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La nonviolenza e' in cammino. 1328
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1328
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 16 Jun 2006 00:30:04 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1328 del 16 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. L'inverosimile 2. Giuseppe Ugo Rescigno: Il duce elettivo e l'ancella del duce 3. Luciano Violante: Dodici tesi sulle mafie italiane (1994) 4. Giancarlo Caselli: Due sistemi 5. Domenico Gallo presenta "Scelgo la Costituzione" di autori vari 6. Riletture: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. L'INVEROSIMILE "Non mi veniva lontanamente nel pensiero che l'Italia potesse farsi togliere dalle mani la liberta' che le era costata tanti sforzi e tanto sangue e si teneva dalla mia generazione un acquisto per sempre. Ma l'inverosimile accadde e il fascismo, anziche' essere un fatto transitorio, getto' radici e rassodo' il suo dominio". Cosi' ebbe a scrivere Benedetto Croce (nella postilla del 1950 al Contributo alla critica di me stesso del '15, ora nella bella, preziosa riedizione della sua antologia personale Filosofia poesia storia, Ricciardi '51, poi Adelphi '96 e adesso Biblioteca Treccani 2006, a p. 1172 del secondo volume). * Il referendum del 25-26 giugno costituisce l'evento politico piu' importante per il nostro paese dal 1948 ad oggi: e' imperativo che sia respinto il colpo di stato; e' imperativo che vinca il "no" al progetto eversivo costituito dalla cosiddetta "riforma" berlusconiana. "Ciascuno umilmente s'informi", ed ogni persona faccia la sua parte per difendere la Costituzione democratica, per difendere lo stato di diritto, per difendere le liberta' di tutti, per opporsi al fascismo che torna. 2. REFERENDUM. GIUSEPPE UGO RESCIGNO: IL DUCE ELETTIVO E L'ANCELLA DEL DUCE [Dal sito dell'Associazione nazionale dei giuristi democratici (www.giuristidemocratici.it) riprendiamo il seguente intervento di Giuseppe Ugo Rescigno alla conferenza su "Le ragioni del 'no' nel referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006" svoltasi a Roma il 31 maggio 2006, intervento dal titolo originale completo "Il Primo ministro come duce elettivo e la Camera dei deputati come ancella del duce (a proposito della riforma costituzionale oggetto di referendum approvativo)". Giuseppe Ugo Rescigno, illustre giurista, docente di diritto pubblico e di diritto costituzionale presso la facolta' di giurisprudenza dell'Universita "La Sapienza" di Roma, e' autore di numerose pubblicazioni] Data la divisione dei compiti tra Azzariti, Stammati e me, trattero' soltanto del rapporto tra Primo ministro e Camera dei deputati. Prima di entrare nel merito del tema conviene riscoprire l'ombrello (o l'acqua calda, come piu' piace). E' del tutto evidente, senza bisogno di dimostrazione, che, dati due soggetti A e B, titolari ciascuno di una carica pubblica, se la permanenza nella carica di uno dipende dalla volonta' dell'altro, il primo dipende dal secondo. Infatti e' pacifico che nella forma di governo chiamata parlamentare il fatto che l'assemblea rappresentativa, togliendo la fiducia, abbia il potere di rimuovere il governo costituisce l'arma decisiva e la prova definitiva che il governo dipende dalla assemblea rappresentativa, e, mediante tale dipendenza, dipende in ultima istanza dal corpo elettorale che ha eletto l'assemblea. Che poi tale dipendenza, essendo legata alla responsabilita' politica, si traduca nel suo inverso, e cioe' nel potere di direzione del governo nei confronti della assemblea, e' a sua volta determinato dal fatto che il governo e' espressione della maggioranza politica della assemblea, e' cioe' quel collegio che comprende coloro che la maggioranza ritiene piu' adatti a formulare e guidare la politica generale del Paese, ma non toglie la dipendenza: in ogni momento quella stessa maggioranza, o una nuova maggioranza, puo', se vuole, far cadere il governo. E' un meccanismo complesso, apparentemente contraddittorio, perche' tiene insieme dipendenza e direzione del dipendente, ma razionale dati gli scopi per i quali e' stato forgiato dalla esperienza, e proprio per questo presente anche in altri contesti: si pensi all'amministratore delegato di una grande o piccola impresa, che viene eletto e revocato dagli azionisti e quindi dipende da questi, ma viene eletto proprio per dirigere l'impresa (e quindi anche gli azionisti). Tornando al rapporto tra l'organo governo e l'organo parlamentare, si istituisce e si garantisce in tal modo una effettiva dialettica tra le due istituzioni, dialettica che in Europa ha oltre due secoli di storia, ha dato complessivamente, nonostante i molti inconvenienti e le sempre possibili degenerazioni, prove senza paragone migliori di altre forme di governo sperimentate, ritorna anche in quella forma di governo che viene dai piu' distinta da quella parlamentare, e cioe' quella semipresidenziale francese, come si vede con piena evidenza nei periodi cosiddetti di coabitazione. Si tratta di un meccanismo che da un lato stabilisce la dipendenza del governo nei confronti del parlamento, perche' il parlamento puo' scacciare il governo in carica e costituirne uno nuovo, dall'altro pero' stabilisce la dipendenza del parlamento nei confronti del governo, perche' e' il governo che, grazie alla sua responsabilita' politica, fino a che resta in carica, guida ed orienta anche il parlamento. Parallelamente, in modo diverso, il gioco dei pesi e contrappesi si manifesta