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La nonviolenza e' in cammino. 1327
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1327
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 15 Jun 2006 00:19:42 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1327 del 15 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. Il 16 giugno a Pescara 2. Raniero La Valle: Salvare la Costituzione 3. Luisa Muraro: Il rompicuore delle donne tra figli e lavoro 4. Paolo Candelari: Relazione all'assemblea nazionale del Movimento Internazionale della Riconciliazione 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. IL 16 GIUGNO A PESCARA [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo] Esprimiamo profonda indignazione per lo stupro commesso venerdi' sera da un gruppo di giovani maschi a Pescara. Ci indigna anche il modo in cui i mass-media hanno finora trattato il gravissimo episodio, connotandolo perlopiu' come problema di ordine pubblico o di disagio sociale. Non si sono invece interrogati su quello che per noi appare evidente: che si tratta cioe' dell'ennesimo atto di violenza commessa contro le donne. Bisogna infatti usare le parole giuste per definire quanto accade: l'aumento esponenziale della violenza contro le donne, sia che si tratti di stupri di gruppo che di violenza esercitata fino all'omicidio all'interno di relazioni familiari, si connota come una aggressione da parte degli uomini nei confronti delle donne che svela tutta l'incapacita' maschile a misurarsi con la liberta' e il protagonismo femminile, un dato ormai irreversibile e che vuole potersi esprimere ovunque. A partire da questo ci interessa discutere con donne e uomini, pur sapendo che ci sono anche altri aspetti di ordine pubblico, di uso del tempo e della citta'. Non ci interessa raccogliere solidarieta', ci interessa sollecitare l'assunzione di responsabilita' da parte di tutta la collettivita'. Chiediamo alla soggettivita' maschile di uscire dalla complicita' e di interrogarsi su se stessa. Alcuni uomini (troppo pochi ancora) hanno iniziato a farlo. Incontriamoci tutte e tutti, donne e uomini, venerdi' 16 giugno alle ore 22 in Piazza Unione a Pescara: per rendere visibile la nostra indignazione, per la ferita aperta nella citta', partecipando alla fiaccolata che alle ore 23 attraversera' Pescara vecchia. * Prime firmatarie: Chiara Eusebio, Angela Valente, Francesca Valente, Emilia Di Nicola, Franca Canale, Rosa Paolini, Daniela Liguori, Sandra Alberico, Colomba Fusilli, Rosa D'Alfonso, Carolina Ustorio, Stella Croce ed altre della Cgil di Pescara, Francesca Magliulo dell'Udi di Pescara, Vittoria D'Incecco assessora al Comune di Pescara, Viola Arcuri capogruppo Ds Pescara, Paola Marchegiani gruppo La Margherita Pescara, Maria Rosaria La Morgia consigliera regionale dell'Unione, Maristella Lippolis consigliera di parita', Sara Ranocchiaro, Silvana Palombo, Antonella Di Crescenzo del Pdci, Laura Di Russo del Laboratorio delle donne per la buona politica, Giusi Di Crescenzo del Centro di cultura delle donne "Margaret Fuller", Guja Marconi del Forum donne di Rifondazione Comunista, Mariella Saquella della Consulta delle associazioni femminili, Carla Antonioli dell'Associazione ben-essere, Edvige Ricci Mila di Donnambiente, Silvana Di Meco del coordinamento donne Ds, Anna Giansante della Commissione pari opportunita', Roberta Pellegrino dello Sportello antiviolenza di Pescara, Norina Sprecacenere del Telefono rosa, Maria Bucci, Nicoletta Monaco, Nicoletta Di Gregorio, Elvia Giannantoni, Luciana Morelli, Daniela Senepa, Paola Senepa, Wilma Filippone, Silvana Battista. * Per aderire inviare una e-mail ai seguenti indirizzi: infofppe at cgilpe.it, consiglierapari at provincia.pescara.it, lunione at regione.abruzzo.it 2. REFERENDUM. RANIERO LA VALLE: SALVARE LA COSTITUZIONE [Riportiamo l'introduzione di Raniero La Valle in Domenico Gallo e Franco Ippolito (a cura di), Salviamo la Costituzione, Chimienti, Taranto 2005, alle pp. 13-18. Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscali.it) e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di "Vasti - scuola di critica delle antropologie", presidente del Comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003. Per richiedere il libro alla casa editrice: e-mail: info at chimientieditore.it, sito: www.chimientieditore.it] Questo libro intende animare e motivare la battaglia popolare per la difesa della Costituzione della Repubblica. Tappa culminante e risolutiva di questa battaglia sara' il referendum al quale sara' sottoposta la riforma costituzionale voluta dalla destra, essendo in potere dell'elettorato respingerla con il "no", non avendo essa ottenuto in Parlamento quella maggioranza qualificata che l'avrebbe messa al riparo dal ricorso al voto popolare. Per la Costituzione del 1948 si tratta dell'ultimo appello prima della condanna definitiva. Per i cittadini si tratta dell'estrema possibilita' di salvare la Repubblica costituzionale costruita in Italia come alternativa storica al fascismo. Nell'intraprendere questa battaglia dobbiamo pero' avere chiaro qual e' l'esatta situazione politico-istituzionale nella quale ci troviamo, e qual e' il ruolo che il popolo e' chiamato a svolgere. Siamo in uno stato di "Costituzione vacante" e il popolo e' chiamato a svolgere un ruolo costituente. Noi non siamo infatti piu' in Italia nella situazione in cui eravamo fino al 16 novembre del 2005, con una Costituzione ancora pienamente vigente e un progetto in corso per modificarla. Oggi la