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La nonviolenza e' in cammino. 1324
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1324
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 12 Jun 2006 00:11:07 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1324 del 12 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. Letture: Domenico Gallo, Franco Ippolito (a cura di), Salviamo la Costituzione 2. Alexandra Poolos: Il "Comitato delle madri dei soldati" in Russia 3. Giuliana Sgrena: Israeliani e palestinesi propongono la scelta della nonviolenza 4. Una lettera della segreteria operativa italiana della campagna per l'invio di corpi di intervento civile nonviolento in Israele e Palestina 5. Maddalena Gasparini presenta "Il gene in testa e il feto in pancia" di Barbara Duden 6. Mario Pezzella presenta le "Oeuvres" di Guy Debord 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. LETTURE. DOMENICO GALLO, FRANCO IPPOLITO (A CURA DI): SALVIAMO LA COSTITUZIONE Domenico Gallo, Franco Ippolito (a cura di), Salviamo la Costituzione, Chimienti Editore, Taranto 2005, pp. 180, euro 13. Con testi, oltre che dei curatori, di Raniero La Valle, Juan Patrone, Fabrizio Clementi, Luigi Ferrajoli, ed un'ampia e accurata appendice documentaria. Un libro utile, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Per richieste alla casa editrice: e-mail: info at chimientieditore.it, sito: www.chimientieditore.it 2. ESPERIENZE. ALEXANDRA POOLOS: IL "COMITATO DELLE MADRI DEI SOLDATI" IN RUSSIA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo. Alexandra Poolos e' corrispondente di "We News", ha lavorato per Radio Free Europe, il "Wall Street Journal" e "Newsday"; insegna alla facolta' di giornalismo della Columbia University] Mosca, Russia. L'affollata sede del "Comitato delle madri dei soldati", gruppo di attiviste per i diritti umani assai noto in Russia, ha due stanze piene di scaffali ricolmi di materiale cartaceo. Le volontarie rispondono alle telefonate e accolgono i visitatori. La maggior parte di coloro che vengono qui sono donne, donne i cui figli sono scomparsi, donne che vogliono sapere come evitare il servizio militare ai figli e, nei casi peggiori, sono donne che vengono per denunciare l'esercito come responsabile degli abusi patiti dai figli, o della loro morte. L'ufficio freme di attivita', mentre le volontarie tentano di gestire questo flusso di donne, una delle quali e' seduta qui da un'ora: la volontaria sta facendo chiamate su chiamate agli uffici governativi, chiedendo informazioni sul figlio scomparso di questa madre. A poca distanza, un'altra volontaria stampa la parola "deceduto" su alcune pratiche relative a soldati scomparsi. Con una guerra in Cecenia, le preoccupazioni per una societa' in cui si diffonde la violenza e per i bassi salari, le donne fanno l'impossibile per tenere i figli fuori dall'esercito. Il "Comitato delle madri dei soldati" e' una delle organizzazioni non governative piu' rispettate nel paese. Ha 300 uffici regionali e gestisce 50.000 contatti all'anno, tramite visite dirette o chiamate telefoniche. Agisce come una sentinella, portando le proteste per gli abusi commessi dall'esercito all'attenzione nazionale: i fatti non riceverebbero altrimenti copertura dai media. Il Comitato tiene una riunione per le famiglie ogni mercoledi', riunione in cui risponde alle domande su come evitare l'arruolamento. Le cinque fondatrici del gruppo dirigono spesso questi incontri. Una di esse e' Valentina Melnikova, una robusta signora di mezz'eta' con i capelli di un rosso fiammante. Molti la chiamano la "Cindy Sheehan russa". Le due donne sono effettivamente in contatto, e Valentina racconta che hanno gia' deciso di lavorare insieme. Valentina Melnikova e' un'attivista di lunga data, che ha cominciato ad essere coinvolta nella questione per tenere il proprio figlio lontano dall'Afghanistan. * Ora pero' che una nuova legge e' entrata in vigore lo scorso aprile, l'intero Comitato si considera a rischio. La legge conferisce al governo il diritto di investigare ogni attivita' delle ong, e di manipolare i finanziamenti internazionali ad esse diretti. Se il governo ritiene che un gruppo non debba esistere puo' portarlo in tribunale e chiedere la sua chiusura. Sebbene il gruppo delle madri sia sopravvissuto ad un'azione di questo tipo intentata dal governo lo scorso aprile, numerosi attivisti per i diritti umani sono convinti che il "Comitato delle madri dei soldati" resti l'obiettivo principale della legge, sia perche' lavora su un'istanza politica, sia perche' e' meravigliosamente efficace. Il testo finale della legge fu approntato in fretta in gennaio, proprio mentre il Comitato aveva portato alla luce un caso di abusi nell'esercito particolarmente orribile. Un soldato di stanza a Chelyabinsk (una citta' siberiana ai piedi degli Urali), al suo primo anno di servizio, era stato picchiato cosu' tanto che per salvarne la vita e' stato necessario amputargli gambe, genitali e le ultime falangi delle dita della mano destra. Le madri, avvisate del caso e scoperto che l'esercito aveva chiesto di mantenere il segreto ai chirurghi che avevano effettuato le amputazioni, portarono la storia sulla stampa, sollevando proteste per l'accaduto nell'intero paese, e chiedendo le immediate dimissioni del Ministro della Difesa russo. Ella Pamfilova, che fa parte di una speciale commissione governativa che riguarda