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La nonviolenza e' in cammino. 1361
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1361
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 19 Jul 2006 00:17:45 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1361 del 19 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Divisi chi? 2. Rete Lilliput: Ripudiare le guerra e agire la nonviolenza 3. Peppe Sini: Alcune necessarie obiezioni al testo che precede 4. Carissimo Pinocchio 5. Vacanze romane 6. Noam Chomsky: Ai parlamentari italiani che voteranno contro la guerra 7. Giancarla Codrignani: I limiti umani e le vie della pace 8. Giuseppe Bronzini presenta "La giustizia dei vincitori" di Danilo Zolo 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. TELEGRAMMI. DIVISI CHI? Non c'e' alcuna divisione nel movimento per la pace. Chi sostiene la guerra non e' parte di un movimento per la pace, per la contradizion che nol consente. * Ne' certo fanno parte del movimento per la pace gli squadristi, i totalitari, i signori che inveiscono contro i crimini americani e che tacciono su tutti gli altri. C'e' un solo modo per costruire la pace: e' adottare la coerenza tra i mezzi e i fini. Questa buona, antica idea che Mohandas Gandhi amava spesso ricordare: che tra i mezzi e i fini c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta. * Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 2. RIFLESSIONE. RETE LILLIPUT: RIPUDIARE LE GUERRE E AGIRE LA NONVIOLENZA [Dalla segreteria della Rete Lilliput (per contatti: e-mail: segreteria at retelilliput.org, sito: www.retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo. Ci corre l'obbligo di segnalare che questo documento insieme a molte cose condivisibili contiene profonde e inquietanti ambiguita' ed alcune posizioni decisamente non meditate e del tutto inaccettabili dal nostro punto di vista (p. s.)] Una politica di pace per cambiare la rotta La situazione di estrema gravita' che sta infuocando il Medioriente ci porta necessariamente ad uscire dal dibattito a basso prezzo sulle questioni relative alle "missioni militari" portato avanti dalla politica istituzionale. Essa richiede da parte di tutti un segno di discontinuita' che vada oltre i meccanismi di ingegneria parlamentare e le relative diatribe di posizionamento connesse. Continuare a ricorrere alla logica della guerra per tentare di risolvere i conflitti tra paesi o tra gruppi etnici rappresenta ormai in maniera evidente un sanguinoso e irreparabile errore. Nella storia recente, dal Vietnam ad oggi, sono ormai molte le occasioni che rappresentano una prova evidente di questa verita' cosi' difficile da far accettare sulla scena internazionale. Anche i motivi economici e gli interessi di dominazione non sono piu' cosi' chiaramente convenienti, come in passato, per le potenze armate, mentre i costi umani e sociali hanno ormai assunto dimensioni inaccettabili. Su questi fatti, ben documentati, e su una ferma e convinta etica della nonviolenza delle relazioni umane, si fonda il nostro assoluto rifiuto del ricorso alle guerre, anche quando vengono camuffate e proposte come "interventi umanitari" o "esportazione della democrazia", celando subordinazioni inconfessabili a potenti alleati o al sistema economico dominante. Siamo invece sempre piu' convinti che solo una politica strategica e articolata di "prevenzione dei conflitti" sia la chiave per ridare forza alla convivenza pacifica nei rapporti internazionali. Si tratta di costruire un indirizzo politico coerente, utilizzare strumenti appropriati, realizzare una politica di pace dell'Italia a livello internazionale. Non sara' infatti sufficiente il rimpatrio del contingente italiano dall'Iraq o dall'Afghanistan, o un nuovo appello alla trasformazione in senso democratico delle Nazioni Unite se non si definisce in maniera trasparente il ruolo che l'Italia vuole svolgere per contrastare la logica della guerra infinita. Occorre affermare con chiarezza che una vera politica di pace deve adoperarsi per rimuovere le cause strutturali prodotte dall'attuale modello di sviluppo capaci di aumentare le disuguaglianze e ridurre in miseria miliardi di persone (regole del commercio inique, processi di mercificazione e di privatizzazione dei beni comuni, spese militari, finanziarizzazione dell'economia, devastazione delle risorse naturali, questione debito). Riteniamo infatti che la lotta alla poverta', alla fame, alle malattie a grande diffusione, l'agevolazione dei movimenti migratori, la protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, un massiccio impegno per l'istruzione e un sistema di controllo restrittivo sul commercio delle armi, possano, anche in tempi brevi, modificare le condizioni di vita di oltre meta' dell'umanita' e incidere a monte sulle cause principali dei conflitti. La riduzione degli aiuti allo sviluppo, la mancata adozione di misure di cancellazione del debito estero dei paesi del cosiddetto Sud del mondo, la corsa al business delle armi, sono segnali gravissimi di disinteresse e di emarginazione che popolazioni sempre piu' numerose, a partire dagli anni '80, rifiutano, manifestando questo rifiuto con sempre maggiore ricorso alla violenza. L'Italia dovrebbe quindi decidere di invertire la tendenza in atto e dare chiari segnali di voler lavorare ad un ben diverso progetto di rapporti internazionali. E' questa la scelta di fondo che il nuovo governo deve adottare, con misure magari graduali, ma chiaramente orientate. * Alcuni elementi per una politica di pace - Un salto di qualita' con la costruzione paziente di nuove