Costituzione vive in regime di proroga, fino al referendum; ma almeno per quanto riguarda il Parlamento, nelle sue due Camere, essa e' stata gia' cancellata e sostituita con un'altra, la cosiddetta Costituzione di Lorenzago, che il 16 novembre 2005 ha completato, appunto, il suo iter con l'ultimo voto del Senato. Essa abroga e sostituisce l'intera seconda parte della Costituzione del '48 e, come dimostrano i testi di questo libro, ne travolge inevitabilmente anche la prima parte con i suoi principi fondamentali, i suoi diritti e i suoi valori. Dunque noi siamo propriamente in un regime di eclisse costituzionale; la Costituzione formalmente c'e' ancora, ma essa e' stata ripudiata e delegittimata dalla parte oggi dominante della classe politica italiana, dai presidenti delle due Camere, dal presidente del Consiglio, dalla maggioranza parlamentare e anche dal sistema informativo che nel suo complesso ha oscurato l'operazione facilitandone il compimento; mentre nulla hanno potuto fare per difenderla gli altri poteri dello Stato, e nulla ha potuto la minoranza di centrosinistra, al di la' della sua ovvia e pur vigorosa opposizione in sede parlamentare. Dunque, allo stato delle cose la Costituzione del '48 e' gia' stata sconfitta a livello politico-istituzionale, benche' non ancora a livello popolare. * Una prova di questa sconfitta si e' avuta nel fatto che, all'indomani del voto definitivo di licenziamento della Costituzione da parte delle Camere, e' stata promulgata una nuova legge elettorale che del dissesto costituzionale appare il massimo emblema e che potenzialmente contiene in se', senza che sia stata predisposta alcuna rete di difesa, meccanismi che potrebbero portare alla fine della democrazia. La nuova legge elettorale infatti, nonostante il conclamato ritorno al proporzionalismo - che avrebbe potuto essere salutato come l'inizio di un ripensamento rispetto ai guasti del bipolarismo -, puo' risolversi nella rottura di ogni ragionevole proporzionalita' tra la volonta' popolare espressa dal voto e la composizione della rappresentanza che ne risulta negli emicicli parlamentari. La Camera, secondo la nuova legge, non e' piu' un'unica assemblea elettiva composta da 630 deputati, ma e' suddivisa in due corpi collettivi, uno di 340 e l'altro di 277 deputati, eletti in base a due proporzioni diverse rispetto ai voti espressi dai cittadini; la prima delle due sottosezioni e' formata dai 340 deputati assegnati per legge alla coalizione che avendo superato la soglia del 10 per cento, o al singolo partito che avendo superato la soglia del 4, abbia ottenuto sul piano nazionale anche un solo voto in piu' di ogni altra singola coalizione o lista; la seconda delle due sezioni e' formata dai 277 deputati restanti, che vengono divisi tra tutte le altre coalizioni e liste. Questo sarebbe il nuovo meccanismo del premio di maggioranza. Se poi il vincitore ottenesse un successo alla bulgara, potrebbe anche superare il numero dei 340 deputati che gli sono assegnati d'ufficio, e percio' diminuirebbe anche il numero dei deputati di minoranza. Non ci sono voti di preferenza, si e' eletti secondo l'ordine di lista stabilito dai partiti, il che accentua l'impressione di due feudi giustapposti formati non da rappresentanti del popolo, ma da clienti dei rispettivi leader baronali che dispensano le candidature. Il significato eversivo di tale meccanismo non appare evidente oggi, perche' la legge elettorale e' stata approvata quando gia' tutto il sistema politico si preparava alle elezioni nella logica del sistema maggioritario uninominale; le coalizioni erano gia' formate e i leader erano gia' alla testa delle rispettive alleanze. Dunque, sara' una coalizione in ogni caso consistente (presumibilmente oltre il 40 per cento) che si aggiudichera' questa volta i 340 deputati del settore A della Camera. Ma nulla vieta di pensare che, accentuandosi la frammentazione dei partiti e la crisi delle coalizioni e sempre piu' deteriorandosi la cultura del bene comune, anche un singolo partito o un singolo leader possa domani puntare ad aggiudicarsi l'intera posta, sopravanzando anche di poco, e pur con una percentuale modesta di voti, ciascuno degli altri concorrenti. Se Berlusconi, invece di essere sinistrato dai risultati di cinque anni di governo, fosse stato ora nel pieno del suo fulgore di ricco onnipotente e di signore mediatico, avrebbe potuto con questa legge provare a vincere da solo, senza gli incomodi alleati, come potrebbe essere tentato di fare domani qualsiasi partito unico o forza militante che, partendo da una situazione di minoranza, fosse strenuamente determinato a prendere il potere. Se poi si mette insieme legge elettorale e nuova Costituzione, si vede come la prima realizzi in anticipo l'ideologia antiparlamentare della seconda. La suddivisione della Camera dei Deputati in due corpi distinti, che trova la sua origine nel momento elettorale, si prolunga infatti nella Camera disegnata dal nuovo assetto costituzionale, mediante una separazione funzionale e istituzionale dei due settori parlamentari, quello dei deputati di maggioranza e quello dei deputati di opposizione; i primi hanno "prerogative" (art. 64), gli altri hanno "diritti" (sostanzialmente limitati peraltro al diritto di tribuna); i primi decidono della fiducia o sfiducia al governo e possono designare un altro primo ministro, i secondi anche se votano a favore del governo non contano, i loro voti sono considerati contaminanti e non vengono computati perche' non vengano a ledere le