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La nonviolenza e' in cammino. 1362
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1362
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 20 Jul 2006 00:40:43 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1362 del 20 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Dai loro frutti 2. Michael Lerner: Medio Oriente, una proposta nonviolenta 3. Nouhad Moawad: Una chiamata per Beirut 4. Barbara Spinelli: Il fallimento del nuovo "Grande gioco" 5. Un convegno a Pisa nel centenario della nascita del satyagraha 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: DAI LORO FRUTTI Con un consenso totalitario - 549 voti a favore, solo 4 voti contrari - la Camera dei Deputati ha approvato il decreto governativo che stabilisce la prosecuzione e l'intensificazione della illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra afgana, violando la Costituzione della Repubblica Italiana. * E' il trionfo del partito dei golpisti e degli assassini. Molte persone per questo continueranno a morire in Afghanistan, persone le cui vite potevano essere salvate se l'Italia avesse finalmente fatto la scelta di recedere dalla guerra, di opporsi alla guerra, di intervenire in modo nonviolento per aiutare la popolazione afgana. * E questo avviene mentre l'intero Medio Oriente e' in fiamma, ed e' sempre piu' evidente che la guerra e il terrorismo sono una stessa cosa; e solo la scelta della pace - la scelta del disarmo, la scelta della nonviolenza - puo' fermare la catastrofe che minaccia l'intera civilta' umana. * Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 2. RIFLESSIONE. MICHAEL LERNER: MEDIO ORIENTE, UNA PROPOSTA NONVIOLENTA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Michael Lerner. Il rabbino Michael Lerner, nato 61 anni fa nel New Jersey, e' cresciuto in un ambiente familiare immerso nella politica. I suoi genitori erano leader del movimento sionista negli Stati Uniti nel periodo precedente la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, suo padre divenne giudice e sua madre consigliere politico e capo della campagna elettorale per un senatore. Icone del partito democratico come Adlai Stevenson e Harry Truman passarono per casa negli anni in cui Lerner cresceva, e quando si presento' all'ammissione al college, John F. Kennedy gli scrisse una lettera di raccomandazione. A dodici anni leggeva i resoconti del Congresso e notava la differenza tra quello che i politici dicevano e come votavano in realta'. Vedeva altrettanta ipocrisia anche nel mondo ebraico. Dice Lerner "Da un lato, le sinagoghe negli anni '50 erano piene di persone che sviluppavano ideali alti; dall'altro, era evidente che il risultato finale erano il materialismo e il consumismo". In seguito, Lerner scopri' il libro di Abraham Joshua Heschel Dio alla ricerca dell'uomo. Per anni lesse un capitolo a settimana e, finito il libro, lo ricominciava. Adolescente, incontro' Heschel che lo invito' a studiare al Jewish Theological Seminar a New York. Qui Lerner scopri' che alcuni ebrei rifiutavano l'Ebraismo americanizzato che lui conosceva, e sostenevano che aveva poco a che fare con il messaggio centrale della religione. Fu il suo primo incontro con una critica ebraica dell'Ebraismo e getto' le basi della sua successiva campagna per un rinnovamento della fede. Nel 1966 Lerner visse per diversi mesi in un kibbutz in Israele. Benche' l'ambiente socialista del kibbutz gli dimostrasse che le persone potevano essere motivate da riconoscimenti non materiali, gli rivelo' anche quello che egli percepi' come difetto centrale del socialismo: l'assenza di un elemento spirituale. Alla fine degli anni '60, Lerner era diventato un leader del movimento statunitense contro la guerra. Era uno dei membri dei Sette di Seattle, un gruppo di attivisti denunciati dal governo federale per utilizzare le proprieta' dello stato (il telefono) con l'intento di incitare alla rivolta (una protesta contro la guerra nel Vietnam). Il capo dell'Fbi J. Edgar Hoover chiamo' Lerner "uno dei criminali piu' pericolosi degli Stati Uniti". Lerner fu incarcerato al penitenziario federale di Terminal Island per disprezzo della corte. Le accuse di cospirazione furono in seguito ritirate e le leggi in base alle quali erano state portate furono dichiarate incostituzionali. Quando il movimento contro la guerra perse vigore, Lerner attribui' parte della responsabilita' a cio' che chiamo' un "surplus di impotenza" negli attivisti stessi. Essi non potevano riconoscere i loro successi perche' "ridefinivano continuamente i criteri in base ai quali definire il successo in un modo che li faceva sentire dei falliti". Il desiderio di comprendere questa "patologia" autodistruttiva porto' Lerner a studiare psicoterapia. Voleva anche analizzare la sua vita emotiva. Dice Lerner, "Scoprii che ero troppo severo nei miei giudizi, specialmente nei confronti dei miei genitori". Fini' il suo secondo PhD (il primo era in filosofia) al Wright Institute nel 1977 e incomincio' a lavorare come psicologo clinico. Tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80 Lerner viveva con disagio crescente lo spostamento politico della comunita' ebraica dal polo liberal a quello conservatore. Cio' lo condusse alla fine a fondare la rivista "Tikkun" nel 1986. Il suo obiettivo era rivitalizzare le voci liberal e progressive degli ebrei americani. Ma l'attivismo di Lerner non si limita al Medio Oriente ed ai circoli ebraici statunitensi. Oggi "Tikkun" (che significa in ebraico riparazione, guarigione o trasformazione) aiuta i liberal di tutte le culture e