negli Usa. In questo Paese, e cioe' nella forma paradigmatica di governo presidenziale, a garanzia e riprova della totale indipendenza di ordine costituzionale tra Congresso e Presidente degli Usa, ne' il Congresso puo' determinare la fine anticipata del mandato presidenziale (l'impeachment e' uno strumento di ordine penale e non politico), ne' il Presidente puo' determinare lo scioglimento anticipato di una delle due Camere. * Il progetto di riforma costituzionale sul quale siamo chiamati a votare, con un unicum nella storia costituzionale di Paesi comparabili al nostro, costruisce in modo ossessivo e sistematico un rapporto nel quale l'assemblea rappresentativa del popolo dipende totalmente dal Primo ministro eletto direttamente anch'esso dal corpo elettorale. Comincio con l'unico caso nel quale sembra, e qualcuno sostiene, che si abbia ancora una dipendenza del Primo ministro, e con lui dell'organo Governo, dalla assemblea. Si tratta del caso previsto dal quinto comma dell'art. 94 (seguo la numerazione finale del testo proposto). E' previsto che la Camera determini la decadenza del Primo ministro e non venga contestualmente sciolta se si danno tutte le seguenti condizioni: 1) la mozione di sfiducia deve essere approvata col voto determinante (e cioe' non integrabile da altri deputati della minoranza) dei soli deputati facenti parte della originaria maggioranza; 2) la mozione deve essere approvata con la maggioranza assoluta calcolata sui componenti della Camera. E' evidente che si tratta di una foglia di fico per nascondere la portata, questa si' effettiva e dirompente, delle altre regole in materia: immaginare un primo ministro eletto direttamente dal corpo elettorale che ha perso durante la sua carica tutti i suoi deputati, cosicche' diventa necessario per la sua originaria maggioranza designare compatta un nuovo capo, significa prendere per i fondelli qualunque persona di buon senso. L'ipotesi descritta nella disposizione sopra esaminata si applichera' solo nel caso, improbabile per non dire impossibile, di un primo ministro divenuto pazzo e irresponsabile: essa non disciplina un meccanismo costituzionale normale, ma si preoccupa di un caso assolutamente anormale, improbabile, talmente eccezionale da rimanere sullo sfondo come ipotesi di scuola. Vediamo allora come funziona il meccanismo normale: il Presidente della Repubblica deve sciogliere la Camera (e' un atto dovuto) nei casi seguenti: 1) se lo chiede il Primo ministro, "che ne assume la esclusiva responsabilita'", come dice il testo, per ribadire, oltre ogni dubbio, che la decisione spetta solo a lui; 2) nel caso di morte o impedimento permanente del Primo ministro; 3) nel caso di dimissioni del Primo ministro, quali che siano le ragioni che lo hanno indotto a dimettersi; 4) nel caso in cui il Primo ministro abbia posto la questione di fiducia, e la maggioranza originaria della Camera (si noti bene) abbia votato in senso negativo (questa ipotesi e' una variante della precedente, perche' un tale voto negativo della maggioranza originaria determina di diritto l'obbligo di dimissioni del Primo ministro e il conseguente scioglimento della Camera). Anche in questi quattro casi si applica, stando alla lettera del testo, il meccanismo prima esaminato a proposito della mozione di sfiducia che eventualmente la Camera volesse approvare contro il Primo ministro. Se il Primo ministro chiede lo scioglimento, oppure muore, oppure e' impedito permanentemente, oppure si e' dimesso (o spontaneamente o perche' e' obbligato a dimettersi in caso di sconfitta sulla questione di fiducia), la maggioranza originaria della Camera puo' evitare, entro venti giorni, lo scioglimento della Camera purche' si diano le stesse condizioni prima esaminate, e cioe': 1) la designazione di un nuovo primo ministro; 2) il voto favorevole dei soli deputati della originaria maggioranza, con appello nominale; 3) il raggiungimento della maggioranza assoluta. Un meccanismo, come gia' detto, talmente improbabile da essere di fatto impossibile e dunque una foglia di fico per nascondere le altre ipotesi nelle quali il potere del Primo ministro nei confronti della Camera, ed anzitutto della originaria maggioranza, e' effettivo, garantito, totale. * La dipendenza della Camera dalla volonta' politica del Primo ministro e' nei fatti assoluta, senza alcun controllo o contrappeso degno di questo nome. Si noti bene: e' assoluta non per ragioni politiche reali, e cioe' perche' effettivamente il primo ministro gode di tanta autorevolezza da ottenere spontaneamente il consenso dei deputati della maggioranza, ma perche' garantita da regole costituzionali rigide, quali che siano le intenzioni e le propensioni politiche dei deputati. C'e' da chiedersi a questo punto che senso ha spendere tanti milioni di euro per un apparato costoso e complesso come quello della Camera se qualunque decisione significativa e' e resta quella del solo Primo ministro, alla quale o la maggioranza originaria da' l'assenso o viene mandata a casa; come e' possibile immaginare una qualche dialettica tra Primo ministro e Camera se le minoranze non contano letteralmente nulla (il loro voto nelle questioni decisive prima descritte e' come se non esistesse, e dunque nei fatti non conta mai ogni qual volta c'e' un qualche dissenso con la maggioranza, e cioe' quasi sempre), e la maggioranza sa che in ogni momento il Primo ministro puo' determinare la fine della assemblea, cosicche' la sua presunta liberta' di decisione esiste solo nei limiti e nei casi