882,
promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre
alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni
fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E'
uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di
liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state
tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi  (in due volumi,
comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora
Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro)
e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla
Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere
narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi
dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali
rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente
importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton
Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono
disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su
Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti,
Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia,
Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980. Segnaliamo
anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in
Mimesis, Einaudi, Torino 1977]

I tedeschi sono passati sopra questa casa ieri sera e la sera prima. Eccoli
un'altra volta. E' una strana esperienza, questa di stare sdraiata nel buio
e ascoltare il ronzio di un calabrone che in qualsiasi momento puo' pungerci
mortalmente. E' un rumore che non permette di pensare freddamente e
coerentemente alla pace. Eppure e' un rumore che dovrebbe costringerci -
assai piu' che non gli inni e le preghiere - a pensare alla pace. Poiche' se
non riusciamo, a forza di pensare, a infondere esistenza a questa pace,
continueremo per sempre a giacere - non questo corpo in questo letto bensi'
milioni di corpi non ancora nati - nello stesso buio, ascoltando lo stesso
rumore di morte sulla testa. Facciamo tutto il possibile per creare il solo
rifugio antiaereo efficace, mentre la' sul colle sparano i cannoni e i
riflettori tastano le nuvole; e qua e la', a volte vicino, a volte lontano,
cade una bomba.
Lassu' in cielo combattono giovani inglesi contro giovani tedeschi. I
difensori sono uomini, gli attaccanti sono uomini. Alla donna inglese non
vengono consegnate armi, ne' per combattere il nemico ne' per difendersi.
Ella deve giacere disarmata, questa sera. Eppure se ella crede che quel
combattimento lassu' in cielo e' una lotta da parte degli inglesi per
proteggere la liberta', da parte dei tedeschi per distruggere la liberta',
ella deve lottare, con tutte le sue forze, dalla parte degli inglesi. Ma
come puo' lottare per la liberta' senza armi? Fabbricandole, oppure
fabbricando vestiti e alimenti. Ma c'e' un altro modo di lottare senza armi
per la liberta'. Possiamo lottare con la mente; fabbricare delle idee, le
quali possano aiutare quel giovane inglese che combatte lassu' in cielo a
vincere il nemico.
Ma perche' le idee siano efficaci, dobbiamo essere in grado di accendere la
loro miccia. Dobbiamo metterle in azione. E quel calabrone in cielo mi
sveglia un altro calabrone nella mente. Ce n'era uno questa mattina, che
ronzava nel "Times"; era la voce di una donna che protestava: "Le donne non
possono dire una parola sulle questioni politiche". Non c'e' nessuna donna
nel Governo; ne' in nessun posto di responsabilita'. Tutti i fabbricanti di
idee, in grado di attuare queste loro idee, sono uomini. Ecco un pensiero
che soffoca il pensiero, e incoraggia invece l'irresponsabilita'. Perche'
non sprofondare allora la testa nel cuscino, otturarsi le orecchie e
abbandonare questa futile attivita' di fabbricare idee? Poiche' ci sono
altri tavoli, oltre ai tavoli dei militari, e i tavoli delle conferenze.
Potrebbe darsi che se noi rinunciamo al pensiero privato, al pensiero del
tavolo da te', perche' esso ci sembra inutile, stiamo privando quel giovane
inglese di un'arma che potrebbe essergli utile. Non stiamo esagerando la
nostra incapacita', solo perche' la nostra capacita' ci espone forse
all'insulto, al disprezzo? "Non cessero' di lottare mentalmente", scrisse
Blake. Lottare mentalmente significa pensare contro la corrente, e non a
favore di essa.
E quella corrente scorre veloce e violenta. Straripa in parole dagli
altoparlanti e dai politici. Ogni giorno ci dicono che siamo un popolo
libero il quale combatte per difendere la liberta'. Quella e' la corrente
che ha trascinato nei suoi turbini quel giovane aviatore fino al cielo, e
che lo fa girare incessantemente tra le nuvole. Quaggiu', protetti da un
tetto, con una maschera antigas sotto le mani, e' nostro dovere sgonfiare
questi palloni d'aria e scoprire qualche germe di verita'. Non e' vero che
siamo liberi. Questa sera siamo tutti e due prigionieri: lui nella sua
macchina con un'arma accanto, noi sdraiati nel buio con una maschera antigas
accanto.
Se fossimo liberi saremmo all'aperto, a ballare, o in un teatro, o seduti
davanti alla finestra, conversando. Che cosa ce lo impedisce? "Hitler!"
esclamano unanimi gli altoparlanti. Chi e' Hitler? Che cosa e' Hitler?
L'aggressivita', la tirannia, l'amore forsennato del potere, rispondono.
Distruggetelo, e sarete liberi.
*
Ora sulla mia testa gli aerei rombano come se segassero il ramo di un
albero. Gira e gira, segando e segando quel ramo proprio sopra la mia casa.
E nel cervello un altro suono comincia ad aprirsi, anch'esso segando, una
galleria. "Le donne capaci" - cosi' diceva Lady Astor nel "Times" di questa
mattina - "vengono ostacolate in tutte le carriere a causa dell'inconscio
hitlerismo nel cuore dell'uomo". E' vero, siamo ostacolate. E questa sera
siamo tutti prigionieri: gli inglesi nei loro aerei, le inglesi nei loro
letti. Ma se lui smette un attimo di pensare, possono ucciderlo; e anche
noi. Pertanto, pensiamo per lui. Cerchiamo di fare conscio l'inconscio
hitlerismo che ci opprime. E' il desiderio di aggressione; il desiderio di
rendere schiavi. Perfino nel buio possiamo vederlo chiaramente. Vediamo le
vetrine dei negozi illuminati a giorno, e le donne che guardano; donne
incipriate; donne travestite; donne dalle labbra rosse e dalle unghie rosse.
Sono schiave che cercano di rendere schiavi gli altri. Se potessimo
liberarci dalla schiavitu', avremo liberato gli uomini dalla tirannia. Gli
Hitler sono generati dagli schiavi.
*
Cade una bomba. Tutte le finestre tremano. I cannoni antiaerei entrano in
azione. La', sull'alto del colle, sotto una rete con pezzi appiccicati di
stoffa verde e bruna, imitando i colori delle foglie d'autunno, si
nascondono i cannoni. Ora sparano tutti insieme. Il giornale radio delle
nove ci dira': "Questa sera sono stati abbattuti quarantaquattro aerei
nemici, dieci dei quali dal fuoco antiaereo". E una delle condizioni della
pace, dicono gli altoparlanti, sara' il disarmo. Non ci saranno piu' armi,
ne' esercito, ne' marina, ne' forza aerea nell'avvenire. I giovani non
saranno piu' addestrati a combattere con le armi. Quello sveglia un altro
calabrone nelle camere del cervello, un'altra citazione: "Combattere contro
un nemico reale, meritare eterno onore e gloria uccidendo dei perfetti
sconosciuti, e tornare a casa con il petto coperto di medaglie e di
decorazioni, quello era il colmo delle mie speranze... A questo era stata
dedicata, finora, tutta la mia vita, la mia educazione, la mia preparazione,
tutto...".
Queste sono le parole di un giovane inglese combattente nell'ultima guerra.
Davanti a queste parole, possono credere onestamente i pensatori
dell'accennata corrente che scrivendo "disarmo" su un pezzo di carta in una
conferenza di ministri, avranno fatto tutto cio' che si doveva fare? Otello
non avra' piu' occupazione, ma egli sara' sempre Otello. Quel giovane
aviatore in cielo non e' spinto soltanto dalle voci degli altoparlanti; e'
spinto anche dalle voci che ascolta in se', antichi istinti, istinti
incoraggiati e nutriti dall'educazione e dalla tradizione. Glieli dobbiamo
forse rimproverare? Si potrebbe forse sopprimere l'istinto materno, perche'
cosi' ha voluto un gruppo di politici? Supponiamo che fra le condizioni di
pace ci fosse questa, imperativa: "L'esercizio della maternita' sara'
ristretto a una classe ridotta di donne accuratamente selezionate", forse
sarebbe accettata? Piuttosto diremmo: "L'istinto materno e' la gloria della
donna. A questo e' stata dedicata finora la mia vita, la mia educazione, la
mia preparazione, tutto...". Ma se fosse necessario, per il benessere
dell'umanita', per la pace del mondo, che l'esercizio della maternita'
venisse ristretto, e l'istinto materno messo a tacere, forse le donne non si
rifiuterebbero. Gli uomini le aiuterebbero. Onorerebbero queste donne per il
loro rifiuto di generare. Aprirebbero altre possibilita' al loro potere
creativo. E anche questo deve essere parte della nostra lotta per la
liberta'. Dobbiamo aiutare i giovani inglesi a togliere dai loro cuori
l'amore delle medaglie e delle decorazioni. Dobbiamo creare attivita' piu'
onorevoli per coloro i quali cercano di dominare in se stessi l'istinto
combattivo, l'inconscio hitlerismo. Dobbiamo compensare l'uomo per la
perdita delle sue armi.
*
Il rumore di sega sulle nostre teste aumenta. Tutti i riflettori puntano in
alto, verso un punto sito esattamente sopra questo tetto. In qualunque
momento puo' cadere una bomba in questa stanza. Uno due tre quattro cinque
sei... passano i secondi. La bomba non e' caduta. Ma durante quei secondi di
attesa, l'attivita' del pensiero e' cessata. E anche e' cessato ogni
sentimento, tranne un opaco timore. Un chiodo fissava tutto l'essere a
un'asse di legno duro. L'emozione della paura e dell'odio e' pertanto
sterile, non fertile. Non appena la paura scompare, la mente affiora di
nuovo e istintivamente cerca di rivivere creando. Siccome la stanza e' al
buio, puo' creare soltanto con la memoria. Si protende verso il ricordo di
altri agosti, a Bayreuth, ascoltando Wagner; a Roma, passeggiando per la
campagna romana; a Londra. Ritornano le voci degli amici; frammenti di
poesia. Ognuno di questi pensieri, anche nella memoria, era assai piu'
positivo, rinfrescante, consolatore e creativo di quanto non lo fosse
quell'opaco spavento, fatto di paura e di odio. Percio', se vogliamo
compensare quel giovane della perdita della sua gloria e della sua arma, gli
dobbiamo aprire l'accesso ai sentimenti creativi. Dobbiamo fabbricare
felicita'. Dobbiamo liberarlo dalla macchina. Dobbiamo tirarlo fuori dalla
sua prigione, all'aperto. Ma a che cosa serve liberare il giovane inglese,
se il giovane tedesco e il giovane italiano rimangono schiavi?
*
I riflettori, ondeggiando sulla pianura hanno trovato finalmente l'aereo. Da
questa finestra si puo' vedere un piccolo insetto argentato che gira e si
contorce nella luce. I cannoni sparano e sparano. Poi smettono.
Probabilmente l'attaccante e' stato colpito, dietro il colle. L'altro
giorno, uno dei piloti riusci' ad atterrare in un campo qui vicino. In un
inglese abbastanza tollerabile, disse ai suoi catturatori: "Come sono
contento che la lotta sia finita!". Poi un inglese gli diede una sigaretta,
e una inglese gli offri' una tazza di te'. Questo starebbe a dimostrare che
se si riesce a liberare l'uomo dalla macchina, il seme non cade in un suolo
completamente sterile. Il seme puo' essere ancora fertile.
