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La domenica della nonviolenza. 79
- Subject: La domenica della nonviolenza. 79
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 25 Jun 2006 10:40:42 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 79 del 25 giugno 2006 In questo numero: 1. Peppe Sini: Ora o mai piu' 2. Gustavo Zagrebelsky: Le pulsioni profonde 3. Ida Dominijanni intervista Stefano Rodota' 4. Domenico Gallo: Costituzione o barbarie 5. "Quattro ragioni per un no". Un appello 6. Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato": No 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: ORA O MAI PIU' Se tra oggi e domani la maggioranza degli elettori che si recheranno alle urne per il referendum sul colpo di stato (e gia' scrivere questa verita' rivela l'assurdta' e la tragedia del momento presente) non voteranno per difendere la Costituzione della Repubblica italiana dall'assalto dei fascisti, dei razzisti e dei mafiosi, tutto sara' perduto. Nuovamente Giacomo Matteotti sara' massacrato, nuovamente Carlo e Nello Rosselli periranno sotto i colpi dei sicari, nuovamente. * Il referendum e' l'ultimo baluardo: se vincessero i golpisti la Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza sarebbe infranta per sempre. Di nuovo la barbarie dilagherebbe nel nostro paese. Oggi e domani occorre recarsi tutte e tutti alle urne per votare no al colpo di stato, no al fascismo, no al razzismo, no alla mafia e ai suoi manutengoli. * E chi ancora non lo avesse fatto, tra quanti hanno chiara nozione della posta in gioco, del compito dell'ora, del dovere non eludibile e non procrastinabile, ebbene, cerchi oggi i parenti e gli amici, cerchi oggi i colleghi e i vicini, cerchi oggi i conoscenti e i compagni di un giorno o di una vita, cerchi oggi le persone per le quali la sua parola e' autorevole e amata, e tutte le preghi di interrompere ogni altra cosa, e di recarsi alle urne. Alle urne, a votare no al colpo di stato, no al fascismo, no al razzismo, no alla mafia e ai suoi manutengoli. * A votare no. O adesso o mai piu'. 2. REFERENDUM. GUSTAVO ZAGREBELSKY: LE PULSIONI PROFONDE [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri ridiffondiamo il seguente intervento apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 23 giugno 2006. Gustavo Zagrebelsky, nato nel 1943 a San Germano Chisone (To), illustre costituzionalista, docente universitario, giudice della Corte Costituzionale (e suo presidente, quindi presidente emerito); componente dei comitati scientifici delle riviste "Giurisprudenza costituzionale", "Quaderni costituzionali", "Il diritto dell'informazione", "L'Indice dei libri", e della Fondazione Roberto Ruffilli; socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, gia' collaboratore del quotidiano "La Stampa"; per la casa editrice Einaudi dirige la collana "Lessico civile"; autore di vari volumi e saggi, ha collaborato al commentario alla Costituzione italiana diretto da Giuseppe Branca. Tra i suoi numerosi lavori segnaliamo particolarmente Amnistia, indulto e grazia. Problemi costituzionali,1972; Manuale di diritto costituzionale. Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, 1974, 1978; La giustizia costituzionale,1978, 1988; Societa', Stato, Costituzione. Lezioni di dottrina dello Stato, 1979; Le immunita' parlamentari, Einaudi, Torino 1979; Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992; Questa Repubblica, Le Monnier, Firenze 1993; Il "crucifige" e la democrazia, Einaudi, Torino 1995; (con Pier Paolo Portinaro e Joerg Luther, a cura di), Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino 1996; La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna 1996; (con Carlo Maria Martini), La domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003; (a cura di), Diritti e Costituzione nell'Unione europea, Laterza, Roma-Bari 2003, 2005; (con M. L. Salvadori, R. Guastini, M. Bovero, P. P. Portinaro, L. Bonanate), Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; Imparare la democrazia, Gruppo editoriale L'Espresso, Roma 2005; Principi e voti, Einaudi, Torino 2005] Le costituzioni sono costruzioni, ma queste costruzioni, come anche quella cui tanto volonterosamente e a lungo si e' dedicata la nostra ingegneria costituzionale, presentano sempre un aspetto, per cosi' dire, naturalistico che non risulta aver attirato l'attenzione che merita. Eppure, proprio su questo, in ultima analisi, ci pronunceremo tra breve e sara' un pronunciamento che conterra' un giudizio, oltre che sulla costituzione che ci viene proposta, anche su noi stessi. L'espressione "aspetto naturalistico" si riferisce a quella che i classici denominavano l'indole costituzionale dei popoli. Le costituzioni dei popoli intuitivi e sentimentali non possono essere quelle dei popoli ragionatori e speculativi; le costituzioni dei popoli molli e pigri, non quelle dei forti e laboriosi; dei pessimisti e fatalisti, non quelle degli ottimisti e fieri; degli attivi e coraggiosi, non quelle dei passivi e paurosi; dei dissipatori, non quelle dei parsimoniosi. Un despota, per esempio, e' necessario per coloro che, dovendo cogliere una banana, pensano, invece di arrampicarsi, di tagliare il banano alla radice. La