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La nonviolenza e' in cammino. 1339
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1339
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 27 Jun 2006 00:18:54 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1339 del 27 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. La sconfitta dei golpisti 2. Hannah Arendt: La differenza decisiva 3. Elena Loewenthal: L'esilio, la lontananza 4. Francesco Ferretti: Empatia 5. Nunzio Pernicone ricorda Paul Avrich 6. Luca Conti presenta "Un ricordo al futuro" di Luciano Berio 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LA SCONFITTA DEI GOLPISTI Infinite sono le interpretazioni, ma uno e uno solo e' il fatto: i golpisti che volevano abbattere la Costituzione della repubblica Italiana sono stati sconfitti dal voto del popolo italiano. Il colpo di stato e' stato respinto. La Costituzione e' salva, e con essa la democrazia, lo stato di diritto, le nostre essenziali comuni liberta'. 2. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA DIFFERENZA DECISIVA [Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 226-227 (sono le parole conclusive del saggio "Che cos'e' la liberta'"). Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] La differenza decisiva tra l'"infinitamente improbabile", su cui si fonda la realta' della nostra vita terrena, e il carattere miracoloso insito negli eventi che determinano la realta' storica e' questa: nell'ambito delle vicende umane noi conosciamo l'autore dei "miracoli". A realizzarli sono degli esseri umani, che per aver ricevuto il duplice dono della liberta' e dell'azione possono fondare una loro realta'. 3. LIBRI. ELENA LOEWENTHAL: L'ESILIO, LA LONTANANZA [Da "Tuttolibri", supplemento del quotidiano "La stampa" del 24 giugno 2006, riprendiamo la seguente recensione il cui titolo originale e' "Scrivere in esilio, per lenire il peso della lontananza". Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg. Su Hoda Barakat dal sito "Festivaletteratura" riprendiamo la seguente scheda: "Hoda Barakat e' nata nel 1952 in un villaggio di montagna nel nord del Libano. Ha vissuto a Beirut, dove, nel 1975, poco prima dello scoppio della guerra civile, si e' laureata in Letteratura araba. Ha vissuto a Beirut Ovest fino al 1989, quando si e' trasferita a Parigi, dove vive tuttora e dove lavora come giornalista. Ha pubblicato nel 1985 la sua prima raccolta di racconti brevi Zaíirat (Visitatrici) e, poco dopo aver lasciato il Libano, il suo primo romanzo Hagiar al-dahak (La pietra del riso), che le e' valso il Premio al-Naqid ed e' stato tradotto in inglese, olandese e francese. Il suo secondo romanzo Ahl al-hawa (La gente della passione), 1993, e' stato tradotto in italiano, francese e spagnolo. Il terzo romanzo Harit al-miyah (Il solcatore delle acque), 1999, ha ottenuto il premio Naghib Mahfuz 2000 ed e' stato tradotto in inglese e francese. Tra le opere di Hoda Barakat: Malati d'amore, Jouvence, 1997; L'uomo che arava le acque, Ponte alle grazie, 2003; Lettere da una straniera, Ponte alle Grazie 2006. Amanda Sthers e' scrittrice, sceneggiatrice, autrice teatrale. Tra le opere di Amanda Sthers: Gli ultimi due ebrei di Kabul, Ponte alle grazie, 2006] La lontananza e' una fonte d'ispirazione inesauribile. E', in fondo, cio' che innesca il bisogno di scrivere quando le circostanze impediscono di vivere. E' il motore di una gamma di sentimenti vasta, persino contraddittoria, che spazia dalla nostalgia alla rassegnazione, dallo strazio al sollievo. La lontananza piu' insopportabile e' quella d'amore: separa per un tempo indefinito, comunque lunghissimo, l'oggetto d'amore da chi lo coltiva e lo sente dentro di se' come un impulso imperativo che solo attraverso la parola viene domato. Il piu' bel libro sulla lontananza d'amore e' indubbiamente il Cantico dei Cantici: qui i due innamorati, siano essi l'Eterno e Israele o una coppia di comuni mortali (a seconda dell'ottica con cui si guarda a questa parola mirabilmente sacra e profana insieme) si rincorrono sulla pagina, si desiderano, si uniscono nella memoria e nella speranza. Ma mai dentro il presente del racconto. Non c'e' soltanto, ovviamente, la lontananza d'amore: anche quella d'esilio - piu' o meno forzato -, ad esempio. Che in fondo e' anch'essa una specie di tessuto amoroso. Quella di Hoda Barakat, pero', scrittrice libanese di cui i lettori italiani hanno gia' conosciuto il romanzo L'uomo che arava le acque (tradotto nel 2003 da Ponte alle Grazie), e' una lontananza sommessa. Spesso condita di ironia, sempre di un disincanto pacato dai toni piacevolmente morbidi. Difficile definire nel contesto di un genere letterario le sue Lettere da una straniera, che ancora Ponte alle Grazie manda in libreria nella traduzione di Samuela Pagani (Hoda Barakat Lettere da una straniera. Da Beirut a Parigi: diario di una vita altrove Ponte alle Grazie, pp. 133, euro 12). Sono corrispondenze da Parigi uscite originariamente sul giornale arabo "al-Hayat". Sono riflessioni molto personali, spesso