prerogative del governo e della maggioranza (art. 94). Il rapporto tra governo e Parlamento e' in realta' un rapporto di dominio esclusivo tra il Primo ministro e il settore di maggioranza della Camera che e' eletto con lui e dipende da lui, l'altro settore non potendo avere alcun ruolo nella ricerca di soluzioni alternative, che e' la ragione per cui in questo nuovo sistema governo e Camera stanno insieme e cadono insieme, e il primo ministro sempre puo' sciogliere l'Assemblea (art. 88). Quanto al Senato, la nuova legge elettorale trasforma in maggioranza la piu' forte minoranza regionale in ogni singola regione, senza percio' che l'alterazione del risultato elettorale sia nemmeno giustificata da ragioni nazionali di governabilita', che' anzi il sistema potrebbe dar luogo a maggioranze diverse e tra loro incompatibili alla Camera e al Senato; cio' apre la strada a risultati bizzarri, assolutamente imprevedibili e politicamente ingestibili, preludendo di fatto a quella liquidazione del Senato come istituzione politica seria che la nuova Costituzione comporta. La legge elettorale, dunque, mentre precorre la Costituzione gia' pubblicata ma non ancora vigente, rappresenta il colpo di grazia alla Costituzione che c'e', proprio per quell'impazzimento del principio di rappresentanza e per quella trasformazione delle elezioni politiche in roulette russa che abbiamo descritto. Le critiche di incostituzionalita' che sono state rivolte alla legge si sono concentrate su aspetti di meno evidente illegittimita' costituzionale, che corrispondevano ai suoi aspetti politicamente piu' dannosi per l'opposizione (come una presunta insufficienza del premio di maggioranza, il caotico regime elettorale per il Senato, il cambio delle regole a partita gia' iniziata); ma nessuno ha denunciato il piu' clamoroso vizio di incostituzionalita', che consiste nel rendere possibile a una forza politica minoritaria antidemocratica di prendere il potere e di trasformarsi in regime. Che la legge elettorale, accolta con incredulita' e considerata poco piu' che una trovata propagandistica dal centrosinistra al momento del suo primo annuncio, sia diventata cosi' rapidamente legge dello Stato e regola della prossima decisiva consultazione politica, e' d'altra parte la prova di come la Costituzione gia' oggi sia stata neutralizzata, attraverso un lungo processo di deterioramento che ha raggiunto ora il suo apice. * Questo processo di deterioramento costituzionale e' andato di pari passo con l'indebolimento delle norme e degli istituti di garanzia. Basti pensare alla facilita' con cui e' stato aggirato l'art. 11 della Costituzione, mediante la soluzione puramente formalistica che e' stata data al problema dell'invio di una forza di occupazione italiana in Iraq al seguito delle truppe di invasione anglo-americane, in continuita' con un atto di aggressione e prima ancora di una qualsiasi acquiescenza dell'Onu ai fatti compiuti. Mentre non si e' fatto alcun cenno alle garanzie procedurali che escludono la partecipazione a una guerra in mancanza della delibera e della dichiarazione dello stato di guerra (artt. 78 e 87 Cost.), la questione di sostanza e' stata risolta con la dichiarazione del Consiglio Supremo di Difesa secondo cui la partecipazione italiana all'impresa sarebbe avvenuta in condizione di "non belligeranza" (salvo le ovvie smentite fornite poi dai filmati girati dai carabinieri a Nassirya). Il deperimento della Costituzione, che si e' massimamente manifestato durante tutto il corso del governo Berlusconi, ha avuto peraltro una piu' lontana origine nel riposizionamento del potere che si e' intrapreso in Italia e in Occidente dopo la rimozione del muro di Berlino. Basti ricordare che e' stato un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che, con un messaggio alle Camere il 26 giugno 1991, appellandosi a un supposto "momento magico" della storia seguito alla crisi dei regimi dell'Est, aveva globalmente rimesso in discussione la Costituzione del 1948 e dato un potente impulso al processo del suo sovvertimento. Bisogna aggiungere, peraltro, che l'atteggiamento riformatore di Cossiga era meno disinvolto di quello che e' stato poi di fatto adottato, anzi in quel messaggio si faceva esplicita riserva che col ricorso alle procedure dell'articolo 138 si potessero cambiare principi strutturali del nostro ordinamento costituzionale, come il bicameralismo e il governo parlamentare, e si richiedeva, per modifiche di tipo presidenzialistico, l'apertura di una vera e propria fase costituente. Diceva il Presidente Cossiga in quel messaggio sulle riforme costituzionali, inviato alle Camere in forza del primo dei poteri attribuito al Presidente della Repubblica dall'art. 87 della Costituzione: "Dovra' attentamente valutarsi, come parte della dottrina costituzionalistica ritiene, essendo il potere di revisione costituzionale o di approvazione di nuove leggi costituzionali previsto dall'art. 138 della Costituzione, non un 'potere costituente', ma un 'potere costituito', se esso non trovi nel suo esercizio non solo il limite sostanziale esplicito (articolo 139 della Costituzione), ma anche altri limiti sostanziali impliciti, connessi ai principi strutturali del nostro ordinamento costituzionale, cosi' come approvato dall'assemblea Costituente nel 1948: ad esempio il principio del bicameralismo e forse anche quello del bicameralismo cosi' detto paritario, il limite della forma di governo parlamentare nella forma classica, come adottata dal nostro costituente; cio' che sarebbe