nei quali il Primo ministro benevolmente la permette. Date queste regole, a che serve un parlamento? A spendere tanti soldi per vedere i presunti rappresentati del popolo che, se maggioranza, dicono servilmente sempre si' alle decisioni del capo, oppure, se perpetuamente e sempre minoranze, dicono inutilmente no e spendono pateticamente i loro discorsi inutili? Tutto si riduce ogni cinque anni, o quando piacera' al capo, a scegliere un nuovo capo oppure a riconfermare il sostegno plebiscitario al vecchio capo? A questo si riduce la democrazia? * Io non conosco mostri costituzionali simili a questo, e non li conosco e credo che nessuno possa conoscerli perche' con questa scandalosa proposta vengono negati due secoli e passa di costituzionalismo. Da Locke e Montesqiueu in poi c'e' un filo rosso costante che segna il costituzionalismo moderno, liberale o democratico o liberaldemocratico che sia: la divisione dei poteri, e cioe' un principio in base al quale i poteri hanno da essere piu' di uno e nessuno deve prevalere sugli altri, affinche' il potere arresti il potere quando questo deborda, e vi siano pesi e contrappesi, e venga impedita la concentrazione del potere politico in un solo organo. Questo e' stato e resta il compito di tutte le costituzioni (e qui possiamo anche tralasciare l'aggettivo moderne, perche' non per caso le costituzioni scritte cominciano con la divisione dei poteri, e quindi sono moderne per definizione). Invece il testo che ci viene proposto, per quanto riguarda l'indirizzo politico nazionale e la conseguente attivita' legislativa e amministrativa, conosce un solo potere senza alcun contrappeso: quello del Primo ministro, che comanda a suo piacimento sulla assemblea rappresentativa. * Per raggiungere questo risultato e blindarlo contro ogni possibile limite (e cioe' contro un qualunque potere di controllo di qualcuno sul Primo ministro) viene inventata ed introdotta una disposizione che, per quanto pensata, scritta e difesa dai redattori e dalla maggioranza parlamentare trascorsa, appare incredibile e ancora oggi mi stropiccio gli occhi per convincermi che esiste effettivamente: i parlamentari non sono piu' eguali, e cioe' egualmente rappresentativi della Nazione (come pure continua ipocritamente a proclamare l'art. 67, con una contraddizione evidente all'interno del medesimo testo), ma si dividono in parlamentari di serie A e parlamentari di serie B: vi sono quelli che hanno il potere, alle condizioni previste, di sfiduciare il Primo ministro e sostituirlo con un altro (fermo restando che si tratta di un meccanismo apparente, ed apparente proprio perche' limita questa possibilita' solo ad alcuni parlamentari e la nega agli altri), e tutti gli altri che invece non hanno questo potere, qualunque cosa decidano, perche' i loro voti non contano nulla, e' come se non esistessero. Ma anche i partiti, le formazioni sociali, i cittadini si dividono in forze di serie A e forze di serie B: stanno nella serie A quelle che hanno indovinato il capo vittorioso, vengono condannate alla serie B quelli che hanno sbagliato cavallo. Ne viene sconvolta ogni possibile dinamica democratica: per cinque anni (o per il periodo minore che il Primo ministro decidera' sovranamente) una maggioranza coatta, che deve votare compatta dietro il suo capo, puo' fare quello che vuole, senza alcun contrappeso delle minoranze, e puo' acquisire nei cinque anni, con tutti quegli infiniti modi di cui sono piene le cronache (a cominciare dall'uso partigiano delle risorse pubbliche), tanto di potere da rendere illusorio ogni ricambio. Se poi comunque ricambio ci sara' ugualmente, si trattera' di passare da un dittatore eletto ad un altro dittatore eletto: la vita politica resta quella di prima, e cioe' ingessata e bloccata. * Il colpo mortale maggiormente distruttivo viene portato alla partecipazione politica di massa. Che la Costituzione originaria avesse (e continui ad avere in alcuni articoli della prima parte, a cominciare dal fondamentale art. 49, sulla partecipazione di tutti i cittadini, mediante i partiti, alla determinazione della politica nazionale) come valore fondamentale quello della partecipazione e' troppo noto per avere bisogno qui di una ulteriore illustrazione. Che la partecipazione attiva, consapevole, organizzata, capillare, continua, sia un risultato difficile, che molteplici fattori tendono a distruggere, e' altrettanto noto. Che il diritto, e le costituzioni in particolare, possano assecondare e favorire (e mai garantire) la partecipazione, o viceversa avversarla, renderla difficile, ostacolarla, e' altrettanto noto. La riforma che ci viene proposta e' la piu' distruttiva che io conosca rispetto al valore della partecipazione: esaltando l'uomo della provvidenza, e cioe' il duce elettivo, riduce il popolo ad una massa amorfa che ogni cinque anni, con i suoi applausi, conferma il vecchio duce o ne elegge uno nuovo. * Strettamente legata alla elezione diretta di un tale Primo ministro, ed altrettanto nemica della partecipazione, e' la legislazione elettorale che implicitamente, ma necessariamente, il nuovo testo richiede. Non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: nella riforma non viene detto esplicitamente a quali principi si deve attenere la legge elettorale, ma tutte le disposizioni sul Primo ministro e sulla individuazione della maggioranza nelle elezioni comportano che solo un tipo di sistema elettorale e' possibile, e tutti gli altri sono vietati. Deve essere un sistema elettorale che lega strettamente