[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Per la Costituzione
- Subject: Per la Costituzione
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 23 Jun 2006 12:04:29 +0200
=================== PER LA COSTITUZIONE =================== Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" n. 1335 del 23 giugno 2006 In questo numero: 1. Peppe Sini: La grazia del diritto, la ragione 2. Valerio Onida: Per una sana democrazia costituzionale (2005) 3. Riletture: Hannah Arendt, Vita activa 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: LA GRAZIA DEL DIRITTO, LA RAGIONE Si giunge al voto piu' importante della storia dell'Italia repubblicana in una diffusa ignoranza di cio' che e' in gioco; in una lungamente, astutamente, protervamente coltivata vile abulia, stolta disattenzione, servile e infame infingardaggine di massa. * La gran parte del ceto politico e' complice del progetto golpista berlusconiano. Non solo le truppe d'assalto del partito neofascista, del razzismo squadrista, dei gruppi legati ai poteri occulti e criminali, del regime della corruzione e dell'ideologia della rapacita', le forze che si sono coalizzate nel blocco sociale, ideologico e politico del cosiddetto centrodestra. A favorire il progetto golpista berlusconiano ha decisivamente concorso anche la complicita' del cosiddetto centrosinistra: con la pluridecennale condivisione della sciagurata retorica autoritaria del "maggioritario" e della "governabilita'" a scapito della rappresentanza, della partecipazione e della democrazia; con la condivisa legiferazione delle stolide e protofascistiche "elezioni dirette" di sindaci, presidenti delle Province e delle Regioni; con la collusa bicamerale dalemiana; e soprattutto con la scellerata riforma del titolo V della Costituzione approvata con un colpo di mano e per un pugno di voti nel 2001. Non stupisce la debolezza reticente e la fumosa ambiguita' dell'impegno per il "no" al referendum dei partiti tutti del centrosinistra; non stupisce la loro scandalosa reiterata apertura di credito ai golpisti. La cosiddetta opinione pubblica e' frastornata, manipolata e ingannata da un apparato ideologico espressione e strumento del potere dominante. Un sistema dei mass-media per il quale le partite di pallone contano piu' della democrazia rappresentativa, dello stato di diritto, della liberta' di un intero popolo. E per dirla tutta: quanto a certi autoproclamati rappresentanti della societa' civile, e a certe burocrazie in formazione e in carriera che si spacciano per "i movimenti" (qualunque cosa cio' voglia dire), non si sono neppure accorti che la casa brucia; cianciano di tutto, e sostanzialmente tacciono su cio' che piu' conta: la difesa della legalita', della democrazia e dei diritti umani messi in pericolo hic et nunc dal tentativo della destra eversiva di demolire la Costituzione della Repubblica. Quale immensa tristezza. * Quasi solo le giuriste e i giuristi hanno capito quale sia la posta in gioco ed hanno lanciato per tempo l'allarme. Ma chi li ha davvero ascoltati? Un appello drammatico e' stato sottoscritto dalla quasi totalita' dei piu' autorevoli rappresentanti istituzionali e accademici della cultura giuridica italiana: ma chi lo ha letto e meditato? Del resto sono anni che non solo la cultura giuridica accademica, ma anche e innanzitutto la quasi totalita' della magistratura italiana denuncia la continua e crescente aggressione berlusconiana allo stato di diritto, alla separazione dei poteri, ai controlli di legalita'; denuncia la criminale aggressione dall'alto al governo delle leggi, al principio dell'uguaglianza di fronte alle leggi; denuncia il tentativo di imporre il dominio della violenza, di imporre la mafia come metodo e come sistema, denuncia il selvaggio barbaro assalto che cerca di annientare l'isonomia, la politeia, la convivenza fondata sulla verita' e la giustizia, sulla solidarieta' e la responsabilita'. Ma chi ha davvero ascoltato la denuncia dei magistrati? * Leggendo in questi mesi la pubblicistica del fronte golpista e quella dell'area democratica colpiscono da un lato l'aggressivita' e la spudoraggine con cui i golpisti distolgono l'attenzione da cio' che piu' conta con un sofistico argomentare capzioso e truffaldino; dall'altro la pusillanimita' e l'ambiguita' di gran parte dell'area democratica, preoccupata piu' di preparare un futuro accordo coi golpisti che non di impegnarsi senza esitazioni e senza riserve in difesa dello stato di diritto, della democrazia, della