Voci e volti della nonviolenza. 30



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 30 dell'11 luglio 2006

In questo numero:
1. Pat Patfoort
2. Una relazione di Pat Patfoort
3. Maria Carrozza intervista Pat Patfoort
4. Un'intervista a Pat Patfoort
5. Et coetera

1. PAT PATFOORT
Pat Patfoort e' oggi una delle piu' note e apprezzate formatrici alla
nonviolenza.
Il suo approccio, particolarmente semplificato, ha il vantaggio di essere
immediatamente comprensibile ed agevolmente applicabile in varie situazioni
di conflitto in cui gli attori, lo scenario e i moventi siano riducibili a
posizioni chiaramente configurabili e a un numero relativamente ristretto di
elementi, ed in cui un intervento di mediazione nonviolenta puo' essere di
grande efficacia.
In situazioni complesse, e di solito i conflitti politici, sociali e
culturali sono complessi ed un ruolo decisivo in essi lo ha "l'ordine del
discorso" (ovvero la catena ermeneutica attraverso cui i vari soggetti
coinvolti interpretano gli eventi e le relazioni), non sempre e' facile o
accettabile - e talvolta e' anzi decisamente impossibile - l'operazione
riduzionista alla base dello schema e quindi conseguentemente del metodo
proposto dalla studiosa e attivista belga. Qualora esso venisse adottato ed
applicato in modo astratto e dogmatico vi e' anzi il rischio che certe
improprie semplificazioni ed abusive banalizzazioni invece di chiarire
confondano, e si rivelino astratte e subalterne, e interne a un'ideologia
che per il fatto di presumersi non-ideologica non e' meno ma piu'
ideologica, alienata e inadeguata.
E si danno altresi' situazioni in cui il risalire a quelli che Pat Patfoort
definisce "fondamenti" (intendendo le ragioni fondanti, in contrapposizione
a cio' che chiama "argomenti", intendendo con tale parola le ragioni o
pseudoragioni superficiali) non da' luogo al rinvenimento di motivi
condivisibili, bensi' di motivi realmente ed assolutamente inaccettabili:
sono situazioni come quella su cui si diede un appassionato dibattito tra
Gandhi, Buber ed altri illustri amici della nonviolenza impegnati contro il
nazismo. E' infatti ovviamente illusorio ritenere che sempre - o spesso - si
possano raggiungere conciliazioni senza passare attraverso la lotta che
sconfigge la violenza dispiegata e contrasta quanto le fa da retroterra.
E' un equivoco frequente quello secondo cui la nonviolenza sia
prevalentemente riconciliazione raggiungibile attraverso un'opportuna
mediazione: essa e' invece fondamentalmente e decisivamente lotta: solo
attraverso la lotta - la lotta nonviolenta - si raggiunge la conciliazione
interumana nel caso di conflitti che abbiano alla base opposizioni reali in
rapporti di effettuale dominio e oppressione (e non rapporti dialettici che
possano dar luogo ad un superamento sulla base dello schema triadico di
hegeliana memoria).
Ma detto tutto questo, il lavoro di Pat Patfoort resta - nei limiti e con le
avvertenze che abbiamo sommariamente indicato - indubbiamente di grande
interesse ed utilita', ed in molti casi una sua meditata, esplicita e
condivisa proposizione e applicazione in forma di persuasa e persuasiva
mediazione apporta un contributo cospicuo alla interpretazione, gestione,
trasformazione e fin risoluzione nonviolenta dei conflitti in una
prospettiva costruttiva di coscientizzazione, di reciproco riconoscimento,
di responsabilizzazione condivisa e di autentica riconciliazione.

2. UNA RELAZIONE DI PAT PATFOORT
[Dal sito www.worldsocialagenda.org riprendiamo la relazione di Pat Patfoort
all'incontro su "Risoluzione dei conflitti e partecipazione democratica: il
ruolo della diplomazia popolare e delle azioni nonviolente" svoltosi il 4
maggio 2002 nell'ambito di "Civitas" a Padova. Per esigenze grafiche abbiamo
abolito le tavole, per cui rinviamo al sito da cui abbiamo ripreso il testo]

Numerosi conflitti di natura violenta e guerre nel mondo hanno luogo in
situazioni in cui si scontrano due o piu' gruppi composti da etnie e culture
 diverse. Ma anche sul piano individuale le persone discutono costantemente
e litigano quando si trovano ad esprimere diversi punti di vista, interessi,
abitudini, valori o emozioni. Cio' accade nella famiglia, sul posto di
lavoro, nelle riunioni, nei rapporti di vicinato, per la strada. Sembra di
solito difficile trovare il modo di gestire le differenze con altri, senza
che cio' crei stress, rabbia, violenza, inquietudine e dolore.
Ci sono diversi modi per affrontare le differenze tra persone. Possiamo
generalmente distinguere tra una via violenta e distruttiva ed una
costruttiva e nonviolenta.
La maggior parte delle persone non conosce l'esistenza di questa distinzione
ne' tantomeno sa concretizzare la via costruttiva e nonviolenta. Troppo
spesso la gente si interessa di nonviolenza proprio quando e' gia' nel bel
mezzo di una crisi, che sia sul piano personale o su quello sociale. Quando
si e' in crisi e' ancora possibile imparare a rendere concreta la
"trasformazione del conflitto", ma e' ovviamente una strada ben piu'
difficile da attuare.
*
Affrontare le differenze: la via distruttiva
La situazione di partenza, sia in una situazione distruttiva sia in una
costruttiva, e' caratterizzata da (almeno) due diverse posizioni, che
rappresentano diverse caratteristiche, comportamenti o punti di vista di due
individui o di due gruppi di persone. Di per se', questa situazione non
rappresenta un problema.