intime. Dove non c'e' mai un accenno di retorica vittimistica e la lontananza dalla propria terra e' avvertita con malinconia ma anche con la coscienza della propria incostanza. Da qui la scrittura attinge la forza per affrontare il distacco necessario. Scrive l'autrice citando Ugo di San Vittore: "L'anima tenera fissa il suo amore su un solo luogo. L'uomo forte riversa il suo amore su tutti i luoghi. Ma il saggio veramente padrone di se' e' quello che ha visto questo amore spirare". Hoda Barakat parla dell'autunno, del bisogno di parlare a voce alta, "proporzionale alla distanza del nostro paese d'origine da queste grandi citta'", dei cedri e del tabule', del sonno che manca i primi giorni in patria, quando si ritorna per le vacanze. I suoi reportages arrivano tutti dall'interiorita', rare sono le immagini geografiche, le nostalgie tangibili. Per questo hanno un valore comune, non necessariamente legato ai due poli esistenziali dell'autrice, il Libano e la Francia. Come quando, ad esempio, riflette sul rapporto traumatico con la lingua madre, fra genitori e figli: "Una tragedia per noi, e una commedia per loro. La nostra strenua battaglia a difesa dell'arabo, agli occhi dei nostri figli e' solo l'ulteriore sintomo di un morboso attaccamento a un mondo passato e al suo folklore". Storia di una lontananza ben piu' cruenta e' invece quella narrata da Amanda Sthers, autrice de Gli ultimi due ebrei di Kabul (sempre per Ponte alle Grazie, traduzione di Francesco Bruno, pp. 137, euro 11). Questo breve romanzo d'esordio racconta di una giovane donna afghana, un giornalista americano da cui aspetta un figlio, un vecchio scrivano ebreo di Kabul che si chiama Alfred, un ciabattino che ne condivide la sorte. 4. RIFLESSIONE. FRANCESCO FERRETTI: EMPATIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 giugno 2006. Francesco Ferretti e' docente universitario e saggista. "Le sue ricerche vertono principalmente sul rapporto fra pensiero e linguaggio con particolare attenzione ai fondamenti cognitivi non verbali e prelinguistici. Piu' in particolare, i suoi interessi di studio riguardano: 1) il rapporto tra le modalita' percettive; 2) la teoria della rappresentazione mentale; 3) l'analisi dei processi cognitivi considerati all'interno del quadro biologico-evolutivo (con particolare attenzione all'origine della mente e del linguaggio)". Tra le pubblicazioni di Francesco Ferretti: (con Elisabetta Gola, a cura di), Filosofia della mente e scienze cognitive, numero monografico de "Il cannocchiale. Rivista di studi filosofici", n. 2, maggio-agosto 1997; Pensare vedendo. Le immagini mentali nelle scienza cognitiva, Carocci, Roma 1998; cura e introduzione dell'edizione italiana di O. Houde' et al. (eds.), Dizionario di scienze cognitive, Editori Riuniti, Roma 2000; cura e introduzione di Jerry Fodor, Mente e linguaggio, Laterza, Roma-Bari 2001] Buio totale. Black Mamba e' in trappola: chiusa in una bara due metri sotto terra. La scena in Kill Bill vol. II di Quentin Tarantino dura diversi minuti e il panico a poco a poco dal volto contratto di Uma Thurman si trasmette agli spettatori. Manca l'aria non solo dentro la cassa: manca l'aria anche dentro la sala. Anche a me manca l'aria. Il mio respiro si sincronizza con quello della donna imprigionata e la sua sensazione di soffocamento e' chiara e forte anche nella mia gola. Che tipo di esperienza e' quella in atto in situazioni di questo tipo? Si tratta di una delle esperienze piu' forti e radicali alla base delle relazioni interpersonali umane: l'incarnazione nel nostro corpo dell'emotivita' provata da qualcun altro. E' l'empatia: l'esperienza, per dirla con Edith Stein, "alla base di tutte le forme attraverso le quali ci accostiamo a un altro". * Dopo un lungo silenzio In passato, agli studi classici di David Hume e Jean Jacques Rousseau, per citare due casi illustri, si sono aggiunti quelli di Sigmund Freud - che per primo ha fatto riferimento all'empatia come a un processo inconscio di identificazione - e di Jean Piaget che, pur senza scrivere mai nulla di direttamente centrato sull'empatia, ha studiato a fondo fenomeni ad essa strettamente correlati, come la compassione, il decentramento e l'egocentrismo. Poi piu' nulla, o quasi. A causa della sua natura sfuggente ed effimera - come sottolineano Paolo Albiero e Giada Matricardi nel loro saggio titolato Che cos'e' l'empatia (Carocci, 2006) - questa esperienza emotiva e' stata ben presto dimenticata continuando a incuriosire "solo i frequentatori di piccole nicchie di conoscenza". Ma oggi la situazione appare mutata, e come testimoniano le recenti e numerose pubblicazioni sul tema, i progressi della ricerca scientifica hanno ridato vitalita' all'empatia. Con buone ragioni: lo studio dell'esperienza empatica rappresenta oggi un interessante punto di convergenza tra questioni di carattere speculativo (quelle al punto d'incontro tra filosofia e scienze empiriche) e problemi di ordine pratico e applicativo. La filosofia, la fenomenologia in special modo, delinea lo sfondo teorico