legalita' costituzionale. Quanto profondamente ha scavato la tabe. * Il 25 e 26 giugno si vota su questo: si vota per acconsentire al colpo di stato, o per opporsi ad esso. Nello stravolgimento dell'intera seconda parte della Costituzione occorre saper vedere il disegno coerente e unitario che i golpisti perseguono: la demolizione dell'impianto istituzionale della Costituzione del '48; la fine della separazione dei poteri e l'mposizione di una svolta autoritaria, antiparlamentare, plebiscitaria; il trionfo di ideologie e prassi antiegualitarie, antisolidaristiche, antidemocratiche; l'imposizione di un contesto anomico che paralizzi le istituzioni cosi' da favorire l'affermazione del primato della forza sul diritto, il principio del kratos che annienta quello dell'ethos. Sono cose che nella storia d'Italia e d'Europa conosciamo per dolorosa, tragica esperienza: sono i disastri e gli orrori per impedire il ritorno dei quali fu scritta la Costituzione della Repubblica Italiana in vigore dal 1948. * Si vota tra due giorni, e si percepisce l'insufficienza dell'informazione, del dibattito, della coscientizzazione, della partecipazione, della passione civile. Anche chi redige questo notiziario soffre di non aver saputo fare di piu' e di meglio. Ma per quanto inadeguato e insufficiente anche il nostro impegno sia stato, sappia chi ci legge fare ugualmente la cosa giusta: votare "no" al colpo di stato per salvare la Costituzione e la Res Publica. 2. RIFLESSIONE. VALERIO ONIDA: PER UNA SANA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE (2005) [Dal sito dell'associazione "Namaste" di Ostiglia (www.namaste-ostiglia.it) riprendiamo la seguente relazione di Valerio Onida presentata al Convegno di studi "Citta' dell'Uomo" svoltosi a Milano nel giugno 2005. Valerio Onida, illustre giurista, e' presidente emerito della Corte costituzionale. Giuseppe Dossetti, una delle figure piu' vive della cultura della pace e della dignita' umana, e' nato a Genova nel 1913 ed e' scomparso nel 1996. Giurista e canonista, dirigente della lotta partigiana, deputato alla Costituente e alla Camera, vicesegretario della DC, lascia la politica nel 1952. Si dedica alla ricerca storico-teologica e da' vita ad una comunita' monastica. Ordinato sacerdote nel 1959, stretto collaboratore del cardinal Lercaro al Concilio Vaticano II. Nel 1994 e' stato il promotore dei Comitati per la difesa della Costituzione. Opere di Giuseppe Dossetti: segnaliamo almeno Scritti politici, Marietti, Genova 1995; La parola e il silenzio, Il Mulino, Bologna 1998; La ricerca costituente, Il Mulino, Bologna 1994; Con Dio e con la storia, Marietti, Genova 1986. Opere su Giuseppe Dossetti: Giuseppe Trotta, Giuseppe Dossetti, Camunia, Firenze 1996] A dieci anni di distanza dall'allarme lanciato, anche proprio qui a Milano, da Giuseppe Dossetti, da poco uscito dal silenzio monastico per chiamare alla difesa della Costituzione di fronte alla (allora in atto) "denigrazione aprioristica e molto confusa del nostro Patto fondamentale", qual e' la situazione in cui ci troviamo dal punto di vista dell'assetto costituzionale e del dibattito sulle riforme costituzionali? In questi dieci anni, dopo la precoce fine del primo Governo Berlusconi e dei propositi riformistici espressi dal comitato Speroni, abbiamo assistito, nell'ordine: al confronto elettorale del 1996, in cui il tema costituzionale ebbe un certo spazio; alla parabola dell'ultima commissione bicamerale, quella presieduta da D'Alema, che per la prima volta tento' l'avventura della riscrittura dell'intera seconda parte della Costituzione, arenatasi infine soprattutto a seguito dei dissensi politici in tema di giustizia; all'avvio della complessa opera di riforma amministrativa e di decentramento di funzioni con le cosiddette leggi Bassanini; al varo, consensuale, della riforma dell'organizzazione delle Regioni con la legge costituzionale n. 1 del 1999, poi completata con la legge costituzionale n. 2 del 200l, che ha aperto la strada a una nuova stagione di elaborazione statutaria da parte delle Regioni, peraltro portata avanti con grande lentezza e fatica, e ancora oggi lungi dall'essere compiuta in tutto il paese; all'approvazione, in scadenza di legislatura, e col voto finale solo dell'allora maggioranza di centrosinistra, della riforma del titolo V di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, perfezionatasi con il referendum dell'ottobre 2001, in un clima non particolarmente fervido di dibattito e di