Queste due diverse posizioni procedono secondo uno schema basato su un
modello Maggiore-Minore o modello M-m: ciascuna delle parti cerca di
difendere le sue proprie caratteristiche o comportamenti come migliore
dell'altra o delle altre. Ciascuno si sforza di essere nel giusto, di
dominare e di porsi nella posizione M, ponendo nel contempo l'altra persona
o gruppo nella posizione m.
Le conseguenze di questo atteggiamento sfociano in tre meccanismi di
violenza:
- violenza contro la persona che per prima si e' posta nella posizione
Maggiore, o escalation di violenza;
- violenza contro una terza posizione, o catena di violenza;
violenza contro se' stessi, o, introiezione della violenza/aggressione.
Il modello M-m e' alla base della violenza. E' la radice della violenza
(vedi figura 1 [qui omessa - ndr]).
*
L'aggressivita' e' insita nella natura umana?
Comportarsi secondo il modello M-m e' cosi' frequente, sembra cosi' normale,
che spesso si ha l'impressione che sia l'unica via possibile. La maggioranza
delle persone ritiene addirittura che cio' sia insito negli impulsi naturali
della natura umana, nell'istinto dell'uomo. Ora, cio' che e' insito nella
natura dell'uomo e' senza dubbio alla base del passaggio da una situazione
iniziale di diversita' di posizione, al modello M-m. E' l'istinto di
conservazione, o di sopravvivenza, che ci spinge ad uscire dalla posizione
m. Il bisogno di protezione e di autodifesa sono senza dubbio connaturati
all'essere umano, ma non necessariamente seguendo il modello M-m. Questa e'
solo una delle possibili strade per difendersi. E' la via che a prima vista
sembra la piu' facile e probabilmente quella che e' stata insegnata nella
maggior parte delle societa', fin dall'infanzia, che poi continua a crescere
e a svilupparsi in tutti i modi possibili.
Un altro metodo per gestire la situazione di partenza di due diverse
posizioni, e' il modello dell'Equivalenza o modello E (vedi figura 2 [qui
omessa - ndr]). Questo modello e' alla base della nonviolenza: anch'esso
risponde all'istinto di autoconservazione proprio dell'essere umano. Il
modello dell'Equivalenza, che e' la nonviolenza, ci permette inoltre di
uscire dalla posizione m, per difendere e proteggere noi stessi, ma non a
spese degli altri, ne' contro qualcuno, ne' attaccando, come accade nel
modello M-m.
Pertanto cio' che e' connaturato all'essere umano e' l'istinto di
conservazione, non l'aggressivita'.
*
Il metodo costruttivo per gestire le differenze e i conflitti
Discuteremo ora di situazioni in cui al punto di partenza ci sono due
diversi punti di vista, in cui due parti sono in disaccordo. Quando usiamo
il modello Maggiore-minore, chiamiamo questa situazione "conflitto".
Per imparare ad usare il modello dell'Equivalenza, dobbiamo studiare gli
strumenti che esso offre e confrontarli con quelli messi a disposizione dal
modello violento.
Nel metodo M-m si usano argomentazioni che noi avanziamo per cercare di
avere ragione, di vincere. Tre importanti argomentazioni sono:
1. le argomentazioni positive: si presentano aspetti positivi del proprio
punto di vista, per raggiungere la posizione M;
2. le argomentazioni negative: si evidenziano gli aspetti negativi del punto
di vista dell'altro, per sospingerlo nella posizione m;
3. le argomentazioni distruttive: si citano aspetti negativi dell'altro, per
spingerlo ancora piu' in basso nella posizione di inferiorita'. Tra questi
stratagemmi ci sono il razzismo, l'eta', il sessismo. L'aspetto diverso
dell'altro (il colore della pelle, la gioventu' o l'anzianita') viene citato
come negativo e usato per svalutare l'altro punto di vista che di solito non
c'entra nulla con le argomentazioni usate.
Usare tali argomentazioni e' superficiale. Esse stimolano una crescita del
conflitto, "soffiano sul fuoco", per intenderci. Entrambe le parti usano
qualsiasi mezzo a loro disposizione per rendere il proprio punto di vista
piu' forte, sminuire l'altro e prevaricarlo. Usando questo metodo, non
facciamo altro che ingigantire il conflitto ed esacerbarlo.
Il modello in Equivalenza invece lavora con i fondamenti, non con
argomentazioni. Come la parola suggerisce, sono i fattori che sottostanno
alle ragioni di entrambi i punti di vista: le motivazioni, i bisogni, gli
interessi, gli obiettivi, i valori che ciascuno possiede. Queste ragioni si
comprendono per mezzo di domande che chiedono "Perche'". "Perche' ho questo
punto di vista?", "Perche' l'altra/o ha il suo?". Esplorando le ragioni per
mezzo del metodo in equivalenza, si ha l'opportunita' di comprendere il
conflitto in profondita', piuttosto che rimanere imbrigliati nel metodo M-m
che lo analizza solo in superficie. Spesso le ragioni sono inespresse,
potremmo non esserne consapevoli, in ogni caso, esse sono presenti e
individuarle e' essenziale.
*
Risolvere un conflitto
Il modello Maggiore-minore o quello dell'Equivalenza ci portano a gestire il
disaccordo, e il conflitto che ne scaturisce, in maniera completamente
diversa.
Nel modello M-m esistono solo due possibilita': o sono io ad avere ragione
oppure l'altro. Ci troviamo in un sistema bidimensionale e ogni soluzione
proposta o raggiunta conduce alla stessa reazione: "hai visto? Avevo ragione
io!", oppure "chi ha vinto alla fine?". Spesso pero' tale modello non porta
a nessuna conclusione. Ogni volta ci difendiamo attaccando, mentre l'altra
persona e' spinta a difendersi, di nuovo attaccando e provocando, e cosi'
via.