certamente di ostacolo all'introduzione nel nostro ordinamento, con una semplice legge di revisione costituzionale, non solo di un regime presidenziale, ma anche di regimi che, inquadrando in un procedimento 'automatico' per effetto del voto popolare o di diretta espressione parlamentare la nomina del Capo dell'Esecutivo, implichino la soppressione della funzione di arbitrato e garanzia che si volle propria del Presidente della Repubblica e che ne giustifico' l'adozione dell'istituto: Capo dello Stato". Nessuno tuttavia, avendone il potere, ha fatto poi valere questa riserva lungo tutto il corso della procedura volta alla liquidazione della Costituzione del '48. * La situazione nella quale il popolo e' chiamato a votare nel referendum risulta, dunque, di tutti questi elementi. Cadute le linee di difesa del patto costituzionale, venuti meno i pastori posti a presidio dei cittadini, il popolo rimane ora l'ultimo depositario della legittimita' costituzionale e l'ultima risorsa, l'ultima istanza in grado di salvare la democrazia rappresentativa nel nostro Paese. Esso e' investito di un vero e proprio ruolo costituente. Non dovra' semplicemente "difendere" la Costituzione del '48, che la sua rappresentanza politica gia' gli ha sottratto, ma dovra' instaurarla di nuovo. Non dovra' solo sottrarla all'oscuramento cui oggi e' condannata, ma riscoprirla e illuminarla come mai ha fatto finora. Proprio come la luce del sole, che non e' mai tanto amata ed osservata come nel momento dell'eclisse, cosi' potrebbe avvenire per la Costituzione in questi mesi, di rifulgere e farsi conoscere come mai era avvenuto nei decenni trascorsi. In tal modo l'atto che il popolo compira' quando nelle urne ne respingera' la liquidazione, sara' un vero e proprio esercizio di potere costituente. Sara' lui, il popolo, che riprendera' in mano gli ideali del mondo nuovo che animarono i padri costituenti del 1947, e che i figli hanno lasciato cadere. Sara' lui che riprendera' ed eseguira' il mandato delle generazioni che attraverso l'esperienza dei fascismi e dei militarismi, da Danzica ad Hiroshima, avevano concepito l'alternativa del primato del diritto e del ripudio della guerra. Sara' lui a farsi nelle urne Assemblea costituente e ad istituire di nuovo l'Italia come "una Repubblica democratica fondata sul lavoro". 3. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: IL ROMPICUORE DELLE DONNE TRA FIGLI E LAVORO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Vanity Fair" del 13 aprile 2006. Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] E' passato il tempo in cui di tutto si dava la colpa alla societa'. Io me la prendo lo stesso con la societa' e dico: questa societa' non e' amica delle donne che lavorano e hanno bambini. Il pensiero corre ai servizi per l'infanzia che mancano, ai datori di lavoro che fanno i furbi con la legge, agli affitti che costringono in periferia le coppie giovani o le madri sole. Ma io ho in mente un'altra cosa, il patimento che e', per una donna che lavora, il pensiero della sua creatura piccola alla quale non sta dedicandosi quanto vorrebbe. Con gli anni mi sono allontanata dal senso di colpa delle mamme che lavorano, ma non ho potuto dimenticarlo. Si puo' dimenticare la sofferenza del parto, non quella di un bambino lasciato troppo solo. Almeno, se ne parli! C'e' troppo silenzio, troppo far finta di niente, che puo' prendere perfino i tratti di una certa riprovazione. Solo una fantasia della neomamma? ma perche' allora non si fa festa intorno a lei? Il senso di colpa sembra nascere tutto dall'interno della soggettivita' personale, ma non e' vero. La societa' c'entra. In passato, quando le mamme andavano a lavorare costrette dalla necessita' d'integrare il reddito familiare, pensavano ai loro bambini ma si sentivano giustificate dal sentimento sociale. Oggi, una donna va a lavorare per una necessita' di tipo nuovo, che fa corpo con il suo desiderio di autonomia, di socialita', di autorealizzazione. E qui spunta il problema dell'accettazione sociale che fa difetto. L'accettazione risolutiva, secondo me, viene dalla societa' femminile. Che parole dicono, che sguardo rivolgono le altre donne, alla collega che torna dopo il congedo di maternita'? a quella che spinge una carrozzina o che pedala nel traffico con una, a volte due creature sul sellino, e gli occhi sull'orologio? Con "altre donne" intendo anche una come me, avanti negli anni, o quelle che non hanno figli, e quelle che in Italia sono ancora maggioranza, chiamate casalinghe, che hanno risolto diversamente il rompicapo (rompicuore, sarebbe piu' giusto) figli/lavoro retribuito. Ho sottolineato parole e sguardo, perche' un aiuto materiale in Italia si da' ancora alle mamme che lavorano, da parte femminile, ma sta venendo meno. Verra' meno, se non valorizziamo, apertamente e pubblicamente, con le parole e con lo sguardo, la condizione di quelle che scelgono di mettere al mondo bambini e di stare sul mercato del lavoro. Il conflitto tra questo mercato e quella condizione non si vince invocando il proprio diritto ad un'attivita' lavorativa retribuita. Questo diritto e' sacrosanto, ma l'ambito dei diritti e' relativamente superficiale, lo si vede nelle emergenze drammatiche tipo guerre e tsunami. E' il bello della vita, no? E la maternita' e' a questi livelli piu' profondi che arriva, come testimonia l'esistenza stessa dei sensi di colpa. Che forse non e' possibile eliminare del tutto, ma alleviare, si', con una piu' viva partecipazione sociale alla grandezza dell'esperienza materna. 