le ong, e che fu una delle consigliere di Putin nella redazione della legge, dice che i critici di quest'ultima saltano troppo velocemente alle conclusioni: "Non e' peggiore delle leggi in altri paesi. Non e' ottima: non posso dire che e' grandiosa o perfetta. Ma al momento non ha nulla di terribile in se stessa. Il problema e' come verra' applicata, perche' ha un certo di numero di articoli piuttosto vaghi". Non e' dello stesso parere Ludmilla Alexeeva, la decana della comunita' che lavora per i diritti umani, una vibrante signora di 78 anni che dirige a Mosca il "Gruppo Helsinki", il quale ha festeggia quest'anno il suo trentennale. Ludmilla dice che gli attivisti piu' anziani, come lei, ricordano le difficolta' del lavorare per i diritti umani sotto l'Unione Sovietica, e che la repressione ha avuto punte peggiori. Ma anche se non ci sono piu' le file dei cittadini in attesa del pane, neí dissidenti spediti in Siberia, Ludmilla Alexeeva sostiene che la legge sulle ong ha creato una familiare atmosfera di paura, che rischia di indebolire cio' che gli attivisti per i diritti umani hanno ottenuto lavorando insieme negli ultimi 15 anni. "Il reale pericolo", sostiene Ludmilla, "e' che la legge attacchi la rete costruitasi fra le ong. Puo' distruggere anni di lavoro, ed e' molto triste pensarlo con tutti gli sforzi che abbiamo fatto per metterci in rete. Inoltre, se abbiamo successo in numerose attivita' a favore dei diritti umani, e' proprio perche' i vari gruppi sono collegati". * Per maggiori informazioni: - Comitato delle madri dei soldati: www.ucsmr.ru/english/ - Russian "Soldiers' Mothers" Ngo Fears Closure: www.mosnews.com/news/2006/04/19/soldiersmothers.shtml 3. ESPERIENZE. GIULIANA SGRENA: ISRAELIANI E PALESTINESI PROPONGONO LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2006 riprendiamo il seguente articolo, parte di un reportage da Israele e dalla Palestina. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005] Abbiamo incontrato Zohar Shapira sul lungomare di Tel Aviv durante una pausa del suo lavoro di insegnante. 36 anni, sposato con una bambina di poco piu' di un anno, che deve andare a recuperare all'asilo appena finita l'intervista, e' uno dei fondatori - israeliani - del gruppo "Combattenti per la pace". La composizione del gruppo - 120 refusnik israeliani e 120 ex-prigionieri politici palestinesi, di cui 24 donne - costituisce senza dubbio una novita' sullo sfondo del sempre piu' bloccato conflitto israelo-palestinese. L'organizzazione, che oltre al nucleo centrale - volutamente limitato - gode di molti sostenitori sia israeliani che palestinesi, e' nata l'anno scorso dopo anni di incubazione e riflessione ma e' apparsa ufficialmente sulla scena politica solo da qualche mese. Zohar Shapira, per quindici anni nell'esercito, comandante di una unita' d'elite incaricata delle missioni speciali (le piu' sporche) nei territori palestinesi, come e' arrivato alla decisione di lasciare l'esercito e di rifiutarsi di tornare in servizio nei territori occupati? "Dopo l'inizio della seconda intifada - racconta - nel 2002, ero impegnato nell'operazione Shield of defence e dopo l'attacco a Jenin ho deciso che non potevo piu' continuare a fare quello che facevo, era immorale, soprattutto dopo aver sparato sopra la testa di una bambina sbucata improvvisamente da dietro una casa. Entravamo nelle abitazioni dei palestinesi e quando uscivamo portando via qualcuno di loro sospettato di essere un terrorista vedevo gli occhi dei bambini che ci guardavano e capivo che ci avrebbero odiato per tutta la vita. Eravamo noi a seminare l'odio". * Refusnik, altro che traditori Nel frattempo il movimento dei refusnik si stava allargando... "Si', allora eravamo 6-800 - prosegue Shapira - ma soprattutto tra i refusinik non c'erano piu' solo soldati di leva ma anche piloti, comandanti. Tanto che il movimento dei refusnik arrivo' ad imporsi come un punto di discussione nell'agenda del governo israeliano. Non potevamo piu' essere indicati semplicemente come traditori da Sharon, i refusnik erano diventati una realta' accettata dalla gente. Ora circa il 40 per cento dei riservisti, quando richiamati, si rifiutano di andare a servire nei territori occupati. Il problema era pero' come andare al di la' delle manifestazioni e diventare piu' incisivi. Non sapevamo se c'erano palestinesi disposti a parlare con noi, poi abbiamo contattato Tayush (un'organizzazione di palestinesi e arabi di Israele, ndr). All'inizio eravamo molto sospettosi, diffidenti, da entrambe le parti". In Tayush militava anche Suleiman al Himri di Betlemme, con alle spalle quattro anni e mezzo passati nelle carceri israeliane (prima a Hebron e poi a Ansar III), condannato per azioni contro Israele quale leader locale durante la prima intifada. Suleiman al Himri, militante di Fatah e funzionario del ministero degli interni, conferma la diffidenza iniziale. Lo abbiamo incontrato in un albergo di Betlemme dove i suoi compagni stavano preparando le schede degli iscritti in vista del sesto congresso di Fatah, che dovrebbe tenersi entro l'anno. Ci sono state molte riunioni, molte discussioni prima di arrivare alla formale costituzione del gruppo "Combattenti per la pace". Su quali basi lo chiediamo a Suleiman. "Abbiamo raggiunto un accordo su diversi punti: il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere uno stato con Gerusalemme est come capitale; la