La nonviolenza e' in cammino. 1319



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1319 del 7 giugno 2006

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: Oi autoi
2. Severino Vardacampi: Un no che vuol dire no
3. Maria Luisa Boccia, Cecilia D'Elia, Isabella Peretti, Tamar Pitch, Grazia
Zuffa: Perche' come cittadine e femministe vogliamo impegnarci per un no
allo stravolgimento della Costituzione
4. Enrico Peyretti: Costituzionalismo
5. Beppe Pavan: La liberta' delle donne e' civilta'
6. Barbara Romagnoli: Un incontro a Genova
7. Il "Cos in rete" di giugno
8. Piergiorgio Giacche' presenta "Questa non e' un'autobiografia" di Pierre
Bourdieu
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: OI AUTOI

Gli stessi che li mandano a morire
alacri inchiodano le loro bare
cantando canzonette tricolori
spremendo acide larme fasulle
ad uso dei cronisti parabelli.

Gli stessi che intonano peana
a tutti gli eserciti assassini
ancora degli assassinati succhiano
il sangue nero e spento,
forbendo poi la bocca alla bandiera.
.
Tutte le armi sono assassine.
Tutti gli eserciti sono assassini.
Ed assassine son tutte le guerre.
E assassini tutti i governanti
che le armi, gli eserciti, le guerre ammettono.

2. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: UN NO CHE VUOL DIRE NO

Lo scriviamo perche' giovi alla chiarezza: quando diciamo no al golpe della
cosiddetta "riforma costituzionale" berlusconiana intendiamo dire
precisamente no.
Intendiamo dire che noi vogliamo che resti in vigore la Costituzione del
1948 con la firma del Presidente dell'Assemblea Costituente Umberto
Terracini.
Vogliamo dire che non diamo nessuna delega a nessuno, che a nessuno
intendiamo permettere di manipolare e stravolgere la Costituzione della
Repubblica Italiana: ne' al blocco golpista dei neofascisti, dei mafiosi e
dei razzisti, ne' ai loro allegri compari oggi al governo.
Quando diciamo no vogliamo dire proprio no.

3. APPELLI. MARIA LUISA BOCCIA, CECILIA D'ELIA, ISABELLA PERETTI, TAMAR
PITCH, GRAZIA ZUFFA: PERCHE' COME CITTADINE E FEMMINISTE VOGLIAMO IMPEGNARCI
PER UN NO ALLO STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE
[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo.
Maria Luisa Boccia, nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive, e' attualmente
senatrice della Repubblica. Dal 1974 lavora all'Universita' di  Siena, e
attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte
alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante
esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica
comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile,
l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad
orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane,
e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e
nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel
1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale
nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita
negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore",  "Reti" - e a
diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al
suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu'
profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta"
dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato
dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo.
E' stata giornalista,  oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle
attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della
direzione del Pci, poi del Pds, ed ha  concluso questa esperienza politica
nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia,
e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato  moltissimi
interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative.
Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista"
n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne
per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto,
Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga,
Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione
artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e
la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi
mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita'
simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista
centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della
liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in
Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La
differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002.
Cecilia D'Elia, laureata in filosofia, pubblica amministratrice,
responsabile scuola, universita' e ricerca dei Ds di Roma, condirettrice del
mensile "Fuoriluogo", e' stata tra le promotrici della rivista "Sofia,
materiali di filosofia e cultura delle donne" e presidente dell'Associazione
"Forum droghe"; ha lavorato presso l'Assessorato alle politiche educative
del Comune di Roma.
Isabella Peretti, nata a Venezia, laureata in filosofia con una tesi di
laurea dal titolo "Analisi critica dell'ideologia di Palmiro Togliatti",
docente di formazione politica presso l'Istituto Togliatti (Frattocchie,
Roma), ha lavorato successivamente presso l'Associazione Crs (Centro di
studi e di iniziative per la riforma dello Stato) e ha diretto la segreteria
dell'onorevole Anna Finocchiaro, quando era ministra per le pari
opportunita'; e' impegnata nella cooperativa "Generi e Generazioni"; ha
pubblicato numerosi articoli e saggi su giornali e periodici, in particolare
sul trimestrale "Democrazia e diritto". Tra le opere di Isabella Peretti:
(con Francesca Brezzi): Welcome? Migrants and natives network, Aracne, 2006.
Tamar Pitch, prestigiosa intellettuale, antropologa e sociologa, insegna
sociologia del diritto presso la facolta' di giurisprudenza dell'universita'
di Camerino. Fa parte del comitato scientifico del Progetto citta' sicure
della Regione Emilia Romagna ed e' giudice onorario presso il Tribunale per
i minorenni di Roma. Collabora a numerose riviste italiane e straniere. Tra
le sue opere: La devianza, La Nuova Italia, Firenze 1975; Sociologia
alternativa e nuova sinistra negli Stati Uniti d'America, La Nuova Italia,
Firenze 1977; Responsabilita' limitate, Feltrinelli, Milano 1989; AA. VV.,
Donne in carcere, Feltrinelli, Milano 1992; Un diritto per due. La
costruzione giuridica di genere, sesso e sessualita', Il Saggiatore, Milano
1998.
Grazia Zuffa, psicologa, senatrice per due legislature, nel 1990 presento'
un disegno di legge sulle tecnologie della riproduzione artificiale; si
occupa da anni di teoria e politica femminista, con particolar riguardo ai
temi della sessualita' e della procreazione; direttrice del mensile
"Fuoriluogo", autrice di molti saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo
della maternita', 1993; Franca Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre
provetta, Angeli, Milano 1994; con Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi
della madre, Pratiche, Milano 1998]