democrazia non e' adatta ai popoli che cercano favori piuttosto che diritti, che scansano le responsabilita' invece che cercarle. Accogliere nei Paesi freddi il lusso e i molli costumi degli Orientali, si e' anche detto, significa darsi le loro catene. Non lasciamoci fuorviare dall'apparente ingenuita' di queste contrapposizioni settecentesche. Esse contengono una profonda verita': la piu' perfetta opera di ingegneria costituzionale potrebbe non valere nulla se ignora o contraddice i caratteri naturali del popolo che si vuole costituzionalizzare. "Le costituzioni sono simili alle vesti: e' necessario che ogni individuo, che ogni eta' di ciascun individuo abbia la sua propria, la quale se tu vorrai dare ad altri, stara' male. Non vi e' veste, per quanto sia mancante di proporzioni nelle sue parti, la quale non possa trovare un uomo difforme cui sieda bene; ma se vuoi fare una sola veste per tutti gli uomini, ancorche' sia misurata sulla statua modellaria di Policlete, troverai sempre che il maggior numero e' piu' alto, piu' basso, piu' secco, piu' grasso, e non potra' fare uso della tua veste". Parole di Vincenzo Cuoco contro il progetto di costituzione napoletana del 1799 che egli considerava un arbitrario tentativo di trasposizione di astratte idee costituzionali dalla Francia dell'epoca (Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Bari, 1913, p. 218). I nostri ingegneri e sarti costituzionali probabilmente non si saranno nemmeno posti il problema. Forse, non saranno neppure stati sfiorati dal dubbio che questo sia un punto importante sul quale saranno giudicati. Piu' probabilmente ancora, si saranno lasciati condizionare inconsapevolmente dalla presunzione che la nostra indole sia come la loro. Ma noi, nel momento in cui ci viene chiesto di pronunciarci per mezzo del referendum, e' proprio questa la domanda che ci poniamo: se siamo o, meglio, se vogliamo essere quello che essi presumono che siamo; se siamo o vogliamo essere come credono loro. * Quali sono dunque le pulsioni profonde che la riforma costituzionale viene a solleticare o lusingare? a) Innanzitutto la servilita'. Un popolo e' servile se si rallegra di poter scegliere, ogni cinque anni, un capo al quale conferire poteri illimitati. Non sembri una sintesi esagerata. Questo nuovo capo e' denominato "primo ministro", ma il potere personale che questo nome innocente indica e' tale da far paura. Egli dispone dei ministri a suo piacimento, nominandoli quando gli sono graditi e revocandoli quando gli diventano sgraditi. A suo piacimento dispone anche dei rappresentanti del popolo perche' ogni dissenso nei suoi confronti si puo' concludere con il loro licenziamento, lo scioglimento della Camera e nuove elezioni: il diritto di critica e' dunque ammesso, ma chi lo eserciterebbe, quando il prezzo e' il suicidio? Non puo' invece accadere il contrario, cioe' che siano i rappresentanti del popolo a licenziare il capo e a sostituirlo con un altro. Questa ipotesi e' bensi' prevista, ma come pura ipotesi di fantasia: occorrerebbe un voto a maggioranza assoluta dell'Assemblea, senza l'apporto dell'opposizione, cioe' da parte della stessa compatta compagine che fino ad allora e' stata al seguito del capo. Il che e' quanto dire che non potrebbe realizzarsi mai. Si dira': prima di parlare di regime autoritario, si noti almeno che questo capo e' pur sempre scelto con un'elezione, ogni cinque anni. Ma cio' significa solo che quel popolo che se ne rallegrasse, lo farebbe perche' trova gioia nel ripetersi, cioe' nell'insistere nella sua servilita'. Varrebbero le parole che Rousseau indirizzava al popolo inglese del suo tempo: "pensa di essere libero, ma si sbaglia di grosso. Non lo e' che durante l'elezione dei membri dei Parlamento. Appena sono eletti, e' schiavo, non e' nulla. Nei brevi momenti della sua liberta', per l'uso che ne fa merita di perderla" (Contratto sociale, libro III, c. XV). * b) In secondo luogo, l'insicurezza e l'aggressivita', degli uni verso gli altri. Ogni elezione di capo dai poteri illimitati tramite un'investitura popolare trasformerebbe l'elezione in conflitto in cui ciascuno avrebbe tutto da sperare ma anche tutto da temere, a seconda dell'esito. La propria sopravvivenza sarebbe legata alla soccombenza degli avversari e cosi' l'insicurezza si esprimerebbe in aggressione. L'ultima tornata elettorale cui abbiamo assistito sgomenti gia' ci ammonisce come una sia pur parziale primizia. Gli strumenti dello scontro sarebbero i piu' rozzi, irrazionali e semplicistici: amore-odio, bene-male, amici-nemici. "Ecrasez l'infame!" potrebbe diventare la parola d'ordine dei due schieramenti che si demonizzano reciprocamente. Ne' potrebbe farsi troppo conto sulle istituzioni di controllo, per mitigare i poteri del vincitore e, con cio' stesso, l'asprezza del confronto. Questo accade in effetti in diversi regimi, dove pure i cittadini eleggono il capo del loro governo. Ma la' esistono pesi e contrappesi, tradizioni e cultura politica che ne bilanciano il potere. E da noi? Il Presidente della Repubblica e' reso dalla riforma una figura marginale. La Corte costituzionale, con una modifica della sua composizione, viene allineata alla maggioranza politica. La magistratura, al