dimostrazione al popolo, soprattutto quello israeliano, che esiste un partner palestinese; il rifiuto della violenza contro la popolazione civile, sia palestinese e israeliana". * Teoria e pratica della nonviolenza La nonviolenza e' senza dubbio la scelta piu' impegnativa per entrambi i componenti, posto che la violenza e' alla base della militarizzazione della societa', dovuta al conflitto, che non risparmia nessuno e si insinua fin dentro le mura domestiche. Ma proprio per gli effetti devastanti della violenza, soprattutto dopo la seconda intifada, nei territori palestinesi si sta diffondendo la pratica della nonviolenza con corsi di formazione organizzati da ong. Ma a sostenere la nonviolenza e a condannare tutte le uccisioni di civili e gli attentati suicidi sono anche persone come Suleiman, che non rinuncia a combattere l'occupazione. o Zohar, che in passato ha comandato una delle unita' piu' aggressive dell'esercito israeliano, o Elik Elhanan, la cui sorella e' rimasta vittima dell'attentato commesso da un kamikaze. "Solo la nonviolenza puo' spezzare il cerchio della morte", afferma Zohar che racconta l'emozione e anche i timori provati quando per la prima volta ha varcato il muro ed e' entrato nei territori palestinesi senza armi: "mi guardavo in giro per vedere se c'erano soldati per proteggermi, ma poi, quando sono entrato nella casa di Suleiman e ho conosciuto la sua famiglia, non ho piu' avuto nessun timore. Ora io e i miei compagni andiamo nei territori palestinesi e i palestinesi vengono nelle nostre scuole per dimostrare che un partner c'e', per far conoscere l'altro. Non vogliamo dire che siamo uguali: siamo diversi, ma abbiamo lo stesso obiettivo della pace ed e' importante conoscersi", sostiene Zohar. Il progetto che vede palestinesi e israeliani tenere insieme lezioni nelle scuole e nelle universita' palestinesi e israeliane e' senza dubbio una delle azioni piu' importanti ed efficaci dei "combattenti per la pace". In che cosa si distingue questo gruppo da altri costituiti insieme da israeliani e palestinesi? Risponde Suleiman: "L'obiettivo e' diverso: noi non vogliamo la normalizzazione dei rapporti, vogliamo lavorare insieme per un obiettivo concreto: la fine dell'occupazione". E questa impostazione diversa rispetto al passato sembra aver segnato tutti i gruppi israelo-palestinesi, anche quelli nati contro il muro o i blockwatchers, che controllano i posti di blocco. Nel week-end i militanti israeliani organizzano visite guidate: "Gli israeliani non conoscono il muro, non l'hanno mai visto, quindi possono credere alla propaganda del governo... ma basta farglielo vedere da vicino perche' capiscano che non serve alla sicurezza ma solo alla divisione dei territori palestinesi in bantustan", sostiene Jeff Halper, coordinatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case (Icahd), che ora ha allargato il proprio obiettivo promuovendo una campagna anti-apartheid. Un obiettivo ancora piu' difficile da raggiungere. "Ci riusciremo, il problema - aggiunge - e' come e quando. Ci e' riuscito Mandela...". * Ha vinto Hamas? Niente panico A Jeff Halper chiediamo anche se la vittoria di Hamas abbia cambiato i loro rapporti con i palestinesi. "In Israele - risponde - non c'e' stato nessun panico per la vittoria di Hamas. Noi non abbiamo rapporti con Hamas, ma continuamo a lavorare con i palestinesi come prima e vedremo che cosa veramente fara' Hamas. Dopo gli accordi di Oslo avevamo avviato un dialogo, ma l'inizio della seconda Intifada aveva scioccato tutti e gli israeliani erano spariti, ora i palestinesi hanno realizzato che per porre fine all'occupazione hanno bisogno degli israeliani". Tuttavia non sembra ci siano molti israeliani favorevoli a uno stato palestinese... "Molti israeliani - prosegue Halper - non pensano alla pace come a qualcosa di positivo, partono dal principio che gli arabi sono nemici e che non ci sara' mai pace. Per molti israeliani la pace e' solo una sorta di 'pacificazione'. In Israele le parole hanno un senso 'orwelliano': pace vuol dire suicidio, la guerra corrisponde alla pace, cosi' come ritirarsi in realta' vuol dire espansione e rafforzamento". Quindi c'e' poco da sperare in un cambiamento della politica del governo di Israele... "Penso che l'ingiustizia sia insostenibile a lungo andare - aggiunge ancora Halper - perche' contiene i semi della distruzione. Alla fine ci sara' il collasso, e questo non vuol dire che dopo l'ingiustizia ci sara' giustizia, ma che Israele non potra' mantenere a lungo questa situazione". 4. RIFLESSIONE. UNA LETTERA DELLA SEGRETERIA OPERATIVA ITALIANA DELLA CAMPAGNA PER L'INVIO DI CORPI DI INTERVENTO CIVILE NONVIOLENTO IN ISRAELE E PALESTINA [Riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente documento diffuso il 2 giugno 2006 dalla segreteria organizzativa per l'Italia della Campagna internazionale promossa dal movimento nonviolento francese "Man" per l'invio di corpi di intervento civile nonviolento in Israele e Palestina (per contatti: a.alba at areacom.it). Mentre ringraziamo di cuore le care persone amiche impegnate in questa iniziativa ci sembra persistano anche in questo documento alcune - come dire? - ambiguita' o reticenze su cui una esplicita, impegnata e rigorosa discussione e responsabilizzazione da tempo riteniamo necessaria e urgente (p. s.)] Come segreteria operativa per l'Italia della Campagna per l'invio di corpi di intervento