confessioni a integrare nelle loro vite la dimensione politica e quella spirituale. E' una rivista molto considerata anche nel dibattito culturale a livello accademico su questioni sociali cruciali. Lerner e' stato consigliere di Bill Clinton nel primo mandato. Recentemente, Lerner ha formato la Tikkun Community, un gruppo interconfessionale aperto ai laici, impegnato per la pace in Medio Oriente, la nonviolenza, la consapevolezza globale, la salute ecologica. Rabbi Lerner conduce servizi in diversi luoghi a San Francisco. La sua congregazione, Beit Tikkun, e' un frutto del movimento Jewish Renewal, che unisce alla spiritualita' un richiamo all'azione sociale per il cambiamento. Il libro di Lerner Jewish Renewal: a Path To Healing And Transformation delinea il suo progetto per rivendicare lo spirito rivoluzionario dell'ebraismo. Il discorso si allarga a tutte le altre religioni in Spirit Matters. Nel dibattito statunitense sul conflitto tra Israele e Palestina la voce di Lerner e' emersa come una delle piu' equilibrate. Il suo ultimo libro Healing Israel/Palestine incoraggia entrambe le parti a riconoscere il proprio e altrui dolore e ad affermare la dignita' innegabile dell'altro. Il ruolo della Tikkun Community a questo riguardo e' educare il pubblico, i media, il mondo accademico, le istituzioni politiche ed i rappresentanti eletti ad un percorso di pace e sicurezza comune per Israele ed il popolo palestinese. Opere di Michael Lerner: Jewish Renewal: A Path to Healing and Transformation (Putnam, poi Harper Collins, 1995); con Cornel West: A Dialogue on Race, Religon and Culture in America (Putnam, poi Penguin); The Politics of Meaning: Restoring Hope and Possibility in an Age of Cynicism (Addison Wesley Longman/Perseus Books); Spirit Matters (Walsch Books/Hampton Roads); Healing Israel/Palestine (Tikkun Books, North Atlantic Books, 2003); The Left Hand of God: Taking Back our Country from the Religious Right (Harper, 2006). Sito: www.tikkun.org Altri piu' ampi testi di e su Michael Lerner sono ne "La domenica della nonviolenza" n. 19] La gente in Medio Oriente sta soffrendo di nuovo mentre militaristi di tutti i fronti, e giornalisti festanti, lanciano missili, bombe, e infinite parole di autogiustificazione per l'ennesimo inutile round di violenza fra Israele ed i suoi vicini. Per coloro fra noi ai quali importa molto della sofferenza umana, questo ultimo episodio di irrazionalita' evoca lacrime di tristezza, incredulita' per la mancanza di empatia da ogni lato, rabbia per quanto poco sembra si sia appreso dal passato, e momenti di disperazione mentre vediamo di nuovo gli ideali religiosi e democratici subordinati al cinico "realismo" militarista. I sostenitori di ambo le parti, contenti di ignorare l'umanita' dell'Altro, si affrettano ad assicurare ai loro collegi elettorali che la colpa e' sempre del nemico. Tutti questi sforzi non hanno senso. Siamo in presenza di un conflitto che si e' protratto per oltre un secolo. Ha poca importanza chi abbia accostato l'ultimo cerino alla pietra focaia. Quello che e' veramente importante e' come rimediare alla situazione. Il gioco del biasimo serve solo a spostare l'attenzione dall'argomento centrale. Nel gioco del biasimo ce n'e' per tutti. Dipende solo da dove fai cominciare la storia. Contando sulla generale mancanza di memoria storica, i partigiani dell'uno o dell'altro fronte scelgono di dar inizio alla narrazione dal luogo in cui essi sono "le vittime che hanno ragione" e gli altri "i malvagi aggressori". * Ai palestinesi piace partire dal 1948 e dall'espulsione di migliaia di loro dalle loro case durante la guerra ad Israele, proclamata dai confinanti stati arabi, e dal rifiuto del governo israeliano di permettere il ritorno di queste persone quando le ostilita' furono cessate. Agli israeliani piace partire da quando gli ebrei cercavano disperatamente di sfuggire al genocidio che subivano in Europa, e una cinica dirigenza araba convinse l'esercito britannico a sostenere i locali palestinesi che cercavano di impedire a questi rifugiati di raggiungere gli altri ebrei che vivevano in Palestina a quell'epoca. Io racconto questa storia, e il modo di comprendere ambo le parti nel mio libro Healing Israel/Palestine (Guarire Israele e la Palestina). * Oppure si puo' iniziare da fatti piu' recenti, dall'escalation di violenza di questa estate. Ma dove esattamente e' cominciato il tutto? Per favore, andate al sito web di B'tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, e osservate come ciascuna parte denuncia gli atti criminosi dell'altra. Fin dalla morte di Yasser Arafat, e dall'assunzione di potere del presidente palestinese Mahmoud Abbas, le principali fazioni politiche palestinesi, Fatah e Hamas, hanno osservato l"hudna", cioe' il cessate il fuoco. Eppure Israele, sottolineando il fatto che la polizia di Abbas (decimata dai bombardamenti israeliani durante la seconda Intifada del 2001-2003) era incapace di contenere completamente la violenza di Hamas, della Brigata dei martiri di Al-Aqsa e della Jihad islamica, ha usato questa debolezza per proclamare che non c'era "nessuno con cui parlare" quando le forze di pace in Israele chiesero prima ad Ariel Sharon e poi a Ehud Olmert che le richieste palestinesi di negoziazione venissero accettate. Invece, Israele annuncio' un ritiro unilaterale da Gaza e dal Nord della West Bank (realizzato nel 2005) e da ulteriori parti di quest'ultima (che avrebbe dovuto iniziare questa estate con la rimozione di insediamenti illegali), il che di fatto creerebbe nuovi confini che incorporano in Israele territori che Israele stessa ha convenuto di lasciare durante gli anni '90. "Tikkun magazine" [la rivista diretta da Michael Lerner - ndr] e le forze di pace israeliane avvisarono che un ritiro unilaterale, cui l'Autorita' palestinese si opponeva, avrebbe accresciuto la credibilita' delle asserzioni di Hamas, cioe' che gli sforzi dell'Autorita' palestinese verso la nonviolenza non avevano prodotto altro che il rifiuto israeliano di discutere, mentre gli atti di violenza di Hamas e della Jihad islamica a Gaza avevano condotto al ritiro dei soldati. Non dovrebbe essere difficile capire perche' Sharon ando' avanti con il ritiro unilaterale. La sua intenzione dichiarata era di mantenere quanto piu' possibile della West Bank, e sarebbe stato molto piu' facile convincere il mondo che non c'era "nessuno con cui parlare" se Hamas avesse vinto le elezioni, poiche' Hamas e' universalmente riconosciuto come gruppo terroristico. Quando i palestinesi caddero nella trappola, ed elessero un governo guidato da persone che rifiutano di riconoscere ad Israele il diritto ad esistere, e' stato semplice per Olmert continuare l'unilateralismo di Sharon ed annunciare piani per il ritiro dalla West Bank che avrebbero coperto l'annessione, da parte di Israele, di porzioni significative dei Territori occupati. Hamas ha svolto il ruolo previsto, lanciando missili Qassam su centri abitati israeliani, "provando" una volta di piu' alla destra israeliana che ogni tipo di ritiro non farebbe che intensificare la vulnerabilita' di Israele, e dando ai falchi le ragioni per opporsi, visto che il ritiro precedente non ha portato pace a Gaza. Naturalmente, dal punto di vista di Hamas, questo e' solo un episodio di una lotta continua per la liberazione di migliaia di palestinesi che vengono arrestati (o dalla prospettiva palestinese: rapiti), incarcerati senza imputazioni e senza processo per sei mesi in vasti campi di prigionia, spesso soggetti a torture. Ma Hamas, dovendo fronteggiare un boicottaggio economico (incluso il non versamento ad Hamas delle tasse pagate ad Israele dai palestinesi, che Israele aveva precedentemente promesso di versare all'Autorita' palestinese) che gli impedisce di far funzionare il governo, fa dichiarazioni che indicano la possibilita' di un riconoscimento di Israele in risposta al "Documento dei prigionieri", che e' stato firmato da ogni fazione di palestinesi trattenuti nelle carceri israeliane. Per i militaristi israeliani, e per i coloni, il riconoscimento da parte di Hamas sarebbe stato una clamorosa sconfitta propagandistica. Percio' nel giro di pochi giorni gli Israeliani hanno cominciato a cannoneggiare Gaza (ufficialmente per fermare il lancio di missili di Hamas). Uno dei proiettili e' finito sulla spiaggia, e ha ucciso una famiglia di otto persone che si stava semplicemente godendo il sole e il mare. Pochi giorni piu' tardi, un gruppo di Hamas ha catturato il soldato israeliano Gilad Shalit, ed Israele ha usato questo come una scusa per implementare un piano che aveva progettato mesi prima: rientrare a Gaza e distruggere le infrastrutture di Hamas. A questo punto un'enorme escalation ha preso piede. Invece di concentrarsi sull'effettiva capacita' di Hamas di agire la guerra, Israele ha scelto la via della punizione collettiva, una frequente quanto inefficace misura di contrasto per l'insorgenza, usata per eliminare il sostegno pubblico ai movimenti di resistenza. Nell'oppressiva calura dell'estate, Israele ha bombardato la rete di distribuzione elettrica, eliminando a Gaza la fornitura di acqua e dell'elettricita' necessaria per mantenere i sistemi di refrigerazione, provocando un drammatico calo del cibo disponibile in un'area gia' sconvolta, in cui vivono piu' di un milione di persone. Questo atto e' una violazione del diritto internazionale, come lo sono gli arresti di migliaia di individui e i missili di Hamas sui centri abitati. * In risposta, i combattenti di Hezbollah, che hanno occupato le terre abbandonate da Israele quando Israele termino' la sua occupazione del sud del Libano nel 2000, hanno lanciato un attacco alle truppe israeliane, violando gli accordi che si sarebbe mantenuta la pace su quel confine, accordi che avevano reso politicamente possibile il ritiro di Israele dal Libano, senza paura che i suoi cittadini del nord dovessero essere ancora bersaglio di missili: cittadini che dal 1982, quando Israele invase il Libano, non avevano fatto altro che entrare ed uscire dai rifugi antibombe. Dal punto di vista di alcuni nel mondo arabo, l'attacco alle truppe nel nord di Israele e' stato un atto di solidarieta' islamica in risposta all'escalation perseguita da Israele contro l'intera popolazione di Gaza. Costoro argomentano che non si debba chiedersi perche' loro hanno agito cosi', ma perche' il resto del mondo non agisca chiedendo che Israele metta fine all'oltraggiosa punizione collettina di un milione di persone a causa delle azioni di pochi. Quando l'Onu tento' di agire, il governo di destra degli Usa mise il veto ad una risoluzione sostenuta dalla maggioranza del Consiglio di Sicurezza. Dal punto di vista di Israele, gli attacchi di Hezbollah sono stati una palese violazione degli accordi che avevano tenuto Israele fuori dal Libano negli ultimi sette anni. Ed in effetti il far subire a civili bombardamenti a casaccio con lo scopo di terrorizzarli e' una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani. Hezbollah si sta mostrando come la forza terrorista che Israele ha sempre sostenuto fosse. La gente che vive ad Haifa o a Tsfat o in dozzine di altri luoghi in Israele sta in questo momento vivendo lo stesso tipo di paura che richiama terrori gia' sperimentati in precedenza (alcuni sono sopravvissuti all'Olocausto, altri sono i figli dei sopravvissuti, e molti hanno vissuto guerre che erano specificatamente dirette all'annientamento di Israele). Queste paure saranno sfortunatamente assai facili da manovrare per i politici di destra negli anni che verranno. * Ne' dovremmo sottovalutare il comportamento di Iran e Siria nello stimolare disordini e destabilizzazione. Mentre vi sono persone in ambo i paesi che si sentono sinceramente ferite dalle azioni di Israele nei confronti dei correligionari musulmani, il record di indifferenza per le cattive condizioni dei palestinesi nei loro stessi paesi ed il rifiuto di fornire aiuto materiale alla Palestina affinche' essa possa costruire la propria infrastruttura economica, suggerisce che l'assistenza prestata ad Hezbollah viene piu' dalla ricerca di un vantaggio politico e di dominio in Medio Oriente, che da una vera solidarieta' morale con il popolo palestinese. L'Iran, un paese il cui presidente ha piu' volte negato che vi sia mai stato un Olocausto, e che esplicitamente afferma di avere lo scopo di distruggere lo stato di Israele, da' agli israeliani ragioni reali di temere, quando i suoi vicini Hezbollah o Hamas sviluppano la capacita' di sparare missili sui centri abitati del paese. * Cosa avrebbe potuto fare Israele? Bene, se vi fosse stato Ariel Sharon al potere, avendo costui imparato la sua lezione proprio in Libano, e' probabile che avrebbe fatto la stessa cosa che fu fatta due anni orsono, quando un uomo d'affari israeliano fu catturato dal "nemico": uno scambio di prigionieri, in cui centinaia di detenuti vengono rilasciati per un singolo israeliano. Questo scambio e' stato chiesto da Hamas, ed implorato dalla famiglia di Gilad Shalit, ma e' stato respinto dal governo israeliano. Vi prego di leggere le analisi di questo errore, ed altri articoli che esaminano la situazione attuale su "Current Thinking", nel sito www.tikkun.org Vi e' il comune convincimento fra i pacifisti israeliani che il primo ministro Ehud Olmert ed il suo ministro della Difesa laburista Amir Peretz sentano la necessita' politica di mostrare che sono "forti" e percio' l'attacco e l'invasione del Libano sono le loro uniche strategie. Per il bene dei loro ego e della loro futura spendibilita' politica, "devono" procedere con la folle escalation contro il popolo libanese, la maggior parte del quale ha esercitato i propri diritti democratici rigettando le promesse elettorali di Hezbollah, e votando un governo che contiene Hezbollah come piccola minoranza. Cosa potrebbe ormai fare Israele? Potrebbe ridefinire la questione come violazioni minori ai confini, scambiare i prigionieri, annunciare unilateralmente che non terra' piu' nessuno in detenzione per un periodo superiore a tre giorni senza inoltrare una formale denuncia penale contro coloro che hanno agito violentemente, e rilasciando tutti gli altri. Potrebbe dare inizio a veloci e pubblici processi, e punire chiunque (soldato o ufficiali di Shin Bet ed Aman) abbia usato la tortura, o - come la definiscono loro - la "moderata pressione", sui prigionieri. Potrebbe immediatamente annunciare la propria intenzione di rafforzare la posizione del presidente dell'Autorita' palestinese Abbas, consegnandogli i soldi delle tasse, e aprire una negoziazione sullo "status finale" entro due mesi. E nel frattempo, Israele potrebbe cominciare a smantellare il muro di separazione, e promettere di ricostruirlo solo lungo le linee di un confine internazionale su cui siano d'accordo ambo le parti. E Israele potrebbe unilateralmente censurare la propaganda antipalestinese all'interno dei media controllati dal governo, e cominciare a costruire una cultura della nonviolenza, e rendere consapevoli gli israeliani rispetto alla necessita' di compensazioni per i palestinesi rifugiati. * Cosa potrebbero fare i palestinesi? Il presidente Abbas potrebbe annunciare che invita Israele a formare una forza mista israelo-palestinese di confine, di modo da garantire che non vi siano piu' aggressioni ai civili israeliani, in cambio dell'immediata apertura dei negoziati sullo "status finale", prima che si diano ulteriori ritiri dalla West Bank. Ci sono state polizie miste e coordinamento di forze di sicurezza sino al settembre 2000, ed esse contribuivano a mantenere basso il livello di violenza, sino a che Ariel Sharon non compi' la sua provocatoria passeggiata a Temple Mount [la Spianata delle moschee a Gerusalemme; l'episodio cui si fa riferimento fu l'atto simbolico di provocazione che funse da detonatore della seconda Intifada - ndr]. Abbas potrebbe poi dichiarare che il popolo palestinese che lo ha eletto e' impegnato in una lotta nonviolenta (nonviolenta, non passiva) per porre fine all'occupazione, ma che chiunque agisca violentemente contro israeliani o palestinesi verra' processato e, se trovato colpevole, perdera' la cittadinanza palestinese. Abbas potrebbe recarsi nella West Bank e a Gaza a discutere di nonviolenza, potrebbe implementare una fine immediata alla retorica antisemita ed antisraeliana della stampa palestinese e nelle scuole palestinesi, e ribadire che e' determinato nel voler costruire una cultura nonviolenta in Palestina. * Cosa gli Usa e gli stati occidentali potrebbero fare? Essi potrebbero indire immediatamente una conferenza internazionale, in cui siano rappresentate tutte le nazioni del mondo che sono disposte ad accettare il diritto di Israele ad esistere all'interno dei confini del 1967 ed il diritto dei palestinesi ad esistere a Gaza e nella West Bank, e favorire un accordo che sia gradito ad ambo le parti e garantisca pace e sicurezza ad entrambe. Ogni paese partecipante sarebbe ammesso alla conferenza dopo aver depositato su una banca internazionale neutrale l'equivalente dello 0,1% del suo Pil, allo scopo di creare un fondo internazionale che serva a riparare i danni come descrivo piu' sotto. Come la comunita' Tikkun ha gia' detto in passato, i termini dell'accordo dovrebbero includere: 1. Confini definiti per ambo gli stati, con aggiustamenti sulle linee decise nell'accordo di Ginevra (Israele incorpora alcuni territori di confine, dando in cambio eguale quantita' e qualita' di territorio allo stato palestinese); 2. La condivisione di Gerusalemme e dei suoi luoghi sacri, con ambo gli stati legittimati a stabilire in Gerusalemme la propria capitale nazionale, ove Israele controllerebbe i quartieri ebraici ed armeni, piu' il Muro e i territori adiacenti, e la Palestina avrebbe il controllo su Temple Mount e le sue moschee; 3. Tutti gli stati partecipanti alla conferenza internazionale metteranno almeno lo 0,1% del loro Pil in un fondo internazionale che offra compensazione ai palestinesi che hanno perduto proprieta', impieghi e residenze nel periodo 1947-1967, ed agli ebrei che fuggirono dagli stati arabi nel medesimo periodo (la compensazione non verra' data a famiglie arabe od ebree il cui reddito complessivo sia superiore ai 5 milioni di dollari). 4. Una forza di polizia congiunta, israeliana-palestinese-internazionale sara' creata per garantire la sicurezza dei confini ad ambo i paesi. Gli Usa e la Nato stipulerebbero con i due stati un patto di mutua sicurezza, in cui assicurano il proprio intervento ad entrambi in caso di aggressione dall'altro, o di qualsiasi paese terzo al mondo. 5. La creazione di una Commissione per la riparazione e la riconciliazione, che porti alla luce tutte le violazioni dei diritti umani da ambo le parti, che istruisca processi formali a coloro che non vogliano spontaneamente testimoniare sul proprio coinvolgimento in tali violazioni, e supervisioni un nuovo curriculum di studi sulla pace per tutte le scuole e le universita', curriculum mirato ad insegnare la riconciliazione e la nonviolenza nell'azione e nella comunicazione. Lo scopo precipuo di tale Commissione sara' favorire le condizioni per una riconciliazione dei cuori, e per la reciproca comprensione, riconoscendo che ambo i paesi hanno avuto persone crudeli ed insensibili che necessitano di pentirsi, ed entrambe le parti hanno una legittima narrazione degli eventi che deve essere accettata come punto di vista legittimo dall'altra parte. * Chi sono gli amici di Israele e del popolo ebraico? Coloro che sostengono la via verso la pace e la riconciliazione. Chi sono i loro nemici? Coloro che li incoraggiano a persistere nella fantasia di poter "vincere" militarmente o politicamente. Proprio come i nemici oggettivi dell'America negli anni '60 erano coloro che insistevano nel voler continuare la guerra in Vietnam, e gli amici oggettivi erano i cittadini che vi si opponevano, cosi' oggi gli amici del popolo ebraico sono quelli che fanno tutto il possibile per impedire gli entusiasmi sulle avventure militari israeliane, e per scalzare il rifiuto di trattare i palestinesi come aventi diritto alla liberta' ed all'autodeterminazione tanto quanto il popolo ebraico. Chi sono gli amici dei palestinesi? Coloro che li incoraggiano su un sentiero di nonviolenza, e ad abbandonare la fantasia che la lotta armata, accoppiata all'isolamento politico di Israele, condurra' ad un buon risultato per i palestinesi. Chi sono i loro nemici? Coloro che predicano l'idea di uno "stato unico", o il boicottaggio economico globale, senza capire che il non offrire una stato sicuro agli ebrei in Palestina non produrra' mai nulla di positivo, ma solo resistenza continua da Israele e dal mondo ebraico. * Noi della comunita' Tikkun, che siamo amici di ambo le parti, abbiamo chiaro il nostro orientamento. Il nostro scopo e' dire la verita', sia ai potenti in Israele, sia agli spossessati in Palestina, e cioe' dire ad entrambi che senza un rovesciamento radicale delle direttive strategiche che stanno seguendo non si arrivera' a nessun risultato. Questa verita' potrebbe certamente venire ascoltata, la questione e' se verra' ascoltata prima che un'altra generazione di arabi e israeliani perda la vita. Poiche' a noi importa molto dell'umana sofferenza che c'e' da ambo le parti, preghiamo affinche' tale verita' venga udita, e che i nostri suggerimenti per una risoluzione del conflitto vengano implementati. E faremo di piu' che pregare: manifesteremo contro i governi degli Usa, di Israele e della Palestina sino a che non cambieranno direzione. Ci organizzeremo ed informeremo, ed intraprenderemo passi nonviolenti per far arrivare loro il nostro messaggio. 