di la' delle riforme che la riguardano, sarebbe intimorita da una concentrazione di potere politico, collegata all'investitura popolare diretta, sconosciuta negli altri Paesi che si dicono democratici. L'uguaglianza di fronte alla legge, che gia' non e' propriamente il punto di forza delle nostre istituzioni, si ridurrebbe a principio-beffa. Il Parlamento, infine, abbiamo gia' visto essere reso nullo nella sua funzione, che e' sempre stata la sua essenziale, di garanzia contro gli abusi del governo. Quando gli assurdi rapporti tra Camera e Senato previsti dalla riforma glielo consentissero, legifererebbe, ma sempre e solo agli ordini del capo del governo. Ogni appuntamento elettorale, data l'enormita' della posta in gioco, si risolverebbe in dramma o in tragedia. Piu' che la Gran Bretagna, la Francia o la Spagna, ci darebbero il benvenuto taluni Paesi del Sud America o dell'ex-blocco sovietico. * c) Lo spirito cortigiano. La riforma promette un'alternanza tra lo scontro elettorale e il ruere in servitium, a cose fatte. Si potra' deplorare la disposizione a cambiare casacca a seconda del momento ma, d'altra parte, che cosa si puo' pretendere quando il vincitore puo' tutto, da lui dipendono la fortuna o la rovina della tua azienda, della tua banca, del tuo giornale, della tua casa editrice, della tua carriera? Se e fino a quando sei nelle sue mani, cercherai di ingraziartelo, almeno fino al momento in cui, pensando che stia per cadere in disgrazia, non hai piu' nulla da ottenere o da temere da lui. Quando nuovi capi sono all'orizzonte, i cortigiani che ti hanno adulato diventano serpenti velenosi. * d) L'atteggiamento impolitico e qualunquista. Nessun Parlamento al mondo e' tanto umiliato quanto quello che deriverebbe dalla riforma. Non controlla ma e' controllato; se legifera, lo fa per conto altrui; se si permette di dissentire, e' sciolto. Data la sua marginalita', potrebbe anche essere soppresso o sostituito da un'astratta attribuzione di millesimi, come nei condomini, a ciascuna delle parti in campo. Se non lo e', forse e' perche' esso rappresenta ancora un'immagine potente e carica di storia della liberta' politica ed eliminarlo sarebbe stato un po' troppo forte; o, forse, e' anche perche', ridotto in questa umiliazione, simboleggia come un trofeo la vittoria delle forze e delle mentalita' antiparlamentari: quella vittoria gia' iscritta nell'attuale, recente legge elettorale, che ha trasformato in molti casi i rappresentanti del popolo in ignote propaggini di dosaggi di potere, clientele e familismi di partito. Non sono pochi, del resto, coloro che intendono l'annunciata diminuzione del numero dei parlamentari, operativa - se mai lo sara' = solo tra molti anni, come un ammiccamento all'eterno qualunquismo latente nel nostro Paese. * e) Il provincialismo pessimista e ripiegato su se stesso. "A casa mia": e' il motto di chi crede a quella cosa che la riforma definisce federalismo (il federalismo e' l'apertura della piccola patria a una patria piu' grande) ed e' invece ripiegamento su se stessi, timore per l'ignoto, aggressivita' verso chi viene creduto diverso, comunitarismo organico: l'esatto contrario del federalismo. I giuristi hanno ripetutamente spiegato che nelle norme della cosiddetta devolution c'e' molto piu' centralismo che non federalismo. Diverse competenze sono state ritrasferite al centro e il "federalismo fiscale" e' reso una beffa dalla norma che vieta "in tutti i casi" all'autonomia impositiva delle Regioni (e degli enti locali) di determinare incrementi della pressione fiscale complessiva. Anche le competenze regionali "esclusive" - assistenza e organizzazione sanitaria, organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione e polizia amministrativa regionale e locale - devono pur sempre coesistere con le competenze statali, anch'esse "esclusive", circa i livelli essenziali delle prestazioni in campo sanitario, le norme generali sull'istruzione e la tutela della salute, nonche' l'ordine pubblico e la sicurezza. Ma, evidentemente, quello che conta, in questo caso, non e' la realta' giuridica ma e' il messaggio "culturale" di chiusura e ostilita' verso il diverso. Della nostra salute, della istruzione dei nostri figli, della nostra sicurezza ci occupiamo noi perche', per l'appunto, sono cose di casa nostra. La violenza concreta di questo atteggiamento, tuttavia, non tarderebbe poi a farsi sentire, ben al di la' di quel che le norme costituzionali (per ora) contengono. * Riassumiamo. L'indole costituzionale che la riforma solletica, lusinga, blandisce e' questa: servilita', insicurezza e aggressivita', spirito cortigiano, antipolitica e qualunquismo, provincialismo ripiegato su se stesso. Occorrerebbero troppe parole, ma sarebbero del tutto superflue, per mostrare come questi spiriti, politicamente molto ben definiti, siano agli antipodi rispetto a quelli su cui si fonda la Costituzione che viene dall'Assemblea costituente del 1946-1947. Ma riprendiamo la domanda iniziale: siamo disposti a riconoscerci in questa nuova, o forse antica indole che vogliono attribuirci? Il referendum ci interpella su questo, dunque su noi stessi, molto prima che sui contenuti giuridici. Posta cosi' la questione, si puo' sperare