Il modello dell'Equivalenza, invece, ci offre innumerevoli soluzioni che
nascono da un modo di pensare che trascende la restrizione bidimensionale.
Tali soluzioni sorgono dal comprendere le ragioni di fondo di entrambe le
parti coinvolte nel conflitto.
Mentre nel modello M-m cio' che e' fondamentale e' trovare una soluzione,
nel modello di equivalenza e' piu' importante capire il processo attraverso
il quale e' possibile trovare una soluzione. Chi e' coinvolto nel conflitto
entra in un processo che rivela le ragioni di entrambi, riconoscendole e
rispettandole tanto quanto le proprie, e procedendo poi per gradi verso la
soluzione (vedi figura 3 [qui omessa - ndr]) (1).
*
Verso una gestione del conflitto nonviolenta: un caso personale, una base
per un altro tipo di societa'
Due vicini di casa hanno dei problemi a causa degli animali: Sidi tiene
degli animali in giardino, ma Tom non li vuole.
Sidi pensa e riferisce al suo vicino, o ad altri:
1. "Non c'e' nulla di piu' bello che avere degli animali", "Si riceve piu'
amore dagli animali che da un uomo", "E' importante che i bambini imparino a
vivere con gli animali", "Se confronti i suoi bambini con i nostri, puoi
vedere il buon effetto che gli animali hanno avuto sui nostri", "Per
divenire un essere umano completo bisogna avere degli animali attorno", "E'
cosi' gratificante produrre il tuo latte e le tue uova" (argomentazioni
positive).
2. "Una vita senza animali attorno non e' vita", "Se non esistessero gli
animali, lui non avrebbe nulla da mangiare", "Ci sarebbe un silenzio
orribile senza animali, sarebbe un cimitero qui" (argomentazioni negative).
3. "Lui e' disumano", "E' sempre cosi' strano", "E' senza emozioni", "E'
cosi' egoista, pensa solo a se stesso", "Non sopporta il minimo disturbo
intorno a lui: guarda come si comporta con i suoi figli, poveretti"
(argomentazioni distruttive).
D'altro canto, Tom pensa e riferisce al suo vicino, o ad altri:
1. "E' cosi' bello avere un po' di pace in casa", "Almeno puoi ascoltare la
tua musica", "Senza animali, e' molto piu' facile tenere tutto pulito"
(argomentazioni positive).
2. "Quegli animali sono cosi' sporchi. Puzzano orribilmente", "Portano
malattie, sono pericolosi", "Fanno tanto rumore: disturbano tutto il
vicinato", "Gli animali non sono fatti per stare vicino alle case, devono
vivere lontano, e di certo non in questo quartiere" (argomentazioni
negative).
3. "Non gliene importa niente se noi non riusciamo a dormire. Pensa solo a
se stesso", "Dice di amare gli animali, ma guarda come li tratta: li
picchia, li prende a calci", "Non sa trattare gli animali", "Li usa per
liberarsi delle sue frustrazioni", "Lui stesso e' cosi' sporco, mi chiedo se
si faccia mai un bagno o una doccia" (argomentazioni distruttive).
Sidi e Tom non solo si mettono reciprocamente in una situazione di
inferiorita' con le parole, ma anche con mezzi non verbali (occhiatacce,
gesti, comportamenti, sorrisi). Progressivamente si fanno sempre piu'
dispetti per mettere l'altro in una posizione minore. L'escalation si fa
sempre piu' violenta: e' una guerra fra vicini.
Se volessero trasformare il conflitto da un modello M-m ad uno di
Equivalenza, Sidi e Tom non dovrebbero piu' pensare e parlare per
argomentazioni, ma per i fondamenti delle loro ragioni.
Come potrebbero essere tali ragioni (2)?
Sidi: voglio avere degli animali. Ragioni:
1. Ho sempre vissuto con animali;
2. Senza animali attorno, mi sentirei perso;
3. Amo dare ai miei figli il nostro latte;
4. Ho bisogno di qualche entrata in piu';
5. Sto bene quando ci sono animali attorno a me;
6. Mi piace dare letame ai contadini;
7. Amo vedere i miei figli giocare con gli animali;
8. E' cosi' gratificante poter regalare un animale nelle cerimonie di
famiglia;
9. Mi sento cosi' apprezzato in quelle circostanze;
10. Ho paura che la comunita' mi rifiuti se non ho animali;
11. Sarebbe terribile per me se i miei figli non fossero piu' abituati a
vivere con gli animali;
12. Sono stato educato nell'idea che chi non ha animali e' inferiore.
Tom: non voglio che tu abbia animali. Ragioni:
1. Ho paura che distruggano le mie piante;
2. Non sono abituato a vivere con animali;
3. Mi sento bene con tanto verde attorno a me;
4. I versi degli animali mi disturbano;
5. Gli odori degli animali mi disturbano;
6. Mi da' fastidio quando un animale distrugge una pianta;
7. Ho paura che facciano del male ai miei figli;
8. Ho paura che i miei figli si abituino a vivere con animali;
9. Sono cresciuto con un senso di paura per chi possiede animali.
Potete ben vedere come questi due modi di pensare e parlare siano totalmente
diversi: si ha un passaggio da un criticismo negativo e un giudizio
dell'altra persona e dei suoi punti di vista, verso l'apertura, la
comprensione e l'accettazione dell'altro. La relazione diviene completamente
diversa.
Cosa possono fare Sidi e Tom per giungere a una tale trasformazione? Innanzi
tutto devono essere consapevoli delle conseguenze di un pensiero e di un
comportamento basato sul modello M-m e imparare come si puo' mettere in
pratica il modello dell'Equivalenza.