la elezione del Primo ministro alla elezione della sua maggioranza, sia nel senso che debbono essere contestuali, sia nel senso che deve essere esplicito e vincolante il legame tra candidato a Primo ministro e coalizioni che lo sostengono, sia nel senso che il voto al Primo ministro non e' scindibile da quello alla coalizione che lo sostiene, sia infine (e non va sottovalutato) che la legge elettorale deve prevedere la possibilita' di coalizioni, e cioe' di alleanze preventive e formalizzate tra piu' partiti (non potremmo avere ad esempio il sistema tedesco, ma presente in quasi tutti i sistemi elettorali degni di questo nome, che prevede invece solo liste di partito). Questo significa, contro false rappresentazioni, che il nuovo testo codifica il bipolarismo contro sia il bipartitismo sia il multipartitismo: rende in pratica impossibile il bipartitismo, perche', come e' ovvio, nessun partito tentera' mai di correre da solo contro una coalizione, e tutti saranno costretti, come sta accadendo, in due coalizioni (con un totale stravolgimento della dialettica politica, nella quale col sistema delle coalizioni politicamente necessarie prevalgono ricatti e veti incrociati tra forze politiche, anche minime, che sono costrette a rimanere insieme se non vogliono perdere). Per la stessa ragione rende impraticabile un gioco reale e produttivo del multipartitismo, perche' i molti partiti sono costretti a chiudersi in non piu' di due coalizioni. Il nuovo testo costituzionale rende, nella sostanza, immodificabile l'attuale legge elettorale, e questo legame tra una Costituzione, che deve durare nel tempo, ed una legge elettorale che e' stata pensata in funzione di una situazione politica contingente, e' uno tra non gli ultimi motivi per respingere decisamente questa riforma costituzionale, o meglio questa nuova costituzione contraria non solo a tutti i valori costituzionali della Costituzione del 1947, ma anche a qualunque valore del costituzionalismo degli ultimi due secoli e mezzo. 3. RIFLESSIONE. LUCIANO VIOLANTE: DODICI TESI SULLE MAFIE ITALIANE (1994) [Riproponiamo questo utile testo. Le "dodici tesi" seguenti sono estratte da Luciano Violante, Non e' la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino 1994. Un libro di notevole qualita' didattica per chiarezza e precisione espositiva, la cui lettura caldamente raccomandiamo ancor oggi, dodici anni dopo. In esso Violante sintetizzava efficacemente alcune basilari cognizioni ed alcune proposte interpretative e d'intervento, mettendo a frutto le sue esperienze ed i suoi studi, e particolarmente l'esperienza fatta come presidente della Commissione parlamentare antimafia (come e' noto, e' stato sotto la sua presidenza e per suo decisivo impegno che la Commissione produsse tra l'altro la fondamentale relazione su "mafia e politica" approvata il 6 aprile 1993, e quella su "camorra e politica" approvata il 21 dicembre 1993). Luciano Violante magistrato, parlamentare, gia' presidente della Commissione parlamentare antimafia (che sotto la sua presidenza diede un contributo notevole alla lotta contro i poteri criminali), e gia' presidente della Camera dei Deputati. Tra le opere di Luciano Violante segnaliamo particolarmente: La mafia dell'eroina, Editori Riuniti, Roma; sua e' la relazione della Commissione parlamentare antimafia su Mafia e politica, Laterza, Roma-Bari; I corleonesi, L'Unita', Roma; Non e' la piovra, Einaudi, Torino (un testo sintetico e di grandissima utilita'); ha curato (e pubblicato presso Laterza) i tre rapporti annuali sulla mafia: Mafia e antimafia. Rapporto '96; Mafia e societa' italiana. Rapporto '97; I soldi della mafia. Rapporto '98; sua la cura del ponderoso volume su La criminalita', volume 12 degli Annali della Storia d'Italia, Einaudi, Torino; segnaliamo inoltre Il ciclo mafioso, Laterza, Roma-Bari 2002; Un mondo asimmetrico, Einaudi, Torino 2003. Dal sito www.lucianoviolante.it riportiamo alcuni stralci di un'ampia notizia biografica: "Luciano Violante e' professore ordinario di istituzioni di diritto e procedura penale presso l'Universita' di Camerino. Deputato dei Ds-l'Ulivo di Torino, e' nato il 25 settembre 1941 a Dire Daua in Etiopia dove il padre, giornalista e comunista, dovette emigrare. La famiglia fu poi internata dagli inglesi in un campo di concentramento, dove Luciano Violante nacque e rimase sino a tutto il 1943. Laureato in giurisprudenza a Bari nel 1963, entra in magistratura nel 1966. Nel 1970 diviene libero docente di diritto penale presso l'Universita' di Torino dove dal 1974 al 1981 e' professore incaricato di istituzioni di diritto pubblico. E' giudice istruttore a Torino sino al 1977. Dal 1977 al 1979 lavora presso l'ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, occupandosi prevalentemente della lotta contro il terrorismo. E' deputato dal 1979, prima nelle liste del Pci, partito al quale si iscrive nello stesso anno, poi in quelle del Pds e quindi dei Ds-l'Ulivo. Nel 1983 vince la cattedra di istituzioni di diritto e procedura penale e si dimette dalla magistratura. Dal 1980 al 1987 e' responsabile per le politiche della giustizia del Pci, di cui diviene poi vicepresidente del gruppo parlamentare. Ha fatto parte della Commissione d'inchiesta sul caso Moro, della Commissione antimafia, del Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza, della Commissione per la riforma del codice di procedura penale, della Commissione Giustizia e della Giunta per il Regolamento della Camera dei Deputati. E' presidente della