che in molti si avverta la necessita' di una reazione a una proposta che e' un tentativo di seduzione dei lati peggiori del nostro carattere e di oltraggio ai suoi lati migliori. I cittadini hanno il diritto di esprimersi su questa domanda e la nostra classe politica ha il dovere di non alterare la loro risposta. Da piu' parti si insiste invece sul fatto che, quale che sia il risultato del referendum, le due parti dovranno subito dopo trovare l'accordo "per una riforma condivisa", per esempio in una Assemblea o una Convenzione costituenti. Il si' e il no conterrebbero entrambi una clausola sottintesa: poi ci si mettera' d'accordo. Ma su che cosa? Questo e' un parlare ambiguo. Su quale terreno ci si vorra' muovere? in base a quale spirito? Una cosa e' lavorare per la Costituzione che abbiamo; una cosa opposta e' lavorare per la Costituzione che non vogliamo avere. Si tratta di promuovere due spiriti pubblici, due indoli costituzionali del tutto incompatibili. La condivisione, in questa situazione, nasconderebbe inganni. Anche i tentativi di puro miglioramento tecnico cadono davanti a questa alternativa. 3. REFERENDUM. IDA DOMINIJANNI INTERVISTA STEFANO RODOTA' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 giugno 2006. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005. Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006] Con Stefano Rodota' non c'e' bisogno di tornare sul giudizio negativo sulla controriforma costituzionale della Cdl [sigla per "casa delle liberta'", il grottesco e fraudolento pseudonimo autoattribuitosi dalla coalizione berlusconiana - ndr], pubblicamente espresso da lui piu' e piu' volte. Ragioniamo invece sull'alternativa conservazione-innovazione che da anni monopolizza il dibattito sulla riforma costituzionale, schiacciando sul polo negativo della conservazione chi difende la Carta del '48 e sul polo positivo dell'innovazione chi vuole riformarla e in qualsiasi modo. Una semplificazione irritante che riflette sulla materia costituzionale la logica altrettanto semplificante vecchio/nuovo che dall'89 in poi pervade il dibattito politico italiano. * - Ida Dominijanni: Ti iscrivi al partito dei conservatori? - Stefano Rodota': Senz'altro si'. Se essere conservatori significa presidiare i fondamenti della nostra democrazia che oggi sono in gioco, i valori e i principi ispiratori del patto fra i cittadini, le garanzie di liberta', sono un conservatore. Se essere conservatori significa opporsi al "pensiero debolissimo" degli ultimi anni, un pensiero dimissionario di ogni elaborazione autonoma e pronto a lasciarsi attraversare e a farsi dettare l'agenda da tutto quello che viene dal campo opposto, sono un conservatore. Un "nobile conservatore", come si dice ora a mo' di insulto. * - Ida Dominijanni: Ma su questo tutti, a sinistra e a destra, sarebbero pronti a dirsi d'accordo. Da anni si dice: i valori e i principi, cioe' la prima parte della Costituzione, non si toccano, pero' bisogna cambiare la seconda parte, cioe' l'ordinamento. E infatti formalmente la riforma della Cdl riscrive la seconda parte, ma non tocca la prima... - Stefano Rodota': Formalmente no, in realta' la tocca eccome: la devolution fa a pezzi il principio di uguaglianza. Ma non e' solo questo il punto. Prima e seconda parte della Costituzione non si possono separare con un taglio netto. La prima parte, quella dei valori, dei diritti e delle liberta', e' una tavola di riferimento, un progetto da realizzare, serve a dare il tono ai programmi politici: e' questo il lascito del costituzionalismo novecentesco. Dire formalmente che non la si tocca per poi tradirla nella legislazione ordinaria e' il modo migliore e piu' strisciante per passarci sopra coi cingoli. Ed e' precisamente quello che sta avvenendo. Quando con la legge 40 si vieta l'accesso alle tecnologie riproduttive alla "donna sola", si legifera contro l'articolo 3 della Costituzione. Quando si attacca l'autonomia della magistratura, si legifera contro il sistema dei diritti e le garanzie della loro applicazione. E' sulla legislazione ordinaria,non meno che sulla riforma costituzionale, che si sta giocando la partita sui principi fondamentali. * - Ida Dominijanni: Tuttavia l'innovazione continua a essere sbandierata come un valore in se' positivo. Di che tipo e' stata l'innovazione costituzionale proposta in questi anni? - Stefano Rodota': E' stata un'innovazione che invece di incidere sui punti deboli della Costituzione ha puntato a modificare il profilo della nostra democrazia. Che e' una democrazia rappresentataiva, con pesi, contrappesi e garanzie che la immunizzano da derive plebiscitarie, e tale deve rimanere. Invece l'innovazione costituzionale che va per la maggiore considera la decisione il bene supremo, a scapito della rappresentanza. Non va dimenticato il ruolo che ha giocato in questa deriva il cambiamento della legge elettorale e l'introduzione del maggioritario col referendum del '93. All'epoca mi schierai contro - ero per il modello tedesco - e oggi penso che i tempi siano maturi per un ripensamento critico anche in chi fu a favore. Continuare a sostenere che ci abbiamo guadagnato il bipolarismo significa ignorare il fatto che con il maggioritario il sistema