civile nonviolento in Israele-Palestina, prendiamo l'iniziativa di proporre alcune considerazioni per un ripensamento e un eventuale rilancio della Campagna. Ci rivolgiamo sia al Man francese che aveva lanciato la Campagna a livello europeo, sia alle associazioni, ai gruppi e alle persone che hanno aderito e si sono attivati l'anno scorso in Italia. * 1. Da quando la campagna e' stata lanciata ad oggi sono intervenuti cambiamenti notevoli nella situazione delle due parti e in Europa: - Abbiamo assistito ad una involuzione del processo politico volto alla soluzione del conflitto e a notevoli irrigidimenti soprattutto da parte israeliana: la costruzione del muro, il mancato riconoscimento della controparte, la definizione unilaterale dei confini. tutto cio' con il consenso piu' o meno esplicito degli Stati Uniti e dell'Europa. - La risposta da parte palestinese e' stata la sconfitta elettorale dei partiti piu' disponibili alla trattativa, e la vittoria dei piu' intransigenti, con il conseguente ulteriore irrigidimento dei governi occidentali, con rare eccezioni. - Il livello di violenza e' costantemente aumentato. - E' forte la tendenza a leggere oggi il conflitto israelo-palestinese come espressione locale della "lunga guerra dell'Occidente contro il terrorismo". * 2. Gli incontri fatti a dicembre dalla delegazione della Campagna che ha visitato i partner in Israele e Palestina hanno evidenziato aspettative differenti: da parte palestinese c'e' un forte interesse per presenze internazionali, che non sono altrettanto ben accolte da parte di alcuni degli israeliani incontrati. Cio' ha messo in luce la necessita' di precisare il tipo di presenza che si propone, che non puo' essere uguale dalle due parti, perche' non si puo' non tenere conto dell'occupazione; e' importante chiarire in particolare come interverrebbero gli ipotetici "corpi civili di pace" all'interno di Israele. * 3. Di tutto questo occorre tener conto per poter rilanciare con maggior consapevolezza ed incisivita', nel mutato contesto, l'idea di un intervento civile nonviolento internazionale. - Non si tratta, infatti, di assumere un ruolo di "mediazione", che rischia di essere visto con diffidenza o sentito come superfluo (quelli che vogliono sono capacissimi di parlarsi, senza bisogno di "terzi" di mezzo: nel conflitto israelo-palestinese si sono moltiplicate in questi anni molte e straordinarie esperienze (1) di dialogo e collaborazione per la pace tra le parti, nate nel cuore del conflitto stesso). - Tanto meno risultano efficaci - ai fini della soluzione del conflitto - interventi "schierati" con una sola parte, che non prendano in considerazione la situazione nella sua complessita' storica e nelle sue attuali e continue trasformazioni. * 4. Ci paiono utili, allora, due direzioni di lavoro: A. sollecitare un intervento civile internazionale riconosciuto dalle istituzioni europee (un Corpo civile di pace), con ruolo di interposizione e contenimento della violenza, la' dove serve. Per esempio: nella striscia di Gaza, connettendosi, con quelle Ong palestinesi riconosciute dalla popolazione come neutrali e di aiuto reale ai civili, come il Remedial Center. Nella West Bank, collegandosi con gruppi che gia' lavorano incessantemente per fare diminuire la violenza, come l'Ism-Italia e il Medical Relief di Mustafa Barghouti. La societa' civile italiana e' impegnata gia' da anni, in molti progetti di interposizione e difesa non armata della popolazione palestinese; ed in molti casi vi e' stata collaborazione con alcune ong israeliane per la difesa dei diritti umani. Queste ed altre presenze internazionali costituiscono un patrimonio prezioso di esperienze al quale ispirarsi per definire la funzione dei futuri corpi di pace istituzionali. B. realizzare un intervento civile internazionale "dal basso", che si proponga di essere presente da entrambe le parti per sostenere processi, gia' in atto in entrambe le societa', di presa di distanza dalla violenza, di ripensamento degli errori commessi dalla propria parte e di riconoscimento delle ragioni dell'altro. Cio' significa essere a fianco e degli uni e degli altri, ma intervenendo in modo diverso nelle due societa'. In particolare, partendo dal riconoscimento della diversa condizione in cui si trovano le parti in causa, si tratta di stare: - con i Palestinesi, per sostenerli nella lotta contro l'occupazione e contro il muro, per la protezione dei civili e la difesa dei diritti umani; sostenere i gruppi che lottano con la nonviolenza e aiutarli a contenere la militarizzazione e la disperazione violenta nella societa' palestinese, che ultimamente e' sfociata anche in azioni di guerra civile; - con gli Israeliani, per condividerne la condizione di insicurezza e per sostenere le forze pacifiste che fondano la sicurezza di Israele su una pace giusta e sulla convivenza con i vicini Palestinesi; puo' essere importante essere semplicemente "presenti", a fianco di gruppi e associazioni della societa' civile israeliana, per testimoniare l'aiuto e la solidarieta' in tutte le situazioni di difficolta', che sono anche una conseguenza del conflitto. * Questa impostazione, insieme al progetto di coinvolgimento delle istituzioni europee, e' l'aspetto originale della campagna. Il punto A richiede un lavoro politico rivolto alle istituzioni e alle forze politiche italiane ed europee, finalizzato ad ottenere l'istituzione di un