modalita' di intervento, civile e nonviolento, come risposta ai conflitti che lacerano societa' e paesi in molte parti del mondo, anche imparando dalle esperienze piu' avanzate dei nostri vicini europei, saldando gli sforzi gia' esistenti in diversi campi in una infrastruttura per la pace coerente e riconoscibile agli occhi dell'opinione pubblica. - Un'azione del governo italiano per l'immediata attuazione del sistema di sicurezza collettiva previsto dal Cap. VII della Carta delle Nazioni Unite che prevede la costituzione di forze sopranazionali che possano intervenire per prevenire e sedare i conflitti. Cio' significa sottrarre l'Onu al ricatto delle grandi potenze che oggi concedono o meno loro truppe a seconda dei propri interessi nelle aree di potenziale conflitto. - La riduzione graduale dell'impegno italiano in ambito Nato, trasformata nel 1999 (proprio durante un conflitto) da organizzazione difensiva in apparato di intervento armato, senza limiti geografici e di contenuto. Sarebbe cosi' evitato il coinvolgimento in conflitti che interessano solo alcuni paesi (in particolare gli Stati Uniti, come sta avvenendo in Afghanistan e come potrebbe verificarsi per altri paesi minacciati dalla strategia della guerra preventiva). L'avvio di questa politica permetterebbe anche di ridurre la presenza di basi Nato sul nostro territorio. - L'elaborazione di una filiera della pace, con l'impegno coerente per politiche di prevenzione e soluzioni civili dei conflitti in tutti i principali ambiti di politica estera: dall'Unione europea all'Osce, alle Nazioni Unite, dalla cooperazione allo sviluppo alle politiche commerciali, fino ad arrivare al settore cruciale del commercio di armi. - L'istituzione di Corpi civili di pace ossia di gruppi organizzati di volontari che intervengono in situazioni di conflitto con azioni nonviolente che comprendono attivita' di prevenzione, monitoraggio, mediazione, interposizione e riconciliazione fra le parti. La formazione e il sostegno di corpi di pace andrebbero collegati al servizio volontario europeo e, adeguatamente preparati e addestrati, impiegati nelle aree di conflitto o di tensione violenta. - Una presenza attiva del governo italiano per l'approvazione del piano di disarmo che l'Onu iniziera' a discutere ad ottobre 2006, promuovendo l'emanazione delle norme necessarie, italiane e internazionali, per regolamentare il traffico e la disponibilita' di armi leggere, che sempre piu' si rivelano essere causa diretta di morti e di feriti innumerevoli e causa scatenante di un numero crescente di conflitti. - La riduzione delle spese militari, anche con la cancellazione o il ridimensionamento di programmi di produzione di sistemi d'arma utili solo in una prospettiva di guerre offensive, dando sostegno immediato alla riconversione dell'industria bellica italiana, tra le piu' fiorenti al mondo, in industria civile. - Un'impostazione fortemente innovativa della cosiddetta cooperazione allo sviluppo (dove il termine "sviluppo" andrebbe modificato, in quanto legato al dannosissimo modello economico dominante), destinando risorse superiori allo 0,70 del Pil, obiettivo ormai inadeguato alle condizioni di interi continenti, dando priorita' a progetti di collaborazione con partners locali significativi della societa' civile. * Proposte per l'immediato - Utilizzare gli strumenti della diplomazia Italiana nella guerra in corso tra Israele, Libano e Palestina, intervenendo presso tutte le sede competenti delle Istituzioni e della comunita' internazionale, Nazioni Unite, Unione Europea e governi, chiedendo il cessate il fuoco e favorendo un'azione di interposizione volta ad impedire l'estensione della guerra, fermare la spirale di violenze e rappresaglie, proteggere i civili. Al fine di affermare il diritto internazionale si propone al Parlamento italiano di far pressione internazionale revocando il memorandum d'intesa militare tra Italia e Israele e lavorando perche' l'Unione Europea sospenda il trattato commerciale con Israele fintanto che permarra' la violazione dei diritti umani. - Ritirare rapidamente le truppe italiane dall'Iraq e dall'Afghanistan con la sostituzione immediata di una presenza consistente di attivita' civili di sostegno al governo legittimo in carica, senza la protezione di forze armate straniere di alcun tipo; avviare la trattativa interna alla Nato per la graduale riduzione della presenza militare italiana in Afghanistan sostituendo le poche iniziative di ricostruzione, affidate ai Crp, con un piano organico di attivita' civili no profit; ritirare le navi italiane e gli aerei che pur nelle retrovie sostengono l'iniziativa militare sotto controllo statunitense in Afghanistan. - Ridurre la spesa militare, visto che secondo i dati del Sipri (l'Istituto di ricerca sulla pace di Stoccolma) l'Italia e' settima al mondo spendendo per la Difesa 484 dollari pro-capite. Una parte di questi soldi potrebbe essere impiegata per sviluppare un concetto di difesa alternativo al modello armato, e per finanziare i progetti di ricostruzione dei paesi dove oggi l'Italia e' presente militarmente. - Avviare una decisa trattativa per l'eliminazione delle basi estere dal territorio italiano e una strategia di trasformazione di gran parte delle aree riservate ad usi militari (compresi i poligoni) in parchi ed aree protette a fini di salvaguardia dell'ambiente. - Ripristinare e potenziare i vincoli alla esportazione di sistemi d'arma e di armi leggere attraverso la revisione e il rafforzamento della legge 185/90, proponendo la logica di questa legge come modello per la legislazione degli altri paesi