partecipazione, e che ha costituito un precedente pericoloso di importante revisione costituzionale varata, alla fine, a "colpi di maggioranza"; all'avvio, con la nuova legislatura, di un progetto governativo di riforma, questa volta della subentrata maggioranza di centrodestra, sfociato infine nell'approvazione, in prima lettura, di un testo in cui nuove modifiche del titolo V si assommano con una revisione profonda dell'assetto costituzionale di vertice, che tocca Governo, Parlamento, Capo dello Stato, e non lascia indenni nemmeno gli organi di garanzia, Consiglio superiore della magistratura e Corte costituzionale. Un progetto, quest'ultimo, che e' riuscito a raccogliere critiche e dissensi larghissimi, se non quasi unanimi, fra gli specialisti, anche se talora con motivazioni in parte diverse e contraddittorie, ma ha continuato e apparentemente continua e godere sostegno politico sull'onda della ampia maggioranza parlamentare di cui il gode il Governo: e del quale quindi solo le accresciute difficolta' della situazione economica e politica e i dissensi manifestatisi nella maggioranza - o in alternativa l'esito auspicabile di un voto referendario, che non potrebbe non essere richiesto - sembrano oggi in grado di scongiurare la definitiva approvazione e l'entrata in vigore. Siamo cosi' alle conseguenze piu' recenti e tuttora attuali di una discussione sulle riforme costituzionali che, come si sa, viene da lontano, almeno dagli anni Ottanta. L'esperienza di questi anni, se da un lato sembra aver registrato un certo "raffreddamento" del tema nell'opinione pubblica e forse qualche ripensamento da parte di taluno dei protagonisti, dall'altro lato non solo non ha offerto risultati persuasivi quanto agli esiti legislativi, soprattutto quelli annunciati o preconizzati, ma ha contribuito, per qualche verso, ad oscurare ulteriormente l'orizzonte: cosi' che l'allarme lanciato dieci anni fa deve, credo, essere oggi ripreso e ripetuto. Il "nuovismo confuso e contraddittorio" in campo costituzionale, che Dossetti denunciava a Bari e a Napoli nel maggio 1995, ma di cui molti gruppi politici, e non solo all'interno dell'attuale maggioranza, non sembrano essersi ancora liberati, e' andato producendo il cattivo risultato di un indebolimento dell'idea stessa di Costituzione. Non so quanto le piu' giovani generazioni, assistendo ai dibattiti e agli scontri di questi anni, possano aver conservato una chiara visione di cos'e' l'oggetto della cui sorte si discute, se non, forse, in virtu' dei richiami che periodicamente e meritoriamente provengono dalla piu' alta istituzione della Repubblica. A questo pericoloso risultato ha certamente contribuito il fatto che, nel cambiamento radicale subito dal nostro sistema politico nell'ultimo decennio, sono andate, se non scomparendo, certo affievolendosi proprio quelle culture politiche che avevano, nell'epoca precedente, maggiormente concorso a sorreggere e radicare il senso e la funzione storica della Costituzione del 1947. Restaurare e rafforzare un'adeguata cultura politico-costituzionale e' forse oggi il compito piu' urgente, partendo dalle idee fondamentali. * La Costituzione non e' una legge qualsiasi, chiamata a dare risposte contingenti e problemi contingenti, e che quindi possa essere pensata e manipolata con lo sguardo limitato all'oggi. Il suo ruolo, al contrario, e' di fissare e garantire cio' che e' destinato a restare stabile, proprio per consentire che cambiamenti, evoluzioni, alternarsi di indirizzi avvengano salvaguardando i valori di fondo della vita collettiva. Ecco perche' non ha senso la polemica sulla Costituzione "vecchia", e non ha senso l'accusa di "conservatorismo" mossa a chi si preoccupa di salvaguardare quei valori e si oppone alla faciloneria di un "riformismo" costituzionale senza radici profonde. Ancora, la Costituzione non e' un prodotto politico contingente, che possa ricondursi al prevalere occasionale di una forza o di uno schieramento, ed essere trattata come un normale oggetto di programmi elettorali o governativi, su cui la maggioranza del momento decide in nome della forza parlamentare di cui dispone, o come oggetto di negoziato in vista di obiettivi politici contingenti. Essa rappresenta piuttosto il quadro di riferimento valido per tutti, che precede e condiziona la dialettica fra maggioranze e minoranze, assicurando la salvaguardia degli interessi ad esse comuni e dei limiti conseguenti. Fare della Costituzione un prodotto di maggioranza o disponibile