di riferimento. L'esperienza dell'altro come persona tra le persone, innanzitutto. Secondo Laura Boella, che ne ha scritto in Sentire l'altro (Cortina, 2006), conoscere l'empatia e' un modo "per osservare e descrivere il fondamento originario del nostro esistere insieme agli altri". L'esperienza empatica e' infatti alla base del riconoscimento dell'altro come persona: "l'empatia e' l'atto attraverso cui ci rendiamo conto che un altro, un'altra, e' soggetto di esperienza come lo siamo noi: vive sentimenti ed emozioni, compie atti volitivi e cognitivi. Capire quel che sente, vuole e pensa l'altro e' l'elemento essenziale della convivenza umana nei suoi aspetti sociali, politici e morali. E' la prova che la condizione umana e' una condizione di pluralita': non l'Uomo, ma uomini e donne abitano la Terra". * Uno spazio a misura dell'altro Il caso del vissuto empatico attraverso cui si concretizza l'esperienza dell'altro come persona e' reso da Laura Boella utilizzando una immagine efficace: la contrapposizione tra il momento unitivo proprio dell'empatia e il mero contatto tra individui negli "spazi affollati di solitudine", tipici della vita metropolitana: "nei non-luoghi del traffico metropolitano - hall di albergo, stazioni, aeroporti, sopraelevate, centri commerciali - si incrociano non-persone". Diversamente dal contatto, l'esperienza empatica costituisce l'altro come persona mettendo in atto un comune sentire capace di "far risuonare nell'intimo le qualita' dell'altro". Bene, che cosa ci dicono le scienze empiriche a proposito di esperienze di questo genere? Che tipo di meccanismi cognitivi sono alla base della nostra capacita' di "risuonare" insieme agli altri? Domande simili - che richiedono un confronto serrato tra la filosofia e le scienze empiriche - ammettono almeno due diversi livelli di analisi: quello relativo all'indagine psicologica e quello relativo alla neuroscienza. Se l'analisi filosofica guarda l'empatia in primo luogo come l'esperienza costitutiva dell'altro come persona, con l'indagine psicologica ad emergere in primo piano sono i processi cognitivi implicati in tale tipo di esperienza. Sulla scia di questo tipo di analisi Paolo Albiero e Giada Matricardi propongono in Che cos'e' l'empatia questa definizione: "Provare empatia per qualcuno significa comprendere le emozioni che sta vivendo e viverle a propria volta, capendo le sue ragioni e le sue intenzioni; vuol dire creare nel proprio mondo interiore uno spazio su misura per accogliere il mondo dell'altro. Sentire che qualcuno prova empatia per noi vuol dire sentirsi capiti, accolti, non piu' soli... provare empatia vuol dire mettersi 'nei panni degli altri' e condividerne lo stato emotivo in maniera vicaria". Vuol dire, dunque, "provare un'emozione uguale o simile a quella dell'altro, con la consapevolezza che la causa del proprio vissuto e' l'emozione dell'altro". Due sono i punti da rilevare: il primo e' che l'empatia sembra caratterizzata dal funzionamento integrato di componenti cognitive e affettive; il secondo e' che l'empatia si contraddistingue come una capacita' fondamentale per la costruzione delle relazioni sociali di base tra individui (non solo umani, come vedremo). Storicamente, lo studio dell'empatia e' stato contraddistinto, nel campo della psicologia, da due diversi orientamenti teorici. Secondo il primo, l'empatia si caratterizza per la condivisione dell'emozione vissuta dall'altro; i sostenitori del secondo orientamento identificano invece l'empatia "con la capacita' di sapersi decentrare cognitivamente per 'mettersi nei panni degli altri', in modo da potere adeguatamente comprendere il loro modo di valutare e vivere una certa situazione". A partire dagli anni '80 del secolo appena trascorso, come sottolineano Paolo Albiero e Giada Matricardi nel loro libro, si apre la possibilita' di integrare in un'unica concezione "le due dimensioni, di condivisione emotiva (componente affettiva) e di comprensione del vissuto dell'altro (componente cognitiva)". Non considerandole "giustapposte bensi' entrambe determinanti e co-occorrenti al fine di generare una risposta empatica". Ma c'e' un'altra questione da rilevare, la cui importanza e' capitale nelle piu' recenti ricerche effettuate in vasti settori della scienza cognitiva contemporanea, e riguarda il ruolo che l'empatia riveste nello studio dei fondamenti bio-cognitivi delle relazioni interpersonali. I modelli psicologici hanno ricevuto importanti conferme sperimentali, e i dati prodotti dalla neuroscienza hanno contribuito in maniera definitiva a eliminare dall'indagine sull'empatia quel carattere sfuggente ed effimero che in passato le era stato erroneamente attribuito. Un impulso notevole e' venuto, in particolare, dal modello della "simulazione incarnata" proposto da Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolatti in seguito alla scoperta dei "neuroni specchio" nella corteccia premotoria dei macachi. E le implicazioni filosofiche di questo modello sono evidenziate con cura nel recente libro di Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia titolato So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio (Raffaello Cortina, 2006). I neuroni specchio - di cui e' ormai certa la presenza anche negli esseri umani - si caratterizzano per il fatto di attivarsi durante l'esecuzione di azioni finalizzate: i risultati sperimentali hanno infatti mostrato che tali neuroni entrano in azione ogni volta che, poniamo, la scimmia afferra un oggetto determinato indipendentemente dal fatto che lo prenda con la mano o con la bocca. Il punto piu' interessante e' la scoperta che i neuroni specchio si attivano non soltanto durante l'esecuzione di un'azione ma anche durante l'osservazione di qualcuno che esegue quella determinata azione. In casi di questo tipo, per quanto le azioni osservate non vengano effettivamente riprodotte, il sistema motorio si attiva "come se" tali azioni fossero realmente eseguite. La simulazione incarnata fornisce una spiegazione empirica del funzionamento del cervello come un sistema che entra in risonanza nell'osservare l'attivita' degli altri. E questo da' conto di funzioni cognitive di base della socializzazione, come la condivisione delle emozioni (in cui ricade l'empatia) e l'imitazione del comportamento altrui in un'ottica evoluzionista. Come sottolineano Rizzolatti e Sinigaglia, infatti, i vantaggi evolutivi offerti da tali forme di risonanza emotiva sono evidenti: "non solo consentono ai singoli organismi di affrontare in maniera efficace eventuali minacce (o opportunita'), ma rendono possibile l'instaurarsi e il consolidarsi dei primi legami interindividuali... Si tratta per lo piu' di forme di empatia rudimentali, assai meno sofisticate di quelle che stanno alla base delle nostre condotte sociali mature. E tuttavia, queste come quelle presuppongono la capacita' di riconoscere le emozioni altrui, di leggere sul viso, nei gesti o nella postura del corpo degli altri, i segni del dolore, della paura, del disgusto o della gioia". A governare funzioni cognitive di questo tipo e' di nuovo il sistema dei neuroni specchio: l'idea che "la vista di un viso che esprime un'emozione attivi nell'osservatore gli stessi centri cerebrali che si attivano quando e' lui stesso ad avere quella specifica reazione emotiva". * Una esperienza non solo umana Cercare i fondamenti della socializzazione in un'ottica evoluzionista significa considerare l'empatia una precondizione, condivisa con altri animali, di alcune funzioni cognitive che stanno alla base della socializzazione umana. Sono considerazioni, queste, che trovano conferme nell'etologia cognitiva, come si legge - per esempio - nel libro di Frans De Waal, Naturalmente buoni (Garzanti, 1997) dove si mostra l'esistenza, nelle scimmie antropomorfe, di comportamenti come la simpatia, la compassione e il dolore di fronte alla morte di un individuo per cui provano attaccamento. Molti autori guardano all'empatia come a una caratteristica specifica dell'animo umano; ma i dati empirici tratti dall'etologia cognitiva ci invitano a ipotizzare una diversa conclusione, ossia che questa esperienza emotiva possa essere posta a fondamento anche di forme di socialita' diverse dalle nostre. Nella pratica clinica, poi, il ruolo della comunicazione empatica ha motivato studi che ne hanno messo in luce le determinazioni, come si apprende per esempio nel libro di Federico Fortuna e Antonio Tiberio titolato Il mondo dell'empatia (Franco Angeli, 2001) tra le cui pagine trova posto un'ampia trattazione della psicologia del Se'. L'empatia, vi si legge, rappresenta in effetti "l'unico modo d'osservazione appropriato alla vita interiore dell'uomo, cioe' ai fenomeni psicologici". Ma le ricadute pratiche dell'empatia, lungi dal limitarsi all'ambito clinico, investono campi fecondi di applicazione come il lavoro sociale e soprattutto l'insegnamento, tanto che nel loro libro Federico Fortuna e Antonio Tiberio insistono sull'utilita' che potrebbe assumere una politica intensiva di educazione a questa esperienza. Gia' nei primi anni '80 Norma e Seymour Feshbach avevano proposto un programma che si sarebbe rivelato tra i piu' articolati, l'Empathy Training Program, e che rimane a tutt'oggi una delle espressioni piu' efficaci dell'idea che si possa apprendere a provare empatia. * Verso una educazione affettiva A favore di questa tesi militano metodologie di valutazione sofisticate e dati empirici confortanti; del resto, la necessita' di formarsi all'esperienza dell'empatia e' cosi' sentita che persino l'Organizzazione mondiale della sanita' ha messo a punto una serie di linee guida mirate a organizzare training finalizzati alla educazione affettiva. Particolarmente importante, in questo contesto, e' il progetto Skills for life della World Health Organization (1993) il cui intento e' quello di migliorare "il benessere e la salute psicosociale di bambini e adolescenti tramite l'apprendimento di abilita' utili per la gestione delle relazioni sociali e della propria emotivita'". Vivere sulla propria pelle le emozioni di un altro e' un'esperienza decisiva