istituzionale ha funzionato in modo da avvantaggiare Berlusconi. E' col maggioritario che si diffonde, anche a sinistra, l'idea che le elezioni hanno una funzione di investitura del capo, il quale puo' fare quello che vuole, dopodiche' al turno elettorale successivo gli elettori possono mandarlo a casa. In pochi anni siamo diventati quello che Rousseau temeva, "liberi il giorno delle elezioni e schiavi tutti gli altri giorni". * - Ida Dominijanni: E' cattiva innovazione dunque quella basata sulla governabilita', la decisione, la verticalizzazione del potere a scapito della rappresentanza. C'e' invece una innovazione buona? - Stefano Rodota': E' buona innovazione quella coerente con la prima parte della Costituzione, volta a sviluppare la partecipazione - ad esempio con il diritto di petizione e di iniziativa popolare -, e scevra dalla pretesa di sfigurare o deprimere il carattere parlamentare della Repubblica. * - Ida Dominijanni: Ammesso che al referendum vinca il No, quante possibilita' vedi che il centrosinistra segua una pista di questo tipo? - Stefano Rodota': Prima che alle forze politiche, bisogna prestare ascolto a quello che dicono i garanti della Costituzione, a cominciare dal presidente della Repubblica. E Napolitiano di recente ha detto una cosa importante: che sulla riforma costituzionale il confronto va ripreso in parlamento. Il che esclude l'assemblea costituente e anche un'ennesima bicamerale, e restituisce alla sua sede propria il compito di manutenzione della Costituzione. Anche il percorso delineato dal ministro per le riforme, Vannino Chiti, mi pare corretto: per prima cosa si riformi il 138, aumentando il quorum necessario in parlamento per riformare la Costituzione. Poi si dovrebbero individuare le materie indisponibili alla revisione, seguendo le indicazioni di una importante sentenza della corte costituzionale. Dopodiche' si puo' passare a ripulire la riforma del titolo V fatta dal centrosinistra, che e' stata anch'essa sbagliata nel metodo e nel merito, e a riformare il bicameralismo, che ne ha bisogno. E a rifare la legge elettorale, materia extracostituzionale ma rilevantissima per le conseguenze sulla forma di governo e sul sistema dei poteri nel suo insieme. * - Ida Dominijanni: Sostieni giustamente che bisogna riportare il processo di manutenzione costituzionale al parlamento. Pero' non possiamo nasconderci che da svariate legislature il parlamento non brilla per competenza e tecnica giuridica. Anche questo e' un problema, o no? - Stefano Rodota': Si', ma non lo si puo' risolvere spostando altrove una funzione che deve restare sua. Non mi piace l'idea della "convenzione" di politici ed esperti che e' venuta fuori di recente. Sarebbe un'ennesima commissione con poteri redigenti, che elabora un progetto di riforma complessiva di fronte al quale il parlamento alla fine deve prendere o lasciare. Basta con la logica del "pacchetto" di riforme: la Costituzione si modifica in parlamento, con interventi puntuali e puntiformi. In un parlamento, mi auguro, aperto all'ascolto di competenze e contributi esterni, che certo saranno piu' vivaci ora che col referendum l'opinione pubblica sembra essersi un po' risvegliata. * - Ida Dominijanni: Tu hai partecipato da protagonista alla stesura della Carta dei diritti europea. Non pensi che una revisione della Costituzione sia necessaria anche per raccordarla al processo costituente europeo? - Stefano Rodota': No.E non vorrei che accadesse su scala europea quello che e' gia' accaduto su scala nazionale, e cioe' che il discorso sulla riforma della Costituzione servisse a supplire una mancanza di iniziativa politica o a coprire problemi politici. Quello che e' importante e' che il processo politico di costruzione dell'Unione europea riparta, e che la Carta dei diritti acquisti valore vincolante per tutti gli stati membri: l'Italia ne trarrebbe giovamento. * - Ida Dominijanni: Tu sei anche il giurista italiano piu' sensibile alle questioni di bioetica. Non pensi che in materia alcuni principi andrebbero inseriti in Costituzione? - Stefano Rodota': No, non credo che sia necessario e mi parrebbe anche politicamente inopportuno. Su molte questioni di bioetica - il consenso informato ad esempio - l'articolo 2 della Costituzione, relativo allo sviluppo della personalita', ci da' una bussola sufficiente. Su altre - ad esempio la clonazione - basta la Carta europea dei diritti, su altre soccorre la convenzione europea sulla biomedicina. C'e' materia giuridica quanto basta. 4. REFERENDUM. DOMENICO GALLO: COSTITUZIONE O BARBARIE [Dal sito www.salviamolacostituzione.net riprendiamo il seguente intervento del 22 giugno 2006. Domenico Gallo (per contatti: domenico.gallo at tiscali.it), illustre giurista, e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto saggista, gia' parlamentare, tra gli animatore dell'Associazione nazionale giuristi democratici; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985; Millenovecentonovantacinque, Edizioni Associate, Roma 1999; (a cura di, con Corrado Veneziano), Se dici guerra umanitaria. Guerra e informazione. Guerra all'informazione, Besa, 2005; (a cura di, con Franco Ippolito), Salviamo la Costituzione, Chimienti, Taranto 2006. Vari suoi scritti sono disponibili nel sito www.domenicogallo.it] A pochi giorni dal voto, senza timore di semplificazioni, ma per amore di verita' occorre che sia chiaro che quello che rende veramente diverso e straordinario il referendum del 25-26 giugno da tutti gli altri e' il valore straordinario della posta in gioco: la Costituzione. Infatti la legge costituzionale che saremo chiamati a giudicare con il referendum, alla quale e' stato impropriamente attribuito l'appellativo di "devolution", non si limita a correggere o modificare qualche aspetto della Costituzione vigente, ma riscrive completamente la seconda parte della Costituzione, sostituendo l'ordinamento democratico della Repubblica con un nuovo ordinamento, che si pone profondamente in contraddizione con i principi democratici e di liberta', affermati nella Costituzione italiana. In realta' la cosiddetta "devolution" sostituisce la Costituzione italiana, scritta dall'Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946, con una nuova costituzione scritta dall'ex Ministro Calderoli per conto di Bossi, Fini e Berlusconi. Ma la Costituzione italiana non e' stata scritta sulla sabbia e non puo' essere cancellata come se si trattasse di una normale opzione politica. Essa e' stata scritta con il concorso di tutte le forze democratiche del nostro paese, mettendo a frutto le dure lezioni della storia. Nasce da una trama di sofferenze e dalla passione per la liberta' di tutti coloro che attraverso la Resistenza si sono battuti per la pace, la liberta' e la democrazia nel nostro paese. * Con la Costituzione e' stato costituito un patrimonio di beni pubblici repubblicani, destinato anche alle generazioni future, di cui tutti gli italiani sono titolari. In virtu' della Costituzione, anche il piu' povero degli italiani nasce ricco. Perche', fin dalla nascita, e' titolare di un patrimonio di beni pubblici, che non sono assicurati sempre a tutti, ed in ogni ordinamento. La Costituzione ci fa nascere liberi, con il diritto al godimento delle liberta' civili ed alla tutela dei diritti fondamentali della persona. Ci protegge da ogni forma di dispotismo e da ogni attentato alla nostra liberta', grazie all'esistenza di raffinati strumenti di garanzia (giudici indipendenti e Corte Costituzionale, pluralismo istituzionale e divisione dei poteri). La Costituzione ci assicura l'eguaglianza. Ci protegge da ogni discriminazione, ed impegna i pubblici poteri a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona. La Costituzione ci garantisce il diritto alla vita, proteggendoci dal flagello della guerra ed assicurandoci una intensa tutela della salute, attraverso un Servizio sanitario nazionale, di cui siamo tutti titolari. La Costituzione garantisce a tutti il diritto all'istruzione, e assicura ai capaci e meritevoli il diritto di raggiungere i gradi piu' alti degli studi. La Costituzione ci rende cittadini e non sudditi, chiamando tutti i cittadini ad associarsi per concorrere a determinare la politica nazionale, consentendoci di partecipare alle scelte fondamentali che riguardano i nostri bisogni ed i nostri interessi attraverso gli istituti della democrazia rappresentativa. La Costituzione ci protegge dal ritorno al passato, istituendo un ordinamento democratico, fondato sulla divisione e distribuzione dei poteri, che rende impossibile ogni forma di dittatura. * Per superare timori diffusi nel corpo elettorale, i sostenitori della controriforma della Costituzione si sono sbracciati ad assicurarci che le nuove regole costituzionali non modificano la prima parte della Costituzione e non pregiudicano i diritti e le liberta' che la Costituzione italiana garantisce a tutti i cittadini. Questo non e' assolutamente vero! I diritti e le liberta' non esistono in natura: sono creature artificiali. Possono essere attuati, riconosciuti, garantiti e sviluppati soltanto attraverso il funzionamento delle istituzioni e dei pubblici poteri. Per esistere, pertanto, hanno bisogno di un ordinamento democratico, di un assetto dei pubblici poteri che, attraverso meccanismi istituzionali adeguati, dia loro concretezza, protezione e tutela adeguata. Orbene la controriforma, attraverso la "devolution", pregiudica due diritti sociali fondamentali, come il diritto alla salute ed il diritto all'istruzione, mettendo a repentaglio la stessa unita' sociale e politica del paese. Attraverso la modifica della forma di governo pregiudica ed indebolisce sia i diritti a contenuto sociale, sia i diritti di liberta'. Nel momento in cui cambia il ruolo e le funzioni della Camere e la Camera dei Deputati viene posta sotto la tutela di un Capo politico onnipotente, le garanzie che presidiano i diritti dei cittadini italiani risultano notevolmente affievolite. La loro sorte, infatti, dipendera' dagli umori e dall'orientamento politico di un solo uomo, il Primo Ministro, e non sara' piu' affidata alla garanzia di un Parlamento effettivamente rappresentativo del pluralismo delle domande e dei bisogni sociali, di un Presidente della Repubblica autorevole, di una Corte Costituzionale intransigente e di una magistratura realmente indipendente dal potere. Di conseguenza la riforma costituzionale voluta dalla destra ci deruba del patrimonio