Commissione Antimafia dal settembre 1992 al marzo 1994. Dal 1994 al 1996 e' vicepresidente della Camera dei Deputati. Il 10 maggio 1996 viene eletto presidente della Camera dei Deputati per la XIII Legislatura. Nella XIII Legislatura la Presidenza della Camera dei Deputati e' impegnata nella trasparenza, nella modernizzazione, nell'apertura alla societa' e nella proiezione internazionale di Montecitorio. (...) Il 31 maggio 2001 viene eletto presidente del gruppo Ds-l'Ulivo della Camera dei Deputati. Ha pubblicato, nel 1994 con Einaudi Non e' la piovra. Nel 1995 con Bollati e Borighieri la Cantata per i bambini morti di mafia. Ha curato i volumi Dizionario delle istituzioni e dei diritti del cittadino, Editori Riuniti, 1996; Mafie e antimafia - Rapporto 1996, Mafia e societa' italiana - Rapporto 1997, I soldi della mafia - Rapporto 1998, Laterza. Per Einaudi ha curato inoltre il volume degli Annali della Storia d'Italia La criminalita', 1997, e il volume Legge Diritto Giustizia, 1998, della stessa collana. Per Mondadori ha pubblicato il libro L'Italia dopo il 1999, la sfida per la stabilita', 1998. Nei Saggi di Laterza il volume Le due liberta'. Contributo per l'identita' della sinistra, 1999. E' autore del saggio L'evoluzione delle Istituzioni Parlamentari, pubblicato ne Il Caso Italiano 2 - 2001, Garzanti (traduzione dei volumi 'Italy: resilient and vulnerable' della rivista 'Daedalus' dell'American Academy of Arts and Sciences). Ha curato per Einaudi il volume degli Annali della Storia d'Italia Il Parlamento, pubblicato nell'ottobre 2001. Per Laterza ha pubblicato, nel maggio 2002, Il ciclo mafioso. Per Garzanti, nel giugno 2002, ha pubblicato, in collaborazione con i professori Carlo Federico Grosso e Guido Neppi Modona, il manuale di diritto e procedura penale Giustizia penale e poteri dello Stato. Nel 2003 ha pubblicato per Einaudi Un mondo asimmetrico"] Tesi 1. La mafia non e' una piovra, ne' un cancro. Non e' ne' misteriosa ne' invincibile. Per combatterla efficacemente e per vincerla occorrono analisi razionali. E' fatta di uomini, danaro, armi, relazioni politiche e relazioni finanziarie. E' costituita essenzialmente da tre grandi organizzazioni criminali, Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra, e da un'organizzazione minore, la Sacra Corona Unita, che e' radicata in Puglia. Queste organizzazioni hanno in comune il controllo del territorio, i rapporti con la politica e l'internazionalizzazione. Questo le differenzia dalle comuni forme di criminalità organizzata. * Tesi 2. La principale organizzazione mafiosa e' Cosa Nostra, con circa 5.000 affiliati. Ha un esteso radicamento sociale, un'organizzazione paramilitare, illimitate disponibilita' finanziarie. Controlla minuziosamente il territorio sul quale opera. La sua forza e' determinata dal rapporto con la politica. La regola fondamentale e' l'utilitarismo. La strategia e' costituita dall'espansione illimitata. Cosa Nostra e' uno Stato nello Stato e agisce come una componente eversiva armata. * Tesi 3. La camorra agisce prevalentemente in Campania; e' costituita da centinaia di bande, con quasi 7.000 affiliati, che si compongono e si scompongono con grande facilita', a volte pacificamente, altre volte con scontri sanguinosi. La camorra ha una storia antichissima e un carattere prevalentemente mercenario. Ha manifestato una grande capacita' di condizionamento dell'economia e delle amministrazioni locali. * Tesi 4. La mafia calabrese si chiama 'ndrangheta. Essa ha caratteristiche proprie che la fanno apparire anomala tanto rispetto a Cosa Nostra quanto rispetto alla camorra. Mantiene aspetti arcaici insieme a innovazioni di straordinaria modernita'. Ha il quasi monopolio del traffico d'armi, conta circa 5.600 affiliati, sul proprio territorio riesce a mantenere livelli di impunita' elevatissimi, superiori a quelli di Cosa Nostra. E' l'organizzazione mafiosa piu' presente nel nord del Paese. * Tesi 5. La Puglia e' il "cortile di casa" delle tre mafie principali. Vi operano diverse forme di criminalita' organizzata di tipo mafioso; la piu' importante e' la Sacra Corona Unita. Essa trae origine dal mutamento strutturale di organizzazioni malavitose locali venute a contatto, agli inizi degli anni Ottanta, con la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e, grazie al soggiorno obbligato, con esponenti di Cosa Nostra. E' un tipico esempio di crescita incontrastata di un'organizzazione mafiosa che avrebbe potuto essere bloccata con una ordinaria e tempestiva azione giudiziaria e di polizia. Il fenomeno, nonostante le reiterate denunce della Commissione antimafia, a partire dalla prima meta' degli anni Ottanta, ha potuto espandersi senza ostacoli sino a raggiungere una pericolosita' considerevole. * Tesi 6. Il carcere costituisce per le organizzazioni mafiose il prolungamento del loro territorio. Non c'e' alcuna possibilita' di sconfitta della mafia se non si attua una rigida separazione tra mafiosi detenuti e mafiosi in liberta'. Percio' e' necessario mantenere l'efficacia dell'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario, che stabilisce particolari controlli sui detenuti pericolosi. * Tesi 7. Il potere delle mafie moderne nasce essenzialmente da alcune grandi decisioni pubbliche. Ci sono, al di la' della storia specifica di Cosa Nostra e del suo ruolo ai tempi dello sbarco alleato in Sicilia, scelte pubbliche di natura politica o economica, che hanno schiacciato il Mezzogiorno, hanno premiato classi politiche dirigenti locali fragili