per imparare a decentrarsi e a mettersi nei suoi panni: per approdare a un suo pieno riconoscimento come persona. E se sottolinearne le valenze etico-politiche e' persino superfluo, tanto piu' merita impegno il tentativo di dar corpo a un progetto di educazione a questo genere di esperienza affettiva, anche a costo di soffrire l'esperienza in cui l'aria ci manca in gola. 5. MEMORIA. NUNZIO PERNICONE RICORDA PAUL AVRICH [Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 317, maggio 2006 (disponibile anche nel sito: www.arivista.org). Nunzio Pernicone, storico, docente alla Drexell University di Philadelphia, e' autore di importanti studi sull'anarchismo. Tra le opere di Nunzio Pernicone, Italian Anarchism (1864-1892), Princeton University Press, 1993. Paul Avrich (1931-2006), illustre storico dell'anarchismo, soprattutto di quello russo e di quello americano; originario di una famiglia ebraica di Odessa emigrata negli Usa, e' scomparso nel febbraio 2006 a New York. Tra le principali opere di Paul Avrich: The Russian anarchists, Princeton University Press, 1967, 1978 (Les Anarchistes russes, Maspero, Paris 1979; altre traduzioni in giapponese, spagnolo, italiano); Kronstadt, 1921, Princeton University Press, 1970 (La Tragedie de Cronstadt, 1921, Seuil, Paris 1975; altre traduzioni in spagnolo e in ceco); Russian rebels, 1600-1800, Schocken Books, New York 1972; The Anarchists in the Russian Revolution, Cornell University Press, New York 1973 (Gli anarchici nella rivoluzione russa, La Salamandra, Milano 1976); e i volumi sulla storia del movimento anarchico negli Stati Uniti, pubblicati dalla Princetown University Press: An American anarchist: the life of Voltairine de Cleyre, 1978; The Modern School movement: anarchism and education in the United States, 1980; The Haymarket tragedy, 1984; Anarchist Portraits, 1988; Sacco and Vanzetti, the anarchist background, 1991; Anarchist voices: an oral history of anarchism in America, 1995] Se gli esseri umani fossero saggi, si considererebbero ricchi per il numero di amici e di affetti e non per i beni materiali che posseggono. Mi piace considerarmi una persona fra le piu' sagge e, quindi, riconosco e apprezzo il fatto di avere visto da piu' di trentacinque anni la mia esistenza incommensurabilmente arricchita dall'amicizia con Paul Avrich. Ci siamo brevemente incontrati la prima volta in occasione del mio dottorato, nel 1971, avvicinati dalla comune professione e dall'interesse reciproco per quella visione filosofica affascinante e in gran parte fraintesa che si chiama anarchia. Una volta stabilitosi questo legame tra noi, Paul e' stato per me un mentore, un amico diletto e, per molti versi, quel fratello maggiore che non avevo mai avuto. Questo sentimento di affetto fraterno, lo so bene, era sinceramente ricambiato, perche' spesso, parlando di me, mi chiamava il suo fratellino e, come fratello piu' grande, era straordinario nel manifestarmi il suo affetto, nell'offrirmi il suo saggio consiglio e il suo aiuto generoso. Per quanto era in suo potere, non c'era niente che mi avrebbe negato, se glielo avessi chiesto. Ma la generosita' era solo uno dei tratti che definivano il suo carattere. Il Paul che ho conosciuto era un vero romantico, un essere dall'animo tenero e dolce come la panna montata. Una volta che era venuto a trovarmi nella mia casa in Pennsylvania e io suonavo una splendida aria per baritono, dall'Evgenij Onegin di Ciaikovskij, Paul era come in trance e visibilmente trasportato in un altro mondo, nel quale entrava in un intimo contatto con la musica e le parole dell'opera. Aveva una predilezione particolare per il russo, che era tra la mezza dozzina di lingue che capiva e sapeva parlare. Avevo potuto osservare la stessa profondita' di sentimenti nel rapporto con i suoi gatti. Quelle creature pelose non erano propriamente i suoi animali domestici, erano altri suoi figli, amati e coccolati proprio come Karen e Jane. Non c'era dubbio: quando uno dei suoi mici moriva, se ne andava anche un pezzo di lui. * Infine devo parlare del Paul Avrich conosciuto dai piu', lo storico. Non molti di quelli che fanno il mio mestiere riescono a raggiungere la statura di un caposcuola, di uno studioso universalmente riconosciuto come una delle massime autorita' nella sua disciplina, che, nel caso di Paul, era lo studio dell'anarchismo, con la sua particolare schiera di praticanti. Non c'e' alcun dubbio sul fatto che Paul sia stato il maggiore storico dell'anarchia a livello mondiale, un titolo che si era guadagnato non solo per i numerosi libri e articoli pubblicati, ma per il sapere enciclopedico che aveva accumulato in decenni di attivita' di ricerca e scrittura. Nei trentacinque anni del nostro sodalizio professionale, solo raramente non ha saputo offrire una risposta alle domande che gli ponevo. E in genere quella risposta arrivava in pochi secondi, perche' aveva una memoria eccezionale. Se la risposta non arrivava subito, mi diceva: "Fammi controllare i miei appunti e ti richiamo subito". I suoi appunti, le sue carte, bisogna