europei e dell'Unione Europea nel suo complesso. Chiediamo quindi di salvaguardare la trasparenza data dalla relazione annuale della legge 185/90 che rende conto anche delle operazioni svolte dagli istituti di credito in appoggio al commercio delle armi italiane. - Lavorare in ambito Nato, a partire dall'imminente vertice di Riga (novembre 2006) per il definitivo superamento della politica del "nuclear sharing", ovvero la presenza di armi nucleari statunitensi sul territorio di paesi europei. In particolare, per quanto riguarda l'Italia, procedere con lo smantellamento delle 90 atomiche presenti [secondo fonti autorevoli - ndr] nelle basi di Aviano (Pordenone) e Ghedi Torre (Brecia). Tale presenza comporta che sia gli Stati Uniti, "stato nucleare", sia l'Italia, "stato non-nucleare", finiscano per violare il Trattato di non proliferazione nucleare del quale sono entrambi firmatari. A causa di questa flagrante violazione lo stesso trattato diventa meno efficace. - Enunciare il principio che le guerre tradizionali e ad alta tecnologia non sono in grado di estirpare il terrorismo e che occorre invece contribuire a modificare le condizioni di vita delle popolazioni spinte, dalla mancanza di speranze per il futuro, a scegliere la via della reazione armata. - Dar corso all'uscita dell'Eni dall'accordo con le altre societa' petrolifere interessate ai giacimenti iracheni, avviando una trattativa con il governo in carica a condizioni di favore almeno per i prossimi cinque anni. * Per noi, una presenza civile in Iraq ed in Afghanistan, significa: 1. Trasformare l'ospedale da campo della Croce Rossa italiana a Nassiryia in collaborazione con la corrispondente organizzazione irachena, trasferendovi materiali e favorendone gradualmente l'autonoma gestione, dopo aver formato il personale necessario. 2. Individuare un certo numero di ospedali pubblici iracheni e far valutare ai responsabili medici locali le necessita' sanitarie, impegnandosi a soddisfarle per un periodo di almeno sei mesi o un anno. Individuare un corrispondente numero di ospedali italiani (scelti per competenze e specializzazioni richieste dalla situazione sanitaria nel paese) ed attuare un gemellaggio che permetta una collaborazione professionale continuativa e la formazione di omologhi, realizzando soltanto brevi missioni ed ospitando in Italia il personale medico e sanitario iracheno. 3. Prevedere un analogo intervento per scuole e strade, collaborando alla costituzione in loco di nuclei di ingegneri e tecnici, fornendo assistenza dall'Italia per tutte le esigenze di rilevazione dei fabbisogni, di progettazione, di scelta dei materiali, di organizzazione dei cantieri e di fornitura di macchinari, realizzando solo brevi missioni presso i competenti ministeri. 4. Attuare un gemellaggio delle scuole con analoghi istituti italiani nell'ambito della cooperazione decentrata di Comuni e Regioni, inviando materiali didattici e trasferendo le necessarie competenze didattiche. 5. Fornire le competenze tecniche, richieste dalla ricostruzione, attraverso la collaborazione tra i ministeri competenti, soprattutto per quanto riguarda l'acqua e l'energia, mobilitando anche le competenze e le disponibilita' di tecnici, per brevi missioni e per eventuale formazione, presenti in alcuni Comuni italiani disposti al gemellaggio. Questa modalita' di intervento puo' esporre a rischi per periodi brevissimi solo un numero molto limitato di italiani, tutti civili volontari, mentre puo' accelerare moltissimo le prime fasi della ricostruzione, che possono essere iniziate subito, almeno nelle zone dove e' gia' operativo l'esercito iracheno. Puo' mobilitare enti e organismi in Italia desiderosi di collaborare a una concreta iniziativa civile. Il piano puo' essere presentato subito al governo iracheno e afgano nell'ambito delle trattative per il ritiro delle truppe. L'onere finanziario potrebbe non essere superiore al risparmio ottenuto dal decrescente impegno militare e potrebbe quindi essere deciso a livello politico al momento dell'approvazione parlamentare del decreto per il rifinanziamento delle missioni all'estero. E' evidente che questo approccio non prevede la presenza di imprese italiane, la partecipazione ad appalti, ecc. peraltro finora resi impossibili dalla pesante situazione militare sul terreno, destinata a protrarsi per almeno un anno. Delinea invece per il nostro paese un impegno civile ad alto livello, alternativo a quello puramente militare od economico, che puo' essere difeso e proposto nelle sedi internazionali. * In ultimo, un pensiero ai movimenti per la pace In ultimo rivolgiamo un pensiero all'articolato mondo dei movimenti della pace, ai tantissimi volti e gruppi che operarono quotidianamente per la pace e per una cultura nonviolenta nelle relazioni: siamo convinti che non ci si possa esimere, partendo dai territori, dal continuare ad esprimere la propria indignazione, riaffermando, in Italia e nel mondo, che solo una vera cultura e conseguentemente, una politica di pace, e' in grado di dare un segnale di discontinuita' alle logiche di guerra permanente. 3. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: ALCUNE NECESSARIE OBIEZIONI AL TESTO CHE PRECEDE Il documento della Rete Lilliput - una delle maggiori e migliori esperienze di accostamento alla nonviolenza oggi attive in Italia - che sopra presentiamo contiene molte utili riflessioni e proposte; contiene altresi' alcune gravi ambiguita', e contiene infine alcune tesi decisamente non sufficientemente meditate e da chi scrive queste righe ritenute del tutto inaccettabili. Le principali e piu' flagranti di esse vorremmo qui segnalare. * E' del tutto inaccettabile l'idea - che in due luoghi de documento, seppur in forme implicite, sembra tornare - che la lotta armata e il terrorismo siano quasi una sorta di inevitabile conseguenza del bisogno dei popoli oppressi di resistere all'oppressione. Nessuno puo' contestare il diritto alla legittima difesa. Si puo' e si deve resistere all'oppressione, si puo' e si deve lottare per la dignita' e per la liberazione: ma si puo' e si deve farlo facendo la scelta della lotta nonviolenta. * E' del tutto inaccettabile la proposta di "avviare la trattativa interna alla Nato per la graduale riduzione della presenza militare italiana in Afghanistan", poiche' essa presuppone la prosecuzione della partecipazione militare italiana alla illegale e criminale guerra afgana, partecipazione che la Costituzione della Repubblica Italiana esplicitamente proibisce. L'Italia deve cessare di partecipare alla guerra, solo dopo questo atto si puo' discutere del resto. * Ed e' del tutto inaccettabile che mai una volta si ricordi che la Costituzione della Repubblica Italiana proibisce la partecipazione italiana a una guerra come quella afgana e come quella irachena. Tale inammissibile reticenza e' gia' di fatto una forma di subalternita' - e quindi di effettuale quantunque inconsapevole complicita' - con i governi italiani che violando la Costituzione hanno deciso la partecipazione alla guerra e la prosecuzione di tale partecipazione. * E' del tutto inaccettabile l'idea di formulare un invito a lavorare "perche' l'Unione Europea sospenda il trattato commerciale con Israele": il governo di Israele certo e' responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, dei quali dovra' pur rispondere un giorno dinanzi a una corte di giustizia internazionale, ma lo sono del pari molti altri governi, da quello degli Usa a quello della Cina, fino a quello italiano che nel 1998 ha istituito dei campi di concentramento per migranti, strutture che flagrantemente violano sia la Dichiarazione universale dei diritti umani, sia la Costituzione della Repubblica Italiana, sia le basi stesse di ogni ordinamento giuridico democratico. Che in questo contesto si propongano atti di boicottaggio economico solo nei confronti dello stato di Israele - ovvero della popolazione israeliana - e' cosa inammissibile, cosi' come - mutatis mutandis - era inammissibile il decennale embargo dell'Onu nei confronti dell'Iraq con le conseguenze che tutti sappiamo (rafforzamento della dittatura, stragi ed inenarrabili sofferenze per la popolazione); cosi' come e' inammissibile il boicottaggio economico e la sospensione degli aiuti al popolo palestinese (un crimine che va a danno non solo del popolo palestinese e delle sue legittime istituzioni, ma anche del popolo e dello stato di Israele, e dell'umanita' intera). * Proporrei agli amici della Rete Lilliput almeno su questi punti un supplemento di riflessione e una conseguente piu' adeguata stesura di quel testo. 4. RIFLESSIONE. CARISSIMO PINOCCHIO A leggere il decreto governativo (possibile che lo abbiamo letto solo noi?) sul rifinanziamento delle missioni militari italiane all'estero solo la lettura delle firme in calce rende intelligibile che e' del governo Prodi e non del governo Berlusconi. Al contrario di quel che dicono i propagandisti - e gli insipienti che se ne fanno ignara ma clamorosa trombetta - non c'e' nessuna "exit strategy" dalla guerra afgana (e non e' casuale che la fraudolenta propaganda guerrafondaia utilizzi questo linguaggio da Un americano a Roma: ha la stessa funzione del latinorum nei Promessi sposi), c'e' al contrario un crescente, piu' grave coinvolgimento con l'ulteriore presenza e asservimento al comando americano e al servizio della guerra di unita' navali militari italiane. Lo stesso disimpegno militare italiano dall'Iraq entro la fine del 2006 - deciso con l'autorizzazione del padrone americano - era stato gia' deciso e annunciato dal governo Berlusconi, persino in questo il governo Prodi e' in perfetta continuita' col governo precedente. Come nel proseguire una guerra illegale e criminale, nel violare la Costituzione della Repubblica Italiana. * E dire che molti di noi avevano votato in aprile per la coalizione dell'Unione solo per potersi opporre alla coalizione golpista berlusconiana. E dire che molti di noi hanno votato appena lo scorso mese per difendere la Costituzione della Repubblica Italiana, vincendo il referendum e respingendo il tentativo golpista. Vedi come la guerra porta il fascismo, vedi come la verita' e' sempre la prima vittima, vedi come il dovere di resistere non puo' mai aver fine. Resistere. Con la forza della nonviolenza, con la forza della verita'. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 5. TELEGRAMMI. VACANZE ROMANE Un'assemblea "senza se e senza ma" stende un documento contro la guerra dal cipiglio militarista, autoritario e patriarcale in cui ovviamente mai una volta ricorre la terribile parola "nonviolenza". Quando apriranno i frigoriferi della Terza Internazionale? Quando si capira' che la nonviolenza e' veramente "il varco attuale della storia"? E' buffo che queste cose oggi le scriva solo il vecchio comunista antitotalitario e mai pentito che firma questo foglio. 