di beni pubblici repubblicani che i costituenti ci hanno lasciato in eredita' a garanzia della liberta', della dignita', della felicita' e della vita stessa di ciascuno di noi. * La Costituzione e' frutto della nostra storia ed in essa c'e' dentro la nostra identita'. Anzi, essa ha contribuito a formare l'identita' nazionale, per cui oggi non e' possibile pensare al popolo italiano separato dai suoi istituti di liberta', dal grande pluralismo dei corpi sociali, dalla distribuzione dei poteri, dalla partecipazione popolare, dalla passione per il bene pubblico. La riforma della Costituzione colpisce l'identita' stessa del popolo italiano come comunita' politica, distruggendo quell'ordinamento attraverso il quale si sostanzia la democrazia e si garantisce il rispetto della dignita' umana alle generazioni future. In questo modo, demolendo le istituzioni della democrazia, si disfa l'Italia, trasformando il popolo italiano in un aggregato di individui in perenne competizione tra loro. * Il referendum e' l'ultima occasione per salvare i beni pubblici che i costituenti hanno donato al popolo italiano, facendo tesoro delle dure lezioni della storia. Non ci sara' una prova d'appello per la democrazia italiana! Se la riforma dovesse passare, la Costituzione italiana sarebbe cancellata ed il suo patrimonio di liberta' e di diritti disperso per sempre. La scelta che siamo chiamati a compiere con il referendum e' cruciale per il destino del nostro Paese, com'e' stata a suo tempo la Resistenza. Oggi, come allora, e' necessario ritrovare lo stesso spirito, la stessa coscienza di un dovere civile da adempiere: sconfiggere il progetto di demolizione della Costituzione, votando "no" al referendum per ricostruire il primato della convivenza civile orientata al perseguimento del bene comune, fondamento morale senza il quale non puo' vivere una democrazia. 5. REFERENDUM. "QUATTRO RAGIONI PER UN NO". UN APPELLO [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo] Il 25 e il 26 giugno gli italiani sono chiamati a votare per approvare definitivamente o respingere la riforma costituzionale varata nella scorsa legislatura dal centrodestra. Noi siamo a favore del no. E lo siamo per quattro ragioni fondamentali. La prima: la riforma e' tecnicamente sgangherata e malscritta, getta lo scompiglio tra i poteri dello stato, configura un bicameralismo asimmetrico che rischia di creare un pericoloso contenzioso tra le due camere, disegna non un meccanismo di "checks and balances", ma un sistema di ricatti reciproci, prevede un federalismo centrifugo che metterebbe a repentaglio l'unita' della Repubblica e i vincoli di solidarieta' tra le sue parti. La seconda ragione e' che si tratta di una riforma sbagliata politicamente. E' saggio che le norme fondamentali che regolano la vita collettiva siano condivise da larghe maggioranze, non imposte dall'una all'altra parte. Bocciare questa riforma significa rimettere in discussione anche lo strappo costituzionale perpetrato a suo tempo dal centrosinistra con la cosiddetta riforma federalista. La terza ragione e' che la riforma ripropone quella preminenza personale del capo dell'esecutivo che l'Italia ha gia' conosciuto al tempo del fascismo e che i costituenti avrebbero voluto scongiurare per sempre. Questa riforma dunque segna la rivincita sulla tradizione e sulle forze antifasciste che scrissero la Carta del '48 degli epigoni del fascismo, che tali rimangono pur dissimulati sotto spoglie diverse. La quarta ragione e' che la riforma e' democraticamente rischiosa: figlia di una cultura agli antipodi di quella da cui scaturi' la Costituzione, essa predispone una minacciosa concentrazione di potere nelle mani del capo dell'esecutivo, zittisce definitivamente il parlamento, rende il capo dello stato una figura decorativa, indebolisce le istituzioni di garanzia. Ecco le ragioni per cui riteniamo che questa riforma vada bocciata: senza se e senza ma. Senonche', ammesso che cio' avvenga, tutto lascia presumere che una nuova riforma verra' subito dopo messa in cantiere al suo posto. Gia' si avverte un intenso tramestio in questo senso e i primi segnali di cambiamento di metodo sono stati lanciati: non una riforma imposta dalla maggioranza alla minoranza, bensi' una riforma concordata. C'e' da rallegrarsene, pur con l'avvertenza che l'adozione di un metodo politicamente meno discutibile costituisce una rassicurazione molto debole. Specie in presenza di interventi dalle parti del centrosinistra che hanno ravvisato nella riforma pecche piu' estetiche, e metodologiche, che non di sostanza: la riforma del centrodestra sarebbe brutta, e delegittimata dal metodo con cui la si e' introdotta, ma la direzione che indica sarebbe quella giusta. Questa linea di pensiero non stupisce affatto. Trova conferma nelle riforme introdotte nell'ultimo quindicennio, con maggioranze molto larghe, negli assetti del governo locale, ove al capo dell'esecutivo e' stata assicurata una preminenza assoluta, emarginando le assemblee rappresentative, incentivando l'involuzione dei partiti a mere agenzie elettorali e abbattendo il sistema dei controlli, tra l'altro con la conseguenza di favorire una crescita incontrollata della spesa pubblica. Tra il riformismo