e delegittimate e sono state attuate con la tolleranza dei ceti imprenditoriali. Questo fenomeno ha prodotto l'integrazione della mafia nel sistema economico e politico e ha dato luogo ad estese pratiche corruttive. La corruzione, nel processo espansivo della mafia, si e' rivelata piu' importante del ricorso alla violenza. * Tesi 8. Logge massoniche "deviate" costituiscono il tramite piu' frequente e piu' sicuro nei rapporti tra mafia e istituzioni. Per mezzo di queste logge, in particolare, la mafia cerca di "aggiustare" i processi che la riguardano. Esponenti delle logge massoniche, a loro volta, hanno chiesto in diverse occasioni la partecipazione di Cosa Nostra a vicende criminali ed eversive. Il terreno d'incontro tra la mafia e queste logge e' costituito dai comuni interessi antidemocratici. * Tesi 9. Le leggi contro la mafia ci sono. E' necessario apportare alcune correzioni; ma in questa fase non servono altre leggi. Serve invece un forte indirizzo politico per ottenerne dagli apparati dello Stato la piu' puntuale osservanza. E' grave piuttosto che le leggi contro la mafia siano state approvate solo dopo grandi omicidi, come se la classe politica dirigente dovesse essere costretta dagli avvenimenti a fare queste leggi e non avesse mai avuto una propria autonoma strategia antimafia. Tra le diverse leggi, una delle piu' efficaci e' quella che stabilisce forti riduzioni di pena per i cosiddetti "pentiti" inducendo i mafiosi a rompere l'omerta' e a collaborare con lo Stato contro le organizzazioni di appartenenza. * Tesi 10. La Federazione Russa costituisce oggi, per la crisi economica, per la fragilita' politica e per la difficolta' a darsi regole e farle osservare, un nuovo terreno di insediamento delle grandi mafie dei diversi Paesi, comprese le mafie italiane. Questi insediamenti possono arrecare danni particolarmente gravi e inediti perche' la Russia e' una potenza nucleare e perche' senza una radicale azione di contrasto, concertata tra tutti i Paesi interessati, quel territorio potrebbe diventare una sorta di colossale "citta' aperta" alle mafie di tutto il mondo. * Tesi 11. La mafia, grazie ad un volume di affari che si aggira attorno ai 69.000 miliardi l'anno, puo' distruggere il mercato sostituendo con i propri imprenditori gli imprenditori onesti, rapinando le ricchezze nazionali, inquinando irrimediabilmente il sistema bancario e finanziario. La difesa del mercato dalle organizzazioni mafiose ha per la democrazia un valore analogo alla difesa delle istituzioni dello Stato. * Tesi 12. Risultati definitivi nella lotta contro la mafia possono ottenersi soltanto se all'azione repressiva contro le organizzazioni mafiose si accompagnano interventi sociali per garantire i diritti fondamentali dei cittadini. Sinora la lotta contro la mafia ha avuto un andamento pendolare proprio perche' la repressione non e' stata affiancata da un'azione di risanamento. I nostri successi saranno definitivi se sapremo rompere tutti i rapporti tra mafia e politica e realizzare le riforme sociali. Accanto all'antimafia dei delitti deve affermarsi l'antimafia dei diritti, fondata sulla costruzione di condizioni economiche e sociali dignitose per tutti. La mafia e' il nostro principale fattore di arretratezza. 4. REFERENDUM. GIANCARLO CASELLI: DUE SISTEMI [Dal quotidiano "L'Unita'" dell'11 giugno 2006. Ci sia consentita minima una glossa, l'incipit favolistico e marionettistico ha le sue regole iconiche e narrative, ma naturalmente non sara' inutile ricordare ancora che il fascismo comincio' con gli omicidi e fini' nell'ecatombe, e nulla di buono vi fu e mai vi sara' di ascrivibile a un regime che s'impose coi pugnali ed ebbe come esito la piu' tragica orgia di sangue della storia europea (p. s.). Gian Carlo Caselli (Alessandria 1939), prestigioso magistrato impegnato contro terrorismo e mafia, e' attualmente procuratore generale presso la Corte d'appello di Torino; dal 1964 e' assistente volontario di Storia del diritto italiano presso l'Universita' di Torino; entrato in magistratura nel 1967 ha cominciato sua carriera in magistratura a Torino come giudice istruttore impegnato in indagini sul terrorismo, in particolare sulle Brigate rosse; nel 1984 fa parte della Comissione per l'analisi del testo di delega del nuovo codice di procedura penale, dal 1986 al 1990 e' stato membro del Consiglio superiore della magistratura, nel 1991 e' consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, ha diretto la Procura di Palermo dal 1993 al 1999, dal 1999 al 2001 ha diretto il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nel 2001 e' stato nominato rappresentante a Bruxelles nell'organizzazione comunitaria contro la criminalita' organizzata Eurojust; svolge anche un'intensa attivita' pubblicistica su quotidiani e periodici. Opere di Gian Carlo Caselli: (con Antonio Ingroia), L'eredita' scomoda, Feltrinelli, Milano 2001; Un magistrato fuori legge, Melampo 2005; (con Raoul Muhm), Il ruolo del Pubblico Ministero. Esperienze in Europa, Vecchiarelli, Manziana (Roma) 2005; (con Livio Pepino), A un cittadino che non crede nella giustizia, Laterza, Roma-Bari 2005. Opere su Gian Carlo Caselli: Vincenzo Tessandori, Ettore Boffano, Il procuratore, Baldini & Castoldi, Milano 1995; Riccardo Castagneri, "I miei anni a Palermo". La verita' di Gian Carlo Caselli, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2006] C'era una volta un signore che amava indossare (e far indossare) una divisa confezionata in orbace nero. Ogni tanto si affacciava ad