Il patto costituzionale  su cui Ëe' fondata la nostra convivenza e'
gravemente minacciato. Non vale dire che la riforma della seconda parte
della Costituzione, voluta dal centrodestra, non tocca i principi contenuti
nella prima parte. Al contrario. Sia sul piano simbolico che su quello
pratico, e' stato stravolto, per di piu' a maggioranza, l'impianto
complessivo della Costituzione, modificando l'intero sistema dei poteri e
delle garanzie, e dunque mettendo seriamente in discussione la realizzazione
dei principi e dei fini che sono scritti nella prima parte, e che e' compito
di tutto il sistema istituzionale attuare con coerenza.
Con il referendum del 25 giugno abbiamo l'occasione, come cittadini e
cittadine, di esprimerci. Per noi questa occasione e' un dovere e qui
cercheremo di dire perche', come cittadine e femministe, vogliamo impegnarci
perche' queste modifiche siano respinte.
1. La storia conta. Il passato e' parte di cio' che siamo, e se non ne
teniamo conto, provochiamo catastrofi. Innanzitutto favoriamo la distruzione
del legame sociale, costruito su quella storia. Del passato oggi si curano
pochi/e, tanto che chi vuole puo' farne scempio a piacere. Ma senza passato,
vivendo solo nella dimensione del presente, non c'e' futuro, non c'e'
mutamento consapevole. Il patto costituzionale nasce da una storia tragica,
che, se si vuole progettare un futuro, e' assai importante non rimuovere ne'
stravolgere. Le nuove carte dei diritti, prima di tutto quella europea, ne
riprendono i temi essenziali, proprio per contrastare il ripresentarsi, in
forme nuove, dei suoi peggiori aspetti: dalla guerra al razzismo, dal
rifiuto delle differenze alle disuguaglianze e discriminazioni nei diritti
civili e sociali, dall'autoritarismo al populismo demagogico.
E' nella Resistenza antifascista e nella Costituzione che sono state poste
le basi della cittadinanza delle donne. Ed e' un'eredita' e un debito che
riconosciamo verso tutte le donne che ne furono protagoniste. Per noi
cambiare, anche radicalmente, rispetto a quella storia e a quelle conquiste
di cittadinanza, non vuol dire in alcun modo prescinderne o misconoscerne il
significato.
2. La democrazia ridotta a consenso, la politica intesa come  rapporto
diretto tra il capo e il popolo: questo e' il nocciolo forte delle modifiche
alla Costituzione, ed e' la traduzione coerente della cultura e della
pratica del potere che sono il vero cemento del centrodestra. E' una
risposta drastica alla crisi della rappresentanza, che tende a tramutare
questa crisi in morte definitiva; e' una risposta di segno del tutto opposto
rispetto alla critica femminista, che ha messo al centro l'esigenza di
allargare le forme di partecipazione, privilegiando la politica radicata
nella societa' e nell'esperienza. Con il potere del premier di sciogliere il
Parlamento, le Assemblee elettive sono del tutto esautorate. Cosi' il capo
si presenta come l'unico rappresentante del popolo, al di sopra delle leggi,
incurante dei diritti delle minoranze e dell'opposizione. E' il trionfo
della rappresentazione identitaria e del decisionismo. Ne soffrirebbe non
solo la politica delle istituzioni, ma tutta la sfera pubblica, intesa come
costruzione ricca ed allargata di relazioni per la definizione e la gestione
dei beni comuni. Ne soffrirebbe quindi proprio la politica che piu' sta a
cuore al femminismo.
3. La liberta' e i diritti sono ridotti a preferenza di questa o
quell'offerta, in un contesto in cui i beni da scegliere sono definiti
altrove, tutti equiparati a merci, ed ogni scelta e' misurata in termini di
interesse, comprese quelle della rappresentanza politica. La liberta'
femminile, lo abbiamo detto molte volte, non e' riducibile ai diritti e agli
interessi specifici delle donne. Non e' neppure riducibile all'uguaglianza
di diritti ed opportunita' tra donne e uomini. Ma un conto e' la critica
all'uguaglianza come omologazione, assimilazione, altro e' l'uguaglianza
come giustizia sociale, come quell'insieme di misure volte a far si' che
ciascuna e ciascuno siano messi in grado di autoprogettarsi e
autodeterminarsi. A che cosa si riduce la liberta' individuale senza questa
uguaglianza? Senza un ricco corredo di diritti sociali effettivamente
esigibili? Ma e' proprio questa eguaglianza che la riforma sacrifica, in
coerenza del resto con l'ispirazione di fondo che la muove.
4. La cosiddetta "devoluzione", con l'istruzione, l'assistenza  e la sanita'
delegate alle Regioni, stravolge la distribuzione di competenze tra Stato
nazionale, Regioni ed enti locali, lacera la struttura unitaria della
societa' e dello Stato, mettendo in discussione le garanzie universali dei
diritti, creando insopportabili disuguaglianze nel territorio. Diversamente
da quanto si afferma, questa riforma non rafforza affatto il legame tra
istituzioni e societa', proprio perche' mina i rapporti orizzontali di
convivenza, mettendo in contrapposizione tra loro le diverse aree
territoriali del Paese.
Respingere con un "no" questa riforma non e' un atto di conservazione, di
accettazione inerte di un testo, di nostalgia per il passato. E' invece la
premessa indispensabile per rilanciare il confronto tra soggetti politici
attivi nella societa', per rinnovare ed arricchire i contenuti del patto
costituzionale. Noi pensiamo che, a partire dalla politica delle donne, si
possa costruire un patto di convivenza tra donne e uomini, adeguato alle
sfide del futuro.
Non sentiamo affatto il bisogno di riforme istituzionali, scritte in nome e
in ragione della governabilita', volte ad alterare l'equilibrio dei poteri,
a mortificare la democrazia rappresentativa, a ridurre la cittadinanza
attiva, a negare la giustizia sociale. Un patto rinnovato non e' affatto in
contrasto con la  Costituzione, puo' anzi innestarsi sui suoi principi e
sulle sue lungimiranti potenzialita'.
Maria Luisa Boccia, Cecilia D'Elia, Isabella Peretti, Tamar Pitch, Grazia
Zuffa