Corpo civile di pace europeo. Il punto B puo' essere realizzato anche a partire dal basso, come gia' avviene, ma possibilmente realizzando un collegamento tra i gruppi che valorizzi le diverse competenze acquisite nelle gia' numerose azioni realizzate in questi anni e le renda piu' efficaci attraverso una migliore e piu' condivisa definizione degli obiettivi e degli strumenti. * Ci proponiamo di realizzare nei prossimi mesi una serie di incontri con persone e gruppi gia' attivi accanto ad associazioni israeliane e palestinesi, per verificare l'interesse per una proposta di questo tipo e le disponibilita' di impegno esistenti, in modo da definire entro la fine di quest'anno se e come la Campagna possa essere ripresa. Attendiamo osservazioni, critiche e suggerimenti dai sostenitori della Campagna e dalla segreteria francese del Man. Cordiali saluti da Angela Dogliotti, Gianni D'Elia, Maria Carla Biavati, Maria Chiara e Alvise Alba Per contatti con la segreteria organizzativa in Italia della campagna: a.alba at areacom.it * Note 1. Solo per citarne alcune: Parents' Circle; Ta'ayush; Rabbis for Human Rights; Combatants for Peace (refusnik israeliani ed ex combattenti e prigionieri politici palestinesi), Be'tselem, le donne del Jerusalem Link, la Coalition of women for peace . e certo ne stiamo dimenticando molte. 5. LIBRI. MADDALENA GASPARINI PRESENTA "IL GENE IN TESTA E IL FETO IN PANCIA" DI BARBARA DUDEN [Dal quotidiano "Liberazione" del 2 giugno 2006. Maddalena Gasparini, laureata in medicina e chirurgia e specializzata in neurologia, ha svolto attivita' clinica e curato l'organizzazione di congressi e corsi di aggiornamento e formazione in collaborazione e per conto di strutture ospedaliere del Consiglio nazionale delle ricerche, della Regione Lombardia e della Provincia di Milano; grazie all'incontro con la Libera universita' delle donne, da anni segue gli sviluppi delle tecnologie riproduttive approdando agli interrogativi etici che l'evoluzione delle biotecnologie pone alla collettivita'; dal 2003 e' vicecoordinatrice del gruppo di studio di "Bioetica e cure palliative in neurologia" della Societa' Italiana di Neurologia. Barbara Duden, nata nel 1942, si e' formata come storica a Vienna e a Berlino e ha insegnato per vari anni negli Stati Uniti prima di tornare in Germania, dove continua a occuparsi di storia delle donne. Tra le opere di Barbara Duden: Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri, Torino 2004; Il gene in testa e il feto in pancia. Storia del corpo femminile, Bollati Boringhieri, Torino 2006] In guter Hoffnung, in buona speranza. L'espressione popolare tedesca che designa la donna incinta e' quel che resta di un tempo in cui "non esisteva la gravidanza, ma soltanto donne che si sentivano incinte", portatrici di una speranza che solo dopo un tempo variabile - mesi o anni - poteva concludersi con la nascita di un bambino. Solo a posteriori c'era la certezza della gravidanza, solo quando la donna aveva partorito: un bambino, sperabilmente, ma poteva essere altro, un errore della natura, aria o sangue. Come e' successo che la buona speranza si sia trasformata "nell'organizzazione piu' o meno affidabile di un processo riproduttivo"? Per rispondere alla domanda Barbara Duden legge e rilegge il diario in cui il dottor Storch, medico nella cittadina di Eisenach nella prima meta' del '700, segnava "le lagnanze" di milleseicento fra balie e nobildonne, contadine e mogli di artigiani, storie alle quali si puo' guardare dall'oggi con un sorriso di sufficienza, come a testimonianze di un'epoca in cui molto, del corpo e delle sue funzioni, non era conosciuto. Ma se alle diligenti note del dottor Storch la storica non chiede dei saperi costruiti sul corpo e dei poteri che su di esso si esercitano, ma dell'esperienza e della percezione "che viveva una donna quando diceva 'io'", allora assume "la posizione dell'incantatrice". E' in virtu' di questo spostamento che Barbara Duden, storica del corpo, riesce a mostrarci, come per incanto la moderna "prigione che priva di corporeita'", l'espropriazione dei corpi prodotta dalla bioscienza e dalla legge, usando come paradigma il corpo femminile e la sua potenzialita' generatrice. Il gene in testa e il feto in pancia. Storia del corpo femminile (Bollati Boringhieri, pp. 256, euro 28) raccoglie gli interventi cui Barbara Duden e' stata chiamata nel corso degli anni '90 da universita', associazioni, ordini professionali, congressi scientifici o sollecitata da letture, mostre, sentenze. Il testo riprende e va oltre il racconto del graduale passaggio dal "sapere vissuto" che le pazienti condividevano con il dottor Storch al corpo gravido diagnosticato dalla medicina (Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri, 1994). * Dalla prima rappresentazione del feto nel suo aspetto pre-infantile nel 1799 ad opera di Sommering all'immagine dell'ecografia tridimensionale, il corpo femminile si e' fatto trasparente e la genesi dell'essere umano ha potuto essere pensato senza rapporto con la madre. Su questo rovesciamento dell'ordine che da' origine alla vita nasce l'autonomia dell'embrione sancita dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca e, in Italia, dal primo articolo della legge che regola la procreazione assistita. Diventa "soggetto giuridico un fatto scientifico inaccessibile al senso comune... un fenomeno scientifico senza mani e senza