Come saranno le soluzioni a questo conflitto?
Nel modello dell'Equivalenza ci sono di solito molte possibili soluzioni.
Una soluzione inoltre non e' a se stante, ma parte di un tutto che aiuta a
soddisfare tutte le ragioni di ogni parte coinvolta. In questo caso la
soluzione, ossia i vari passi che portano ad una soluzione, potrebbe essere:
1. Gli animali verranno posti all'interno di un recinto, sul lato opposto
alla casa di Sidi;
2. Tom aiutera' Sidi a costruire il recinto;
3. Se il recinto si rompe o una pianta di Tom viene distrutta, l'altro lo
fara' presente e magari i due ripareranno assieme il recinto;
4. Ciascuno esprime apprezzamento per quello che l'altro sta facendo, e per
come lo sta facendo;
5. Comunicando in un modo diverso, impareranno progressivamente a conoscersi
meglio, ad osservarsi diversamente, e si sentiranno meglio con i loro
vicini.
In tutto il mondo ci sono numerosi conflitti, spesso armati, tra popolazioni
di allevatori e pastori da un lato, e di contadini dall'altro. Si trovano in
posizioni M-m l'uno verso l'altro, ragione per cui si ha l'escalation di
violenza.
In queste situazioni ritroviamo ragioni simili a quelle di Tom e Sidi.
Se persone come Tom e Sidi lavorassero per trasformare il conflitto da una
gestione di tipo M-m ad una di Equivalenza, cio' sarebbe alla base della
trasformazione della societa' in cui vivono. Piu' noi tutti lavoriamo per
trasformare i nostri conflitti da un sistema Maggiore-minore ad uno
dell'Equivalenza, piu' trasformeremo le nostre societa' e il mondo da un
sistema negativo di pregiudizio ad uno di tolleranza e rispetto, dalla
violenza e dalla guerra verso l'armonia e la pace.
*
Note
1. Per approfondire cfr. Pat Patfoort, Uprooting Violence. Building
Nonviolence, Freeport, Maine, Cobblesmith Pub., 1995; Pat Patfoort, I want,
you don't want. Nonviolence education, Freeport, Maine, Cobblesmith Pub.,
2001 (trad. it., Io voglio, tu non vuoi, Edizioni Gruppo Abele).
2. E' necessario osservare alcune precise istruzioni per formulare delle
ragioni.

3. MARIA CARROZZA INTERVISTA PAT PATFOORT
[Riproponiamo la seguente intervista gia apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nel gennaio 2005, estratta dalla mailing list del gruppo di lavoro
tematico sulla nonviolenza e i conflitti della Rete di Lilliput
(glt-nonviolenza at liste.retelilliput.org)]

Quella che segue e' un'intervista con l'antropologa Pat Patfoort, che ha
messo a punto, nel corso dei suoi studi, il "metodo dell'Equivalenza", un
sistema efficace e nonviolento per la risoluzione dei conflitti. E lo ha
sperimentato come metodo educativo e come strumento di mediazione, tanto
all'interno delle carceri o nei conflitti interetnici, quanto all'interno
della famiglia.
"Difendersi senza attaccare" e' il titolo del prossimo libro
dell'antropologa belga Pat Patfoort, ma soprattutto e' una formula
suggestiva per descrivere in sintesi il metodo dell'Equivalenza, il sistema
nonviolento per la soluzione dei conflitti da lei teorizzato, elaborato
lungo un percorso di studio e di lavoro ultradecennale, che ha portato la
studiosa fiamminga, trainer e mediatrice internazionale in diverse parti del
mondo, e negli ultimi anni anche in Sardegna. In poche (e non certo
esaustive) parole, mentre solitamente, in uno scambio di opinioni, lo scopo
e' di "vincere" sull'altro e di prevaricarlo, di sottometterlo alle proprie
ragioni, con il metodo dell'Equivalenza prevale lo sforzo di mettere sul
piatto della bilancia le proprie convinzioni, valori, stati d'animo, per
giungere ad una soluzione propositiva e "creativa" del conflitto d'idee.
L'Equivalenza, che si pone come alternativa al sistema comune e prevalente
di comunicazione (codificato dalla studiosa come modello del
Maggiore/minore), puo' essere decritta in negativo: non e' violenza e non
provoca sofferenza e rapporti di oppressione tra le persone (per un
approfondimento della tematica si consiglia la lettura dei testi della
Patfoort pubblicati in Italia, Costruire la nonviolenza: per una pedagogia
dei conflitti, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1992; e Io voglio, tu non vuoi.
Manuale di educazione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2001).
Chi ha portato Pat Patfoort nell'isola e' l'associazione "La Triangola", la
onlus che ha aperto a Cagliari uno dei primi sportelli di Counseling e di
Mediazione dei conflitti (per informazioni: tel. 070725139 e 070823154,
e-mail: frances.baro at virgilio.it) e che, nell'ultima settimana di ottobre,
ha organizzato un ciclo di seminari con Pat Patfoort: uno a Cagliari e una
quattro giorni a Sassari. Attraverso "La Triangola", arriviamo a incontrare
Pat Patfoort, che ci aspetta sorridente e disponibile a rispondere alle
nostre domande.
*
Maria Carrozza: Come e' diventata mediatrice e qual e' la filosofia-guida
del suo studio sulla gestione nonviolenta dei conflitti?
Pat Patfoort: Il mio figlio maggiore ha 30 anni e 32, 33 anni fa ho iniziato
a riflettere sull'educazione nonviolenta. Il lavoro con il centro di Bruges
e' iniziato 13 anni fa. La struttura si chiama "Il fiore di fuoco", un fiore
virtuale, secondo un'antica leggenda musulmana, che trasmette molto amore
solo a chi coltiva la propria forza interiore. Il fiore significa dolcezza,
bonta', il fuoco e' forza. Questi due poli, nella mia visione di
nonviolenza, interagiscono: per essere nonviolenti bisogna avere
consapevolezza delle proprie qualita', bisogna avere autostima.