da parte della maggioranza sarebbe tradire l'idea stessa di Costituzione. L'obiezione, che ogni tanto riaffiora, fondata sulla invocazione della sovranita' popolare, e che riecheggia l'antico mito giacobino secondo cui una generazione non puo' pretendere di vincolare le generazioni successive al rispetto della "propria" Costituzione, fa parte dell'obnubilamento della cultura costituzionale di cui s'e' detto. Dimentica che la concezione "costituzionale" della democrazia si fonda non sul riconoscimento al popolo della stessa sovranita' illimitata che era propria del Sovrano nell'antico regime, ma sull'attribuzione di poteri che si esercitano "nelle forme e nei limiti della Costituzione", di una Costituzione che, proprio per la sua funzione storica, "non conosce sovrano" (come scriveva il giudice Coke della Magna Charta). * La Costituzione italiana del 1947 ha avuto ed ha questa funzione. Occorre liberarsi definitivamente della visione distorta e antistorica che vede in essa il prodotto "autarchico" di un sistema politico ormai superato. Essa - per riprendere le parole di Dossetti - non e' "un fiore pungente nato quasi per caso da un arido terreno di sbandamenti postbellici e da risentimenti faziosi volti al passato", ma e' nata dal "crogiolo ardente e universale" degli eventi epocali della seconda guerra mondiale, "piu' che dalle stesse vicende italiane del fascismo e del postfascismo: piu' che del confronto-scontro di tre ideologie datate, essa porta l'impronta di uno spirito universale e in certo modo transtemporale". E' lo spirito del costituzionalismo: quello che soffia nelle Costituzioni nazionali e nelle esperienze ancor giovani ma destinate a crescere di quel "costituzionalismo mondiale" che la nostra Carta evoca, con sguardo antiveggente, attraverso la "finestra" (cosi' la defini' Calamandrei) dell'articolo 11. Ecco perche' penso che sia oggi essenziale rivendicare l'idea di Costituzione e il valore attuale della Costituzione vigente, e perche' ne discende una valutazione fortemente negativa del progetto di revisione in discussione. Solo dopo, in un diverso clima e su diverse premesse di metodo e di contenuto, sara' possibile affrontare costruttivamente l'ipotesi di revisioni "mirate" del testo costituzionale su singoli argomenti. * Il tentativo di riforma che l'attuale maggioranza sta portando avanti, infatti, al di la' di macroscopici difetti di contenuto, appare segnato dall'equivoco culturale che ha caratterizzato gran parte del dibattito di questi anni. Se l'elaborazione dell'ultima commissione bicamerale (la commissione D'Alema) si e' collocata forse al culmine dell'ondata di "nuovismo" costituzionale che ha attraversato molte delle forze politiche dei due schieramenti, con la pretesa di riscrivere l'intera seconda parte della Costituzione, il progetto attuale compie ulteriori passi in avanti nella direzione sbagliata. Anch'esso indulge all'idea della riscrittura integrale della seconda parte della Carta, anche la' dove non propone modifiche di contenuti, quasi a voler dar vita ad una nuova Costituzione, ma una Costituzione ad immagine della attuale maggioranza di governo. Per la prima volta un progetto di legge di revisione - e quale revisione! - e' stato introdotto ad iniziativa del Presidente del Consiglio (disegno di legge costituzionale n. 2544, presentato al Senato il 17 ottobre 2003), come parte di un programma di governo. Conseguenti sono state le modalita' dell'esame parlamentare: con la messa a punto della riforma affidata a tre o quattro esponenti (nemmeno di primo piano) dei partiti della maggioranza, e l'approvazione nelle Camere con i voti di questi, sulla base di un'insistita invocazione del diritto della maggioranza vittoriosa alle elezioni di dare seguito alle proprie proposte di revisione, quasi si trattasse di uno dei tanti settori in cui l'indirizzo di maggioranza fisiologicamente si esprime in Parlamento. Se queste sono le obiezioni di metodo, nel merito il progetto appare frutto, da un lato, di istanze legate ad esigenze di immagine di questa o quella forza politica, nemmeno calate e mediate in una visione costituzionalmente organica e nitida (ed e' la parte sulla cosiddetta devoluzione, e per alcuni aspetti sul nuovo bicameralismo), dall'altro lato di un disegno non nuovo ma assai pericoloso di concentrazione del potere politico e di alterazione degli equilibri costituzionali (ed e' la parte su Governo, Parlamento e Capo dello Stato): con in piu' singole previsioni su Consiglio