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: COSTITUZIONALISMO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha
fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del
"non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto
il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Essenza del costituzionalismo e' la limitazione del potere.
Con cio', il potere e' posto sulla via della nonviolenza, che e' la
distribuzione massima del "potere di tutti", cioe' della possibilita'
(potere-di, e non potere-su) di vivere e svolgere la propria vita e donare
agli altri le proprie capacita', non rattrappite da impedimenti esterni, o
peggio stroncate da violenze.
E' quanto dispone l'art. 3 della nostra Costituzione, la super-norma, da
avere sempre davanti agli occhi, come direttiva di ogni politica. Le regole
per la formazione e il controllo del potere, la sua divisione in aspetti
separati e bilanciati, sono mezzi vincolanti, al fine della
non-sopraffazione. La quale non e' altro che il principio della tutela del
debole, della inviolabilita' del meno potente, perche' in lui risiede, come
in tutti, una dignita' intatta, che vale piu' di ogni potere e funzione.
Il costituzionalismo, un frutto tra i migliori della ambigua modernita', e'
una museruola posta alla politica potente, perche' il  senso della politica
non e' il potere, ma la liberazione dei non liberi, il potere di chi non ha
potere, "il rovesciamento dei troni e l'innalzamento degli umili".
Questa non e' utopismo evangelico, ma una tappa raggiunta, almeno come
proposito irrinunciabile della civilta', per cui ogni politica che non e'
cosi', ogni accentramento dei poteri, ogni loro indurimento, ogni riduzione
del principio costituzionale, ormai e' cosa barbara, non e' piu'
decentemente umana.