un balcone o trebbiava il grano. E ogni volta gonfiava i muscoli e induriva le mascelle. Voleva comandare tutto da solo. Duro' circa vent'anni, durante i quali combino' anche qualcosa di buono (difficile sbagliarle tutte in un cosi' lungo periodo...). Ma alla fine porto' alla rovina il suo Paese: l'Italia. Dopo i disastri del fascismo, gli italiani si dissero che bisognava evitare - in futuro - che potesse ancora esserci un uomo solo al comando. Fu cosi' che 556 eletti dal popolo, uomini e donne di diversi orientamenti (democristiani e comunisti, socialisti e liberali, repubblicani e azionisti, credenti e non...), si riunirono in un'assemblea costituente, lavorarono sodo per 18 mesi e alla fine elaborarono insieme - raggiungendo un accordo di altissimo livello - una legge-base: la Costituzione repubblicana del 1948. Obiettivo della Costituzione e' tenere insieme liberta' ed eguaglianza, mediante un progetto di stato condiviso da tutti, fondato su regole eguali per tutti, senza che a prevalere siano rapporti di forza a vantaggio di qualcuno. Il progetto e' quello di una democrazia emancipante, dove lo status del cittadino comprende non solo il diritto di voto, ma pure il diritto a condizioni di vita decorose: anche per i disoccupati, gli anziani, i malati, i meno protetti. I principi di giustizia distributiva sono cosi' principi codificati, consacrati nella carta fondamentale. Percio' le politiche per realizzarli sono dovute, non piu' negoziabili. Questa la novita' "rivoluzionaria" del costituzionalismo moderno. Una novita' oggi in pericolo. Perche' si profilano diffusi tentativi di chiudere questa stagione e di ritornare ad un vecchio modello: in forza del quale lo status e le liberta' dei cittadini (e degli immigrati) tendono a dipendere non tanto dalle regole, quanto piuttosto dai rapporti di forza. In questo quadro va inscritta anche la tendenza, ormai diffusa, ad operare perche' la Costituzione sia riformata. In realta', la Costituzione vigente gode ancora di ottima salute. Essa disegna un sistema in cui c'e' sempre qualcuno che controlla qualcun altro. Pesi e contrappesi, per evitare - nel cupo ricordo delle tragedie causate dalla dittatura fascista - la "primazia" (o supremazia) di un potere sugli altri. Questo sistema democratico ha funzionato e chi ha avuto volta a volta la maggioranza ha potuto governare come voleva. * Eppure, e' di moda dire che la Costituzione e' un ferrovecchio, da cambiare. Nella legislatura appena conclusa ci hanno pensato cinque "saggi". Riuniti per pochi giorni in una baita di montagna, fra polenta e buon vino, hanno escogitato varie novita, poi rapidamente approvate dalla maggioranza di centrodestra. Il Capo dello Stato perde il potere di sciogliere le Camere. Le Camere - alla fin fine - di fatto possono "licenziare" (sfiduciare) il Presidente del Consiglio soltanto se lui e'... d'accordo. La Corte costituzionale (pilastro a difesa dei diritti fondamentali di tutti gli italiani) perde indipendenza rispetto al potere politico, perche' aumenta in modo decisivo il numero dei componenti di nomina partitica. La camera dei Deputati ed il Senato (regionale) sono organizzati, quanto a competenze e funzionamento, in maniera piuttosto confusa, se non reciprocamente paralizzante. Qualcuno ha sintetizzato con la parola "vattelapesca" quel che potra' succedere in concreto. In sostanza, e' la rivincita della politica - di una certa concezione della politica - sulle regole e sul diritto. I controlli si riducono ed i poteri si concentrano in poche mani. Torna a profilarsi l'ombra del governo di uno solo. Un "ducetto", se vorra' esserlo. Ovviamente, che governi Romano Prodi o Silvio Berlusconi o chiunque altro non cambia un bel niente: i pericoli, per l'equilibrio costituzionale fra i poteri dello stato, rimangono gli stessi. C'e' poi il nocciolo duro della "devolution" italiana, cioe' la ridefinizione del rapporto fra potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni, con attribuzione a queste ultime di competenza esclusiva in materia di sanita', scuola e polizia amministrativa locale. Tale competenza potrebbe essere attuata (sotto la spinta di fattori economici o volonta' politiche contingenti) nel senso di una frantumazione dei sistemi sanitari e scolastici, con forti differenze di prestazioni nelle varie regioni. Persino con possibili discriminazioni tra residenti e non, a prescindere dalla oggettiva gravita' delle patologie lamentate. La prospettiva e' quella di un federalismo nemico dell'eguaglianza. * Il 25 giugno, andando a votare per il referendum che decidera' se confermare o meno la riforma, si trattera' dunque di scegliere fra due sistemi: quello della Costituzione vigente, che prevede una democrazia pluralista, e quello della "nuova" Costituzione, che delinea - come si e' visto - uno scenario diverso, con possibili ripercussioni sulla stessa idea di eguaglianza dei cittadini. Due sistemi assai lontani, come assai lontani sono stati i metodi praticati per arrivarci. Quale dei due sistemi e' meglio? 