superiore della magistratura e Corte costituzionale, in se' a loro volta espressione di tendenze pericolose, e che potrebbero apparire come i prodromi di ancor piu' incisive future alterazioni. Senza entrare nel dettaglio (del resto ormai vi sono numerosissimi scritti che se ne occupano), si deve rilevare anzitutto il carattere "posticcio" e rozzo delle disposizioni sulla cosiddetta devoluzione. Non viene rimesso in discussione l'impianto del titolo V modificato nel 200l; si portano solo alcune correzioni, anche ragionevoli, agli elenchi di materie, ma poi si inserisce - in un contesto invariato di riparto di competenze - il comma sulle cosiddette competenze esclusive delle Regioni in tema di organizzazione sanitaria e scolastica e di polizia amministrativa. Quel che ne risulterebbe e' quanto mai oscuro e contraddittorio. L'esperienza di questi anni di applicazione del nuovo titolo V, e specie di contenzioso costituzionale, ha messo in luce le difficolta', le ambiguita' e le contraddizioni di un riparto di competenze non accompagnato da una opportuna legislazione ordinaria di attuazione. Basti pensare a come il tanto sbandierato principio di sussidiarieta' "verticale", finora, e' servito soprattutto non a promuovere decentramento di competenze verso il basso, ma piuttosto a giustificare attrazioni di competenze verso l'alto. Piu' in generale, non ci si interroga abbastanza, dopo le rilevanti modifiche introdotte nel 2001, su quale sia il livello di regionalizzazione di compiti e di risorse effettivamente sopportabile dal nostro paese, senza compromettere essenziali interessi unitari. Invece di dedicarsi a questa necessaria opera di approfondimento e di attuazione (oltre che alle opportune correzioni del testo del 2001), si introduce qui un ulteriore elemento di oscurita' e di incertezza nel riparto delle competenze, sotto la bandiera della devoluzione, e, quasi a compensazione (ma in realta' aumentando le incertezze), si reintroduce un meccanismo farraginoso di controllo parlamentare sul rispetto dell'interesse nazionale, che era previsto dalla Costituzione del 1947 ma che in trent'anni di regionalismo non ha mai funzionato. Per altro verso, sul cruciale aspetto della finanza regionale e locale le disposizioni del 200l vengono lasciate intatte. Ma, mentre sul piano della legislazione ordinaria lo Stato centrale continua a tenere stretto il cordone della borsa, in una singolare e rivelatrice disposizione finale del progetto (art. 57) si promette l'attuazione del nuovo sistema finanziario e fiscale (gia' previsto dalla Costituzione in vigore) entro tre anni, ma aggiungendo che "in nessun caso l'attribuzione dell'autonomia impositiva" agli enti locali e regionali "puo' determinare un incremento della pressione fiscale complessiva". Cioe' si nega con una mano quello che si fa mostra di voler dare con l'altra: l'ideologia anti-fisco prevale sull'idea dell'autonomia e della perequazione. In definitiva, invece che attuare in modo equilibrato, con le correzioni opportune, i nuovi criteri di riparto di competenze introdotti nel 2001, o eventualmente tornare indietro la' dove questi si fossero rivelati inadeguati, si verrebbe a complicare ulteriormente il sistema introducendo nuovi elementi di tensione e di conflittualita', sotto la bandiera di un preteso "federalismo" dietro alla quale, se c'e' qualche sostanza, potrebbe esserci solo quella di un indebolimento della solidarieta' nazionale. Non dissimili effetti di confusione deriverebbero dalla nuova disciplina del bicameralismo. Scartata la creazione di una vera "Camera delle Regioni" o delle autonomie, chiamata a concorrere alla legislazione statale di interesse regionale, si battezza "federale" un Senato eletto, come l'attuale, a suffragio diretto dai cittadini e quindi rappresentativo dell'intera collettivita' nazionale (rinviando per di piu' di ben dieci anni l'attuazione della regola delle elezione contemporanea dei senatori e dei consigli regionali, unica parvenza di collegamento delle due istituzioni), ma si persegue una complicatissima ripartizione della competenza legislativa fra Camera e Senato che darebbe luogo solo a continui dubbi e conflitti, e si differenziano i poteri del Governo sulla legislazione statale a seconda che ci si trovi di fronte all'una o all'altra Camera. Le novita' piu' significative e pericolose riguardano pero' la forma di governo. Qui l'intento e' chiaro: costruire una figura di Premier elettivo dotato una sua legittimazione distinta