costituzionale del centrodestra e quello di una parte del centrosinistra c'e' un'inquietante contiguita' culturale, che promette frutti avvelenati qualora, bocciata questa riforma, subito si avviasse quella successiva. Nel sottoscrivere questo appello noi vorremmo invitare le forze politiche repubblicane ad una pausa e uno sforzo di ripensamento. Le costituzioni, e le regole in genere, si possono benissimo aggiornare. Vanno tuttavia riscritte non solo tutti insieme, ma anche con consapevolezza e prudenza. A partire dalla riforma elettorale del 1993, l'Italia ha conosciuto una lunga e tormentata stagione di riforme d'ogni sorta, che hanno ridisegnato il volto delle istituzioni, a livello nazionale e locale, trasformandola in democrazia maggioritaria. Il fatto stesso che si chiedano riforme ulteriori per perfezionare la cosiddetta transizione dovrebbe tuttavia dimostrare non solo quanto insoddisfacente sia il percorso compiuto, ma come non necessariamente le riforme conseguano gli esiti promessi. Prima di accanirsi in interventi ulteriori, in nuove leggi elettorali e nuovi aggiustamenti, magari incisivi, del testo costituzionale, occorrerebbe dunque ben sapere quali esiti si vogliano conseguire, anzitutto ragionando sull'attuale stato della democrazia italiana. Una legislatura e' un tempo sufficientemente lungo per concedersi una pausa di riflessione e avviare un dibattito costruttivo, che eluda i luoghi comuni accumulatisi nell'ultimo quindicennio. Non e' fra l'altro eccessivo sostenere che al momento poco meno di meta' degli elettori si sono pronunciati a favore di partiti che disconoscono la democrazia repubblicana: secessionisti, eredi del fascismo e neopopulisti hanno piu' volte manifestato il loro profondo disprezzo per regole e principi democratici, per le minoranze, per i diritti fondamentali della persona. Cio' non significa che gli elettori condividano gesti e sentimenti di coloro per cui hanno deciso di votare. Ma sono fatti democraticamente devastanti sia la furibonda contestazione dell'esito delle elezioni del 9-10 aprile scorso, sia il comportamento incivile tenuto in parlamento in occasione dell'elezione del nuovo capo dello stato, sia la minaccia di mobilitare le piazze e di farle marciare verso Roma, sia quella di ricorrere a mezzi non democratici se il referendum bocciasse la riforma. Qualora ulteriormente ripetuti, tali gesti rischiano di inquinare irreversibilmente la cultura democratica e, per intanto, stanno a indicare un problema che prima ancora di essere istituzionale e' politico e democratico. Come si fa a ricondurre entro la legalita' repubblicana una parte cosi' cospicua del sistema politico? Ed e' immaginabile di sancire istituzionalmente la preminenza del capo dell'esecutivo con la prospettiva di consegnare tale preminenza a forze politiche la cui affidabilita' democratica e' a dir poco dubbia? Prima ancora che la stabilita' e l'efficacia dell'esecutivo e la compattezza delle maggioranze di governo, il problema italiano e' l'agibilita' della democrazia. Non sara' il caso di ragionare approfonditamente della bonifica democratica della politica italiana, prima d'immaginare nuove manomissioni della Costituzione? * Umberto Allegretti, Stefano Anastasia, Gaetano Azzariti, Pietro Barrera, Francesco Bilancia, Gabriella Bonacchi, Claudio De Fiores, Alfonso Di Giovine, Mattia Diletti, Mario Dogliani, Angelo D'Orsi, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Maurizio Franzini, Giovanna Indiretto, Laura Lanzillo, Salvatore Lupo, Giacomo Marramao, Paola Masi, Alfio Mastropaolo, Enrico Melchionda, Maria Serena Piretti, Tamar Pitch, Eligio Resta, Claudio Riolo, Gianpasquale Santomassimo, Mario Tronti, Danilo Zolo, Grazia Zuffa 6. REFERENDUM. CENTRO SICILIANO DI DOCUMENTAZIONE "GIUSEPPE IMPASTATO": NO [Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it riprendiamo il seguente appello. Il Centro Impastato, diretto da Umberto Santino, e' a livello internazionale una delle piu' prestigiose esperienze di studio e di iniziativa contro la mafia. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su questo stesso foglio nei nn. 931-934. Giuseppe Impastato nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi (Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia difficile", fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Scritti di Peppino Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, seconda edizione Palermo 2003. Opere su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994. Tra le pubblicazioni recenti: AA. VV., Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film omonimo). Ma cfr. anche le molte altre ottime pubblicazioni del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"] Al referendum costituzionale del 25 e 26 giugno votiamo "no": a difesa dei principi fondamentali della Costituzione, travolti dal progetto approvato a maggioranza dal centrodestra. Votiamo "no": per rimandare ai mittenti una controriforma che sposa il razzismo della Lega con la vocazione autoritaria di Berlusconi e di Alleanza Nazionale. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 79 del 25 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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