piedi... l'opinione di un esperto... indipendente da qualsiasi esperienza corporea". Operato nel senso comune lo slittamento da embrione a "vita", da vita a "persona", la liberta' delle donne rischia di trovare un impedimento piu' forte del controllo penale, dimostratosi del tutto inefficace (ancor oggi l'aborto volontario e' molto piu' frequente nei paesi dove e' proibito che dove e' stato legalizzato; come in Polonia - 200.000 aborti clandestini all'anno - in proporzione piu' del triplo che in Italia). Se la donna e' stretta fra le leggi dello stato e la "vita", se la "vita umana" prende il posto degli esseri umani, il corpo materno puo' essere ridotto a "una coltura di tessuti", a "campo di crescita di un feto giuridicamente riconosciuto come oggetto di cure sotto la responsabilita' della medicina", una matrice cui si puo' impedire la morte. E' quello che succede a una giovane donna incinta giunta in coma all'ospedale di Erlangen (nel 1992) e mantenuta in stato di morte cerebrale per permettere al feto di svilupparsi. Barbara Duden non ci dice che quell'azzardo falli', ma attonita di fronte a tanta prodezza chiede aiuto alle donne del XVIII secolo per rimanere lucida nell'impotenza. La sostituzione dell'esperienza della gravidanza con lo sviluppo fetale ha reso possibile l'espropriazione del corpo femminile e la sua disumanizzazione. Di fronte alla versione tecnologica della madre sacrificale e' difficile sottrarsi a un moto d'orrore, ma anche formulare una condanna senz'appello. Siamo tutti dunque vittime della trappola semantica, che difende la "vita" rinnegando i vivi e infine la morte? "Lo studio delle esperienze corporee - risponde Barbara Duden - mi permette di percepire la mia costituzione sensibile come dato storico e cioe' come qualcosa di cui io non posso disporre a mio piacere" se non accogliendone anche la finitezza. Un aborto volontario interrompe un'esperienza piuttosto che "una vita", mentre le tecnologie di rianimazione e mantenimento delle funzioni vitali possono conservare una vita ridotta a pura biologia. * Interessata "non tanto a cosa fa ma a cosa dice una nuova tecnica" Barbara Duden non usa gli strumenti critici che pure la bio-scienza si e' data; piuttosto cerca di decifrare il linguaggio delle tecnologie e delle procedure mediche che spesso abbiamo denunciato per l'effetto di silenziamento del sintomo e per la solitudine, se non la colpevolizzazione preventiva, in cui si e' strette di fronte all'offerta tecnologica. Screening di popolazione e diagnosi precoce, fattori di rischio e loro controllo, profilo genetico e diagnosi predittiva sono pratiche e discorsi condivisi e che tuttavia ci lasciano soli, senza "nessuna possibilita' di raggiungere un 'noi' organizzato". Come costruire un "noi" se l'"io" non e' incarnato nel soma, ma guarda ad esso come a qualcosa di cui crede di disporre a piacimento? Barbara Duden colloca nell'avvento della pillola, il contraccettivo che ha segnato il passaggio dai mezzi meccanici, come la spugnetta delle prostitute medioevali o il moderno diaframma, a un "atteggiamento chimico" in grado di impartire un comando al proprio corpo, l'origine di "una concezione del corpo che non puo' essere vissuta a livello sensibile". Negli anni '70 l'urgenza di sottrarre la ricerca del piacere al rischio riproduttivo, ha tenuto insieme contraccezione e "corpo vissuto" e permesso di organizzare un "noi" critico, sulla pillola, ma deciso a ottenerla. Di questo parlava allora l'autodeterminazione, del desiderio di vivere liberamente il proprio corpo, insubordinato al potere patriarcale. Ma se guardiamo agli sviluppi successivi: il controllo demografico, la chirurgia estetica, le tecnologie riproduttive, le diagnosi genetiche, allora possiamo vedere nell'introduzione della pillola il primo passo nella direzione di quella "privazione della corporeita'" che consente il controllo politico dei corpi e vena di ambiguita' il significato dell'autodeterminazione: il suo compimento approda alla consegna di se' nelle mani di chi promette di esaudire i nostri desideri. "Recuperare la propria personale posizione" di fronte all'offerta tecnologica che ci espropria dell'esperienza e rivalutare la "competenza di se'": sono questi gli strumenti per rinnovare l'incontro e lo scambio fra chi sa raccogliere "l'espressione di un disagio" (come faceva il dottor Storch) e chi domanda cura, per superare o per accettare i limiti del "corpo vissuto". 6. LIBRI. MARIO PEZZELLA PRESENTA LE "OEUVRES" DI GUY DEBORD [Dal quotidiano "Liberazione" del 6 giugno 2006. Mario Pezzella, docente universitario di estetica, studi filosofici a Pisa e a Parigi, ha curato l'edizione italiana di testi di Bachofen e su Jung, organizzato seminari e convegni di studio, ha collaborato con Remo Bodei nella progettazione della collana "Il lessico dell'estetica" presso l'editore "ll Mulino" ed e' redattore della rivista "Iride" e direttore responsabile della rivista "Controtempo". Guy Debord, nato a Parigi nel 1931, tra i fondatori dell'Internazionale Situazionista, si e' tolto la vita nel 1994. Opere di Guy Debord: Oeuvres, Gallimard, Paris 2006; in traduzione italiana segnaliamo almeno La societa' dello spettacolo, la sua opera fondamentale del 1967, che e' stata pubblicata in italiano piu' volte e da diversi editori (tra le altre, vi e' una edizione senza indicazione tipografica, 1974), tra le edizioni recenti la piu' economica a