e preminente rispetto alla stessa maggioranza parlamentare, e di tutti i poteri necessari per condizionarne la volonta', contemporaneamente abolendo o indebolendo il ruolo equilibratore del Presidente della Repubblica. Abbandonando il prudente orientamento della Costituzione vigente, che non regola i sistemi elettorali (e che in tal modo ha consentito, senza modifiche costituzionali, il passaggio del 1993 da sistemi proporzionali a sistemi prevalentemente maggioritari), si prevede che il Primo Ministro sia designato direttamente dagli elettori (null'altro significa infatti la previsione di candidature alla carica di Primo Ministro: art. 92), e si impone l'adozione di una legge elettorale per la Camera che "favorisca" la formazione di una maggioranza collegata al Primo Ministro eletto. Questi poi e' dotato di molti strumenti per ottenere che la sua maggioranza ne approvi (anche controvoglia) le proposte, fino a disporre largamente del potere di scioglimento anticipato della Camera, sostanzialmente estraniando da esso il Presidente della Repubblica. Rispetto al sistema parlamentare disegnato dalla Costituzione vigente, che tende a realizzare il coordinamento fra Governo e maggioranza parlamentare, ma senza attribuire loro legittimazione separata, e che presenta caratteri di grande flessibilita', cosi' che il suo funzionamento puo' adattarsi alle diverse contingenze e all'evoluzione del sistema politico, si tende ad introdurre un sistema massimamente rigido, nell'illusione di risolvere per via di ingegneria costituzionale i problemi politici di coesione e di efficienza della maggioranza. Non avremmo nemmeno piu' una maggioranza che esprime un suo leader, ma un leader immediatamente investito del potere e che controlla e domina la "sua" maggioranza. L'esito sarebbe un sistema di massima concentrazione del potere politico, in cui la scelta degli elettori tenderebbe a ridursi essenzialmente ad una delega quinquennale a favore di una sola persona. In tal modo si esalterebbero quelle tendenze alla personalizzazione estrema e alla ipersemplificazione dei circuiti decisionali, che l'esperienza recente mostra gia' pericolosamente in atto, impoverendo la democrazia e compromettendo l'equilibrio del sistema di governo. * Tutto cio', si badi - ed questa la prima e fondamentale critica da muovere a mio giudizio al progetto - come se, da quindici o venti anni a questa parte, la realta' politica del paese non si fosse cosi' profondamente trasformata, da presentare oggi caratteri e anche difetti opposti rispetto a quella cui guardavano i primi aspiranti riformatori. Si parlava, allora, di un esecutivo debole, da rafforzare rispetto ad un Parlamento considerato troppo forte, nel quale si denunciava un eccesso di negoziazione fra maggioranza e opposizione (il cosiddetto consociativismo) e il manifestarsi di troppi poteri di veto o ostruzionistici, e rispetto a strutture partitiche tendenti a sostituirsi al Governo in decisioni anche quotidiane (la cosiddetta partitocrazia); si parlava di un esecutivo irretito nelle maglie di una legislazione minuta, controllata dal Parlamento (le cosiddette leggine). Non e' difficile accorgersi che oggi i problemi sono casomai di segno opposto: che e' il Parlamento che stenta a mantenere il suo ruolo di fronte ad un esecutivo che, a colpi di maxi-emendamenti presentati a breve distanza dal voto e di voti di fiducia, ottiene l'approvazione in blocco delle sue proposte; che fra maggioranza e opposizione vige la piu' netta e feroce contrapposizione; che i tempi dei lavori parlamentari sono strettamente regolati; che alla legislazione di origine parlamentare si sostituisce sempre piu' una legislazione governativa sulla base di deleghe talora amplissime e di una fortemente accresciuta potesta' regolamentare (la cosiddetta delegificazione); che i partiti, come li conoscevamo, quasi non esistono piu' come sedi di elaborazione di politiche, di dibattito interno, di selezione delle classi dirigenti, largamente trasformati in macchine per la raccolta del consenso. Quanto di questi cambiamenti sia da ricondurre alla modifica dei sistemi elettorali e quanto a fattori schiettamente storico-politici, e' oggetto di dibattito, ma cio' non muta il quadro. Progetti, come quello in discussione, che mirano a concentrare il potere esecutivo e legislativo in un unico leader direttamente investito di un potere monocratico, danno, a tacer d'altro, una risposta vecchia a problemi che non sono piu' quelli di ieri. Del