*
Finalmente tutti i cannoni hanno smesso di sparare. Tutti i riflettori si
sono spenti. Il buio naturale della notte d'estate ritorna. Si sentono
nuovamente gli innocenti rumori della campagna. Una mela cade per terra. Un
gufo grida, spostandosi da un albero all'altro. E qualche parola quasi
dimenticata di un vecchio scrittore inglese mi viene in mente: "I cacciatori
si sono alzati in America...". Mandiamo dunque queste note frammentarie ai
cacciatori che si sono alzati in America, agli uomini e alle donne il cui
sonno non e' stato ancora interrotto dal rumore della mitragliatrice, con la
speranza che vengano ripensate, generosamente e caritatevolmente, e forse
rimaneggiate fino a diventare qualcosa di utile. E adesso, in questa meta'
buia del mondo, a dormire.

2. TESTIMONIANZE. SVEVA HAERTTER INTERVISTA PERETZ KIDRON
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 agosto 2006.
Sveva Haertter, fortemente impegnata per la pace, la giustizia e il dialogo,
fa parte della rete "Ebrei contro l'occupazione".
Peretz Kidron, intellettuale israeliano, responsabile delle relazioni
internazionali del movimento per la pace "Yesh Gvul", giornalista, scrittore
e traduttore; e' nato a Vienna, fuggito all'eta' di 5 anni dall'occupazione
nazista, dopo aver vissuto e studiato in Inghilterra e' emigrato in Israele
nel '51 e li' ha vissuto per venti anni in un kibbutz; ha pubblicato con la
giornalista palestinese Raimonda Tawil il libro My Home, my prison. Opere di
Peretz Kidron disponibili in italiano: (a cura di), Meglio carcerati che
carcerieri. I refuseniks israeliani raccontano la loro storia,
Manifestolibri, Roma 2003]

Amir Pasteur, 32 anni, capitano dell'esercito israeliano, dal 31 luglio
sconta una condanna a 28 giorni di carcere per aver rifiutato (ma non e'
stato il primo) la chiamata alle armi. Il movimento pacifista ha sempre
avuto grande attenzione al fenomeno dei "refuseniks". Per saperne di piu'
abbiamo sentito Peretz Kidron, che gestisce le relazioni internazionali per
"Yesh Gvul" ("C'e' un limite"), uno dei principali gruppi di refuseniks.
*
- Sveva Haertter: Oltre all'appello a rifiutare, state mettendo in campo
altre azioni?
- Peretz Kidron: Come "Yesh Gvul" stiamo preparando una richiesta formale
alle istituzioni giudiziarie, per chiedere l'apertura di un'inchiesta sui
crimini di guerra. Ci sono molti eventi che anche da un punto di vista
squisitamente legale sono potenzialmente qualificabili come crimini di
guerra: gli attacchi contro la popolazione civile, le infrastrutture
pubbliche e private, le centrali elettriche, c'e' la questione dei profughi.
Gli stessi attacchi contro l'esercito libanese, nei confronti del quale non
c'e' ufficialmente uno stato di belligeranza. Certo non ci aspettiamo grandi
risultati, ma vogliano porre il problema e fare il possibile perche' i
responsabili di queste azioni vengano messi sotto processo.
*
- Sveva Haertter: Qual e' il clima nell'opinione pubblica?
- Peretz Kidron: Il clima e' pesantissimo. Circa il 90% della popolazione e'
schierato totalmente a favore della guerra, parlo ovviamente della
popolazione ebraica. Va da se' che i palestinesi con nazionalita' israeliana
la pensano diversamente. Noi siamo stati tra i primi a promuovere iniziative
di protesta, anzi, abbiamo organizzato la prima manifestazione che si e'
svolta davanti alla residenza del Primo Ministro. Ci sono mobilitazioni
praticamente ogni giorno ed a Tel Aviv negli ultimi due sabati si sono
svolte manifestazioni molto partecipate. Come sempre, per ora si muovono
solo i gruppi piu' radicali.
*
- Sveva Haertter: Pensi che questa situazione possa cambiare?
- Peretz Kidron: Quello che succede in questo momento lo chiamo la "sindrome
dell'alluce". Hai presente quando vai al mare e metti l'alluce nell'acqua
per sentire se e' troppo fredda? In genere quando la protesta cresce, anche
le organizzazioni meno radicali prendono coraggio e si schierano. Ma prima
di prendere iniziativa vogliono capire bene. E' stato cosi' anche con la
prima Intifada. In effetti la situazione e' difficile, c'e' un diffuso clima
di sostegno nei confronti dell'esercito e di entusiasmo, per una guerra di
difesa che pertanto viene considerata giusta. Far sentire una voce diversa
e' molto difficile. Dobbiamo quasi sempre ricorrere ad annunci a pagamento.
In fasi come questa, i media sono molto patriottici e nazionalisti e per la
sinistra radicale e' difficilissimo ottenere spazi. Ci sono i primi timidi
segnali di cambiamento, ma l'appoggio al governo e all'esercito resta molto
forte. Ci sono stati 51 morti in territorio israeliano, tanta gente vive nei
rifugi, i danni economici e materiali sono consistenti, la gente ha paura
davvero. Gerusalemme e' piena di sfollati. Ovviamente questo rafforza la
posizione del governo, che spinge solo verso la guerra. Persino la
situazione drammatica di Gaza, dove continuano costantemente gli attacchi
dell'esercito, causando quasi ogni giorno morti e feriti, passa quasi sotto
silenzio, tranne che per la destra che continua a dire che il ritiro
unilaterale e' stato un errore. In effetti anch'io penso che sia stato un
errore, ma non per il ritiro in se', per il fatto che sia avvenuto in modo
unilaterale e non sulla base di un accordo tra le parti.