4. RIFLESSIONE. PAOLO CANDELARI: RELAZIONE ALL'ASSEMBLEA NAZIONALE DEL MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE [Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at libero.it) per averci messo a disposizione il testo della relazione introduttiva tenuta all'assemblea nazionale del Movimento internazionale della Riconciliazione (in sigla: Mir) il 2 giugno 2006 a Gricigliana. Paolo Candelari, presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione, e' una delle piu' conosciute e stimate figure della nonviolenza in Italia. Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (in sigla: Mir in Italia, Ifor - International Fellowship of Reconciliation - a livello internazionale) e' uno dei principali e piu' autorevoli movimenti nonviolenti] Per preparare questi appunti sono andato a rileggermi la relazione fatta lo scorso anno per ispirarmi, poter fare un bilancio ed un confronto; devo dire, con una certa mestizia, che quanto scrissi lo scorso anno potrei riscriverlo anche adesso, per cui a quella relazione, pubblicata anche su "Qualevita", vi rimando. Dico questo perche' mi par di notare che le cose sono cambiate poco, e quel poco piu' in peggio che in meglio. Per bilanciare questo pessimismo posso ripetere quanto scritto nell'invito a questa assemblea, quando, parlando del nostro cammino di ricerca della nonviolenza, dicevo che "questo cammino va, come tutte le cose umane, tra alti e bassi, in mezzo a difficolta' ed errori, ma anche a sforzi generosi, a successi piccoli e grandi". Non e' che non ci siano stati fatti positivi, passi avanti, sia nel nostro piccolo Mir, che nella societa', ma questo procedere e' stato quest'anno molto zigzagante. * Ma procediamo con ordine, dando una scorsa al quadro politico e sociale mondiale in cui ci troviamo ad operare. Purtroppo qui c'e' poco di nuovo rispetto all'anno scorso. La strage in Iraq continua ed ha sempre piu' l'aspetto di una guerra civile interna, piuttosto che di una rivolta contro l'occupazione. Ogni tanto apprendiamo, con stucchevole sorpresa, che le truppe d'occupazione "americane" si sono comportate la' come si sono sempre comportate tutte le t ruppe di occupazione in qualsiasi paese; possiamo anche fregarci le mani rilevando come "avevamo ragione" quando dicevamo che la guerra era inutile e avrebbe peggiorato la situazione. Una ben magra consolazione che non ci esime dal cercare di capire come la annunciata "seconda grande potenza" [e' la trionfalistica e delirante definizione del movimento per la pace coniata alcuni anni fa da alcuni media, e fatta propria dagli sciagurati rimiratori del proprio ombelico mentre l'orrore infuria e la catastrofe procede - ndr] possa davvero diventare tale e riuscire ad essere capace di fermare la prossima guerra. La quale e' anch'essa gia' annunciata: prossimo obiettivo l'Iran, terza piu' grande riserva di petrolio al mondo dopo Arabia Saudita e Iraq; la classe dirigente iraniana sa da tempo di essere nel mirino (il famoso documento The new american century l'hanno letto anche loro) e cerca di prepararsi: come? Organizzando una resistenza popolare nonviolenta? No, seguendo la ben piu' battuta strada del riarmo, cercando di ottenere l'arma delle armi: l'atomica. Infatti, l'esperienza storica dimostra che il possesso dell'arma atomica e' una sorta di assicurazione contro le invasioni... e' quella la miglior assicurazione al diritto all'esistenza. Poiche' al di la' delle affermazioni e dei documenti, anche gli strateghi americani sanno che uno stato che possieda l'atomica diventa praticamente inattaccabile, a meno di mettere in conto una guerra nucleare, che nessuno, neanche i generali americani, vorrebbero combattere, ecco che scatta la teoria della guerra preventiva: intervenire prima che l'arma letale diventi "usabile" dal nemico, anche minacciando di usarla per primi, comunque prima che gli altri possano rispondere. E' chiaro che qui non e' in gioco la mutua distruzione assicurata come ai tempi della guerra fredda, la distruzione verrebbe assicurata ad una parte sola; l'Iran non sara' mai in grado di colpire gli Usa, ma puo' colpire qualche loro base in Medio Oriente, e comunque una guerra atomica tra Usa ed Iran, anche se dall'esito scontato, sarebbe terrificante, innanzitutto per i loro vicini. Ecco perche' e' importante per gli Usa intervenire prima che il nemico entri in possesso dell'arma micidiale. Trovo abbastanza assurda la posizione dell'Unione Europea, e anche di Russia e Cina, che fanno finta di credere che il problema sia il nucleare civile, offrano soluzioni solo a questo, mentre in realta' la vera questione e' garantire all'Iran il "diritto all'esistenza", ovvero un patto di non aggressione con gli Usa e con i vicini: ma questo significherebbe cercare di risolvere per via diplomatica l'intero groviglio mediorientale, con annessi e connessi: al di fuori di questa non esistono, secondo me, soluzioni credibili. Ma questo nessuno ha voglia di farlo: ne' l'Unione Europea incapace di svolgere una politica estera autonoma, per la quale stare sotto l'ombrello americano sara' scomodo e irritante, soprattutto se alla guida del gigante c'e' una cricca di rozzi spocchiosi e inguaribili yankee che si ritengono investiti della missione di salvaguardare la civilta', ma da' anche un gran senso di sicurezza in un mondo in cui la corsa alle sempre meno pingui ed economiche risorse energetiche sta diventando sempre piu' drammatica. Ma neanche Russia, superpotenza decaduta, e Cina, superpotenza emergente, hanno realmente voglia di risolvere il problema mediorientale, e cosi', mentre abbaiano insieme agli altri, facendo anche loro finta che il problema sia la produzione elettrica, collaborano, soprattutto la prima, a costruire quegli impianti che ufficialmente chiedono di chiudere. Insomma la grande guerra energetica del XXI secolo e' ormai iniziata: quali saranno i prossimi sviluppi? Quello che fa piu' specie e' che questa guerra viene mascherata da una rappresentazione che va sotto il nome di "guerra di civilta'", che viene propinata sia in occidente che nel Medio Oriente e che viene creduta il vero problema, anche da molti nel movimento per la pace che vorrebbero contrastarla. Questa che ho fatto e' ovviamente una descrizione semplificata; la realta' e' sempre molto piu' complessa. E nei conflitti odierni, come sempre del resto, si intersecano motivi e ragione diverse. * Cosi', mentre assistiamo alle grandi manovre per conquistare posizioni per quella "guerra energetica" di cui sopra, abbiamo anche una guerra civile interislamica, cosa piu' reale dello "scontro di civilta'" propinato alle opinioni pubbliche. Notate come, sia per il teatro delle azioni, che per i morti, che per gli obiettivi dichiarati, questa lotta opponga una parte dell'Islam, tutt'altro che omogenea, che potremmo definire fondamentalista, ad un'altra, anch'essa estremamente eterogenea, che viene definita moderata; la posta e' la conquista della guida del mondo arabo ed islamico. I secondi sono al potere nella maggior parte di quei paesi, in genere sono tutt'altro che moderati, tengono sottoposti i propri popoli e cercano di inserirsi nel grande gioco mondiale, partecipano dei benefici del capitalismo occidentale di cui sono parte integrante, sono piu' o meno alleati dell'occidente. Gli altri rimproverano a questi il tradimento dell'Islam e della sua tradizione, per ripristinare la quale si sono buttati in una lotta senza quartiere. Certo, l'occidente viene definito il satana, ma la vera battaglia e' contro i cosiddetti traditori arabi. Non posso dilungarmi troppo su questo, vorrei solo far osservare che anche in occidente c'e' un tentativo di accreditare questa sorta di guerra santa, per poter riscoprire l'identita' perduta, o forse mai esistita, ma che, creando un clima da guerra per la difesa dei "nostri" valori, unisca attorno a dirigenti senza scrupoli e fondamentalisti il popolino, dichiarando tutti coloro che sono incerti e gli oppositori, in "primis" i pacifisti, traditori disposti a vendere al nemico la propria patria. Alcuni lo fanno in modo rozzo (un esempio per tutti, la nostrana Lega Nord), non hanno enorme successo, ma diffondono pericolosi veleni culturali, quali l'odio per lo straniero, il razzismo, tutti quegli ingredienti che giravano gia' a cavallo tra il XIX e il XX secolo e che ebbero come sottoprodotto peggiore il nazismo. Altri lo fanno in modo piu' "soft", piu' acculturato, percio' sono anche piu' accattivanti, dunque piu' pericolosi: si punta su un presunto pericolo islamico in Europa, che cercherebbe di distruggere i valori occidentali; si mette l'accento sull'identita' occidentale giudaico-cristiana: e' il discorso dei cosiddetti "atei-devoti" che proprio per questo riceve troppe attenzioni dall'interno di una chiesa il cui percorso di avvicinamento alla nonviolenza non e' assolutamente scontato ne' acquisito una volta per tutte. Esiste una differenza tra i due tipi di fondamentalismi: quello islamico sembra aggressivo e feroce, ma, a parte alcuni casi, e' all'opposizione, non ha in mano le leve degli stati; quello occidentale e' al potere nella sua superpotenza. Ma attenzione: non esiste trappola peggiore che accettare questa rappresentazione della guerra di civilta', magari per contrastarla, accettandone i presupposti; in odio alla superpotenza americana si segue il vecchio falso detto "i nemici dei miei nemici sono miei amici", per cui si accetta l'altro fondamentalismo, considerato meno pericoloso, avvalorando il suo mostrarsi in antitesi al capitalismo occidentale. Anche tra molti pacifisti e sedicenti nonviolenti c'e' accondiscendenza verso questa parte, sempre giustificata, anche se criticata per i mezzi che usa. In realta' i due fondamentalismi sono facce opposte della stessa medaglia, entrambi lavorano per portare il mondo alla distruzione, e non e' che rafforzandone uno si indebolirebbe l'altro. * Quali dunque i compiti e la posizione dei nonviolenti e del movimento per la pace? Oggi come mai occorrerebbe ribadire la nostra totale e radicale alternativita' ad ogni forma di fondamentalismo, smascherare l'inganno di chi grida alla guerra di civilta' per continuare ad opprimere i propri e gli altrui popoli ad occidente, e di chi chiama alla guerra santa non per liberare, magari con mezzi sbagliati, da un'oppressione piu' grande, ma per imporre con la violenza la propria intollerante, razzista e misogina concezione del mondo, dimostrando ad ogni occasione di avere un grande nemico da combattere principalmente: lo spirito di liberta'. Non saremmo credibili se non fossimo chiari su questo punto ne' di fronte ai nostri popoli, ne' di fronte a chi dall'altra parte cerca di liberarsi da un giogo ancor piu' oppressivo e vede come unici alleati i sostenitori dell'esportazione armata della democrazia. Non sono d'accordo con l'eccessiva "tolleranza" nei confronti dell'estremismo degli ayatollah iraniani; ricordiamoci che la' c'e' un regime teocratico ed intollerante, che noi non sopporteremmo neanche un secondo, che opprime un