resto, rispetto ai problemi veri e ancora attuali, l'elasticita' del nostro sistema parlamentare offre ampio spazio di risposta. Un esempio per tutti: si vorrebbe sancire il potere del Premier di revocare i ministri. Ma gia' oggi la Costituzione, attribuendo al Presidente del Consiglio il compito di "dirigere" la politica generale del Governo (non di "determinarla" come invece e' detto nel progetto), essendone responsabile, gli consente con l'appoggio della maggioranza del Consiglio dei Ministri (cioe' del Governo al quale il Parlamento ha concesso la fiducia), di ricondurre l'eventuale Ministro dissenziente all'osservanza dell'indirizzo del Governo, e se necessario di sostituirlo (com'e' accaduto nel 1995 col caso Mancuso). Quando cio' non accade, non e' per vincoli costituzionali, ma per condizionamenti politici. Non giustificati, e dunque pericolosi, sono anche i cambiamenti, solo apparentemente marginali, che si vorrebbero introdurre in organi di garanzia, Csm e Corte costituzionale. Per accennare solo a quest'ultima, l'aumento da cinque a sette dei giudici di designazione parlamentare, con contestuale riduzione di quelli di nomina del Capo dello Stato e delle magistrature, non ha e non puo' avere il senso di introdurre le istituzioni regionali fra le fonti di nomina, poiche' il Parlamento che elegge i giudici continuerebbe ad essere composto di due Camere entrambe elettive e dunque espressive del sistema politico nazionale. Avrebbe solo il senso di rompere il delicato equilibrio realizzato dal Costituente del 1947 fra designazioni politiche e non politiche, che nell'esperienza ormai cinquantennale della Corte si e' tradotto in una felice fusione di culture e attitudini diverse, scongiurando l'ipotesi nefasta di una Corte di partiti. La posta in gioco sul terreno costituzionale e' pero' ancora piu' alta. Non possiamo farei ingannare dal fatto che, fino ad oggi, le proposte di riforma portate avanti riguardano solo la seconda parte della Costituzione, non la prima parte sui diritti e i doveri, ne' i principi fondamentali. Gli equilibri costituzionali della seconda parte sono infatti necessari per salvaguardare i valori costituzionali; l'assetto degli organi di governo e degli organi di garanzia non e' un problema di semplice ingegneria istituzionale, ma e' esso stesso una garanzia essenziale, come ben sapevano i costituenti francesi del 1789, secondo i quali, per avere una Costituzione, un popolo non deve solo riconoscere i diritti, ma anche attuare la divisione dei poteri. Ma c'e' di piu'. L'indebolimento o lo snervamento, che si e' sopra denunciato, dell'idea di Costituzione quale ci viene dalla tradizione del costituzionalismo contemporaneo, complice la caduta di antichi ancoraggi ideologici, rischia sempre piu' di aprire la strada a nuove ideologie che si dovrebbero definire propriamente anticostituzionali. * Il costituzionalismo non si regge su concezioni formali della Costituzione, ma presuppone dei contenuti precisi: la dignita' suprema della persona; il riconoscimento e la garanzia effettiva dei diritti, civili, politici e sociali; l'eguaglianza delle persone in dignita' e diritti; il riconoscimento delle autonomie sociali; l'affermazione dei doveri di solidarieta', e dunque di un ruolo dello Stato e della politica che non puo' essere di pura amministrazione degli egoismi, neanche di quelli collettivi e di massa; il superamento dell'idea di una sovranita' illimitata dello Stato, sia all'interno che all'esterno, con la ricerca di un ordine internazionale di collaborazione, di pace, di giustizia e di rispetto universale dei diritti umani. La Costituzione del 1947, che ha condotto l'Italia nella famiglia delle nazioni democratiche, esprime e traduce in modo mirabile questi contenuti. Di fronte a talune derive ideologiche e pratiche che si manifestano, e' lecito il timore che all'indebolimento della coscienza costituzionale si accompagni, magari in modo insensibile, un indebolimento delle radici di queste convinzioni nella societa'. Qualche esempio? Fa parte della Costituzione il dovere di tutti di "concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva", nell'ambito di un sistema tributario "informato a criteri di progressivita'" (art. 53). Quando si vede diffondersi l'idea che il prelievo fiscale non sia lo strumento necessario per provvedere alle necessita' collettive e realizzare un minimo di giustizia distributiva, da disciplinare con equita' e rigore, concentrando le energie collettive nello sforzo