3. MONDO. NOUHAD MOAWAD: UNA CHIAMATA PER BEIRUT [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il testo seguente. Nouhad Moawad, laureanda traduttrice all'Universita' di Beirut, dal 2 luglio e fino al prossimo 5 settembre lavora a New York in un progetto seminariale di "We News"] Il 13 luglio, alle otto del mattino, un'amica libanese che ora vive nel New Jersey mi chiama al cellulare. Io sto per uscire per andare alla redazione di "We News" qui a New York. La sua voce ha il suono della paura: "Stanno attaccando il Libano", dice. "No". Sono sotto shock. Non mi aspettavo che potesse accadere nulla di simile. Mi precipito su internet e comincio a cercare notizie della mia citta' natale mentre chiamo famiglia e amici al telefono. E' vero. L'aeroporto internazionale di Beirut e' stato bombardato, e la mia terra e' circondata da jet israeliani. Tre aeroporti sono stati distrutti, cosi' come diciotto ponti e le arterie stradali principali. Tutto quello che e' in macerie ora e' cio' che era stato ricostruito dopo la fine di una guerra civile durata 15 anni, e che termino' nel 1990. Chiamo i miei genitori, e trovo mio padre in casa al primo tentativo. Vivono al nord, lontani dalla violenza. "Non preoccuparti, stiamo bene", dice mio padre. Mia madre e' fuori, al mercato, secondo la sua solita routine. Chiamo i miei amici a Beirut. Nessuna risposta. Faccio i numeri centinaia di volte, ossessivamente, ancora e ancora. Nessuna risposta. Nessuna risposta. Nessuna risposta. Tento mentre sono sul treno che mi porta al lavoro, per 45 minuti. Tento durante la pausa pranzo, per un'ora. Nessuna risposta. Tento mentre cammino verso la Penn Station per riprendere il treno dopo il lavoro. Nulla. Ancora, e ancora. E' solo alle sette di sera che trovo una compagna d'universita' che lavora in un hotel di Beirut: "Non angustiarti. Stiamo bene. E' ancora distante da noi. Com'e' questo tuo lavoro a New York?". Riesco a dire che mi piace molto, ma che sono preoccupata per tutti loro. E poi cade la linea. Rintraccio un'altra amica, una psicoanalista, e la sveglio. E' l'una di notte a Beirut. "Non intendo mentirti", dice, "La situazione e' brutta". Aggiunge che e' andata lo stesso al lavoro, oggi, e che sta bene. "Non spendere danaro per chiamarmi". Familiari e amici continuano ad andare al lavoro, e tentano di tenere in vita la speranza. Sostengono e confortano me, quando dovrei essere io a sostenere e confortare loro. Questo segreto non puo' essere compreso se non si e' mai vissuti in Libano. E forse e' la ragione per cui il Libano esiste ancora. Ieri, 16 luglio, ho passato ore al computer sperando di avere notizie. Una mia amica diciottenne, che vive nella parte sud di Beirut, dove sono concentrati i sostenitori di Hezbollah, e' in linea. "Come stai? Che sta succedendo?". Leggo il terrore, fra le righe della sua risposta: "Il Libano e' distrutto. Stanno giocando con le nostre vite. Non ho potuto dormire sino alle 5 del mattino, per il fracasso delle bombe. E' come se stessero bombardando casa mia. Continuo a correre da una stanza all'altra nel tentativo di sfuggire al rumore. Non sento piu' le gambe. Non riesco a credere che stia succedendo". Ha passato gli esami liceali, questa amica, e avrebbe dovuto presentare la domanda d'ingresso all'universita' il 13 luglio: "Ma adesso non so neppure cosa faro' in futuro. E' tutto in pezzi. Scusami, devo andare, stanno bombardando l'aeroporto. Non riesco a sopportare il rumore. Mi terrorizza". Mi arriva anche una e-mail da un'amica di Byblos, la citta' da cui fu esportato l'alfabeto fenicio in tutto il mondo, attorno al 1.600 a. C. "Non riesco a descriverti la situazione, ma ti avvicini all'idea di com'e' se pensi che il Libano... sembra una terra tornata indietro alla seconda guerra mondiale. Le persone sono bloccate in molte regioni: non sono in grado di sfuggire agli attacchi. Stiamo sempre appiccicati alla tv per vedere le ultime notizie. Siamo prede della paura e il paese e' paralizzato. Perche' il popolo libanese deve sempre pagare il prezzo dei conflitti internazionali?". Piu' tardi e' in linea un'altra amica che vive nel centro di Beirut. Le chiedo come sta e come sta la sua famiglia. Dice che sono tutti vivi, ma che lo stress degli attacchi e' pesante. Il continuo suono delle bombe e' orribile. La invito a trasferirsi dai miei genitori, nelle montagne a nord, con la sua famiglia e le due nipotine di 2 e 5 anni in visita dall'Arabia Saudita. "Siamo bloccati qui, non c'e' modo di muoversi", risponde, "Ma se la situazione peggiora tenteremo". Il Libano brucia da cinque giorni. Questi attacchi non feriscono solo le regioni in cui Hezbollah e' presente, ma tutto il popolo libanese, senza distinzioni. E credo saranno i civili a pagare il prezzo dei danni che si stanno facendo ora. Gli innocenti. Mi chiedo perche' una ragazza di 18 anni debba vedere il futuro andare in pezzi. Mi chiedo come sopporteranno il terrore quelle due bambine venute in vacanza in Libano. Pace, il Libano ha bisogno di vivere in pace. 4. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: IL FALLIMENTO DEL NUOVO "GRANDE GIOCO" [Dal quotidiano "La stampa" del 16 luglio 2006. Barbara Spinelli e' una prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001, 2004; una selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del quotidiano (www.lastampa.it)] Quando l'amministrazione Bush decise di rispondere con due guerre all'attentato terrorista dell'11 settembre, non furono pochi in America coloro che pensarono, attraverso le scelte del presidente, di rifare in pochi anni il Medio Oriente e tutta l'area circostante cui venne dato il nome di Grande Medio Oriente. Immaginarono di poterlo finalmente democratizzare, e dunque pacificare in maniera stabile. Immaginarono un'ampia zona composta di Stati amici dell'America e in pace con Israele: una zona che dalla Palestina si estendeva fino agli stati petroliferi, nel Golfo; e fino ai margini dell'Asia centrale, in Afghanistan. Ci furono momenti in cui sembro' che un vecchio sogno abitasse le menti del governo Usa: il sogno di far rivivere il Patto di Baghdad (l'organizzazione denominata Cento), che Washington stipulo' nel 1955 con Iraq, Turchia, Pakistan, Iran, ai fini di contenere l'espansione sovietica e di creare in Asia centrale una Nato parallela. Il patto si rivelo' futile, anche perche' concepito senza ripensamento alcuno sui colonialismi passati: tre anni dopo