popolo intero e si mantiene con la violenza e l'inganno. L'altro mito da sfatare e' quello del naturale corso degli eventi. Molti, anche tra i nonviolenti, sostengono che l'attuale modello di sviluppo, richiedente una continua crescita, e cosi' dipendente dalla disponibilita' di inesauribili fonti energetiche a basso costo, stia per entrare in crisi, proprio per il venir meno di quelle fonti. Questo metterebbe in crisi l'intero sistema, in particolare quell'area che piu' riceve benefici: l'occidente. Pertanto la crisi energetica, combinata con l'emergere di popoli fino a ieri "sottosviluppati" porterebbe fatalmente al crollo di quell'"impero americano" che i teocon vorrebbero invece centenario. E' questa una pericolosa illusione: innanzitutto questi processi, soprattutto quando non sono guidati, generano crisi e sconquassi politico-sociali violenti e sanguinosi; in secondo luogo l'occidente si sta gia' attrezzando per la difesa ad oltranza del suo tenore di vita, e per questo e' disposto ad usare tutto il suo terrificante arsenale: quando i pozzi di petrolio staranno per esaurirsi, e' certo che l'ultimo barile se lo prendera' l'America. La storia insegna che i cambiamenti sociali non avvengono se non ci sono dei soggetti sociali che si battono per essi, se manca l'elemento cosciente, un soggetto collettivo consapevole di dove si voglia andare. Ed e' su questo che rispetto all'anno scorso non si registrano passi avanti, anzi, forse dei passi indietro. La cosa tragica e' che l'attuale sistema politico-sociale non ha rivali ne' alternative. I vari pensatori e attivisti nonviolenti dovrebbero meditare su questo, e soprattutto cercare un rimedio. * Veniamo a esaminare la situazione nella nostra piccola, e per certi versi provincialissima Italia. Positiva la partenza di Berlusconi da Palazzo Chigi: il problema e' che solo di un trasloco si e' trattato e non di una vera cacciata. Il berlusconismo rimane, non e' stato sconfitto, e' un'onda lunga che viene da lontano, fa leva su un populismo becero, talvolta anche con parole d'ordine apparentemente socializzanti (contro i poteri forti, l'invadenza dello stato, ecc.), ma interpreta in modo istrionesco ed estremo i sentimenti piu' profondi della piccola borghesia provinciale italiana e di larghi strati di popolazione, esattamente come faceva il fascismo negli anni '30, quando tutto sommato godeva di un largo consenso e tanta gente si riconosceva nei modi, nei gesti del duce come oggi si riconosce in quelli del cavaliere. D'altra parte lo schieramento che ha vinto le elezioni e' variegato e composito, distante su tanti aspetti dal nostro punto di vista. C'e' chi si preoccupa dell'ipoteca della sinistra radicale sul governo Prodi, ma c'e' una ben piu' forte e pesante ipoteca, quella dei poteri forti che hanno puntato sul centrosinistra perche' Berlusconi e' per sua naturale refrattario a qualsiasi alleanza che non si risolva in una sudditanza a lui, ma che hanno l'intenzione di condizionarlo pesantemente, soprattutto per le politiche sociali. Dunque il lavoro da fare e' tanto, e soprattutto culturale: minare alle basi il consenso che c'e' attorno al liberismo e al berlusconismo (due cose comunque diverse, in alcune parti coincidenti, ma comunque compatibili tra loro). Ma soprattutto rimane l'esigenza di una rappresentanza politica dell'alternativa, in particolare sui problemi della pace e dello sviluppo. La sinistra radicale puo' essere una componente per certi versi a noi vicina, alcuni di loro si sono anche avvicinati a noi sul discorso della nonviolenza. Ma quando parlo di un soggetto politico in grado non solo di interpretare il malcontento, per ora minoritario, ma di dargli uno sbocco in positivo, una speranza, parlo di qualcosa di radicalmente nuovo. A questo punto sorge spontanea una domanda: esiste, magari a livello solo embrionale, un insieme di idee che possa prefigurare un progetto alternativo all'attuale sistema dominante? Mi piacerebbe sostenere il contrario, ma io non credo. Troppo diverse sono le idee, le soluzioni adombrate, quando ci sono, ed in genere infarcite di eccessive approssimazioni, semplicismo, retorica, accompagnate da tanta, troppa supponenza. So di essere provocatorio, ma voglio calcare la mano su questo perche' ritengo che i movimenti per la pace e nonviolenti debbano prendere coscienza che grande e' il contributo che potrebbero dare, ma che la strada da fare e' ancora lunga, e non si adagino in una autoreferenzialita' che rischia di essere dannosa. Lascio al prosieguo del dibattito, che spero possa continuare anche oltre questa assemblea, ben piu' di quanto sia successo finora, lo svisceramento di questa problematica, le possibili critiche a questa mia impietosa analisi, e soprattutto, la ricerca di correttivi: se qualcuno mi convincesse di aver peccato di eccessivo pessimismo sarei felicissimo, ma "i fatti sono testardi" (e' una citazione di Lenin, un rivoluzionario cinico e crudele, che riponeva una totale fiducia nella violenza, non un buon maestro per noi, ma che si e' posto un problema che dovremmo porci anche noi: come un piccolo gruppo di persone persuase delle loro idee e disposte a giocarsi completamente, possano, con forza di volonta' ed intelligenza politica, trascinare un intero popolo a cercare di cambiare il mondo). * Ed ora veniamo al Mir. Dopo aver esaminato i grandi processi della storia, puo' sembrare ridicolo e frutto di quell'autoreferenzialita' paranoica che ho appena denunciato, ma noi siamo quel che siamo; l'importante e' sapere dove ci