nostra conoscenza e' quella di Stampa alternativa, Roma 1995; Opere cinematografiche complete, Arcana, Roma 1980 (uno dei testi qui inclusi, In girum imus nocte et consumimur igni, e' stato ripubblicato anche, in altra traduzione, da Mondadori, Milano 1998). Ovviamente si vedano anche i testi di Debord in Internazionale situazionista 1958-'69, Nautilus, Torino 1994. Opere su Guy Debord, altri materiali situazionisti e sul situazionismo: Anselm Jappe, Debord, Tracce, Pescara 1993; fondamentale e' Internazionale situazionista 1958-'69, Nautilus, Torino 1994; cfr. anche l'antologia di testi situazionisti a cura di Pasquale Stanziale , Situazionismo, Massari Editore, Bolsena 1998; cfr. anche Rene' Vienet, Arrabbiati e situazionisti nel movimento delle occupazioni, La Pietra, Milano 1978] Nel pensiero di Guy Debord (di cui escono ora in Francia le Oeuvres, quasi duemila pagine, presso Gallimard), la "societa' dello spettacolo" non e' solo il mondo dello star-system o della televisione, ma l'intero modo di produzione capitalistico nella sua fase attuale. La societa' dello spettacolo - l'opera maggiore di Debord - sviluppa in modo originale la riflessione sul feticismo delle merci, compiuta da Marx. Per trasformarsi in danaro la merce deve rivestirsi di un corpo illusorio e seducente, deve rendersi visibile e appetibile come immagine. Nella moda, nella pubblicita', in ogni esposizione della merce, il desiderio del consumatore e' sollecitato da immagini incorporee che penetrano nella profondita' istintuale della sua vita. Sempre meno conta il valore d'uso o la qualita' specifica della merce prodotta. La merce viene venduta solo se e' in primo luogo immagine, capace di destare fantasmi, sogni, mitologie. La legge fondamentale della societa' dello spettacolo si potrebbe formulare in questo modo: quanto piu' l'esperienza deperisce e si degrada sul piano reale, tanto piu' la sua messa in scena spettacolare ne offre un surrogato seducente e potente. Ed anche: quanto piu' un fenomeno e' minaccioso per il potere esistente, tanto piu' viene rappresentato come effimero, contingente, gia' noto. Ovunque sia possibile, occorre mostrare un universo continuo, senza strappi, lacerazioni, fessure. Piu' la qualita' reale deperisce, piu' si incrementa lo splendore apparente della sua immagine, che cosi' nasconde la nullificazione effettiva dell'esperienza. La birra ha perso il suo sapore, diceva Debord, e il sapore e' in effetti la qualita' distintiva della birra; esso non c'e' piu', ma tanto piu' biondo e' il suo colore nell'immagine pubblicitaria, tanto piu' ribollente la schiuma sulle labbra, tanto piu' attraente il mare azzurro dello sfondo. Se non c'e' piu' il sapore, tanto piu' forte e' il ricordo o l'evocazione del sapore, che progressivamente sostituisce la percezione reale. La forma di merce simula l'intensita' corporea, e rende irrilevante e superflua l'esperienza effettiva della sua qualita'. La societa' dello spettacolo pratica un'inversione del vivo nel morto, in ogni ambito della vita. Essa non si limita a ribadire l'esistente e a ripeterlo in modo coattivo e incessante, come l'industria culturale nella concezione di Adorno; ma condiziona il modo stesso di percepire se stessi e il mondo. Come in Foucault, il potere non ha natura semplicemente repressiva, non si limita a confermare l'esistente, ma produce un ordine e un linguaggio, entro cui si esplica poi ogni vita possibile. I fantasmi della merce occludono il vuoto affiorante nella vita, il suo smarrimento di fronte alla perdita di relazioni corporee, sessuate, emotive, e lo rendono tollerabile. Si delinea cosi' una forma di immaginario che (a differenza di quello descritto da Sartre) non progetta di trascendere l'esistente, ma di rovesciarlo specularmente: "La' dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico" (Debord). Non basta dire che esse confermano cio' che esiste: in realta' lo sostituiscono, accompagnando il suo processo di sparizione. Lo spettacolo non e' una "sovrastruttura" - nel tradizionale linguaggio marxista - e neanche una "simulazione" (Baudrillard). Esso e' allo stesso tempo una forma dell'immaginario, una tecnica di produzione, un motore della circolazione del capitale, e queste cose indissolubilmente insieme. * Nella sua opera maggiore, Debord aveva distinto una societa' spettacolare diffusa, segnata dal dominio della merce, e una societa' spettacolare concentrata, ove invece prevalgono le forme del dominio totalitario (il fascismo e lo stalinismo). Nei successivi Commentari alla societa' dello spettacolo introduce una terza forma, lo spettacolare integrato, che ha un particolare interesse nel momento politico attuale. Essa realizza un connubio delle due forme precedentemente indagate, e introduce elementi autoritari nella societa' "democratica" delle merci. Lo spettacolare "diffuso" viene "integrato" da centri decisionali ufficiosi, e la loro attivita' in ombra costituisce ora lo sfondo della celebrazione pubblica dello spettacolo. Associazioni parallele e servizi piu' o meno segreti si dispongono accanto alle istituzioni, alle leggi e agli ordini professionali visibili. L'apparato giuridico e istituzionale resta apparentemente intatto: ma le decisioni reali provengono dai poteri paralleli. Non si tratta solo di interventi clamorosi e violenti orchestrati da servizi "deviati", ma anche di misure che riguardano l'ordinaria quotidianita'. I concorsi