6. DOCUMENTAZIONE. NOAM CHOMSKY: AI PARLAMENTARI ITALIANI CHE VOTERANNO CONTRO LA GUERRA [Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo la seguente dichiarazione di Noam Chomsky del 7 luglio 2006. Noam Chomsky e' nato a Philadelphia nel 1928; illustre linguista, docente universitario al Mit di Boston, e' uno degli intellettuali americani piu' prestigiosi, da decenni impegnato per i diritti civili e dei popoli, contro la guerra e l'imperialismo. Alcune opere di Noam Chomsky: Saggi linguistici. Vol. I: L'analisi formale del linguaggio, Boringhieri, Torino 1969; Saggi linguistici. Vol. II: La grammatica generativa trasformazionale, Boringhieri, Torino 1970, 1979; Saggi linguistici. Vol. III: Filosofia del linguaggio, Boringhieri, Torino 1969, 1977; Problemi di teoria linguistica, Boringhieri, Torino 1975; La grammatica trasformazionale. Saggi espositivi, Boringhieri, Torino 1975; Saggi di fonologia, Boringhieri, Torino 1977; Le strutture della sintassi, Laterza, Bari 1970; Intervista su linguaggio e ideologia, Laterza, Bari 1977; Conoscenza e liberta', Einaudi, Torino 1973, 1974; Riflessioni sul linguaggio, Einaudi, Torino 1981; Forma e interpretazione, Il Saggiatore, Milano 1989; Regole e rappresentazioni, Il Saggiatore, Milano 1981, 1990; Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino, Bologna 1991; I nuovi mandarini, Einaudi, Torino 1969, Net, Milano 2003; La guerra americana in Asia, Einaudi, Torino 1972; Riflessioni sul Medio Oriente, Einaudi, Torino 1976; La quinta liberta', Eleuthera, Milano 1987; Alla corte di re Artu', Eleuthera, Milano 1994; Illusioni necessarie, Eleuthera, Milano 1991; Anno 501: la Conquista continua, Gamberetti, Roma 1993, 1996; I cortili dello zio Sam, Gamberetti, Roma 1995; Il club dei ricchi, Gamberetti, Roma 1996; Linguaggio e liberta', Marco Tropea, Milano 1998; La fabbrica del consenso, Marco Tropea, Milano 1998; Sulla nostra pelle, Marco Tropea, Milano 1999; Atti di aggressione e di controllo, Marco Tropea, Milano 2000; 11 settembre, Marco Tropea, Milano 2001; Dopo l'11 settembre, Marco Tropea, Milano 2003; Il potere dei media, Vallecchi, Firenze 1994; Il potere, Editori Riuniti, Roma 1997; Guerra ed economia criminale, Asterios, Trieste 2002; Terrore infinito, Dedalo, Bari 2002. Alcune opere su Noam Chomsky: Lyons, John, Chomsky, Fontana Press, London, 1970, 1991; Piattelli-Palmarini, Massimo (a cura di), Theories du langage. Theories de l'aprentissage. Le debat entre Jean Piaget et Noam Chomsky, Seuil, Paris 1979, 1982; per una serrata critica di alcuni interventi di Chomsky cfr. il saggio di Pierre Vidal-Naquet in Idem, Gli ebrei la memoria e il presente, Editori Riuniti, Roma 1985; in italiano esistono molti studi su Chomsky linguista e sulla grammatica generativa trasformazionale, ma a nostra conoscenza non c'e' una monografia complessiva su Chomsky come intellettuale pacifista ed attivista per i diritti umani e dei popoli. Nel web e' disponibile un utile "Noam Chomsky Archive": www.zmag.org/chomsky/] Ho appreso della vostra coraggiosa presa di posizione contro la partecipazione militare dell'Italia all'operazione militare della Nato, un intervento di forze internazionali subordinate agli Stati Uniti d'America. L'espansione della Nato ad Est, in violazione dell'accordo siglato con Gorbaciov che aveva permesso l'unificazione della Germania nel quadro Nato, costituisce una grave minaccia per la pace e la sicurezza. Il nuovo e sempre piu' aggressivo ruolo che la Nato sta assumendo pone serie minacce all'ordine internazionale. Voglio esprimervi il mio personale apprezzamento per la vostra coerenza nel difendere i principi dell'articolo 11 della Costituzione italiana: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Sinceramente vostro, Noam Chomsky 7. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: I LIMITI UMANI E LE VIE DELLA PACE [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005] Il Medio Oriente sta riesplodendo, ma sembra che il ripudio della guerra conti solo per il voto parlamentare sull'Afghanistan. Ci sentiamo angosciati e impotenti, anche perche' capiamo che gli spari si fanno vicini. Il vivere in un mondo sconvolto dalla conflittualita' dovrebbe avere come conseguenza non la chiusura a riccio sui principi, ma un, per cosi' dire, "onesto" fare politica di prevenzione da mali maggiori. Sembra lodevole il tentativo di Prodi di portare a un tavolo tutte le componenti del nuovo scenario di guerra che minaccia di dilagare e spero che porti a risultati concreti. Penso tuttavia che molti pacifisti cercheranno di "stare dalla parte" delle vittime e, di conseguenza, "contro" altri. Eppure, dovrebbe essere chiaro che dividere il giusto dall'ingiusto o dal meno giusto in situazioni di emergenza significa accettare la logica "amico-nemico". Se due popoli, anzi almeno tre in questo caso (per ora), sono coinvolti in una spirale di morte da cui non possono uscire da soli, e' necessario intervenire con opere di mediazione. Ma per negoziare ("la pace non si negozia",direte; ma le tregue si') occorre prescindere dalla ragione o dal torto: si parte dallo stato di fatto. Qualcuno pensa che i governi si dovevano muovere prima per prevenire? Giusto, ma non l'hanno fatto per settant'anni. Serve a qualcosa costatarlo, se l'ultima impasse e' oggi? Neppure noi pacifisti, d'altra parte, siamo sempre adeguatamente intervenuti, ne' per denunciare decenni di stragi, ne' per ragionare sulla complessita' delle questioni (risalire a Teodoro Hertz? al compromesso Balfour? alla prima oppure alla seconda guerra mondiale? alla caduta dell'impero ottomano?). Eppure solo ragionando si evita di ricadere nella logica dei pregiudizi e nell'insensatezza di dire che questi (o quelli?) sono come i nazisti. E una domanda: se pensiamo all'evacuazione dei nostri connazionali dal Libano, diciamo di mandare una nave delle crociere Costa o una nave militare? Fare politica da cittadini responsabili significa rendersi conto del reale significato delle questioni che si affrontano (e che cominciano con il fatto che non solo noi, ma anche i nostri figli a scuola ignorano la questione balcanica e l'origine di stati nati artificialmente dopo la prima guerra mondiale). Essere pacifisti, poi, significa non credersi ne' Mose' ne' Gesu' Cristo, ma capire il livello a cui siamo pervenuti nella costruzione di quella pace che nella storia non si e' mai vista. Da sessant'anni viviamo in un'ampia parte di Europa una situazione privilegiata di assenza di belligeranza: ed e' la prima volta nella storia, cosi' come per la prima volta nel 1948 sono entrati nel diritto internazionale i diritti umani. La differenza tra Socrate o Erasmo da Rotterdam e noi e' tutta qui: anche per loro erano evidenti i principi, ma la guerra era un valore sul piano del diritto. Oggi, almeno un passo avanti e' stato fatto. In ogni caso siamo in grande agitazione anche perche' i conflitti incominciano a lambire la nostra presunta sicurezza: in Africa la guerra e' ancora un dato di realta' che produce milioni di morti di cui ci occupiamo poco, anche se nostri soldati sono presenti in alcune zone a rischio con le truppe dell'Onu. Anche in Asia vi sono conflitti in fase esplosiva di cui non percepiamo il fragore perche' lontani dai nostri interessi. Costruire la pace significa proprio collaborare con l'inedito di cui parlava Balducci. Ma neppure le nostre generazioni vedranno la pace universale e la scomparsa delle armi e degli eserciti. Questo non significa immiserire la coerenza con i valori, ma misurarsi con i limiti umani. Cercare - e trovare - non la pace, ma le vie della pace. * Poscritto: mi fa piacere aggiungere una cosa: trovo sempre inaccettabile che la Chiesa annunci la pace e mantenga un "Ordinariato militare" e ho chiesto sempre a chi si dichiara cattolico di intervenire. Forse anch'io sono un poco integralista e piu' della richiesta di soppressione dei cappellani con le stellette sarebbe importante la loro riforma. Il segretario di Pax Christi ha chiesto semplicemente che non rivestano i gradi militari e non siano nel libro paga del ministero della difesa. Anche questa puo' essere una via della pace. 8. LIBRI. GIUSEPPE BRONZINI PRESENTA "LA GIUSTIZIA DEI VINCITORI" DI DANILO ZOLO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 luglio 2006. Giuseppe Bronzini, magistrato del lavoro, docente universitario, e' un prestigioso giurista. Danilo Zolo, prestigioso giurista, nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, e' docente di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di Firenze. Tra le opere di Danilo Zolo segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari 1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995; Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000; Globalizzazione: una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari 2004; La giustizia dei vincitori, Laterza, Roma-Bari 2006] La migliore sintesi dei temi e delle prospettive della recente raccolta di saggi di Danilo Zolo (La giustizia dei vincitori. Da Norimberga a Baghdad, Laterza, pp. 191, euro 16) la offre lo stesso autore nella introduzione del volume: "sia le istituzioni universalistiche sorte nella prime meta' del secolo per volonta' delle potenze vincitrici delle due guerre mondiali sia la giurisdizione penale internazionale non hanno dato sinora buona prova di se'. Le Nazioni Unite e le Corti penali internazionali si sono rivelate incapaci, non dico di garantire al mondo una pace stabile - utopia kantiana priva di interesse teorico e politico -, ma almeno di condizionare minimamente l'inclinazione delle grandi potenze ad usare ad libitum la soverchiante forza militare di cui dispongono. Questo vale, anzitutto, per gli Usa, ormai orientati a svolgere il ruolo di potenza imperiale legibus soluta che si pone al di sopra del diritto internazionale e in particolare del diritto bellico". Sono i luoghi privilegiati dei recenti contributi dell'autore - a cominciare dal volume Chi dice umanita' (Einaudi, 2000) -, ma gli accadimenti degli ultimi anni sembrano avere reso la posizione di Zolo ancora piu' radicale ed intransigente. Il punto di partenza e' l'illusione di un superamento in via puramente normativa del principio di sovranita' attraverso l'edificazione di ordinamenti fittiziamente al di sopra degli stati e di una giuridificazione del fenomeno della guerra, bandita su iniziativa del pacifismo istituzionale come crimine e - in linea di principio - punibile, da quel momento, ad opera di Corti interne o internazionali. * L'ordine infranto di Westfalia Queste linee di sviluppo e di superamento del cosidetto ordine di Wesfalia da un lato sarebbero mere costruzioni ideologiche, prive di effettivita' giuridica e quindi contestabili nella loro validita' come regole di diritto da parte di una teoria realistica del diritto internazionale, e - contemporaneamente - mostrerebbero persino nella loro architettura universalistica un persistente privilegio riservato alle grandi potenze che, anche in questa simulazione di un mondo kantiano, si sarebbero riservate "plus-poteri" speciali. Attualizzando le celeberrime pagine di Carl Schmitt (sia del periodo tra le due guerre che negli scritti dopo il '45), Zolo non solo ricostruisce come l'Onu non abbia in alcun modo impedito le guerre o reso piu' impervie le strategie aggressive degli stati egemonici, nonostante le proibizioni solenni del suo statuto, ma altresi' evidenzia il carattere antidemocratico e asimmetrico dei suoi organi. Questo ordinamento e' quindi al tempo stesso problematico circa la sua validita' (e comunque inapplicabile proprio per domare le forze che minacciano davvero la pace mondiale) ed ingiusto nella ripartizione di poteri e competenze tra i suoi membri. L'altra via prescelta per mitigare le prerogative della sovranita', quella che con la Dichiarazione universale del 1948 mira a rendere soggetto del diritto internazionale l'individuo e quindi in prospettiva a superare la tanto discussa domestic jurisdition, inibendo agli stati ogni discrezionalita' in ordine al rispetto dei diritti umani, appare a Zolo collimante, in realta', con le altre scelte compiute nel '45. La Dichiarazione non solo non puo' disporre di strumenti giurisdizionali o di altra natura per essere qualcosa di piu' di un elenco di buone intenzioni, ma proietta su scala globale un insieme di pretese che sono in gran parte il frutto della sola cultura occidentale che, quindi, non possono vantare alcuna reale pretesa di universalita'. Persino il testo del '48 sarebbe viziato da etnocentrismo e rifletterebbe solo l'aspirazione di una parte (le potenze occidentali) a dominare il mondo anche attraverso il proprio linguaggio e la propria cultura, nei quali l'individualismo ha un peso centrale, contestato da altre tradizioni: Caesar dominus et supra grammaticam. Il risultato di questa insensata o solo immaginata archiviazione della cruda realta' di potere che informa ancora le relazioni internazionali e' una moltiplicazione delle occasioni di guerra e di aggressione che attraverso l'apparato simbolico dell'ordinamento Onu acquisiscono nuovi scenari, impensabili all'epoca in cui vigeva il cosiddetto ius publicum europaeum: le guerre "umanitarie", le guerre per esportare la democrazia, la classificazione di entita' territoriali indipendenti come rogue states nei cui confronti tutto e' possibile verso un global humanitariam regime nel quale il potere imperiale (nozione che Zolo utilizza con un significato nuovo e piu' complesso rispetto all'archetipo romanistico) si puo' muovere senza gli impacci delle regole del diritto tra gli stati. Come se non bastasse negli ultimi anni vi e' stato un revival delle Corti penali internazionali, ad investitura Onu, ma finanziate, sostenute e sorrette interamente dalle maggiori potenze e in particolare dagli Usa, che mentre ospitano nel loro suolo zone di totale illegalita' come Guantanamo, impongono a stati minori, gia' debellati militarmente, corti come quella sui crimini nell'ex Jugoslavia, che agiscono - prive di autentica imparzialita' ed indipendenza - come tribunali dei vincitori. Senza dubbio la corrosiva critica di Zolo all'attuale situazione del diritto internazionale ed anche ai pessimi esempi di una giustizia al di sopra degli stati centra il bersaglio ed individua elementi di debolezza dell'Onu (e delle decisioni che sono "coperte" dalla sua autorita') difficilmente emendabili nel breve come nel medio periodo. La simulazione di un governo mondiale voluta con il suo statuto, che pero' e' ostaggio delle potenze vincitrici la seconda guerra mondiale (e oggi dell'unica superpotenza, gli Usa) ha condotto l'Onu nella situazione di scacco (ed anche di perdita di prestigio, a causa della inoperativita' delle sue regole di prevenzione dei conflitti) di questi anni. E' poi innegabile l'intreccio perverso tra interventi militari di parte (Nato in Kosovo o "coalizione dei volenterosi" in Iraq) che vengono poi gestiti e amministrati in nome della comunita' internazionale. Tra le misure che l'Onu adotta post festum di particolare odiosita' sono, in effetti, proprio i processi imbastiti dai vincitori per riaffermare la "morale globale". * Le corti super partes In verita' questi esiti non erano stati previsti, come ricorda Zolo, solo da Carl Schmitt, ma anche dal suo avversario, kantiano di eccezione, Hans Kelsen che aveva prefigurato un'altra linea di sviluppo per il diritto sovranazionale dopo la sconfitta della Germania nazista. Il filosofo praghese aveva suggerito che si seguisse la strada della giustizia internazionale, attraverso Corti super partes e a carattere permanente, previa codificazione degli illeciti perseguibili: l'Onu non ha in nulla seguito questa strada e l'esempio che oggi ci fornisce di corti ad hoc che selettivamente si accaniscono contro i solo perdenti, non puo', quindi, rappresentare una smentita dell'ipotesi kelseniana. Zolo ricorda giustamente le difficolta' di decollo della Corte penale internazionale (Cpi) di Roma, ma e' ancora troppo presto (la sua definitiva operativita' e' recentissima) per fare un bilancio di questo importante tentativo, che proprio gli Usa continuano ad ostacolare in ogni modo. Si tratta, in questo caso, di un Tribunale permanente (dotato di significative garanzie di indipendenza ed autonomia) che agisce sulla base di norme (anche sostanziali) definite con un larghissimo accordo internazionale (anche se il crimine di aggressione non e' stato ancora formalizzato) e che quindi rispetta molti dei principi classici della giurisdizione. Comunque abbiamo altri esempi di una giustizia oltre gli stati con ottimi risultati: la Corte di Strasburgo (il cui ordinamento riguarda oltre quarantacinque paesi, non solo europei in senso stretto) ha dimostrato in questi anni attivismo garantistico e coraggio interpretativo in grado di costringere importanti Stati a mutare persino la propria Costituzione (a cominciare dal nostro paese). L'indipendenza e l'autonomia di questa Corte sono fuori discussione, l'opera dei giudici di Strasburgo figura, significativamente, come il nucleo della recente riflessione di Antonio Cassese sull'evoluzione della tutela giurisdizionale dei diritti umani (I diritti umani oggi, Laterza). Il metodo seguito da Zolo di richiamare la disciplina internazionale per mostrare quanto questa sia ignorata senza tuttavia "prenderla sul serio", pur di grande fascino e retoricamente di straordinaria efficacia lascia, talvolta, insoddisfatti. Circa le ribadite critiche alla Carta del '48, e' un fatto storico che il documento fu approvato per consenso unanime dei paesi che allora aderivano all'Onu, ne' si puo' disconoscere che in esso si siano raccolte pretese individuali e collettive che storicamente hanno aspirato al rango di diritti fondamentali (a questo proposito va ricordato il recente importante volume a cura della Fondazione Basso, Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo 10 dicembre 1948: nascita, declino e nuovi sviluppi, Ediesse 2006). La cosiddetta Dichiarazione sugli Asian values del 1993 con la quale alcuni paesi del sud-est asiatico hanno riaffermato alcuni valori comunitari contro la "dottrina individualistica dei diritti umani" mi pare, alla fine (come ha sempre sostenuto Amartya Sen), episodio troppo marginale per dimostrare che l'imponente movimento per il rispetto degli human rights sia strumentalizzato dalle pretese egemoniche della cultura occidentale. Nell'ambito della variegata scuola postcolonialista esistono sul punto posizioni critiche molto piu' penetranti, ma occorrerebbe liberarsi preventivamente dall'equivoco di fondo per cui si pretende di interpretare positivisticamente il testo del '48 assumendolo piu' come un codice che come un campo di conflitto e di iniziativa (per un'opzione postpositivista il rinvio e' all'affascinante prospettiva del saggio di Michael Blecher, Law in Movement - Paradoxontology, Law and Social Movements, presente nel volume curato da Janet Dine e Andrew Fagan, Human Rights and Capitalism, Elgar, 2005). La Dichiarazione ha un conclamato carattere programmatico, e' solo la base per l'elaborazione di un diritto delle genti autenticamente efficace, un elenco di temi e di questioni che si sono imposte all'attenzione dell'opinione pubblica (e giuridica) mondiale e che reclamano una soluzione su scala planetaria. Da quel momento e' iniziata l'elaborazione vera e propria di uno ius cogens (cioe' di regole inderogabili e applicabili ovunque) sovranazionale: persino in una materia cosi' spinosa come quella della definizione dei diritti fondamentali del lavoro, nel 1998 con la Dichiarazione sui core labour rights si e' raggiunto un consenso universale (cui hanno partecipato anche i sindacati, non solo gli Stati). Non e' affatto necessario, per collocarsi nella corrente impetuosa degli human rights, dipingere un mondo irenico nel quale siano superati i conflitti ed abbattuti i confini nazionali. Come dimostrano le pacate riflessioni pubblicate recentemente di Seyla Benhabib (I diritti degli altri, Cortina 2006; La rivendicazione dell'identita' culturale, Il Mulino 2006) si puo' assumere un orizzonte persistente di differenze e tensioni tra popoli ed anche l'attuale ripartizione (comunque in declino) in Stati sovrani, ma giungere egualmente a riconoscere uno spazio di tutela universalistica su questioni come il diritto di asilo e quello di ospitalita'. * Nella sfera pubblica mondiale Per concludere mi pare che una auspicabile evoluzione della situazione dipenda piu' che altro dall'irruzione sulla scena di un attore che la scuola realista considera secondario (privilegiando i rapporti di forza di tipo militare), la societa' civile planetaria: il giudizio sferzante sulle Ong di Zolo per cui queste sarebbero condizionate in toto dal paese di origine mi pare un po' troppo liquidatorio; in ogni caso il consolidarsi di una rete vastissima di movimenti e associazioni che si vanno strutturando come sfera pubblica mondiale offre una visuale diversa sul presente. Nonostante la crisi della formula, i social forum hanno segnato una discontinuita' storica con i modi di organizzazione della protesta e della discussione su temi di respiro globale. La forza di queste novita' non si misura in potenza di tiro, ma e' tuttavia abbastanza realistico attendersi una spinta produttiva verso radicali mutamenti nelle relazioni internazionali (il libro che fornisce una buona ricostruzione della discussione su questo tema e' quello curato da Philip Alston, Non state-actors and human rights, Oxford University Press 2005). Non ci si puo' limitare a proporre di conferire uno spazio maggiore alla diplomazia e al dialogo tra Stati, minimizzando cosi' ogni iniziativa che non passa attraverso i governi, senza concedere troppo ad una metodologia che Ulrick Beck (Lo sguardo cosmopolita) ha definito nazionalista perche' incapace di cogliere e valorizzare i fenomeni che non hanno piu' una fonte statale. La strategia dei diritti umani con la progressiva codificazione di uno ius cogens sanzionabili da parte di Corti (indipendenti, permanenti e autonome) sovranazionali rimane una prospettiva che potrebbe non essere solo una via di fuga utopistica dagli orrori delle guerre "umanitarie" se verra' accompagnata da una piu' convinta determinazione della societa' civile mondiale, e che, d'altra parte, costituisce l'esatto opposto di quei processi che sono stati costruiti secondo modelli che difettano di quei requisiti di imparzialita' e terzieta', senza i quali - come ricorda Zolo -, e' improprio parlare di giurisdizione in senso moderno. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1361 del 19 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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