*
Maria Carrozza: ... che e' anche un concetto fondamentale della teoria
dell'Equivalenza. Quale importanza da' all'autostima?
Pat Patfoort: Per me e' molto semplice: l'autostima negli esseri umani,
specie nei bambini, deve essere coltivata, non repressa. Ad esempio, nel
rapporto tra padre e figlio, piuttosto che fare molte critiche, sottolineare
cio' che non va nel bambino, che avrebbe potuto fare meglio, il padre
potrebbe prestare piu' attenzione alle qualita', alle attitudini personali,
ai progressi che fa suo figlio.
*
Maria Carrozza: E invece cosa accade?
Pat Patfoort: Generalmente in famiglia non va cosi': un bambino che mostra
empatia con il mondo che lo circonda, che osserva le cose, viene lodato meno
di uno bravissimo a scuola, che sa far di conto velocemente, che sa leggere
ad un'eta' precoce e cosi' via... Considero questa negativita' come la
malattia della societa' contemporanea. Noi stessi l'abbiamo dentro il nostro
vissuto: ce l'hanno insegnata da piccoli, e da grandi la ripetiamo
inconsciamente e l'applichiamo ai nostri figli.
Infatti, il momento migliore per avvicinarsi alla nonviolenza e' quando ci
nasce un figlio. La nonviolenza serve a questo punto, per aiutare i piccoli
a diventare individui forti, senza frustrazioni, che non abbiano bisogno di
esercitare la violenza sugli altri per affermarsi nella societa'.
*
Maria Carrozza: L'Equivalenza e' nato come un metodo educativo, ma lo si
puo' sperimentare anche al di fuori del nucleo famigliare. Come e in che
realta'?
Pat Patfoort: Questo metodo e' funzionale a risolvere conflitti in tutti i
contesti sociali, anche in quelli piu' ampi, come, ad esempio, nelle
carceri, o in situazioni di guerra, tra gruppi contrapposti. Negli ultimi
anni ho lavorato principalmente, in Belgio con i detenuti e in Senegal con i
"Ribelli", un movimento di liberazione armato, rappresentativo delle
popolazioni del sud, che da piu' di vent'anni si oppone al governo di Dakar.
*
Maria Carrozza: Come e' arrivata in Senegal?
Pat Patfoort: Ho vissuto in Africa per oltre cinque anni, li' sono nati i
miei figli. Tre anni fa l'Unicef mi ha incaricata di sviluppare un progetto
di mediazione tra l'ala armata e la parte politica dei "Ribelli" (il
movimento ha rotto le comunicazioni con il governo nel giugno del 2003).
L'agenzia dell'Onu si rendeva conto di non poter svolgere il suo mandato,
perche' e' chiaramente impossibile nutrire, curare, salvare gli orfani di
guerra, mutilati, rifugiati e abbandonati dalle famiglie, se i bambini si
rifiutano di mangiare. In Senegal il quotidiano delle persone e' la violenza
e l'oppressione della guerra civile.
*
Maria Carrozza: E come lavora in questo terribile contesto di disperazione?
Pat Patfoort: Il mio compito e' aiutare i Ribelli a liberarsi dalla
violenza, che utilizzano esclusivamente a scopo di difesa. Con loro il
metodo dell'Equivalenza ha iniziato a funzionare. Infatti, a un certo punto,
le due parti del movimento di liberazione hanno ripreso a parlare. Il
processo di composizione del conflitto sta prendendo il via, ma il vero
problema e' costituito dalla societa' attorno, quella rappresentata del
governo centrale di Dakar, che non sa ancora cosa vuol dire gestire un
conflitto.
*
Maria Carrozza: In che senso?
Pat Patfoort: Provo a spiegarmi con un'immagine: il governo si comporta come
un genitore che, per ottenere ad ogni costo la pace tra i suoi figli, e'
convinto che basti costringerli a tenersi per mano. In Senegal e' accaduto
questo, quando Dakar ha dichiarato unilateralmente la fine della guerra
civile, organizzando una grande festa, alla quale avrebbero dovuto
partecipare tutti i Ribelli. Ma cosi' non e' stato: l'ala armata del
movimento non ha accettato quella festa, era troppo presto per accettarla,
ha fatto un passo indietro e i negoziati per la pace si sono di nuovo
arrestati.
*
Maria Carrozza: Passiamo al lavoro con i detenuti: come e perche' e'
iniziato?
Pat Patfoort: Anche in Belgio la mediazione e' un fatto nuovo, e' un
esperimento del Ministero della Giustizia per combattere il problema del
sovraffollamento e delle rivolte nelle carceri, dove il 70% dei detenuti ha
meno di 30 anni.
Come usciranno dal carcere tutti questi uomini, come dei criminali, o come
persone piu' responsabili? Queste sono le due alternative. E' ovvio
preferire la seconda. Ma come arrivare al risultato?
*
Maria Carrozza: Gia', come?
Pat Patfoort: Con il metodo nonviolento. Anche i detenuti, gli assassini ad
esempio, quelli che hanno ucciso al culmine di un'escalation di violenza,
rispondono bene al sistema dell'Equivalenza, un metodo che non ha dei
contenuti da imporre, ma la funzione di trovare una soluzione ad un
qualsivoglia conflitto.