pubblici sono sostituiti da riunioni preliminari segrete; la liberta' di stampa viene controllata prima di ogni censura da comitati editoriali, che scelgono i giornalisti affidabili; i reati finanziari sono di fatto depenalizzati, anche se le leggi che dovrebbero punirli restano ufficilmente in vigore. Si realizza cosi' una divergenza sistematica tra la regola pubblicamente ammessa e il centro decisionale occulto: cinismo e ipocrisia oggettiva divengono comportamenti sociali indispensabili per orientarsi in questa sorta di doppio comando sociale permanente. Nei Commentari, Debord indica la P2 italiana e le sue diramazioni come il prototipo sperimentale di un simile sistema di comando. Chi resta legato ingenuamente all'apparenza pubblica dello spettacolo (e per esempio si oppone a una decisione di fatto in nome di una norma del diritto) viene piegato, comprato, intimidito e - nei casi estremi e piu' gravi - eliminato. La mafia diviene - secondo Debord - un modello attuale di funzionamento associativo segreto: non dunque una sopravvivenza arcaica, ma un potere a pieno titolo esistente entro lo "spettacolare integrato". La mafia scorre - per cosi' dire - accanto al simulacro del potere pubblico, lasciandolo il piu' possibile intatto, colpendo le persone che volessero farlo funzionare oltre un livello semplicemente formale. Il suo modello e' seguito dai centri decisionali che ormai si affiancano ai poteri formali dello stato: "La mafia trova dappertutto le condizioni migliori sul terreno della societa' moderna" (Debord). I poteri paralleli e i servizi segreti proliferano comunque in una molteplicita' caotica, producendo eventi altrimenti inspiegabili (aerei che scoppiano misteriosamente in volo, incidenti ripetuti e sincronici, faide di cui non si sospetta l'origine): dopo tutto, essi non procedono secondo un piano unificato e omogeneo. Svalutato da codici "ufficiosi", il diritto pubblico agisce come una semplice messa in scena. "Nello spettacolare integrato le leggi dormono". Prevale cosi' la cooptazione e l'affiliazione diretta entro gli organismi paralleli, e cioe' un sistema di dipendenza personale, non dichiarato pubblicamente, che ha le sue regole e i suoi codici non scritti: la cui semplice conoscenza e' gia' un segno di familiarita' e di possibile accettazione entro le elites del potere. Queste regole - a loro modo inflessibili - segnano il tramonto della "legge scritta" e impongono "ovunque la formazione di nuovi legami personali di dipendenza e di protezione". * Contro il dominio dello spettacolo, Debord ha sperimentato forme critiche di linguaggio e di azione politica, sia scritto che cinematografico, di cui il volume offre un'ampia documentazione: il detournement, la "situazione costruita", la rivalutazione dell'esperienza politica consiliarista. Le situazioni costruite non erano banali happening. Esse avrebbero dovuto modificare consapevolmente l'esperienza dello spazio e del tempo, liberandoli dalla reificazione: "E' facile vedere a quale punto e' legato all'alienazione del vecchio mondo il principio stesso di spettacolo: il non intervento. Si vede, al contrario, come le piu' valide ricerche rivoluzionarie nella cultura hanno cercato di spezzare l'identificazione psicologica dello spettatore con l'eroe, per trascinare questo spettatore all'attivita'... La situazione e' cosi' fatta per essere vissuta dai suoi costruttori". Con un procedimento specularmente rovesciato rispetto a quello dell'alienazione spettacolare, gli oggetti, gli ambienti, i ritmi temporali, dovevano sciogliersi e risolversi in relazioni tra uomini. La situazione costruita e' destinata ad accogliere un evento che favorisca l'attivita' condivisa dei partecipanti. Possono essere situazioni teatrali, architettoniche, estetiche in senso lato; ma anche direttamente politiche, come le occupazioni durante il maggio 1968. Nella durata dell'evento, il tempo cronologico e' sospeso, a favore di un tempo vissuto e intensivo, che lega gli attori all'esperienza comune; questa sospensione - secondo i situazionisti - era una prefigurazione della sospensione rivoluzionaria del tempo storico. La teoria situazionista del linguaggio ruota intorno al concetto, difficilmente traducibile, di detournement. Il detournement e' qualcosa di piu' di una citazione: e' lo "spiazzamento" di un frammento della tradizione culturale, la sua "estrazione" dalla storia dei vincitori. Il detournement scompone in frammenti l'opera originaria, dissolve la sua totalita', la riduce a rovina: e' la rivelazione del perturbante nel familiare, della storia critica in quella monumentale, del possibile in cio' che era considerato necessario. In tal senso e' una riappropriazione critica della storia e del linguaggio. Se la citazione ancora rispetta - almeno in apparenza - il testo d'origine, il detournement ne disloca e ritocca gli elementi interni. Esso puo' perfino invertire il senso dell'originale, rivelando in esso un significato latente o dimenticato: e' un atto di rapina rivoluzionaria nel deposito della tradizione. Forse uno dei piu' celebri detournements di Debord e' quello ricavato da un celebre passo di Hegel, a indicare lo statuto complessivo della societa' spettacolare: "Il vero e' un momento del falso". 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1324 del 12 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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