5. LIBRI. DOMENICO GALLO PRESENTA "SCELGO LA COSTITUZIONE" DI AUTORI VARI [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 giugno 2006. Domenico Gallo (per contatti: domenico.gallo at tiscali.it), illustre giurista, e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto saggista, gia' parlamentare, tra gli animatore dell'Associazione nazionale giuristi democratici; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985; Millenovecentonovantacinque, Edizioni Associate, Roma 1999; (a cura di, con Corrado Veneziano), Se dici guerra umanitaria. Guerra e informazione. Guerra all'informazione, Besa, 2005; (a cura di, con Franco Ippolito), Salviamo la Costituzione, Chimienti, Taranto 2006. Vari suoi scritti sono disponibili nel sito www.domenicogallo.it] "Il venticinque e ventisei giugno, sessanta anni dopo il glorioso 2 giugno 1946, il popolo italiano dovra' decidere di nuovo sul suo avvenire, sul suo destino di nazione. La posta in gioco attiene alla qualita' della vita delle donne e degli uomini che lo compongono, alle istituzioni che dovranno regolare la sua esistenza. Le elettrici e gli elettori italiani dovranno pronunziarsi sulla salvaguardia delle conquiste di civilta' sancite nella Costituzione del 1948, sulle promesse che vi sono contenute, mantenute finora solo in parte ma mai rinnegate, o, invece, sul rovesciamento dello spirito e della lettera di quella che e' stata finora la legge fondamentale della nostra Repubblica, sulla rottura sostanziale dell'unita' nazionale, sulla liquidazione della solidarieta' economica, sociale e politica fra gli italiani, sulla manipolazione fraudolenta della sovranita' popolare, sulla mistificazione della rappresentanza e conseguente svuotamento del Parlamento, sulla compressione dei diritti, specie se sociali, sulla riduzione dell'eguaglianza alla mera soggezione alla legge, sulla mostruosa concentrazione del potere politico in una persona sola". Inizia cosi' l'introduzione di Gianni Ferrara al volume Scelgo la Costituzione - No alla controriforma, edito congiuntamente dal "Manifesto e "Liberazione", in edicola dallo scorso 2 giugno. Con la chiarezza e la severita' che lo contraddistingue, Gianni Ferrara getta sul piatto della bilancia, fin dalla prima pagina, la dimensione di senso della straordinaria scelta a cui il popolo italiano e' chiamato con il referendum del 25 giugno. Una dimensione di senso che e' stata accuratamente occultata, durante il corso dei lavori parlamentari, attraverso il ricorso, bipartisan, ad una espressione (la "devolution") idonea a corrompere la comunicazione politica, nascondendo la dimensione, l'oggetto ed il contenuto della riforma e che - ancora adesso - a pochi giorni dal voto, fa fatica ad emergere nel dibattito politico. Basti pensare che il portavoce del governo, riunito in conclave a San Martino in Campo, il 5 giugno, si e' limitato ad auspicare che il popolo italiano premi il "no" perche' la valutazione sulla legge e' politicamente e tecnicamente negativa: "E' una riforma che potrebbe portare molti problemi all'efficienza del sistema". "Lavoriamo per il no - ha ribadito il portavoce di Prodi - e poi cerchiamo una soluzione, o piu' soluzioni condivise anche con l'opposizione". Orbene, perche' nessun comunicatore politico si prende la briga di spiegare al popolo italiano qual e' il vero oggetto della posta in gioco con il referendum: che si tratta di un referendum veramente eccezionale in cui i cittadini, divenuti essi stessi costituenti, devono decidere di nuovo dell'identita' e del futuro della Repubblica? Quanti cittadini italiani sono coscienti che il venticinque e ventisei giugno 2006 dovranno fare una scelta istituzionale, come fu quella del 2 giugno 1946, sul futuro della democrazia nel nostro paese? Per diventare coscienti del contenuto e del valore della scelta che siamo chiamati a fare il 25-26 giugno, bisogna assumere - con urgenza - dei farmaci che ci aiutino a sviluppare un valido processo di conoscenza. Il libro Scelgo la Costituzione e' uno dei farmaci piu' potenti che siano stati immessi sul mercato politico. E' un farmaco a basso costo, facile da trovare ed alla portata di tutti. Basta andare in edicola ed acquistare "Il manifesto" o "Liberazion", e con un piccolo sovrapprezzo (4,50 euro) ci portiamo il farmaco a casa. Questo farmaco e' confezionato con scritti di valenti costituzionalisti (Azzariti, Bilancia, De Fiores, Di Giovine, Marsocci, Oliviti, Ronchetti, Valastro, Villamena), che ci portano con mano nei labirinti mefitici della riforma, sviscerando con esemplare chiarezza gli svariati argomenti oggetto della controriforma. Questi scritti analizzano la figura del Primo Ministro, mettono a fuoco i suoi poteri, la mortificazione del Parlamento, la perversione del procedimento legislativo, la manomissione dei poteri e del ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica italiana, la manipolazione degli istituti di garanzia, del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale, e le aberrazioni del nuovo riparto delle competenze Stato-Regioni. Infine le considerazioni finali sulla democrazia costituzionale di Maurizio Oliviero e Franco Russo, ci riportano alla dimensione di senso dell'insieme: "la Costituzione e' la via per tenere aperta la societa', per consentire lo sviluppo e l'autogoverno delle persone, offrendo procedure e strutture giuridiche al riparo dall'arbitrio del potere e della forza". Anche questo libro, come tutti i farmaci, deve essere assunto con urgenza. Dobbiamo leggerlo e diffonderlo prima che sia troppo tardi, in modo che nessuno - dopo il 26 giugno - possa dire: "Che peccato... se solo lo avessi letto prima". 6. RILETTURE. HANNAH ARENDT: LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunita', Milano 1967, 1996, pp. LIV + 712, lire 36.000. Un'opera classica di una delle nostre maestre maggiori. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1328 del 16 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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