*
Maria Carrozza: Parliamo della sua esperienza in Sardegna? Per alcuni, che
fanno riferimento al codice barbaricino, e' una terra governata da un forte
senso dell'identita', dalla vendetta e dall'invidia, che renderebbero la
societa' sarda e le sue dinamiche non paragonabili ad altre esperienze. Cosa
ne pensa?
Pat Patfoort: Che la vostra sia una comunita' particolare, lo so. Ma anche
in Sardegna ho individuato le stesse identiche dinamiche che alimentano i
conflitti in ogni parte del mondo. Ad esempio, in tre paesi confinanti dove
ho lavorato si parlava di rivalita', di attrito tra le diverse cittadinanze.
Alcuni dicevano, invece, che i conflitti non esistevano, che non sono mai
esistiti: insomma, facevano finta di niente. Ma queste dinamiche accadono in
tutto il mondo. Penso, ad esempio, al Kossovo, dove sono stata. Quest'anno,
dopo la morte in un fiume di tre ragazzini albanesi, si e' arrivati quasi di
nuovo alla guerra civile. Ancora oggi i kossovari serbi per fare la spesa al
mercato ci vanno sotto scorta.
*
Maria Carrozza: Quindi lei e' convinta che il metodo dell'Equivalenza sia,
per cosi' dire, esportabile in tutto il mondo?
Pat Patfoort: Si', certamente. E proviamo anche a ribaltare la domanda: il
sistema Maggiore/minore funziona per risolvere i conflitti? La risposta e'
scontata: il sistema Maggiore/minore ha sempre dato molti problemi. Pensiamo
all'Iraq, dove il modello e' all'apice, o in Palestina... E' chiaro che non
funziona e l'Equivalenza e' un'alternativa. C'e' ancora molto da scoprire in
materia, ma occorre provare. L'Equivalenza sembra una follia, ma solo
perche' non ci siamo abituati.

4. UN'INTERVISTA A PAT PATFOORT
[Da "Buddismo e Societa'", n. 114, gennaio-febbraio 2006 (disponibile anche
nel sito: www.sgi-italia.org)]

Pat Patfoort, antropologa e dottoressa in biologia umana, vive a Brugge in
Belgio. I suoi libri, tradotti in diverse lingue, sono stati ben accolti non
solo in patria ma anche all'estero. I numerosi contatti con le associazioni
gandhiane fondate da Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, la relazione con i
quaccheri, la sua esperienza di madre e la lunga permanenza in Africa
occidentale hanno costituito i presupposti per lo sviluppo della sua ricerca
sulla nonviolenza.
Secondo la sua teoria, la nonviolenza e la violenza hanno origine da
situazioni in cui sono presenti punti di partenza (caratteristiche,
comportamenti, opinioni, punti di vista di due persone o gruppi di persone)
diversi che, se si lasciassero coesistere l'uno accanto all'altro senza
associare loro giudizi di valore, non rappresenterebbero un problema.
Purtroppo, come mostra Pat e come e' facile osservare e sperimentare nella
quotidianita', il modo solito e diffuso di affrontare questi fattori o punti
di partenza diversi e' il modello Maggiore-minore o modello M-m: ciascuno
cerca di presentare il suo punto di vista, o comportamento, o
caratteristica, come migliore di quello dell'altro. Ognuno cerca di porsi
nella posizione M e di porre l'altro nella posizione m.
Nel modello M-m si usano argomentazioni che hanno la funzione di mettere se
stessi dalla parte della ragione, e che e' possibile raggruppare in tre
tipi:
1. argomentazioni positive: si cercano aspetti positivi del proprio punto di
vista per dargli valore;
2. argomentazioni negative: si citano aspetti negativi del punto di vista
dell'altro per sminuirlo;
3. argomentazioni distruttive: si cercano aspetti negativi dell'altro per
sminuire la persona.
Attraverso tali argomentazioni ciascuno cerca di rafforzare il proprio punto
di vista in opposizione all'altro, con l'obiettivo di prevalere.
Il modello M-m e' cosi' alla base della violenza, alla sua radice. E'
certamente naturale volersi difendere, voler sopravvivere, ma cio' puo'
avvenire non necessariamente ponendo l'altro in posizione di inferiorita'.
Il modello M-m e' solo uno dei modi possibili e forse il piu' facile. E'
pero' cosi' comune e diffuso che si ha l'impressione che sia l'unico o
quello piu' naturale.
Un altro modo di affrontare una situazione di partenza con due punti di
vista diversi e' il modello dell'Equivalenza o E. Questo e' il modello che
sta alla base della nonviolenza. Esso fa si' che ci si possa difendere ma
non a spese di altri, contro qualcuno o in modo offensivo, come nel modello
M-m.
Con il modello E ci si concentra sui fondamenti, che sono i fattori che
soggiacciono ai vari punti di vista: motivazioni, bisogni, interessi,
obiettivi, valori. Elementi sia emotivi, sia razionali. Ci si preoccupa di
far emergere ed esplicitare i fondamenti, che spesso non sono espressi e di
cui le persone non sono neppure consapevoli, e li si considerano tutti sullo
stesso piano, senza dare giudizi di valore.
Per adottare un atteggiamento equivalente (E) verso gli altri, infatti, e'
indispensabile valutare i fondamenti di entrambe le parti: da una parte
esprimere i propri in modo chiaro, dall'altra aprirsi a quelli dell'altra
persona, ascoltarla, accettarla. A partire dalla raccolta di tutti i
fondamenti e' possibile trovare soluzioni che soddisfino entrambe le parti.
A seconda che si segua il modello M-m o il modello E, la soluzione di una
divergenza di opinioni e' completamente diversa: nel primo caso si tratta di
un sistema bidimensionale in cui ci sono solo due possibilita', ha ragione
uno o l'altro, nel secondo ci sono tante soluzioni che si creano sulla base
della raccolta di tutti i fondamenti presenti nel conflitto, sia di una
parte sia dell'altra.