*
- Sveva Haertter: Ti aspettavi qualcosa di diverso da questo governo?
- Peretz Kidron: Francamente si', mi ha molto deluso. Ha condotto tutta la
campagna elettorale parlando della necessita' di tagliare le spese militari
per spostare risorse sulla spesa sociale. Invece si e' immediatamente
schierato sulle posizioni dell'esercito, di cui mi pare che non abbia alcun
controllo. Anzi, ho l'impressione che non ci stia nemmeno provando e che sia
l'esercito a prendere le decisioni, mentre il governo si limita a metterle
in pratica. Sia Olmert che altri ministri non sono militari professionisti e
quindi tendono ad avere un ruolo subalterno nei confronti dei generali.
Temono che i vertici dell'esercito li possano scavalcare rispetto al
consenso dell'opinione pubblica.
*
- Sveva Haertter: Stai dicendo che il fatto che per la prima volta ci sono
importanti esponenti del governo che non hanno alle spalle una carriera
militare, sta dando piu' potere all'esercito? Non e' un paradosso?
- Peretz Kidron: No, non lo e'. Si tratta di un fatto strutturale,
intrinseco nel sistema. Ci sono pochissimi precedenti in cui il governo ha
agito con il parere negativo dell'esercito, che e' il suo referente
principale e l'unico in grado di presentare programmi strutturati. Ad
esempio manca un organismo come il Consiglio Nazionale per la Sicurezza che
c'e' negli Usa. Non che cambi molto nelle scelte, ma sono comunque
possibili - almeno in teoria - diverse valutazioni e diverse opzioni, i
militari non sono l'unico interlocutore del governo. Recentemente Amir Oren,
il corrispondente militare di "Haaretz", quindi persona bene informata, in
un articolo parlava di due questioni importanti, ovvero del fatto che
l'esercito si stava preparando da mesi a questa situazione, e del fatto che
il generale Iland, all'epoca consulente per la sicurezza nazionale,
sosteneva la necessita' di un'iniziativa politica e diplomatica, con uno
scambio dei prigionieri ed interventi sulla situazione nel nord, in
particolare rispetto alle fattorie di Sheba. Olmert lo ha rimosso.

3. MONDO. MARINA FORTI: TEHERAN TRA ATOMO E LIBANO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 agosto 2006. Marina Forti, giornalista
particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud
del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto"
sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle
lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far
sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora
di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo,
Feltrinelli, Milano 2004]

Una doppia crisi per l'Iran? Da un lato il nucleare, dall'altro il Libano.
Da un lato, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha posto un
ultimatum a Teheran: nella risoluzione approvata lunedi' chiede di
rinunciare alle attivita' relative all'arricchimento dell'uranio entro il 31
agosto; per la prima volta si tratta di una richiesta vincolante con la
minaccia, altrimenti, di sanzioni economiche. Dall'altro lato, l'offensiva
militare di Israele contro gli Hezbollah in Libano chiama in causa anche
l'Iran, indicato come principale sostenitore e sponsor del partito armato
sciita libanese (anche se molti dubitano che abbia direttamente "ordinato"
il rapimento dei soldati israeliani che ha scatenato il conflitto).
I commenti ufficiali iraniani sono scontati. Il presidente Mahmoud Ahmadi
Nejad ieri ha dichiarato che l'Iran continuera' il suo programma atomico:
´Gli iraniani considerano un proprio diritto trarre beneficio dalla
tecnologia per produrre combustibile nucleare a scopi pacifici", ha detto;
l'occidente "sbaglia se pensa di poter usare il linguaggio della forza e
delle minacce contro l'Iran". Nulla di nuovo. Non e' chiaro se e come l'Iran
rispondera' alle proposte di incentivi economici in cambio della rinuncia
all'uranio arricchito, in cui il capo del Consiglio di sicurezza nazionale
Ali Larijani ha detto di vedere aspetti "positivi" e a cui Teheran si e'
riservata di rispondere il 22 agosto - o se l'ultimatum dell'Onu fa cadere
questo filo di negoziato, come minacciato dal governo iraniano.
Sul Libano, i commenti ufficiali sono unanimi: il sostegno al partito
Hezbollah, le accuse a Israele per il pesantissimo bilancio umano
dell'offensiva. Fa riflettere un editoriale di "Keyhan", il quotidiano
considerato la voce ufficiale della Guida suprema (l'ayatollah Ali
Khamenei): l'altro giorno titolava "la nostra guerra", come a convincere gli
iraniani che il conflitto li riguarda. Il giorno dopo ha attaccato un altro
giornale per aver pubblicato lettere di lettori, anonime, che criticavano
l'appoggio dell'Iran al partito Hezbollah libanese: opinioni "in linea con
la propaganda del regime sionista", tuona "Keyhan" - segno pero' che
opinioni simili circolano. Non e' in questione la simpatia del'opinione
iraniana per i libanesi sotto le bombe, o l'indignazione per il carnaio che
emerge da sotto le macerie. Ma le iniziative di solidarieta' "militante"
sono, come sempre, piu' propaganda che altro. Ieri l'ayatollah Ahmad Jannati
(tra i piu' conservatori del Consiglio dei Guardiani) ha detto che le
nazioni musulmane devono mandare aiuti e armi agli Hezbollah. La tv mostra
immagini di code per fare donazioni per il Libano nelle moschee, il canale
al-Alam (satellitare, in arabo, della tv di stato iraniana) manda in onda
interviste a "volontari martiri" in partenza. Ma un gruppetto di volontari
diretto in Libano via Turchia e Siria e' stato fermato dalle autorita'
iraniane ancor prima della frontiera, riferivano venerdi' le agenzie
iraniane e la Associated Press. Al di la' della propaganda, L'Iran non ha
alcun interesse ad allargare il conflitto ed esserne coinvolto, e tutti i
segnali dicono piuttosto che cerca una posizione di possibile negoziatore.
il conflitto libanese preoccupa, come risulta da molti commenti - benche'
ufficiosi. Avra' "conseguenze negative per la sicurezza nazionale e forse
perfino per l'integrita' territoriale dell'Iran", si legge sul sito
Baztab.com, legato al presidente Ahmadi Nejad. Mentre su un weblog di
opposizione il giornalista Ahmad Zeydabadi (editorialista del quotidiano
"Sharq", dove pero' commenti simili non sono ammessi) sostiene che "spargere
altro sangue non portera' liberta' per i palestinesi" ma "interessa alcuni
stati o fazioni politiche" per mantenere il potere e zittire la critica.

4. LUTTI. ANNAMARIA RIVERA RICORDA PIERRE VIDAL-NAQUET
[Dal quotidiano "Liberazione" del 2 agosto 2006.
Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa,
vive a Roma e insegna etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente
impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha
sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l'impegno sociale e
politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si
occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua
ricerca, infatti, sono l'analisi delle molteplici forme di razzismo,
l'indagine sui nodi e i problemi della societa' pluriculturale, la ricerca
di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali
e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu' recenti: (con Gallissot e
Kilani), L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari
2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e
nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma
2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita',
Dedalo, Bari 2005.
Pierre Vidal-Naquet (1930-2006), resistente antifascista, oppositore della
guerra d'Algeria, storico e militante democratico, intransigente difensore
dei diritti umani di tutti gli esseri umani. I suoi genitori furono
deportati e uccisi ad Auschwitz, giovanissimo prese parte alla Resistenza;
tra gli intellettuali francesi piu' impegnati contro la guerra d'Algeria, fu
tra i primi a denunciare l'uso della tortura da parte delle truppe francesi
in Algeria, e fu tra i promotori del "Manifesto dei 121"; illustre studioso
dell'antichita' classica, direttore di studi all'Ecole des Hautes Etudes en
Sciences Sociales, con Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant uno dei
fondatori del Centre de recherche comparee sur les societes anciennes;
sempre impegnato contro ogni oppressione ed ogni misitficazione, e' uno dei
nostri indimenticabili maestri. Opere di Pierre Vidal-Naquet: Lo stato di
tortura, Bari 1963; Il buon uso del tradimento, Editori Riuniti, Roma 1980;
Gli ebrei, la memoria e il presente, Editori Riuniti, Roma 1985; Il
cacciatore nero, Editori Riuniti, Roma 1988, Feltrinelli, Milano 2006; Gli
assassini della memoria, Editori Riuniti, Roma 1993; La democrazia greca
nell'immaginario dei moderni, Il Saggiatore, Milano 1996; Il mondo di Omero,
Donzelli, Roma 2001; Lo specchio infranto. Tragedia ateniese e politica,
Donzelli, Roma 2002; (con Jean-Pierre Vernant), Mito e tragedia nell'antica
Grecia, Einaudi, Torino 1976; (con Jean-Pierre Vernant), Mito e tragedia
due. Da Edipo a Dioniso, Einaudi, Torino 1991, 2001]

Ci manchera' Pierre Vidal-Naquet.
Manchera' non solo agli storici di professione e agli studiosi, ma anche e
soprattutto a coloro - sempre piu' rari, ahime' - i quali sono persuasi che
impegno sociale e coraggio morale, tensione etica e senso dell'uguaglianza e
della giustizia, amore per la verita' e onesta' e rigore intellettuali siano
inscindibili tanto nella sfera dell'agire politico quanto in quella del
lavoro intellettuale. Insomma, alle "anime belle" - come oggi e' in voga
definirle sprezzantemente - che non sono disposte a barattare principi e
rigore in cambio del piatto di lenticchie di qualche uffizio ben pagato o di
qualche mediocre compatibilita'.
Nelle sue Memorie Vidal-Naquet racconta che, da adolescente, a segnarlo
profondamente fu uno scritto di Chateaubriand che suo padre gli lesse prima
di essere arrestato e deportato ad Auschwitz: "Allorche', nel silenzio
dell'abiezione, non si sente risuonare altro che la catena dello schiavo e
la voce del delatore; allorche' tutto trema davanti al tiranno e pericoloso
e' tanto guadagnare il suo favore quanto cadergli in disgrazia, allo storico
sembra affidato il compito di vendicare i popoli". Le parole di
Chateaubriand anticipano con efficacia il valore che Vidal-Naquet avrebbe
attribuito al mestiere di storico nel corso dell'intero suo percorso, da
insegnante in un liceo d'Orleans a direttore di studi all'Ecole des hautes
etudes en sciences sociales: la storia intesa, in definitiva, come "senso
del mondo e della vita".
*
Nei lavori sulla Grecia antica (alcuni dei quali scritti con Jean-Pierre
Vernant) come in quelli sulla Shoah, nei saggi sulla guerra d'Algeria come
nei pamphlet contro il negazionismo, egli testimonia non solo di un'opera ma
di una vita intera dedicata a smontare le imposture e le mistificazioni
delle storie ufficiali. Ancora assai recentemente, in occasione della
polemica conseguente alla legge, poi ritirata, che riabilitava il ruolo
svolto dalla Francia nelle colonie, egli era insorto contro la
strumentalizzazione della storia e la pretesa che siano le leggi dello Stato
a stabilire la verita' storica. Questa profonda convinzione si coniugava
tuttavia con un incessante impegno contro il negazionismo e il revisionismo;
e questo, a sua volta, si accompagnava con la vigorosa denuncia dei misfatti
della politica israeliana e con la difesa dei diritti del popolo
palestinese, fino a prima di lasciarci, quando ha sottoscritto un appello
contro la guerra d'Israele in Libano.
Egli e' stato fino all'ultimo, anche in tempi di sconfortanti
semplificazioni e di penose banalizzazioni, studioso ma anche uomo
profondamente complesso. Nato in una famiglia di ebrei laici, figlio di un
avvocato che aveva partecipato alla Resistenza, egli fu personalmente
segnato dalla tragedia dello Sterminio: arrestati a Marsiglia dalla Gestapo
nel maggio del 1944 e deportati ad Auschwitz, i suoi genitori non ne fecero
piu' ritorno. Ebreo laico egli stesso, la tragedia personale non gli ha mai
impedito, ha anzi alimentato, lo strenuo impegno in difesa dei dominati,
degli oppressi, degli espropriati d'ogni diritto, anche quando lo sono per
mano di uno stato che si richiama all'ebraismo.
*
Chi scrive, non essendo storica di professione, non tentera' l'impresa di
ricostruirne - col rigore che merita - l'opera di storico. Altri lo faranno
piu' degnamente. Preferisce concludere, dunque, ricordando un documento
esemplare che vide Vidal-Naquet fra i promotori: il "Manifesto dei 121",
cioe' la "Dichiarazione sul diritto all'insubordinazione" che segno' una
tappa fondamentale verso la fine della sanguinosa guerra d'Algeria e la
decolonizzazione di quel martoriato paese.
Era il 6 settembre del 1960 e il Manifesto fu la risposta della parte
migliore dell'intellighenzia francese ai duri processi cui erano sottoposti
i militanti francesi che osavano solidarizzare con l'Fln algerino. Insieme a
lui firmarono, fra gli altri, Blanchot, Breton, Condominas, de Beauvoir,
Duras, Glissant, Jaulin, Lefebvre, Leiris, Maspero, Resnais, Robbe-Grillet,
Sagan, Serraute, Sartre, Signoret, Vernant: artisti, cineasti, editori,
filosofi, poeti, romanzieri, storici, antropologi, i quali ebbero il
coraggio di dichiarare che di fronte ad "una guerra imperialista, per di
piu' accompagnata da razzismo" era dovere morale reagire e sostenere la
disobbedienza e l'insubordinazione.
Queste personalita', che hanno segnato profondamente la storia della cultura
europea, pagarono il loro atto con prezzi personali pesanti e con
l'isolamento politico: il Pcf espresse blanda solidarieta', ma
dissociandosi, e perfino il Psu, appena costituito, pur esprimendo simpatia
verso i firmatari, prese le distanze dal loro orientamento.
Eppure il Manifesto dei 121 non solo contribui' ad estendere la solidarieta'
verso la lotta di liberazione algerina, ma fu il piccolo lume acceso che
negli anni avvenire avrebbe permesso al pensiero e alla politica di sinistra
di non vergognarsi di se stessi. "Non vi sono forse dei casi - si scriveva
nel Manifesto - in cui il rifiuto e' un dovere sacro e il 'tradimento'
significa coraggioso rispetto della verita'?".

5. MAESTRE. MARIA ZAMBRANO: L'EFFETTO
[Da Maria Zambrano, La confessione come genere letterario, Bruno Mondadori,
Milano 1997, p. 31. Maria Zambrano, insigne pensatrice spagnola (1904-1991),
allieva di Ortega y Gasset, antifranchista, visse a lungo in esilio. Tra le
sue opere tradotte in italiano cfr. almeno: Spagna: pensiero, poesia e una
citta', Vallecchi, Firenze 1964; I sogni e il tempo, De Luca, Roma 1964;
Chiari del bosco, Feltrinelli, Milano 1991; I beati, Feltrinelli, Milano
1992; La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea, La Tartaruga, Milano 1995;
Verso un sapere dell'anima, Cortina, Milano 1996; La confessione come genere
letterario, Bruno Mondadori, Milano 1997; All'ombra del dio sconosciuto.
Antigone, Eloisa, Diotima, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997; Seneca,
Bruno Mondadori, Milano 1998; Filosofia e poesia, Pendragon, Bologna 1998.
L'agonia dell'Europa, Marsilio, Venezia 1999. Dell'aurora, Marietti, Genova
2000; Delirio e destino, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; Persona e
democrazia. La storia sacrificale, Bruno Mondadori, Milano 2000; L' uomo e
il divino, Edizioni Lavoro, Roma 2001; Le parole del ritorno, Citta' Nuova,
Roma 2003. Opere su Maria Zambrano: un buon punto di partenza e' il volume
monografico Maria Zambrano, pensatrice in esilio, "Aut aut" n. 279,
maggio-giugno 1997, e il recente libro di Annarosa Buttarelli, Una filosofa
innamorata. Maria Zambrano e i suoi insegnamenti, Bruno Mondadori, Milano
2004; ci permettiamo di segnalare anche, nel nostro stesso notiziario, i
testi di Elena Laurenzi e di Donatella Di Cesare riprodotti nei nn. 752, 754
e 805, e "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 11, monografico su Maria
Zambrano]

La verita' trasforma la vita.

6. LIBRI. SILVIA CALAMANDREI PRESENTA "UN PASSATO CHE RITORNA" DI VALERIO
CASTRONOVO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 lugio 2006.
Silvia Calamandrei (figlia del partigiano, giornalista, saggista e militante
del movimento operaio Franco Calamandrei e nipote dell'illustre giurista e
protagonista dell'impegno antifascista e democratico Piero Calamandrei), e'
storica, ricercatrice, saggista; ha curato la pubblicazione di vari testi di
e su Piero Calamandrei.
Valerio Castronovo e' un illustre storico e docente universitario. Dal sito
www.educational.rai.it riprendiamo la seguente scheda: "Valerio Castronovo
e' nato a Vercelli nel 1935, ha insegnato storia moderna all'Universita'
Statale di Milano ed e', dal 1972, ordinario di storia contemporanea
all'Universita' di Torino. Si e' occupato principalmente di storia economica
e politico-sociale tra Otto e Novecento. Ha curato l'edizione italiana della
Cambridge Economic History (Einaudi, 1978-1992), nonche' (con L. Gallino) La
societa' contemporanea (Utet, 1987); ha diretto (con E. Castelnuovo) l'opera
Europa moderna 1770-1990 (Elemond, 1987-1993) ed e' curatore di una Storia
dell'economia mondiale in sei volumi per i tipi di Laterza. E' socio
corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino e direttore
scientifico della rivista di scienze e storia 'Prometeo'. Ha collaborato dal
1976 al 1998 alle pagine culturali di 'Repubblica', e dal 2000 e'
editorialista del 'Sole 24 Ore', nonche' collaboratore al supplemento
culturale del quotidiano milanese. Tra le opere di Valerio Castronovo: La
stampa italiana dall'Unita' al fascismo, Laterza, 1970; Giovanni Agnelli. La
Fiat dal 1889 al 1945, Utet, 1971; La storia economica. Dall'Unita' a oggi,
per il IV volume della Storia d'Italia Einaudi, 1975; L'industria italiana
dall'Ottocento a oggi, Mondadori, 1981, 1990; "La Stampa" 1867-1925. Un'idea
di democrazia liberale, Angeli, 1987; Grandi e piccoli borghesi. La via
italiana al capitalismo, Laterza, 1988; La rivoluzione industriale, Sansoni,
1988; Italienischer Europaismus im XX Jahrundert, in Der lange Weg nach
Europe, Edition "Q", 1992; Storia economica d'Italia dall'Ottocento ai
giorni nostri, Einaudi, 1995; Le rivoluzioni dal capitalismo, Laterza, 1996;
Fiat 1899-1999. Un secolo di storia italiana, Rizzoli, 1999; L'eredita' del
Novecento. Che cosa ci attende in un mondo che cambia, Einaudi, 2000"]

Poco rassicurante per l'Europa la conclusione del saggio storico-economico
Un passato che ritorna di Valerio Castronovo (Laterza, pp. 366, euro 19):
l'Asia "e' destinata a soppiantare l'area euro-atlantica quale centro di
gravitazione dello sviluppo e degli scambi". L'ipotesi e' che si stia
ristabilendo quella dipendenza dall'Asia che l'Europa viveva seicento anni
fa e che, in un certo senso, e' stata il motore del suo sviluppo, spingendo
gli europei su nuove rotte, alla ricerca di un passaggio piu' conveniente
verso il pepe nero e le spezie indiane, le sete e le ceramiche cinesi,
stimolando la nascita delle grandi compagnie commerciali olandesi e inglesi.
Secondo Castronovo, d'accordo con Thomas L. Friedman de Il mondo e' piatto
(Mondadori 2006) e Amartya Sen di Globalizzazione e liberta' (Mondadori
2003), la globalizzazione, lungi dall'avvantaggiare i paesi piu' avanzati,
sta scatenando processi di crescita che minano le fondamenta egemoniche
dell'Occidente. Una sorta di nemesi storica: l'Asia sta ristabilendo quella
centralita' che le era appartenuta fino alla fine del Settecento e che fu
scossa dalla rivoluzione industriale inglese, nata proprio in risposta ai
prodotti tessili asiatici fino ad allora predominanti sul mercato europeo.
Gli interrogativi di Castronovo sulla capacita' dell'Europa di far fronte
alle sfide del nuovo secolo, gia' espressi ne L'avventura dell'unita'
europea. Una sfida con la storia e con il futuro (Laterza, 2004), si fanno
piu' inquietanti in un confronto serrato con gli sviluppi asiatici, e in
particolare con il dinamismo dei due colossi di quell'area, Cina e India,
capaci di straordinari tassi di crescita e di innovazione scientifica e
tecnologica di punta. L'obiettivo ambizioso che l'Europa si era data a
Lisbona, diventare nel 2010 l'economia piu' competitiva e dinamica del
mondo, rimpiazzando gli Stati Uniti come forza trainante dell'economia
internazionale, perde colpi di fronte all'avanzata di Cindia.
L'aver "trovato l'America", spostando il centro di gravitazione europeo
verso l'Atlantico, o l'aver coniugato scoperte scientifiche e innovazione
tecnologica a partire dalla rivoluzione industriale inglese, sono state
scosse telluriche dell'economia-mondo che si ripercuotono fino ai territori
asiatici e preparano il predominio europeo sull'Asia del XIX secolo. E nel
Novecento sono le guerre mondiali con l'Europa come epicentro a rimettere in
moto le dinamiche asiatiche e a dare spazio all'iniziativa del Giappone, il
primo paese ad aver raccolto la sfida della modernizzazione. Ed e' nel primo
conflitto mondiale che matura il nazionalismo cinese, nel cui ambito la
rivoluzione d'ottobre diventa punto di riferimento, mentre l'India, che
conosce un impetuoso sviluppo nell'economia bellica, assiste alla crescita
della resistenza nonviolenta di Gandhi contro gli inglesi. E' nella seconda
guerra mondiale che si gioca la partita dell'imperialismo nipponico,
risvegliando ovunque i movimenti indipendentisti che si affermeranno nel
dopoguerra, trovandosi di fronte le vecchie potenze coloniali europee e la
nuova potenza globale americana. Ed e' in Asia che la guerra si chiude con
Hiroshima e Nagasaki, segnale della nuova superpotenza americana e monito
dei nuovi equilibri del terrore atomico della seconda meta' del secolo.
Cina e India emergono indipendenti all'indomani della guerra e negli anni
'50 possono ambire a un ruolo di terza forza a livello mondiale, tentato in
qualche modo nella Conferenza di Bandung del 1955 dall'alleanza tra Nehru e
Zhou Enlai per dar vita al movimento dei non-allineati. Ma la guerra fredda
tende a rinchiudere i conflitti nello scontro tra le due superpotenze
americana e sovietica, prima in Corea, poi a Suez, poi in Vietnam. E' la
guerra del Vietnam, giocata con incredibile sagacia equilibristica dalla
dirigenza vietnamita, con un forte segno di guerra di liberazione, che
scuote gli schemi bipolari, fa saltare il ricatto atomico e destabilizza gli
Usa al loro stesso interno, intrecciandosi con la contestazione giovanile in
America e in Europa e innescando una nuova ondata di movimenti di
liberazione nazionale. E' una stagione in cui l'Asia si riposiziona al
centro, infliggendo la prima sconfitta agli Usa: e l'onda lunga di questo
evento non va ne' sottovalutata ne' ridotta agli accordi economici e
militari conclusi nel 2005 dal Vietnam con gli Usa, in funzione di
cuscinetto anti- Pechino, come suggerisce Castronovo.
I protagonisti della scena asiatica, Cina, India e Giappone, hanno seguito
percorsi diversissimi nella seconda meta' del Novecento e il saggio li
ricostruisce nei dettagli. La Cina maoista, in forte conflitto con il vicino
indiano e in rotta con il blocco sovietico, ambisce a una leadership
terzomondista proponendo un modello di sviluppo autoctono, "contare sulle
proprie forze", mentre forte e' la penetrazione sovietica in India, anche in
funzione anticinese. Il Giappone si prepara a rilanciare la sua sfida sul
fronte economico dopo essersi ripreso, grazie agli aiuti americani, dalla
sconfitta. Sulla sua scia si muoveranno le "piccole tigri" asiatiche,
affermandosi spettacolarmente negli anni '80.
Sara' la presa d'atto del fallimento del modello maoista e di quello
sovietico a preparare la strada all'irruzione economica della Cina e
dell'India sul mercato mondiale, ciascuna con moduli propri, che non
ripercorrono affatto la via giapponese, in stallo negli anni '90 insieme
alle tigri asiatiche; e se il capitalismo cinese e' ibridato con un modello
socialista autoritario, quello indiano lo e' con una democrazia parlamentare
di stampo britannico che si giustappone alla sopravvivenza delle caste.
Il crollo del sistema sovietico nel 1989 apre vuoti di potere e controllo
nell'area asiatica, incrementando i processi endogeni di sviluppo, mentre in
Europa complica il disegno lineare di Delors di integrazione
economico-politica accelerata, ponendo all'ordine del giorno un inatteso
allargamento verso est.
Gli ultimi capitoli mettono a fuoco le variabili e le incognite di oggi: la
fondamentale questione delle risorse energetiche per far fronte ai ritmi di
sviluppo vertiginosi di Cina e India; la sostenibilita' dell'emersione
dell'Asia in termini di equilibri degli ecosistemi planetari e di equita'
sociale; i conflitti etnico-religiosi gia' presenti in India e che la Cina
paventa, in particolare nelle province dell'Asia centrale. Assume di nuovo
attualita' il "grande gioco" per la supremazia in Asia centrale, snodo delle
risorse petrolifere e si riaffaccia sulla scena asiatica la Russia di Putin;
piu' sfocata invece e' l'attenzione per il posizionamento delle nuove
potenze asiatiche rispetto al conflitto mediorientale che assorbe Europa e
Usa. Ma il saggio non tralascia di mettere in luce l'ambiguita' della
strategia Usa nei confronti della Cina, da cui ormai dipendono le quotazioni
del dollaro. Il governo americano, che oscilla tra soft power e hard power
nei confronti di Pechino, in un contesto di "equilibrio del terrore
finanziario", non manca di considerare la superpotenza emergente cinese come
il prossimo competitore strategico.
Ma nelle conclusioni Castronovo vuole soprattutto dare una sferzata
all'Europa, che vede in catalessi a livello politico dopo la crisi del
processo costituzionale, in anchilosi sul piano economico e totalmente
dipendente sul fronte energetico. Il Vecchio Continente, convitato di pietra
sulla scena mondiale, puo' evitare la retrocessione solo rilanciando
l'integrazione politica, acquisendo una maggiore propensione al cambiamento
(innovazione, investimento in ricerca, ma anche riforma del welfare) e
avvalendosi delle nuove opportunita' che la crescita dei paesi emergenti sta
creando. Altrimenti "il verdetto finale della partita intrapresa dall'Europa
con l'Asia cinque secoli fa" e' gia' scritto a chiare lettere. Ma in un
mondo globalizzato e imbricato, in cui i cinesi di Prato si rivelano tra le
forze piu' dinamiche in Toscana e le griffes italiane sono made in China, ha
ancora senso giocare partite intercontinentali?

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 75 del 3 agosto 2006

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