vederli per crederci. Quando vidi come li raccoglieva, nel suo studio al Queens College, ne rimasi davvero impressionato: mi pareva di essere entrato nell'Archivio nazionale. Ero convinto che un uomo da solo non avrebbe mai potuto accumulare un tale numero di fascicoli, di manoscritti, di libri. Ma dopo avere riflettuto un po', mi convinsi che proprio uno come Paul era stato capace di ammassare quella colossale raccolta di materiali sull'anarchia. La ricerca era una passione per lui, una fonte rinnovabile e inestinguibile d'energia. Divorava i documenti come una tigre divora la preda. Per giunta, nella sua instancabile ricerca di dati su dati, Paul era arrivato a fissare un nuovo criterio per la storia orale, intervistando centinaia e centinaia di persone che avevano vissuto i fatti e avevano conosciuto direttamente le personalita' che studiava. Un altro merito come ricercatore era la sua capacita' di rintracciare tante persone che erano rimaste nell'ombra per anni e anni, per timore di persecuzioni politiche, convincendole a rivelare i piu' intimi segreti della loro esistenza, con quel rispetto della dignita' umana che i suoi interlocutori gli riconoscevano istintivamente e che lo facevano considerare un nuovo amico per loro. In questo modo Paul aveva salvato una quantita' infinita di ricordi storici che altrimenti sarebbero scomparsi con chi li conservava. Quel tesoro di informazioni storiche, scoperte e accumulate negli anni, diede modo a Paul di scrivere una quantita' di libri e di articoli, ognuno dei quali e' stato un contributo originale e innovativo alla ricerca storica. A differenza di tanti autori di trattati eruditi che scrivono con una prosa ridondante e impenetrabile, Paul usava quella che si dice una mano leggera, che produceva uno stile narrativo e scorrevole, capace di avvincere il lettore dalla prima all'ultima pagina. * Nelle conferenze e nelle lezioni, Paul si esprimeva con la stessa disinvoltura e la stessa fluidita' che caratterizzavano i suoi scritti, e lo faceva di solito in modo estemporaneo, sapendo benissimo quanto puo' diventare una tortura e una noia essere costretti ad ascoltare qualcuno che legge un saggio erudito. Sapeva anche accattivarsi il pubblico, alleggerendo il peso di seri argomenti storici con il suo meraviglioso senso dell'umorismo e con l'atteggiamento modesto, qualita' che facevano sentire a proprio agio in sua presenza gli studenti e gli studiosi di minor caratura. Nei confronti dei suoi studenti, Paul era generoso senza riserve. A differenza di tanti docenti universitari, che sono avari del proprio patrimonio di sapere come Mida lo era dell'oro, Paul era sempre disposto a condividere tutto quello che sapeva con chiunque cercasse da lui un orientamento, un consiglio, un aiuto. E a lui si rivolgevano in centinaia, letteralmente, senza che nessuno se ne andasse insoddisfatto. Anch'io gli sono enormemente debitore da un punto di vista intellettuale. Senza il suo intervento e la sua buona parola, non credo che il suo editore da sempre, la Princeton University Press, avrebbe mai preso in considerazione e alla fine pubblicato il mio primo libro sugli anarchici italiani. * La cosa piu' importante, pero', per me e per gli altri che hanno avuto il privilegio di un rapporto professionale con Paul, e' stato l'impulso prodotto dal suo esempio. La sua passione per la ricerca era contagiosa. In molte occasioni, negli ultimi anni, quando mia moglie e i miei amici mi sollecitavano a smetterla con le ricerche e concludere quel maledetto libro che stavo scrivendo, Paul si dimostrava di opposta opinione. Mi diceva di non dare retta a nessuno di quelli che affermavano che le ricerche ormai bastavano: "E' il diavolo tentatore che ti sussurra all'orecchio". Cosi', se adesso Paul e' in paradiso, all'inferno o in qualche atro ricettacolo finora a noi ignoto, non ho dubbi che stia facendo ricerche sulla storia locale e stia intervistando chiunque gli capiti a tiro. Fino al giorno in cui avro' la fortuna di rivederlo, il suo ricordo rimarra' sempre nel profondo del mio cuore. 6. LIBRI. LUCA CONTI PRESENTA "UN RICORDO AL FUTURO" DI LUCIANO BERIO [Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 71 del maggio 2006 (sito: www.lostraniero.net) riprendiamo la seguente recensione. Luca Conti (Roma, 1965) si e' laureato nel 1991 in Lettere Moderne all'Universita' "La Sapienza" di Roma con una tesi su Edgard Varese e in Dams a Bologna con una ricerca sul compositore messicano Julian Carrillo. Ha seguito corsi universitari post-laurea in "Antropologia delle societa' complesse", "Fondamenti della didattica" ed "Educazione allo sviluppo". Dal 1994 al '96 ha lavorato alla Universidad de las Americas - Puebla e alla Universidad Autonoma de Puebla, Messico, conducendo parallelamente ricerche sulla musica messicana del Novecento. Collabora con varie universita'. E' stato critico musicale presso "Il Messaggero" (1989-'92) e "La Jornada" (1994-'96); e' redattore della rivista tedesca di musicologia "Musik & Aesthetik"; ha pubblicato vari saggi. Luciano