5. INCONTRI. BEPPE PAVAN: LA LIBERTA' DELLE DONNE E' CIVILTA'
[Dal "Foglio di comunita'" di giugno 2006 della comunita' cristiana di base
di Pinerolo (per contatti: info at viottoli.it) riprendiamo il seguente
intervento. Beppe Pavan (per contatti: carlaebeppe at libero.it) e' impegnato
nella bellissima esperienza nonviolenta della comunita' di base e del
"gruppo uomini" di Pinerolo (preziosa esperienza di un gruppo di uomini
messisi all'ascolto del femminismo con quella virtu' dell'"attenzione" di
cui ci parlava Simone Weil), ed in tante altre esperienze di pace e di
solidarieta']

"La liberta' delle donne e' civilta'" e' il titolo del convegno organizzato
a Genova dalla rivista femminista "Marea" nei giorni 26 e 27 maggio. Intorno
a temi quali "donne e fondamentalismi, cittadinanza e identita' multiple,
responsabilita' e democrazia, convivenza e laicita'" hanno intrecciato
testimonianze e riflessioni donne algerine e iraniane, palestinesi e
israeliane, indiane e serbe... con donne e uomini d'Italia e non solo.
Molto vivace e' stata la tavola rotonda finale su "Comunicare la laicita'".
Stefano Ciccone di Roma e il sottoscritto siamo stati invitati a svolgere
brevi interventi sulle motivazioni e il cammino dei gruppi uomini, con
particolare riferimento al tema del convegno.
E' stata anche una bella occasione per incontrare fratelli e sorelle della
comunita' di base di Genova, oltre a Giovanna Romualdi di Roma, Letizia
Tomassone, Lidia Menapace, Luisa Morgantini, Vladimir Luxuria...