Pat Patfoort si e' avvicinata alla nonviolenza e ha elaborato il metodo
dell'equivalenza partendo dalla sua storia personale e dal suo ruolo di
madre. L'abbiamo incontrata a Torino i primi di dicembre dello scorso anno
in occasione del convegno "La mediazione: dal livello interpersonale al
livello internazionale" organizzato dal Centro studi "Sereno Regis", e
l'abbiamo intervistata.
*
- Quali sono i momenti salienti che l'hanno condotta all'attuale esperienza
di mediazione dei conflitti?
- Tutto e' partito dalla mia educazione: non ho mai tollerato il fatto che
ci fosse incoerenza tra cio' che gli adulti chiedevano di fare ai bambini e
cio' che essi stessi facevano, e ho desiderato fin da bambina di non
riprodurre lo stesso comportamento, quando fossi stata a mia volta madre.
Volevo trovare delle risposte per fare altrimenti.
Ho inoltre vissuto un dramma familiare quando avevo diciannove anni: mio
padre se ne e' andato con una donna della mia eta' e non e' mai piu' tornato
a casa. La mia relazione con lui non si e' interrotta ma, visto che mia
madre soffriva moltissimo, per anni ho considerato lei una vittima e mio
padre un mostro. Solo successivamente ho capito che le cose erano molto piu'
complesse rispetto a come le avevo interpretate inizialmente e che piuttosto
che una vittima e un carnefice entrambi erano vittime, vittime di una certa
educazione, vittime di un certo modo di comunicare.
Mi sono preparata alla nascita dei miei figli da tutti i punti di vista:
biologici, psicologici ed educativi, ho approfondito le mie intuizioni con
studi teorici, ma ho anche riflettuto sulla mia esperienza, aprendomi
all'influenza di altre culture e cercando di mettere in relazione tutto cio'
che avevo imparato in Occidente e in Africa.
La mia famiglia d'origine mi ha sempre scoraggiato rispetto al modo in cui
intendevo educare i miei figli, mi dicevano che non era possibile cio' che
invece ho poi sperimentato come normalita' in Africa occidentale,
Mauritania, Burkina Faso, Senegal, dove ho vissuto per alcuni anni con mio
marito e dove sono nati i miei figli.
*
- Puo' spiegarci concretamente come funziona il metodo dell'equivalenza?
- Ecco un esempio. Scuola materna, in classe. Stefano e Giulio stanno
litigando per una macchinina rossa. "E' mia!" urla Stefano. Afferra la
macchinina con la mano e sta sulle punte dei piedi per tenerla piu' in alto
possibile in modo che Giulio non possa toccarla. "No, bugiardo! E' mia!"
ribatte Giulio, urlando mentre tira i capelli a Stefano.
La maestra puo' intervenire in diversi modi. Consideriamo quelli che ci sono
piu' familiari:
1. la maestra interrompe il litigio fra i bambini sottraendo a entrambi la
macchinina finche' non sara' chiarito a chi appartiene;
2. la maestra intima ai due di non litigare e allontana fisicamente l'uno
dall'altro, dando loro compiti in luoghi diversi della classe;
3. la maestra sanziona Giulio per il fatto che sta tirando i capelli a
Stefano.
In tutti e tre i casi la maestra affronta il conflitto con l'approccio M-m e
in questo modo non lo affronta veramente, non lavora verso la soluzione. Si
pone come obiettivo l'interruzione della lite, allontana i due compagni
l'uno dall'altro o da' la colpa a una delle due parti. Nel primo e nel
secondo caso entrambi si sentono in posizione m, nel terzo una delle due
parti. Questo condurra' a ulteriori escalation o catene della violenza.
Nell'approccio E, invece, la maestra non cerca di tacitare il problema il
piu' rapidamente possibile fin dall'inizio, allontanando i bambini l'uno
dall'altro o togliendo l'oggetto del contendere dalla situazione. Non cerca
neanche di dare la colpa a qualcuno, ne' di mettere qualcuno in posizione di
minore nei confronti dell'altro. Al contrario si sforza di introdurre e
sostenere l'equivalenza fra i due bambini. Quindi parla a entrambi insieme,
non solo a uno dei due, chiede a entrambi cos'e' successo e non focalizza
l'attenzione solo sull'ultima parte del litigio. Ascolta i due bambini allo
stesso modo, e considera le spiegazioni di entrambi, i loro fondamenti,
anche se inizialmente non combaciano. Poi cerca di metterli insieme e magari
si puo' scoprire che entrambi hanno detto la verita' e non che uno dei due
ha mentito (come sarebbe pensabile di primo acchito), in quanto entrambi
hanno ricevuto in regalo la stessa macchinina ed entrambi l'hanno portata a
scuola. Si aprira' lo spazio per cercare la macchinina mancante e ricomporre
la relazione tra i due. Se la maestra non avesse seguito il processo
dell'equivalenza, ma avesse convalidato la versione dei fatti che le
sembrava piu' convincente, avrebbe accusato ingiustamente qualcuno dei due
di mentire o, altrettanto ingiustamente, lo avrebbe punito. Quanto spesso
accade questo?
E quanto spesso i conflitti, a tutti i livelli, vengono negati, fuggiti o
"risolti" velocemente? Stare nel conflitto e' certamente difficile e
richiede l'impiego di tempo ed energia, ma i frutti dal punto di vista della
sanita' delle relazioni sono assicurati.
*
- Questo metodo sperimentato con i suoi figli lo utilizza anche nella
mediazione internazionale. Come e' riuscita a passare dall'educazione in
ambito familiare alla formazione e poi alla mediazione internazionale?