Berio e' uno dei maggiori musicisti e musicologi del Novecento; nato nel 1925, e' deceduto nel maggio 2003; figura di rilievo dell'avanguardia musicale, fondatore con Bruno Maderna nel 1954 del prestigioso Studio di fonologia musicale della Rai di Milano, direttore di "Incontri musicali"; alla composizione e alla direzione, alla ricerca e alla teoria, ha unito una rilevante attivita' didattica in Europa e in America ed anche una capacita' di alta divulgazione (realizzando ad esempio con Vittoria Ottolenghi un non dimenticato programma televisivo di accostamento alla musica colta che resta per piu' versi esemplare). Non solo persona di studi ed arte e cultura, ma di rigore morale ed impegno civile] Curate da Talia Pecker Berio, esce Un ricordo al futuro. Lezioni americane (Einaudi), le sei lezioni tenute dal compositore nel 1993-'94 alla Harvard University per la cattedra di poetica "Charles Eliot Norton". Con le Lezioni americane di Calvino, pubblicate postume - da cui riprendono il titolo - e le Sei passeggiate di Eco, queste conferenze formano un insieme piuttosto compatto; assieme a Calvino, peraltro, Berio realizzo' diversi progetti di teatro musicale (Un re in ascolto, La vera storia). A chi ha sentito parlare almeno una volta il compositore ligure, e' rimasta forse impressa la concretezza dei suoi discorsi, che gli derivava da un confronto continuo, quasi soffocante, con la storia musicale, concepita non come qualcosa di unitario, ma come una specie di magazzino in cui si e' accumulata disordinatamente una massa di testi e conoscenze: "Un testo implica una pluralita' di testi. Le grandi opere sono sempre costituite da un gran numero di altri testi non sempre identificabili nella superficie". * Se cosi' si spiega la grande passione di Berio per l'Ulisse di Joyce e per il concetto di work in progress, basta leggere le considerazioni relative agli strumenti musicali contenute nel primo saggio, "Formazioni", per aprire una prima finestra sul suo concetto di musica. Ciascuno strumento e' una macchina priva di obiettivita', perche' ha una memoria sedimentata, fatta di tecniche, corde, martelletti, crini, padiglioni; l'accordatura della chitarra e' 'terribilmente idiomatica' e ha influenzato non solo le innumerevoli cartoline musicali dedicate alla Spagna, ma e' entrata strutturalmente nell'armonia di Ravel e di Debussy (p. 23). Di queste possibili compenetrazioni tra la storia di uno strumento e il suo possibile uso nel presente, sulle traslazioni di senso e d'uso, sono testimonianza le "Sequenze" (e gli "Chemins" che ne costituiscono una sorta di estensione) che Berio ha scritto nell'arco della sua intera attivita'. Se per il compositore e' inutile cercare una consolante teleologia o vedere la tradizione musicale come un edificio costruito nei millenni (p. 6), anche il presente rimane oscuro, indecifrabile e complesso, con tutte le sue contraddizioni. Forse anche per questo senso di fluidita', Berio non sembra aver avuto una particolare simpatia per la normativita' della comunicazione scritta, a parte forse la parentesi degli anni Cinquanta, quando promosse la rivista "Incontri musicali". Il testo di queste lezioni americane e' stato oggetto di continui ripensamenti, integrazioni e anche di versioni diverse: sicche', a volte, il testo procede per frammenti, come una conversazione, piu' che con l'argomentare incalzante di un saggio tecnico. La musica e' comunque autosufficiente, si offre a un'apertura "panoramica" di significati a cui solo i processi d'ascolto permettono di dare una direzione, un senso. * La seconda conferenza, "Tradurre la musica", si occupa dei vari modi di tradurre le opere, trascriverle e anche copiarle, un esercizio paziente a cui si sono dedicati tutti i maggiori compositori, l'unico modo forse di penetrare nei gangli vitali di un'opera. Trascrivere musica, adattarla cioe' ad altri strumenti, e' una forma di interpretazione (e Berio e' stato un sommo trascrittore), anche se l'intraducibilita' di certe opere letterarie (per esempio Finnegan's Wake) ci indica una dimensione paragonabile a quella delle opere musicali del XX secolo, intessute su una rete di assonanze, rimandi e significati che una traduzione sgretolerebbe. Inutile, in ogni caso, inseguire la chimera di una grammatica musicale universale che permetta la decodifica di tutto cio' che si ascolta. * Il saggio "Dimenticare la musica" offre una via d'uscita alle stringenti direttive della storia, direttive a cui invece, secondo Berio, l'ascoltatore rimarrebbe abbrancato, anche a causa dei condizionamenti di mercato; Adorno, infatti, rimane per l'autore un punto di partenza imprescindibile, per quanto ritenga la sua visione troppo dogmatica (p. 58). La tradizione, pero', si puo' rimettere in discussione, se non altro secondo logiche combinatorie: "Mi sembra che il vero senso del divenire musicale risieda proprio nella possibilita' di un certo distacco dalla sequenza lineare e irreversibile del tempo storico". Sul futuro invece, Berio ci va fin troppo cauto, ritenendo che l'attuale