falli' - quando il partito Baath rovescio' la monarchia irachena - e nel '79 venne definitivamente sepolto dalla rivoluzione iraniana. Quel che accadde dopo, gli Stati Uniti non solo non l'hanno mai accettato. Non l'hanno neppure capito, non hanno intuito l'emergere degli integralismi islamici, e di conseguenza non hanno saputo edificare una politica verso i nuovi attori di Medio Oriente e Golfo. Le loro sole armi furono, lungo i decenni, prima il corteggiamento di dittatori come Saddam poi la guerra distruttiva contro lo stesso Saddam. Una guerra che doveva appunto ricostruire il Grande Medio Oriente e garantire la potenza amica che e' lo stato d'Israele, forte dell'atomica ma incapsulato in uno spazio arabo sempre piu' islamizzato e radicale. * Quel che sta accadendo in questi giorni, con le truppe israeliane che si trovano a dover bombardare e occupare di nuovo il Libano per fronteggiare le aggressioni di Hezbollah contro il proprio territorio, e' segno che il nuovo "Grande gioco" Usa e' fallito, trasformandosi in dannazione per Israele stesso. Due guerre e l'assenza di politica statunitense hanno avuto come risultato il radicalizzarsi del mondo arabo, la creazione in Iraq di una vasta base terrorista, l'ascesa di Hamas in Palestina, la decisione di Hamas ed Hezbollah di unire le forze e stringere Israele in una tenaglia. Sullo sfondo, infine, hanno facilitato l'emergere impavido della Siria e quello mortifero di Ahmadinejad in Iran. La stessa rivoluzione dei cedri in Libano, che Washington e gli europei hanno tanto caldeggiato senza avere una sola idea su come farla riuscire, ha partorito uno stato inetto, fintamente indipendente da Siria e Iran, incapace di esercitare sul proprio territorio il monopolio della violenza: il potere di Hezbollah nel sud libanese e' stato tollerato dagli occidentali e dagli europei che le rivoluzioni magari le favoriscono, ma non sanno comprenderle ne' gestirle, anche quando l'Onu impone risoluzioni e ordina, come in Libano, il disarmo di milizie incontrollate. * Il risultato - pessimo per gli Stati Uniti - e' catastrofico per Israele. Il suo esercito resta il piu' potente nel Grande Medio Oriente, e si sente protetto in extremis dall'atomica. Ma la sua forza di dissuasione e' compromessa gravemente e i suoi punti deboli son conosciuti e sfruttati dall'avversario. La guerra mondiale contro il terrore ha rafforzato i nemici di Israele, ha acutizzato il loro estremismo, ha liberato la loro parola, le loro provocazioni. E' quello che molti amici di Israele, anche in Italia, sottovalutano. Non vedono come sia stato esiziale puntare tutto sulla strategia antiterrorista Usa. Non vedono i compiti immani che ha davanti Israele: il tempo oggi davvero lavora contro di esso, il ritiro da tutti i territori e un negoziato con Hamas diventano sempre piu' urgenti. Non vedono neppure quel che l'Europa puo' fare, per darsi una politica alternativa a quella americana senza pero' abbandonare a se stesso Israele. Chi accusa Israele di avere una reazione sproporzionata (lo sostiene la maggioranza del centrosinistra in Italia) giudica assennatamente ma non guarda lontano e soprattutto non ripercorre con spirito critico quel che e' successo negli ultimi anni: uno stato cosi' accerchiato, con la dissuasione a pezzi, ha poche alternative quando vede che perfino le azioni ragionevoli - ritiro dal Libano nel 2000, ritiro da Gaza nel 2005, volonta' sia pur ambigua di ritirarsi da parte della Cisgiordania - non calmano l'avversario ma ne eccitano i trionfalismi distruttivi. * La dissuasione israeliana e' pericolante perche' il suo alleato, l'America, e' al suo fianco solo verbalmente e chissa' per quanto tempo ancora. L'America di Bush non esce rafforzata ma indebolita dalla lotta globale al terrore: non puo' fare politica, in questa zona che per l'Occidente e' essenziale per motivi storici ed economici. Non puo' aiutare Israele a uscire dal pantano, non puo' inviare emissari-mediatori capaci di convincere gli avversari di Israele, perche' gli Stati Uniti sono invisi nel mondo arabo come di rado in passato. Non puo' neppure contare su Egitto e Giordania, due moderati oggi impotenti. Al suo stesso interno, infine, cresce l'insofferenza verso una politica che negli ultimi anni si e' alleata senza discernimento a Israele, condividendone gli errori e permettendo che si diffondesse in America stessa la paura di una lobby ebraica troppo influente, esigente. La voce di Bush in queste ore e' forte nel difendere il diritto di Israele a esistere e difendersi. E' flebile, drammaticamente non dissuasiva, sul piano dell'azione politica e diplomatica. * Anche la voce degli europei e' flebile, nonostante il loro prestigio sia piu' forte nell'area araba e nonostante le pressioni esercitate da anni su Israele, perche' negozi piu' speditamente il ritiro completo dai territori. Ma anche essi non hanno fatto politica. In particolare, hanno fatto pochissimo per stabilizzare il sud del Libano e permettere al governo di Beirut di liberarsi delle milizie terroriste. Anche la Chiesa ha pesanti responsabilita'. Quando Benedetto XVI critica la natura sproporzionata del contrattacco israeliano e denuncia la violazione della sovranita' libanese, nasconde una verita' che pure conosce: non e' sovrano uno Stato che governa i propri confini attraverso una milizia terrorista, manovrata e finanziata da Siria e Iran. I cristiani libanesi che in cambio di potere hanno stretto patti con Hezbollah, accettando che governasse le frontiere e le trasformasse in una ferita purulenta, sono partecipi delle odierne derive. C'e' qualcuno che guarda ai recenti