di combattere parassitismi e sprechi di denaro pubblico, ma sia un noioso inconveniente da ridurre comunque al minimo perche' sottrae risorse che ogni individuo dovrebbe poter utilizzare per se'; quando dunque l'ideologia del "meno tasse" sembra dominare tutte o quasi tutte le forze politiche, e si vagheggia addirittura di copiare modelli di flat tax, cioe' di tassazione minima per tutti, dai super-ricchi ai meno benestanti, non si sta forse andando oltre ogni legittima discussione di politica economica, sociale e tributaria, per allontanarsi dall'idea costituzionale del dovere di solidarieta' fiscale? Ancora: gli articoli 7, 8 e 19 della Costituzione fondano, secondo la lettura datane dalla Corte costituzionale gia' negli anni '80, il principio supremo di laicita' dello Stato, intesa non come indifferenza nei confronti del fenomeno religioso, ma come neutralita' dello Stato rispetto alle scelte religiose dei singoli e distinzione degli ambiti fra Stato e confessioni religiose. Quando oggi vediamo talvolta affiorare o riaffiorare tendenze a confondere o identificare lo Stato o la nazionalita' con la religione o a strumentalizzare l'appartenenza religiosa a fini di affermazione di una identita' civile, non si tratta ancora una volta di una forma di allontanamento dal terreno costituzionale? Terzo esempio: quando rispetto ai nuovi problemi che si pongono nella comunita' internazionale assistiamo all'affievolirsi dell'idea europea e al manifestarsi di nuove forme di chiusura nazionalistica e di sfiducia negli strumenti, pur imperfetti, dell'ordine giuridico internazionale, ancora una volta vi e' ragione di temere arretramenti rispetto agli ideali universalistici del costituzionalismo espressi nell'articolo 11 della nostra Carta. E dove sono finite la passione e la progettualita' politica per combattere le piu' clamorose disuguaglianze a livello mondiale, mentre si riduce a infime quote la percentuale di ricchezza nazionale dedicata agli aiuti ai paesi piu' poveri, e magari ci preoccupiamo perche' in Italia (notizia di ieri) il numero degli individui il cui patrimonio supera un milione di dollari e' aumentato, in un anno, "solo" del 3,7 per cento? * Puo' apparire paradossale il fatto che proprio in un tempo in cui sono venute meno le grandi contrapposizioni ideologiche e programmatiche dell'epoca costituente e del mondo diviso in blocchi, le quali pure non impedirono allora di trovare il terreno comune della Costituzione, e quando anche forze minoritarie rimaste estranee ed ostili al processo costituente hanno compiuto il percorso che le ha condotte ad accettare il quadro costituzionale, sembrano manifestarsi nella societa' nuove spinte ideologiche che rischiano di contraddire i valori di fondo del costituzionalismo. Certo, il mondo e' cambiato, e nuove formidabili sfide fronteggiano gli uomini di oggi e le loro politiche, anche su terreni che potevano sembrare storicamente esauriti, come quando si assiste nuovamente all'utilizzo o alla strumentalizzazione della religione per promuovere esasperate spinte nazionalistiche, aggressioni terroristiche o "scontri di civilta'". Tanto piu' essenziale, allora, e' conservare e sviluppare quei valori e costruire su di essi. In Italia le generazioni che hanno fatto la Costituzione e che hanno vissuto gli eventi epocali da cui essa e' nata sono scomparse o stanno per scomparire dalla scena. Vi e' da domandarsi perche' e come sia potuto o possa accadere che il patrimonio prezioso dei valori costituzionali rischi di non essere trasmesso, o di essere dilapidato o snaturato; e su questo le culture politiche e le forze politiche organizzate dovrebbero interrogarsi. Il "patriottismo costituzionale" di cui parlava Dossetti vive e si consolida se le idee-forza della Costituzione sono radicate nello spirito collettivo e nella cultura diffusa del paese. Difendere la Costituzione vuol dire prima di tutto e soprattutto lavorare per questo. 3. RILETTURE. HANNAH ARENDT: VITA ACTIVA Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964, 1994, pp. XXXIV + 286, lire 13.000. Uno dei capolavori della riflessione politica. =================== PER LA COSTITUZIONE =================== Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" n. 1335 del 23 giugno 2006 Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1335
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1336
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1335
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1336
- Indice: