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La nonviolenza e' in cammino. 1358
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1358
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 16 Jul 2006 00:10:29 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1358 del 16 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: I complici, gli arresi 2. Enrico Piovesana: Perche' l'Italia dovrebbe ritirarsi dalla guerra afgana 3. Da una lettera di Masaccio Dellincerti all'amico suo Eusebio di Boncore 4. Enrico Peyretti: La violenza e' l'opposto del diritto 5. Comitato "Via le bombe": Un convegno il 7 agosto a Pordenone 6. Marinella Correggia: Il mito e i danni dei biocarburanti 7. Una postilla al testo che precede 8. Stefano Liberti intervista Jean Ziegler 9. Luce Fabbri: In questo momento 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: I COMPLICI, GLI ARRESI Scopro con sgomento che per certi signori se la Costituzione e' violata dal centrodestra e' un crimine abominevole, se e' violata dal centrosinistra e' una simpatica marachella. Se la guerra la fa Berlusconi e' un orrore, se la fa Prodi e' una gran bonta'. Se gli assassini hanno la camicia nera sono assassini, se hanno la camicia bianca o rosa o rossa sono eroi. * I piu' impudenti, o i piu' isterici, arrivano addrittura a sostenere che fare la guerra e' costruire la pace, che violare la Costituzione e' prova di responsabilita', che ammazzare la gente e' un dovere. * I piu' obnubilati - o peggio - giungono all'estremo delirio di sostenere che possa essere cosa da amici della nonviolenza sostenere la guerra, le stragi, i crimini. * A queste persone vorremmo chiedere di fare lo sforzo di rileggersi l'articolo 11 della Costituzione, che testualmente recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Ed alle persone che pretendono di pervertire la nonviolenza fino al suo osceno rovesciamento in complicita' con gli omicidi di massa di cui la guerra consiste vorremmo chiedere di rileggersi la Carta del Movimento Nonviolento in cui Aldo Capitini scrisse che "Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione...". * Chi vuole arrendersi alla guerra e al fascismo puo' farlo, ma non pretenda di far credere che la guerra e il fascismo siano cose buone. 2. RIFLESSIONE. ENRICO PIOVESANA: PERCHE' L'ITALIA DOVREBBE RITIRARSI DALLA GUERRA AFGANA [Da "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendamo il seguente articolo del 14 luglio 2006 che l'organizzazione umanitaria "Emergency" sta diffondendo anche come foglio volante. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e' stato in Afghanistan in qualita' di inviato] Il governo sostiene che la missione militare in Afghanistan a cui l'Italia partecipa - Isaf - non e' una missione unilaterale di guerra come Enduring Freedom, bensi' una missione multilaterale Onu "di pace" dalla quale non possiamo uscire per non venire meno ai nostri impegni internazionali. Ma non dice che la natura della missione Isaf e' completamente cambiata, poiche' si e' fusa con Enduring Freedom diventando anch'essa una missione di guerra contro i talebani. Da cio' consegue che l'accordo internazionale preso dal governo italiano il 10 gennaio 2002 con la firma a Londra del "Memorandum of Understanding" per la creazione della missione Isaf autorizzata dalla risoluzione Onu n.1386 del 20 dicembre 2001 (accordo approvato dal Parlamento solo a posteriori, il 27 febbraio 2002, e implicitamente, con la "conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, recante disposizioni urgenti per la proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali") non puo' piu' essere ritenuto valido, essendone completamente cambiata la ratio, la natura della missione in oggetto. Vediamo perche'. * La metamorfosi della missione Isaf Con l'apertura dell'impegnativo fronte di guerra iracheno nel 2003, gli Usa decidono di lasciare l'allora piu' tranquillo fronte afgano agli alleati della Nato. Per fare questo, pero', non chiedono loro di entrare in Enduring Freedom, ma impongono un cambiamento strutturale della missione Isaf. Nell'agosto 2003, la missione Isaf diventa a comando Nato: alleanza militare formalmente in guerra a fianco degli Usa in virtu' del richiamo all'art. 5 del Trattato dell'Alleanza Nord-Atlantica. Pochi mesi dopo, la risoluzione Onu 1510 del 13 ottobre 2003 stabilisce l'espansione della missione Isaf dalla sola Kabul a tutto il territorio nazionale afgano, prevedendo per il 2006 un'espansione anche nelle zone meridionali e orientali del paese. Ma nel 2005, dopo un anno di relativa quiete, proprio quelle regioni vengono riconquistate dalla resistenza talebana. Nei quartieri generali della Nato si inizia a parlare dell'esigenza di "irrobustire" le regole d'ingaggio per la missione Isaf visto l'impegno in un teatro ostile. Polemiche e dibattiti scuotono le cancellerie di tutta Europa. Non una parola in Italia. Come ha spiegato il generale Fabio Mini (ex comandante della missione Kfor in Kosovo), invece di espandersi, come previsto, in zone che dovevano essere gia' state pacificate e "bonificate" dai soldati Usa, nel 2006 la missione Isaf si e' trovata essa stessa impegnata, a fianco e al posto delle forze Usa, nella "bonifica" di queste zone, ovvero nella guerra ai talebani. Cosi', la missione Isaf e' diventata una missione di guerra, sovrapponendosi e confondendosi con Enduring Freedom. Confermare la partecipazione ad Isaf ignorando i cambiamenti che invece ci sono stati, significa far prevalere la prassi sul diritto, mentire all'opinione pubblica e calpestare l'articolo 11 della nostra Costituzione. * Il trabocchetto della "riduzione" delle truppe Il governo ha prospettato, come contentino alla sinistra pacifista, la riduzione delle truppe in Afghanistan (si e' parlato di 2-300 uomini in meno). Ma essa e' riferita al tetto massimo raggiunto in passato, ovvero circa 2.400 uomini, non al numero di soldati attualmente dispiegati: circa 1.350. Cio' significa che pur parlando di riduzione, il governo avrebbe comunque la possibilita' di inviare in Afghanistan diverse centinaia di soldati in piu'. * L'Afghanistan come l'Iraq Dopo una fase decrescente del conflitto durata tre anni (1.500 morti nel 2002, 1.000 nel 2003, 700 nel 2004), la guerra in Afghanistan e' ricominciata piu' violenta che mai (2.000 morti nel 2005, 2.500 nella prima meta' del 2006). Emblematico l'aumento delle perdite tra le forze di occupazione Usa e Nato: 68 nel 2002, 57 nel 2003, 58 nel 2004 e poi 129 nel 2005 e 84 nella prima meta' del 2006. I talebani rifugiatisi in Pakistan si sono infatti riorganizzati e hanno ripreso il controllo di tutte le province del sud, sferrando attacchi su vasta scala e ricorrendo anche ai kamikaze. Le forze Usa di Enduring Freedom hanno ricominciato a bombardare con l'aviazione le zone considerate roccaforti talebane e poi a sferrare massicce offensive terrestri (la maggiore e' quella in corso, "Avanzata di montagna"). Centinaia i civili, spacciati dai comandi Usa per combattenti, uccisi in queste operazioni. Nelle ultime settimane il bilancio dei morti in Afghanistan ha spesso superato quello dei morti del macello iracheno. * Due conti in tasca La missione militare italiana in Afghanistan Isaf costa ai contribuenti circa 300 milioni di euro all'anno. Solo per le spese di mantenimento truppe e mezzi. Mantenere 3 ospedali di standard occidentale, un centro di maternita', 27 cliniche e posti di pronto soccorso e un programma di assistenza sanitaria nelle carceri, costa a una ong italiana 6 milioni di euro all'anno. Quanti ospedali, scuole e orfanotrofi si potrebbero aprire in Afghanistan con le decine di milioni di euro spesi per pagare gli stipendi dei nostri soldati e i pieni di benzina dei nostri blindati? * Le Ong e i militari Alle critiche di chi definisce Isaf una missione di guerra travestita da missione di pace, il governo risponde rivendicandone lo scopo umanitario, dichiarando che essa contribuisce alla ricostruzione del Paese: direttamente con le Squadre di Ricostruzione Provinciale (Prt) e indirettamente con la protezione garantita alle Ong che altrimenti non potrebbero operare sul territorio. Ma le stesse Ong italiane, tutte quelle che hanno lavorato o che lavorano a tutt'oggi in Afghanistan, insorgono contro quella che giudicano una strumentalizzazione politica e una confusione di ruoli che finisce con l'ostacolare e rendere pericoloso, invece che facilitare, il lavoro di cooperazione e assistenza umanitaria. Le Ong chiedono al governo di non usare la scusa dell'umanitarismo per giustificare agli occhi dell'opinione pubblica decisioni di politica estera che nulla hanno a che vedere con il bene della popolazione afgana, e di valutare seriamente l'opportunita' di continuare a partecipare a una missione "di pace" ormai indistinguibile dall'operazione di guerra Enduring Freedom. Alcune, tra le piu' importanti Ong, chiedono esplicitamente il ritiro dei nostri soldati dall'Afghanistan. * Dovevamo portare democrazia... Washington ha installato al potere a Kabul il fedele ex consulente locale della compagnia petrolifera Usa Unocal e del Pentagono, Hamid Karzai, e nel 2004 gli ha procurato la vittoria elettorale sostenendolo apertamente come unico candidato possibile e pagandogli la campagna elettorale. Ciononostante, l'autorita' del suo governo non si e' mai estesa fuori da Kabul. Le province sono rimaste sempre in mano ai signori della guerra e dell'oppio: sanguinari criminali e fondamentalisti conservatori che, avendo fatto da ascari agli Usa contro i talebani, si sono garantiti l'intoccabilita' e nel 2005 - con la violenza e la corruzione e con il placet Usa - sono finiti anche in Parlamento. "Gli Stati Uniti hanno abbattuto un regime criminale solo per sostituirlo con un altro regime criminale", ha detto la parlamentare afgana Malalai Joya, che recentemente ha parlato anche a Montecitorio. "La comunita' internazionale deve smetterla di sostenere quei signori della guerra che per vent'anni hanno bombardato le nostre case, ucciso la nostra gente, calpestato i nostri diritti e rovinato le nostre vite, e che ora siedono al Governo e in Parlamento". * Dovevamo difendere i diritti umani... La triste condizione delle donne non e' affatto migliorata, perche' essa e' un prodotto della cultura afgana. I talebani l'avevano solo istituzionalizzata. Ora e' tornata, com'e' sempre stata, un affare privato, gestito dai capi famiglia invece che dai mullah. La tortura nelle medievali carceri afgane continua a essere pratica comune. In piu' avviene anche nelle strutture detentive militari Usa sparse per il paese: il "sistema Abu-Ghraib" e' stato inventato in Afghanistan (a Bagram nel 2002) e solo poi esportato in Iraq. Nonostante lo scandalo suscitato dalla morte per tortura di molti prigionieri in mano Usa, Washington si e' sempre rifiutata di consentire ispezioni e inchieste indipendenti. Le violenze contro i civili, gli stupri delle donne e i saccheggi durante i rastrellamenti dei villaggi da parte delle milizie mercenarie afgane e delle truppe straniere sono realta' quotidiane. L'assenza di ogni rispetto per la vita dei civili da parte delle truppe Usa e' continuamente confermata anche dagli incidenti stradali causati dai blindati militari che hanno l'ordine di non fermarsi se investono qualcuno. Tutto cio' provoca un crescente risentimento popolare nei confronti delle truppe straniere, con conseguente allargamento della base di consenso della resistenza talebana. * Dovevamo sradicare la piaga dell'oppio... Invece che diminuire, in questi 5 anni la produzione di oppio afgano (che arriva da noi come eroina) e' vertiginosamente aumentata, polverizzando il record storico talebano del 1999 di 91.000 ettari di piantagioni in 18 province su 32, con oltre 130.000 ettari coltivati a oppio in 32 province su 32. Un business intoccabile perche' gestito dai signori della guerra alleati degli Usa (che altrimenti si rivolterebbero in armi) e dallo stesso governo Karzai (lo stesso fratello del presidente, Walid Karzai, e' uno dei maggiori trafficanti d'oppio del paese). Il boom della coltivazione dell'oppio e' stato anche l'effetto degli scellerati programmi Onu di sostegno alimentare. L'agricoltura tradizionale afgana e' entrata in crisi a causa dell'afflusso di derrate gratuite che hanno abbattuto i prezzi di mercato dei prodotti agricoli, mandando sul lastrico migliaia di famiglie contadine che per questo sono state costrette ad abbandonare le colture legali per darsi a quella illegale dei papaveri da oppio, l'unica in grado di garantire la sussistenza. * Dovevamo portare sviluppo economico e benessere... Al di la' della poverissima economia di sussistenza tradizionale basata su agricoltura (legale e illegale), pastorizia e piccoli commerci (con un reddito medio che non supera i 10 dollari al mese), non esistono nuovi sbocchi lavorativi per gli afgani. L'unica novita', per sua natura transitoria, e' rappresentata dagli impieghi per le Ong straniere e per le organizzazioni internazionali (autisti, guardiani, ecc). La massiccia presenza nel paese, e in particolare a Kabul, di stranieri pieni di dollari, ha avuto un devastante effetto inflazionistico (soprattutto per il mercato immobiliare urbano) che ha ulteriormente ridotto il gia' infimo potere d'acquisto della popolazione. Senza contare la comparsa di piaghe sociali come la prostituzione, la tossicodipendenza e malattie come l'Aids, prima inesistenti, frutto del degrado sociale ma anche della presenza straniera. * Dovevamo ricostruire il paese... Il business della ricostruzione e' un affare da 15 miliardi di euro in piena espansione, gestito in gran parte dagli Stati Uniti (tramite UsAid). Peccato che questi soldi o sono tornati indietro come profitti delle aziende appaltate (quasi tutte Usa) - che per guadagnarci hanno gonfiato i conti e risparmiato su tutto costruendo scuole e ospedali che ora sono chiusi perche' pericolanti - o sono finiti in "spese di gestione" di Ong e organizzazioni internazionali (stipendi stratosferici, vitto e alloggi di standard occidentale e fuoristrada di lusso per il personale espatriato) o ancora sono finiti nelle tasche di funzionari afgani corrotti. L'unica opera di ricostruzione e' stata l'asfaltatura della superstrada Kabul-Kandahar, eseguita a scopo di propaganda pro-Karzai durante la campagna elettorale del 2004 (oltre che per facilitare i movimenti via terra delle truppe d'occupazione). Il fallimento della ricostruzione internazionale ha causato un forte risentimento popolare verso gli stranieri, considerati ormai dei bugiardi che fanno solo il loro interesse. 3. CARTEGGI. DA UNA LETTERA DI MASACCIO DELLINCERTI ALL'AMICO SUO EUSEBIO DI BONCORE Quanto a molte osservazioni ragionevolissime e condivisibilissime che vieni svolgendo, ahime', a me sembra che abbiano ben poco a che vedere con l'oggetto della discussione odierna, che dal mio punto di vista, come sai, si condensa in tre punti: - rispetto della legalita' costituzionale; - contrarieta' a partecipare a una guerra illegale e criminale; - richiesta di un intervento rigorosamente nonviolento in soccorso delle vittime. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA VIOLENZA E' L'OPPOSTO DEL DIRITTO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] La violenza e' male. La vendetta e' due mali. Il gioco "estraneo alla ragione" (Giovanni XXIII) della violenza crescente va a vantaggio non di chi ha il diritto ma dei piu' violenti, piu' armati, piu' spregiudicati, piu' ingiusti e piu' privi di sensibilita' umana. La violenza e' l'opposto del diritto: poiche' lo offende nell'altro, lo danneggia anche per se'. La violenza non genera mai pace duratura e giusta, ma sempre altra violenza; mai genera sicurezza, ma sempre insicurezza; non genera democrazia ma autocrati; non cultura ma l'ignoranza e la rozzezza della mano armata. E' infinita stoltezza, la violenza, e' cancro delle civilta' culture e religioni che si consegnano ad essa. Non siamo affatto condannati ad avvelenare il nostro diritto alla vita affidandolo alla violenza negatrice del diritto e della vita. Unita', coraggio, resistenza, legami vasti di amicizia, virtu' di ospitalita' mitezza e altruismo, collaborazione nella giustizia economica e personale, riparazione dei torti inflitti e restituzione del maltolto - in una parola la nonviolenza positiva, quella del forte e non del vile - e' questo che difende i popoli e realizza il loro diritto piu' veramente, piu' genuinamente, con costi umani e sofferenze assolutamente inferiori, con dignita' assolutamente superiore, che non la disperata fede nelle armi crudeli, idolo traditore, e la speranza assurda nella vendetta cieca. Cio' vale per la Palestina come per Israele, perche' vale per la nostra comune umanita'. Cio' vale per tutti, vale esattamente per tutti i conflitti in cui siamo implicati, come singoli e come popoli. Deprecare serve a poco. Cio' che importa e' imparare e organizzare in istituzioni la nuova scienza dei conflitti: la lotta nonviolenta, con l'avversario, per il comune interesse, superiore agli interessi meschini, per la liberazione comune, per costringere il violento a non guadagnare nulla dalla sua violenza, ma solo a perdervi l'indispensabile relazione con gli altri. Non c'e' politica, non c'e' economia, ne' relazioni tra i popoli, che siano adeguate ai rischi e alle opportunita' del nostro tempo, se non nella nuova scienza e arte della pace e giustizia nonviolente. 5. INIZIATIVE. COMITATO "VIA LE BOMBE": UN CONVEGNO IL 7 AGOSTO A PORDENONE [Da Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Tiziano Tissino e' impegnato nel movimento nonviolento dei "Beati i costruttori di pace" ed in numerose altre esperienze ed iniziative nonviolente; e' tra i promotori dell'azione legale contro la presenza delle bombe atomiche americane ad Aviano e del Comitato "Via le bombe" (sito: www.vialebombe.org)] Programma del convegno "Fuori le atomiche dall'Italia, fuori le atomiche dalla storia", Pordenone, Bastia del Castello di Torre, lunedi' 7 agosto 2007, nell'ambito della serie di iniziative organizzate dal 6 al 9 agosto in ricordo delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Prima sessione (ore 9,30-13): interventi di saluto delle autorita' locali e del Coordinamento regionale enti locali per la pace; Stefania Maurizi, giornalista, autrice del libro "Una bomba, dieci storie: gli scienziati e l'atomica"; Francesco Polcaro, del comitato "Scienziate e scienziati contro la guerra"; Luciano Benini, Mir, fisico nucleare; un rappresentante di Ialana (Associazione internazionale dei giuristi contro le armi nucleari); Franco Juri, giornalista e pacifista sloveno. Seconda sessione (ore 15-19): proiezione del documentario "Le Gru di Sadako: l'umanita' contro l'atomica"; Andrea Bellavite, consulente della Regione Friuli Venezia Giulia per la nuova legge regionale sulla pace; Francesco Martone, senatore, referente italiano del Pnnd (Parliamentarian Network for Nuclear Disarmament); Lidia Menapace, senatrice, componente della Commissione Difesa del Senato; Luisa Morgantini, parlamentare europea, Presidente della Commissione Sviluppo dell'europarlamento. * Cinque pacifisti pordenonesi hanno avviato una causa legale contro il governo Usa, chiedendo che le atomiche custodite ad Aviano siano rimosse dal territorio italiano in quanto la loro presenza e' in contrasto con il Trattato di non proliferazione nucleare. Nell'atto di citazione si argomenta che tali armi sono causa di pericolo per tutta la popolazione dell'area, in quanto la loro presenza illegale rende Aviano l'obiettivo dichiarato di eventuali attacchi nucleari da parte di altre potenze. Il rischio diretto in capo agli attori, pur reale, e' stato utilizzato in maniera "strumentale" per permettere l'avvio di una causa civile basata su un "temuto danno" ai sensi dell'art. 2043 del Codice Civile. In realta', le motivazioni di questa azione vanno ben al di la' del rischio per la nostra sicurezza personale. La presenza [secondo fonti assai attendibili - ndr] delle atomiche Usa ad Aviano, cosi' come a Ghedi ed in altri cinque stati europei incrina pericolosamente le istanze di non proliferazione; e' tale presenza, unitamente ai piani di ammodernamento dell'arsenale nucleare da parte delle superpotenze..., la principale minaccia alla sopravvivenza del pianeta. Questo convegno vuol essere un momento di crescita della consapevolezza sul reale pericolo delle atomiche, e al tempo stesso sulle prospettive di lotta contro la minaccia nucleare. La mattina, i vari relatori faranno il punto sui rischi connessi al nucleare, mentre nel pomeriggio lasceremo spazio ad alcuni esponenti pacifisti prestati alle istituzioni, per capire quel che si puo' fare e si sta facendo in questa direzione ai vari livelli, dalla Regione al Parlamento Europeo. Il comitato "Via le bombe" 6. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: IL MITO E I DANNI DEI BIOCARBURANTI [Dal quotidiano "Il Manifesto" del 14 luglio 2006. Marinella Correggia e' una giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, della pace, dei diritti umani, della solidarieta', della nonviolenza. Tra le sue pubblicazioni: Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori, Milano 2000, 2002] In Malaysia la sete di biodiesel ricavato dall'olio di palma - per il mercato interno ma anche per l'export - e' cresciuta a tal punto che il governo ha deciso di sospendere le licenze ai nuovi produttori (in poco tempo ne sono state chieste 87, di cui 32 per una produzione totale di 3 milioni di tonnellate all'anno di biodiesel da olio di palma), finche' non si sara' trovato un modo accettabile di suddividere la materia prima fra il settore alimentare e quello energetico. Lo stesso Consiglio malese della palma da olio, finanziato dall'industria, ha spiegato all'agenzia Reuters che con un tale aumento degli impianti per il biodiesel in Europa e in Asia, e con piantagioni che non si possono estendere all'infinito, non c'e' abbastanza materia prima per soddisfare entrambi i settori. L'istituto di ricerca World Watch Institute ha presentato un rapporto, Biofuels for Transportation: Global Potential and Implications for Sustainable Agriculture and Energy in the 21st Century (Biocarburanti per i trasporti: potenziale globale e implicazioni per l'agricoltura sostenibile e l'energia nel XXI secolo), sul rampantismo delle colture energetiche da cui derivano etanolo e biodiesel. La produzione mondiale, anche se per ora e' pari al solo uno per cento del mercato dei combustibili da trasporto, e' raddoppiata dal 2001 raggiungendo i 670.000 barili al giorno. E' prevedibile che gli Stati Uniti quest'anno sorpassino il Brasile nella produzione di etanolo ed entro 25 anni prevedono di coprire con i biocarburanti il 37 per cento del fabbisogno nei trasporti; nello stesso periodo il biodiesel potrebbe arrivare a soddisfare il 20-30 per cento del fabbisogno europeo, sempre per i trasporti. Ma i rischi ecologici e agricoli di un ricorso su larga scala a questa fonte energetica sono elevati, avverte l'istituto statunitense. I governi dovrebbero fermare la temibile espansione delle colture energetiche su terre fertili o forestali, gia' esplosa in America Latina e in Asia con grave danno per la biodiversita' e con notevoli rilasci di gas di serra dovuti alla distruzione forestale. Inoltre, una massiccia conversione alle colture da combustibile potrebbe far alzare i prezzi degli alimenti. Le tradizionali colture da etanolo, comuni negli Usa e in Brasile, potrebbero accentuare l'erosione dei suoli ed esaurire falde acquifere. Del resto, se i biocarburanti sono prodotti in condizioni non favorevoli e in modo convenzionale, cioe' ricorrendo a elevate quantita' di input di origine fossile come i fertilizzanti (oltre ai macchinari agricoli), il saldo di CO2 (gas serra) non e' certo incoraggiante. E naturalmente, si pone un problema di food-fuel competition: la concorrenza fra alimentazione umana e produzione di combustibile per i veicoli, parallela alla competizione food-feed, ovvero fra cibo per umani e mangime per animali con la quale si intreccia, visto che le protoleaginose hanno usi plurimi (ad esempio dal girasole o dalla soia si possono fare biodiesel, mangimi o cibi per consumo umano). Il professor David O'Connor del Dipartimento agricoltura e sistemi alimentari dell'Universita' di Melbourne (Australia) ha fatto un po' di calcoli. Per nutrire un essere umano per un anno occorre una produzione equivalente a 0,5 tonnellate di cereali all'anno, considerando la quantita' necessaria alla semina successiva, una quota per nutrire gli animali da allevamento e una porzione di terra da lasciare libera per produrre frutta e ortaggi. Confrontiamo questo valore con quanto occorre a un'automobile che faccia 20.000 km l'anno con un consumo di 7 litri ogni 100 km: a questa speciale "bocca" occorreranno in media 3,5 tonnellate di prodotto sempre all'anno. Insomma, sette volte piu' di una persona; e saranno nove miliardi quelle da nutrire nel 2050. Si porranno dunque seri problemi per la sicurezza alimentare e la base di risorse (terra, acqua). Questa volta, la Royal Dutch Shell l'ha detta giusta: intervenendo a un seminario proprio in Malaysia, il responsabile per l'Asia-Pacifico ha spiegato che il centro ricerche della multinazionale sta sviluppando carburanti alternativi derivanti da scarti lignei anziche' da colture alimentari, considerando "moralmente inappropriato" che in un mondo in cui ci sono ancora tanti affamati gli abbienti si permettano di usare del cibo (e dunque grandi porzioni di terra coltivabile) per nutrire le proprie automobili. A lungo termine, secondo il World Watch Institute, il solo potenziale sostenibile per produrre biocombustibili riguarda la trasformazione dei rifiuti agricoli, urbani e forestali oltre al ricorso a colture erbacee a rapida crescita e ricche di cellulosa, da abbinare alla "solita" panacea delle nuove tecnologie come l'uso degli enzimi nella produzione di etanolo e il diesel sintetico. 7. RIFLESSIONE. UNA POSTILLA AL TESTO CHE PRECEDE Quanto scrive Marinella Coreggia conferma una cosa che tutti sappiamo: che l'automobilismo privato e' incompatibile sia con il rispetto e la difesa della biosfera, sia con il riconoscimento di uguali diritti a tutti gli esseri umani. Sono cose che Dario Paccino scriveva molti anni fa, su cui molto ha riflettuto Ivan Illich, su cui nello scorso decennio ha scritto un bel libro Guido Viale, su cui da molto, molto tempo molti di noi si interrogano, e qualcuno ha gia' cominciato a fare delle scelte. Chi scrive queste righe, per fare un esempio in corpore vili, e' arrivato ad essere un povero vecchierello - meglio: un vecchierello povero - senza aver mai preso la patente di guida e senza aver mai acquistato un motorino o un'automobile: per scelta politica, ovvero per esigenza morale. Per lo stesso motivo non ha mai preso un aereo. Per lo stesso motivo non ha mai avuto fiducia in chi (senza averne necessita': facendo eccezione quindi per chi ha un handicap, o ha altri seri motivi o doveri, ovvero autentici bisogni che rendono necessario l'uso dell'automobile privata) possiede una macchina, viaggia in aereo, et similia. Come affermo' quel buon ministro di Allende, il socialismo (scilicet: il contrario della barbarie) puo' arrivare solo in bicicletta. 8. RIFLESSIONE. STEFANO LIBERTI INTERVISTA JEAN ZIEGLER [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 luglio 2006. Stefano Liberti e' redattore dell'edizione italiana di "Le Monde diplomatique". Jean Ziegler, sociologo, docente, parlamentare svizzero, attualmente relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all'alimentazione, ha denunciato nelle sue opere i rapporti tra capitale finanziario, governi, poteri criminali, neocolonialismo, sfruttamento Nord/Sud. Tra le opere di Jean Ziegler: Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto; I vivi e la morte; Le mani sull'Africa; Il come e il perche'; La Svizzera lava piu' bianco; La felicita' di essere svizzeri; La Svizzera, l'oro e i morti (sulla perdurante complicita' delle banche con la rapina nazista dei beni delle famiglie ebraiche sterminate); tutte presso Mondadori. La vittoria dei vinti, Sonda; Les seigneurs du crime, Seuil (contro le mafie); La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Pratiche; L'impero della vergogna, Il Saggiatore] "La fame e' lo scandalo del nostro secolo". Fedele alla sua reputazione di uomo poco diplomatico, Jean Ziegler non usa giri di parole per denunciare quello che definisce "un genocidio silenzioso", ossia la morte per fame ogni anno di centinaia di migliaia di persone. Relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all'alimentazione, l'ex senatore svizzero e professore di sociologia gira il mondo in lungo e in largo per verificare sul terreno cause e natura delle crisi alimentari, delle carestie e della malnutrizione che colpisce una fetta consistente della popolazione del pianeta. Le sue dichiarazioni spesso fuori dai denti gli hanno fatto guadagnare numerosi e poderosi nemici. Quando, nel 2004, ha denunciato pubblicamente Israele per le violazioni del diritto all'alimentazione e ai diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha subito un assalto furioso. Allo stesso tempo, la sua battaglia contro gli organismi geneticamente modificati (Ogm) ha provocato non pochi mal di testa all'amministrazione statunitense, che ha chiesto a piu' riprese la sua testa. Ma invano: Ziegler e' sempre al suo posto. E, oltre al suo ruolo istituzionale, svolge la funzione di straordinario divulgatore, con interventi pubblici e libri. L'ultimo, appena uscito per i tipi del Saggiatore, si intitola L'impero della vergogna e declina con dovizia di particolari le strutture del dominio planetario esercitato da un pugno di multinazionali. * - Stefano Liberti: Nel suo libro, lei sostiene che la morte per fame non e' una casualita', ma il risultato di deliberate scelte politiche. Puo' spiegare meglio? - Jean Ziegler: Nel nostro mondo muoiono ogni giorno di fame o delle sue dirette conseguenze circa cinquemila persone. Solo l'anno scorso, secondo il World Food Report della Fao, 856 milioni di persone sono state affette da gravi forme di sottoalimentazione. Cio' accade in un pianeta in cui, sempre secondo il World Food Report, l'agricoltura mondiale potrebbe dare nutrimento senza problemi a 12 miliardi di persone, cioe' il doppio dell'attuale popolazione complessiva. Eppure, il massacro continua. Da cio' si puo' dedurre una sola cosa: un bambino che muore di fame viene di fatto assassinato. E alla base di questo genocidio silenzioso, ci sono precise scelte politiche. La fame e' un'arma di distruzione di massa, usata con piena cognizione di causa dai nuovi padroni del mondo. * - Stefano Liberti: Chi sarebbero questi nuovi padroni del mondo? - Jean Ziegler: Il potere effettivo mondiale e' ormai nelle mani di poche societa' multinazionali private; secondo la Banca mondiale, l'anno scorso le 500 maggiori multinazionali mondiali hanno controllato in totale piu' del 52 per cento del Prodotto mondiale lordo. Si tratta di un fenomeno che definisco "rifeudalizzazione del mondo". Il 4 agosto 1789, in una storica seduta notturna, la neonata Assemblea nazionale francese ha solennemente abolito il sistema feudale - ossia la monopolizzazione del potere ideologico, economico, politico e militare da parte di ristrette oligarchie. Oggi quella grande conquista dell'umanita' e' a rischio: le societa' multinazionali, che non hanno altro orizzonte che il profitto, dettano le loro leggi agli stati nazionali. * - Stefano Liberti: Lei sembra attribuire tutti i mali del mondo alle multinazionali e ad alcuni stati del Nord. Non le sembra un'interpretazione semplicistica? - Jean Ziegler: Tutt'altro. L'attuale ordine del mondo e' totalmente assurdo e dominato da quelli che io definisco i cosmocrati, gente mossa sola dalla massimizzazione del profitto, dall'avidita' e dalla sete di un potere illimitato, le cui azioni si dispiegano a livello planetario. Perche' le conseguenze delle loro politiche non si misurano solo nel Sud del mondo, ma anche nel Nord: la prima cosa che fanno ogni mattina i governanti occidentali e' controllare l'andamento della borsa di New York, di Tokyo, di Londra per capire quale minimo margine di manovra resta loro per applicare sul loro territorio una certa politica fiscale o una qualche strategia di investimento. Se non rispettano le direttive del capitale mondiale, le conseguenze saranno durissime: fughe di capitali, delocalizzazioni delle industrie e via dicendo. Il filosofo tedesco Juergen Habermas ha scritto una cosa che riassume molto bene questa situazione: secondo lui, gli stati ormai non possono fare altro che una Welt-inner Politik, ossia una politica interna mondiale. Questa e' la rifeudalizzazione del mondo, la cui offensiva e' cominciata l'11 settembre 2001. * - Stefano Liberti: Ritiene davvero che gli attacchi contro New York e Washington abbiano dato inizio a una svolta cosi' epocale? Le politiche di aggiustamento strutturale, che hanno piegato diversi paesi del Sud del mondo, sono cominciate molto prima del crollo delle Torri gemelle... - Jean Ziegler: L'11 settembre ha segnato una svolta storica, perche' e' in quella data che il mondo dei dominatori e' stato colpito al cuore da gente proveniente dal mondo dei dominati. Questo ha fornito all'amministrazione americana e alle multinazionali ad essa legate il pretesto morale e ideologico per portare avanti, in nome della guerra al terrorismo, una vera e propria conquista del pianeta. A questo proposito, faccio un esempio concreto: per l'emergenza siccita' che sta devastando buona parte del Corno d'Africa (Somalia meridionale e Kenya nord-orientale), le Nazioni Unite hanno chiesto ai paesi donatori 98 milioni di dollari. Ne sono arrivati 32 milioni, ossia meno di un terzo della cifra richiesta. Nel mio ruolo di relatore speciale dell'Onu per l'alimentazione, ho domandato ai vari ambasciatori le ragioni di questa avarizia. Ebbene, tutti mi hanno dato la stessa risposta: dal 2001 in poi, la priorita' assoluta va data agli investimenti sulla sicurezza. Per la prima volta nella storia del mondo, la somma spesa solo per l'acquisto delle armi ha superato i mille miliardi di dollari. * - Stefano Liberti: Secondo lei, sarebbero solo i mancati aiuti a provocare l'estensione della fame nel mondo e in particolare nei paesi africani? - Jean Ziegler: No, la gente muore di fame sempre nello stesso modo, ma per ragioni spesso diverse. Tanto univoca e', a livello fisiologico, la distruzione attraverso la fame, tanto complesse sono le cause che portano a questa distruzione. Senza creare una vera e propria gerarchia, si possono tirare in ballo varie cause per spiegare la situazione attuale. La prima e' senz'altro la politica di dumping sui prodotti agricoli operata dall'Unione Europea con le sovvenzioni alla produzione e all'esportazione. Solo l'anno scorso, Bruxelles ha versato ai contadini europei 349 miliardi di dollari, ossia quasi un miliardo di dollari al giorno. Risultato: sui mercati africani - a Dakar, a Bamako, a Kampala, ovunque - e' possibile comprare prodotti spagnoli, italiani, portoghesi a un prezzo due volte inferiore rispetto a quello dei prodotti locali. E il contadino senegalese, maliano o ugandese, che lavora 15 ore al giorno sotto un sole cocente, non avra' di che nutrire la propria famiglia. Se si considera che, su 53 paesi che conta l'Africa, 37 hanno un'economia puramente agricola, si capisce perche' la politica di dumping esercitata dall'Ue e' devastante. E crea fame: perche' in 20 anni, dal 1982 al 2002 il numero di sottoalimentati e' cresciuto da 91 milioni a piu' di 200 milioni nella sola Africa. * - Stefano Liberti: Ma i paesi africani non potrebbero imporre dazi doganali alle importazioni straniere e implementare le aree regionali di libero commercio, di cui il continente gia' dispone? La Cedeao, la grande comunita' economica dell'Africa occidentale, e' un mercato immenso di 300 milioni di persone... - Jean Ziegler: Qui entra in gioco la seconda causa: l'indebitamento. Centoventidue paesi del cosiddetto Terzo mondo hanno un debito accumulato di 2100 miliardi di dollari. Sono stretti nella morsa del debito e non hanno alcuna capacita' di negoziare. E' il debito che li costringe ad accettare le condizioni imposte dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dall'Organizzazione mondiale del commercio (Wto). E' proprio la Wto a vietare i dazi doganali sulle merci provenienti dall'esterno. Il meccanismo e' perverso: questi paesi non hanno alcuna chance di fare investimenti in programmi sociali, in irrigazioni, infrastrutture, perche' tutto quello che guadagnano sul mercato monetario internazionale e' usato per il servizio del debito. Senza contare che, per avere moneta forte, tutti i paesi indebitati aumentano le loro piantagioni di esportazione, come il caffe' o il cotone, a scapito delle colture che permetterebbero di nutrire la popolazione, come il grano o il miglio. Il debito modifica la destinazione delle colture. Il debito crea fame. * - Stefano Liberti: Quali soluzioni propone per porre fine a questo stato di cose? - Jean Ziegler: Nessuna causa ha ragioni non controllabili. L'idea degli economisti classici, da Smith a Ricardo fino allo stesso Marx, secondo cui i beni disponibili sul pianeta sarebbero oggettivamente insufficienti per coprire le necessita' esistenziali di tutti, oggi non e' piu' valida. Grazie a straordinarie rivoluzioni tecnologiche ed elettroniche, siamo usciti per la prima volta dalla tirannia della necessita'. Come gia' dicevo prima, ci sarebbe da mangiare per tutti. Il problema della fame ha quindi un'origine umana; e' il risultato di decisioni politiche, di precise strategie economiche. Che, come tali, possono essere cambiate. Se prendiamo la catena di causalita', le soluzioni da apportare appaiono abbastanza chiare: abolire le sovvenzioni alla produzioni e all'esportazione che l'Unione Europea e gli Stati Uniti forniscono ai loro contadini; abolire la liberalizzazione forzata imposta dalla Wto; sottoporre a un controllo sociale le strategie delle multinazionali (costringendole a pagare salari minimi in tutto il mondo). E poi, cancellare il debito che, come un nodo scorsoio, tiene in scacco paesi interi. Quest'ultimo e' tanto piu' devastante in quanto in molti casi si tratta di un "debito odioso", contratto da dittature o da classi dirigenti corrotte, di cui il popolo non ha minimamente beneficiato. Faccio un solo esempio: quando Luiz Inacio "Lula" Da Silva e' entrato nel palazzo presidenziale di Brasilia, ha trovato un debito astronomico, il secondo piu' alto del mondo: 245 miliardi di dollari, eredita' di 18 anni di dittature militari. E' precisamente questo fardello che non gli permette di finanziare a dovere il suo programma "Fame zero", ossia la lotta contro la sottoalimentazione di 44 milioni di brasiliani. * - Stefano Liberti: La sua ricetta implica una revisione delle relazioni internazionali. Pensa davvero che sia possibile incentrarle semplicemente su imperativi di carattere morale piuttosto che su interessi economici e geo-politici? - Jean Ziegler: Non c'e' altra scelta. Se non restauriamo con la massima urgenza i valori dell'Illuminismo, il diritto internazionale, i principi della civilta' europea saranno cancellati, inghiottiti in una giungla senza regole. 9. LE ULTIME COSE. LUCE FABBRI: IN QUESTO MOMENTO [Dalla bella rivista "Libertaria", anno 8, n. 2-3, 2006, p. 93, riprendiamo il seguente frammento da un saggio di Luce Fabbri pubblicato sulla rivista "Studi sociali" di Montevideo il 20 settembre 1937. Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929 in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti in questo foglio riproposta. Tra le sue opere in volume ed in opuscolo segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore, Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962; El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona 1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo 1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena & Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41 (disponibile anche nel sito: www.arivista.org)] Ci sono in questo momento molte parole sonore che mascherano una realta' odiosa. La necessita' di strappare questa maschera e' suprema e urgente in questo momento. Dopo sarebbe troppo tardi. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1358 del 16 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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