avvenimenti con palese soddisfazione, o comunque con la certezza di poter profittare del presente vuoto di potere. Questo qualcuno, corteggiato nelle ultime ore a San Pietroburgo, e' l'anfitrione del vertice dei paesi industrializzati Vladimir Putin. Il presidente russo ha in mano molte armi. Ha scommesso sul fallimento del "Grande gioco" americano, coltivando al contempo rapporti con radicali e integralisti: con Hamas, Hezbollah, Siria, Iran. Puo' parlare con loro, cosa che Bush non puo' e che gli europei non tentano: non e' lontano il giorno in cui il Cremlino diverra' il nostro rappresentante-garante nel Golfo e Medio Oriente. * Ma soprattutto, Putin ha in mano l'arma assoluta: il petrolio e il gas, di cui puo' divenire fornitore esclusivo, alternativo, tanto piu' capriccioso politicamente. I prezzi alti del greggio non son dovuti solo alla crisi nel Medio Oriente ma non sono senza rapporti con le sue patologie, e il petrolio venduto a carissimo prezzo e' nell'interesse non solo economico ma strategico e politico di Mosca. E' attraverso il petrolio che la Russia di Putin sta ridiventando superpotenza, in un'epoca che vede scricchiolare la dissuasione nucleare e politica degli occidentali. Con questa Russia l'Europa dovra' ora trattare, ma essendo cosciente che i disegni del Cremlino non puntano necessariamente alla stabilita': ne' economica, ne' politica. Dovra' trattare sapendo che non basta sposare le tesi di Putin in ogni circostanza, a cominciare da quel che Mosca dice sulle reazioni sproporzionate di Israele in Libano. Sapendo che la lotta al terrorismo e' stata brutale e fallimentare anche in Russia, come dimostra la Cecenia. Avere Mosca come garante della stabilita' internazionale e' una tentazione forte, per il nostro continente. Ma non e' un'alternativa rassicurante, finche' gli europei continueranno a cercare con il Cremlino speciali rapporti bilaterali, e rinvieranno il momento in cui l'Unione si da' una politica estera, militare ed energetica comune. * E' stata Washington a far uscire il mondo fuori dai cardini, ma per gli europei la consolazione e' magra. Spetta a loro cominciare ora a far politica, senza aspettare che sia un'altra potenza come quella moscovita, non ancora democratica ed esistenzialmente interessata agli odierni sconquassi, a far politica al posto nostro e in nostro nome. 5. INCONTRI. UN CONVEGNO A PISA NEL CENTENARIO DELLA NASCITA DEL SATYAGRAHA [Da Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998] Programma del convegno internazionale "Il potere della nonviolenza" che si svolgera' a Pisa l'8-11 settembre 2006 in occasione del centenario della nascita del satyagraha (11 settembre 1906). * Venerdi' 8 settembre Ore 19-21: arrivo dei partecipanti, momenti di incontro e di socializzazione * Sabato 9 settembre Ore 8,30-9: Leila D'Angelo; presidente del Centro Gandhi: Benvenuto alle e ai partecipanti; Fulvio Cesare Manara: Introduzione storica agli eventi dell'11 settembre 1906. Ore 9-10,30: tavola rotonda su "Bioetica e nonviolenza". Relatori: Silvana Borgognini, Marcello Buiatti, Nanni Salio. Coordina: Antonino Drago. Ore 10,30-11: pausa. Ore 11-12,30: tavola rotonda su "Difesa popolare nonviolenta, servizio civile e corpi civili di pace". Relatori: Carla Biavati, Gianni D'Elia, Antonino Drago, Alberto L'Abate. Coordina: Maria Francesca Zini. Ore 12,30-14,30: pausa pranzo. Ore 14,30-16: tavola rotonda su "La nonviolenza delle donne". Interverranno: Valeria Ando', Cecilia Brighi, Federica Curzi, Luisa Del Turco, Angela Dogliotti Marasso, Ada Donno, Luana Pistone, Giovanna Providenti. Coordina: Meri Ciuti. Ore 16-16,30: pausa. Ore 16,30-18: gruppi di discussione sui temi delle tavole rotonde. Contemporaneamente il laboratorio maieutico su "Scienza tecnologia e nonviolenza", coordinatore: Francesco Cappello. Ore 18-18,30: pausa. Ore 18,30-19,30: dibattito sui temi delle tavole rotonde. Ore 19,30-20: sessione di meditazione con Meri Ciuti. * Domenica 10 settembre Ore 9-10,30: tavola rotonda su "L'organizzazione del potere dal basso e l'economia solidale". Relatori: Martina Pignatti Morano, Nanni Salio, Aldo Zanchetta. Coordina: Francesco Cappello. Ore 10,30-11: pausa. Ore 11-12,30: tavola rotonda su "Nonviolenza e riforma di religione". Relatori: Rocco Altieri, Franz Amato, Enrico Fasana, Enrico Peyretti, Alex Zanotelli. Coordina: Federica Curzi. Ore 12,:30-14,30: pausa pranzo. Ore 14,30-16: tavola rotonda su "Giustizia, pace e verita'. Relatori: Antonino Drago, Roberto Mancini, Enzo Mazzi, Enrico Peyretti, Massimo Toschi. Coordina: Rocco Altieri. Ore 16-16,30; pausa. Ore 16,30-18: gruppi di discussione sui temi delle tavole rotonde. Ore 18-18,30: pausa. Ore 18,30-19,30: dibattito sui temi delle tavole rotonde. Ore 19,30-20: sessione di meditazione con Meri Ciuti. Dalle ore 20: cena e intrattenimenti teatrali e musicali. * Lunedi' 11 settembre Ore 9-13: sintesi del convegno ed eventuale redazione di un documento finale. Discussione aperta su "I 'Quaderni Satyagraha' per costruire una rete di amici della nonviolenza". Ore 13-17: pranzo e trasferimento a Pisa. Ore 17-20: Auditorium Centro Maccarrone, via Silvio Pellico 6, Pisa: Centenario del satyagraha: "Il potere della nonviolenza. L'attualita' di un satyagraha per la messa al bando delle armi atomiche". Interventi di: Alberto L'Abate, Lidia Menapace, Nanni Salio, Massimo Toschi, Alex Zanotelli. Interverra' anche padre Anthony Elenjittman, discepolo di Mohandas K. Gandhi. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1362 del 20 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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