- Alla mediazione internazionale sono approdata molto piu' tardi. La mia
prima esperienza e' stata una mediazione interetnica in Russia tramite i
quaccheri.
Prima ho usato il metodo dell'equivalenza in Belgio in campo educativo:
nella formazione degli insegnanti, dei genitori, dei bambini, nella
mediazione dei conflitti interpersonali nel Centro di trasformazione
nonviolenta dei conflitti di Brugge, la mia citta'. Nel corso degli ultimi
quindici anni ho organizzato molte formazioni in ambito interculturale e ho
lavorato in Olanda, Francia, Svizzera, Italia, con gruppi internazionali
come ad esempio israeliani e palestinesi.
In fondo il modello che io ho ideato e' emerso dalla pratica, dalle
esperienze di formazione che ho fatto via via. E' importante sviluppare bene
le teorie, scriverle e provare ad applicarle, anche se e' difficile e
richiede una dura disciplina, soprattutto se hai dei figli e hai deciso di
occuparti direttamente di loro.
Presto uscira' un nuovo libro edito dal Gruppo Abele: Difendersi senza
aggredire. La potenza della nonviolenza, che contiene una parte teorica e
molti esercizi. In questo libro ho utilizzato soprattutto le esperienze in
carcere con i detenuti e con i ribelli in Africa Occidentale. Ho compreso
che in generale le persone non sono cattive ma spesso non sanno come
difendersi e proteggersi senza attaccare gli altri, senza avere
comportamenti che vanno a detrimento degli altri. Da piccoli non lo hanno
imparato. Ma difendersi e' importante, e per questo e' cosi' rilevante
sperimentare e far sperimentare un'alternativa che permetta di tutelarsi
provando a soddisfare i propri bisogni e contemporaneamente rispettare gli
altri e i loro legittimi interessi.
Per me e' indispensabile tenere insieme la teoria e la pratica: facendo
esperienza dell'equivalenza, via via diviene sempre piu' naturale porsi in
questo modo.
*
- La cosa piu' difficile del suo metodo credo sia l'individuazione delle
posizioni contraddittorie.
- Non e' poi cosi' difficile, bisogna provare e riprovare. Sperimentando
diventa sempre piu' facile. Inoltre si diventa sempre piu' capaci di
esprimere i propri bisogni senza offendere gli altri e accogliere i loro
bisogni e le loro richieste.
*
- Il punto forte del suo modello sembra essere quello di offrire
un'alternativa, e i suoi workshop, le sue mediazioni, sono delle occasioni
per praticarla. Vuole dire qualcos'altro?
- E' importante per me dare un messaggio di speranza. Quando lavoro,
soprattutto con i giovani, spesso mi dicono che e' impossibile per loro
comportarsi in un modo diverso da quello che hanno sperimentato fino a quel
momento. E' terribile che i giovani non abbiano la speranza di poter vivere
diversamente, di poter comunicare in un altro modo, la speranza di uscire
dai ruoli conosciuti. Vorrei che le persone potessero dire: "Il sole esiste
ancora", sperimentare che c'e' qualcuno che da' loro rispetto, che si
comporta in un'altra maniera; vorrei che pensassero che anche loro possono
fare la stessa cosa. E' chiaro che comportarsi sempre in modo equivalente
non e' ancora possibile, ma cio' non vuol dire che sia impossibile. Si
tratta di fare esercizi per sperimentarsi nell'equivalenza. La cosa
importante e' riconoscere i meccanismi della violenza, ricaderci e' normale
perche' siamo stati educati in questo modo. Ma rendersene conto e capire che
stiamo facendo un errore e' il primo passo, si tratta poi di fare tanti
esercizi per non sbagliare piu'.

5. ET COETERA
Pat Patfoort, antropologa e biologa, e' impegnata nei movimenti nonviolenti
e particolarmente nella formazione alla nonviolenza. Dal sito del Centro
documentazione scuola dell'infanzia (www.centrodocumentazione.net)
riprendiamo la seguente scheda: "Antropologa fiamminga belga e' docente,
trainer e mediatrice a livello internazionale nel campo della trasformazione
e della gestione nonviolenta dei conflitto sulla base di un approccio
teorico da lei stessa elaborato; e' autrice di diversi libri e articoli,
tradotti in varie lingue; e' cofondatrice e direttrice del Centro per La
gestione nonviolenta del conflitto "De Vuurbloem" ("Il fiore di fuoco") a
Brugge-Bruges, in Belgio. Tiene lezioni e conferenze in molte Universita'
del mondo (Belgio, Italia, Olanda, Svezia, Spagna, Stati Uniti, Russia,
ecc.); lavora con una grande varieta' di gruppi sia a livello educativo (con
bambini, adolescenti, genitori, insegnanti, educatori), sia con adulti in
situazioni di conflitto (relazioni familiari, colleghi di lavoro,
prigionieri); ha svolto attivita' di facilitazione anche in progetti di
dialogo e riconciliazione tra gruppi etnici in conflitto, come in Caucaso,
Kossovo, Rwanda, Congo e Senegal; ha lavorato in collaborazione con i
quaccheri, con organizzazioni cattoliche come Pax Christi o la Caritas, con
istituzioni come l'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione
in Europa), il Consiglio d'Europa, il Ministero degli affari esteri belga e
le Nazioni Unite". Tra le opere di Pat Patfoort: Una introduzione alla
nonviolenza. Presentazione di uno schema di ragionamento, Edizioni del
Movimento Nonviolento, Verona 1988; Costruire la nonviolenza. Per una
pedagogia dei conflitti, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1992; Io voglio, tu
non vuoi. Manuale di educazione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino
2001; Difendersi senza aggredire. Il potere della nonviolenza, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 2006.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 30 dell'11 luglio 2006

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