stiamo muovendo, con la coscienza che ben poco possiamo cambiare di nostro, ma quel poco e' nostro dovere farlo e farlo bene. Un po' come quando si va a votare: il mio voto non e' mai determinante in se', ma aggiunto agli altri, diventa determinante. Discuteremo nel corso dell'assemblea cio' che abbiamo fatto e cio' che non abbiamo fatto, le campagne, i problemi che abbiamo incontrato, insomma le cose pratiche. Io, da buon presidente, mi limito a fare un predicozzo cercando di individuare tre punti su cui vorrei che meditassimo: 1) l'essenza del Mir; 2) credere in noi stessi; 3) rapporti col resto del mondo. * 1. Siamo un movimento a base spirituale che si "propone di portare l'anima nel movimento per la pace e la nonviolenza nelle religioni" (dalla dichiarazione Ifor in preparazione del consiglio mondiale). E' questo che caratterizza il Mir-Ifor rispetto ad altri movimenti nonviolenti, e su questo abbiamo intrapreso un cammino di approfondimento da circa tre anni. Questa e' la terza assemblea che dedichiamo a questo cammino, e cosi' facendo abbiamo anche superato una fase che stava portandoci alla morte per asfissia. Ora dobbiamo cominciare a pensare a come portare fuori questo lavoro, in modo da essere veramente fermento di una aggiunta nonviolenta da portare nelle comunita' di fede, nelle chiese, coinvolgendo associazioni, parrocchie, comunita'. Secondo me la' ci puo' essere un grande spazio: e' innegabile che grandi passi avanti sulla via di una maggior coscienza pacifista e nonviolenta sono stati fatti in questi anni nelle chiese, anche nella chiesa cattolica, soprattutto per l'impulso dato dal pontificato di Karol Wojtyla. Durante l'introduzione al seminario Enrico Peyretti ha lanciato l'idea di "Cristiani per la nonviolenza", un po' come una volta c'erano i "cristiani per il socialismo". Non sarebbe una cattiva idea, e potremmo proporla innanzitutto agli ambienti a noi piu' vicini, ad esempio Pax Christi, Agape. Un'idea potrebbe essere quella di un campo su cristianesimo e nonviolenza. Altre cose che potremmo fare: raccogliere documentazione e pubblicarla, proporla a case editrici di matrice religiosa, collegarci al lavoro dell'Ifor col suo piano di attivita' triennale. * 2. Ritengo che uno dei maggiori difetti del nostro movimento sia la mancanza di fiducia in se stessi; e non lo dico solo io, ho gia' sentito altri che da fuori han fatto la stessa osservazione. Non possiamo uscire verso gli altri se "non ci crediamo". Molte volte stiamo troppo dietro ai nostri problemi interni, spesso perdendoci nel proverbiale bicchier d'acqua, ingigantendo oltre misura banali questioni organizzative, o addirittura semplici difficolta' di relazioni interpersonali, dimenticando che la nostra "mission" e' diffondere la nonviolenza, portare la sua aggiunta nel mondo. Io penso che dovremmo fare uno sforzo per uscire da noi stessi, coinvolgere altri, non aver paura di presentare la nostra proposta, chiedere anche l'adesione al nostro movimento, soprattutto andare verso i giovani, che mancano nel nostro movimento. Possiamo studiare strumenti piu' o meno belli, ma la precondizione e' che noi stessi acquistiamo uno spirito missionario: esso viene prima dei mezzi che si utilizzeranno per realizzarlo. Una volta realizzata questa iniezione di fiducia vediamo anche alcune proposte pratiche; un pieghevole, che stiamo realizzando, una campagna promozionale tra vecchi e nuovi iscritti e anche potenziali, da fare ogni inizio d'anno; una maggior presenza ai campi come movimento, con un invito all'adesione rivolto a tutti i partecipanti. * 3. Non siamo soli nell'universo, ma soprattutto non siamo soli nel movimento per la nonviolenza. Anzi, questo e' caratterizzato da una eccessiva frammentarieta'; tanti piccoli gruppi, slegati, quando non in concorrenza tra loro. Occorre far rete, avere dei momenti di convergenza; chissa' se la campagna in preparazione contro la presenza di armi atomiche potra' essere uno di questi. Noi abbiamo due direzioni in cui dovremmo rafforzare dei legami: una e' quella internazionale; durante questi ultimi anni abbiamo iniziato a recuperare un rapporto con l'Ifor che col tempo si era un po' perso: l'occasione del prossimo consiglio internazionale dell'Ifor e la preparazione che stiamo cercando di realizzare per questo e' una tappa molto importante in questo cammino. L'altra direzione e' con i movimenti a noi vicini, con cui in passato abbiamo collaborato molte volte e con cui potremmo intraprendere iniziative comuni: ne cito due: Movimento nonviolento e Pax Christi, ma anche l'area delle organizzazioni che fanno riferimento all'attuale campagna per l'obiezione alle spese militari e la difesa popolare nonviolenta.. * Concludo con un impegno e una richiesta: io mi propongo di lavorare in queste direzioni, cercando di darmi da fare piu' dell'anno appena trascorso, ma chiedo a voi di fare la vostra parte. Oggi il Mir conta su poche forze (129 iscritti): partiamo da queste, ma smettiamola di guardarci solo tra noi e usciamo all'esterno. Spero il prossimo anno, scadenza del mio mandato, di lasciare al mio successore un Mir che creda in se stesso, abbia ripreso il gusto di far politica insieme e abbia 500 iscritti, come ci eravamo proposti la scorsa assemblea. Impossibile? Per una volta crediamo ai miracoli, ricordando che questi sono concessi solo a chi ha fede. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1327 del 15 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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