amnesia acustica, dovuta al frastuono dei consumi musicali, portera' probabilmente a una diversa definizione dell'autorita' dell'opera; un processo, in realta', molto piu' avanzato di quanto il compositore non lasci intuire, anche negli anni in cui queste conferenze vennero redatte. * La quarta conferenza, "O alter Duft", e' dedicata a una certa nostalgia per l'epoca appassionata dell'opera aperta, agli anni Cinquanta e Sessanta, in cui la figura di Cage irruppe nel panorama europeo, gettando un certo scompiglio. Si parla di opera aleatoria e stocastica, quest'ultima "con le caratteristiche globali di un attraente e inarrestabile evento naturale", ma carente nei dettagli, senza "la completezza, la necessita' e la dignita'" di un'opera d'arte (p. 70). Vero, ma anche i muri acustici di Coro dello stesso Berio si potrebbero far rientrare in questa schiera, nonostante la ripresa in esso delle tecniche compositive degli africani Banda Linda: gli autori vogliono bene alle proprie opere e sarebbe troppo chiedere un'autocritica. Le ricerche sui "suoni nuovi" - che hanno assillato fino allo sfinimento schiere di autori e interpreti e qualche ascoltatore - vengono giustamente liquidate come "segnali pubblicitari di un pensiero musicale inesistente" (p. 15). E viene sottolineata la "coincidentia oppositorum" dei due estremi dell'avanguardia degli anni Cinquanta-Sessanta: l'estremo rigore formale dei procedimenti combinatori dei post-weberniani e l'alea di Cage, buona oggi, secondo l'autore, come strumento didattico. * E l'ascoltatore? Non e' assente, nelle pagine di Berio, ma se ne sta sullo sfondo, seduto su una poltrona forse troppo comoda, tale da indurre una certa sonnolenza. I modi d'ascolto sono infiniti, imprevedibili, al compositore sembra decisamente un argomento da trascurare. Quando, nel quinto saggio "Vedere la musica", Berio affronta il problema del teatro musicale e della sua concezione teatrale, post-brechtiana e decostruttiva, egli rimarca che gli "orizzonti di attesa" del consumatore non sono degni di interesse, anzi le aspettative dello spettatore vanno decisamente frustrate. Un problema delicato, aperto, che rischia di concludersi con risposte troppo facili di opposto segno. * L'ultimo colloquio "Poetica dell'analisi", verte sui rapporti tra la dimensione creativa e quella analitica della musica. Osserva Berio, che ogni asserzione che riguarda la musica si puo' rovesciare nel suo contrario, forse proprio perche' di musica non si puo' mai davvero parlare. Senza dire nulla di nuovo, il compositore sottolinea il fatto che il rapporto con l'opera e' come un foglio di carta bianca e l'analisi e' un esercizio, forse un'arte, ma guai a pensare di aver trovato soluzioni definitive. * L'apparato fotografico incluso nel libro racconta una storia a se', quella del giovane Berio speranzoso, poi alle prese con il nastro magnetico per un'opera elettroacustica, assieme a Cathy Berberian interprete dei Circles e dei Folk Songs; durante le prove di quello che, con Ofanim, e' il capolavoro indiscusso del compositore ligure, Sinfonia; in compagnia di Stockhausen, del grande Maderna - forse l'unico, vero compagno di strada di Berio - o del "todopoderoso" Boulez, altrettanto discusso e criticato per la sua gestione accentratrice fino, appunto, alla versione "tycoon" in doppiopetto e avana degli ultimi anni a Santa Cecilia. * Fa un certo effetto non trovare nell'indice analitico del libro i vecchi amici degli anni Cinquanta, Maderna e Nono. Di italiani ci sono solo Verdi e Vivaldi, a dovuta distanza dai problemi della contemporaneita'. Una citazione di Brecht, ripresa da Berio, potrebbe aprire un discorso sulle attuali condizioni della musica cosiddetta contemporanea in Italia: "E' forse possibile che l'opera come genere sopravviva solo perche' esistono teatri d'opera e perche', come diceva Bertold Brecht, i teatri devono in ogni caso lavorare ogni sera?". Anche i compositori di musica contemporanea vorrebbero far sentire le loro opere, stritolati tra un pubblico che non li ascolta e le quattro multinazionali che dominano il mercato e che, e' inutile dirlo, guardano da tutt'altra parte. I compositori attivi in Italia si aggirano sul migliaio, ma quelli che vivono con i proventi della propria musica si contano a malapena sulle dita delle mani. Insegnano, lavorano nelle istituzioni o come operatori culturali, svolgono altre professioni, vanno all'estero. Lo stesso destino che accomuna tanti bravi strumentisti. Scomparsi i grandi - Berio e' stato certamente l'ultimo - ci resta un panorama desolante di piccole consorterie stilistiche, conflitti di interessi, tronfie autocelebrazioni e ammiccanti scappatoie postmoderne. Le associazioni si contendono le briciole dei finanziamenti pubblici, gia' decurtati, che i teatri d'opera lasciano loro. Un mercato inesistente per una specie a forte rischio d'estinzione. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1339 del 27 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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