6. INCONTRI. BARBARA ROMAGNOLI: UN INCONTRO A GENOVA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 31 maggio 2006. Barbara Romagnoli (per
contatti: duepunti2 at yahoo.it), giornalista e saggista, e' nata e vive a
Roma; laureata in filosofia con una tesi su "Louise du Neant: esperienza
mistica e linguaggio del corpo", si e' poi interessata di studi di genere;
collabora con varie testate (tra cui "Liberazione", "Carta", "Marea")]

Lo scorso weekend a Genova il convegno internazionale "La liberta' delle
donne e' civilta'. Donne e uomini impegnati contro i fondamentalismi
religiosi, per l'autodeterminazione delle donne e la cittadinanza", promosso
dalla rivista femminista "Marea", e' riuscito nella non facile impresa di
far dialogare in maniera feconda donne e uomini di lingua, cultura e
provenienza diversa. Due giorni densi, dove si sono susseguite plenarie e
seminari, con pochi interventi fuori tempo massimo e, come nelle migliori
tradizioni, qualche sparuto intervento fuori luogo. Un centinaio di donne e
un gruppo di uomini "in cammino". Laici, religiosi e non credenti che hanno
portato testimonianze, raccontato pratiche ed esperienze e riflettuto
insieme su cosa significa vivere in una epoca di fondamentalismi, che, si
badi bene, non sono solo quelli di ordine religioso ma anche quelli che si
celano dietro finti laicismi o politiche neoconservatrici. Non e' stato
semplice dirimere una matassa che tesse molteplici piani (chiusure
identitarie, relativismi culturali, politiche repressive e di controllo,
guerre e migrazioni, religioni invasive e governi deboli o complici) ma che
ha certamente un obiettivo chiaro: quello di continuare a rendere difficile
la vita alle donne, oltre che agli uomini. E' indubbio infatti che i
fondamentalismi, di qualsivoglia natura, prediligono come terreno proficuo
il corpo delle donne e non si risparmiano nulla per negare anche i diritti
umani fondamentali.
A Genova sono state chiare, fin dall'inizio, anche alcune differenze, non
solo di provenienza geografica e religiosa. All'approccio molto teorico, a
volte dal sapore un po' troppo accademico, di alcune donne italiane, si e'
contrapposta la maggiore esperienza sul campo delle donne migranti, come
quella delle emigrate algerine che vivono nelle periferie francesi o delle
donne di Southall Black Sisters (organizzazione di donne emigrate a Londra,
attiva dal 1979 e che si occupa, tra l'altro, di violenza alle donne).
Come e' stato sottolineato in uno dei seminari, le voci arrivate dagli altri
paesi europei vivono da piu' tempo la realta' di societa' multiculturali,
con tutti i loro pregi e limiti. Contesti in cui le donne sono riuscite, col
tempo, ad affiancare alle pratiche di convivenza e accoglienza delle vere e
proprie strategie politiche, agendo come lobby influenti sia sulla normativa
dei loro paesi sia sul lavoro degli stessi parlamentari. Una forza maggiore
rispetto al panorama italiano e che tuttavia non basta, perche', come e'
stato ripetuto piu' volte, in Europa soffia un vento molto pericoloso che,
insieme al binomio fondamentalismo-globalizzazione foriero di nuove
disuguaglianze economiche e sociali, sta mettendo a rischio il lavoro svolto
finora.
Non e' un caso, e' stato detto, che molte donne di cultura islamica, ma
cresciute in altri paesi come la Francia, di colpo abbiano deciso di
indossare un velo che non avevano mai portato. E non e' un caso che in
Italia il dibattito che ha portato alla legge 40 sia stato egemonizzato da
alcuni gruppi di potere religioso e scientifico.
E non possono cadere nel vuoto le testimonianze che ci sono state offerte,
tra le altre, da Sarvi Chitsaz (iraniana), Yael Meroz (israeliana), Stasa
Zajovic (serba) e Gita Sahgal (Gender Unit Amnesty International). Sono
parole che chiedono ora sostegno e attenzione, per fermare i fondamentalismi
piu' volte equiparate ai fascismi di tutte le latitudini.
Come fare ad arginare tutto questo, in un contesto, che appare simile nei
diversi paesi, dove non sappiamo piu' chi sono i nostri alleati?
Per rispondere a questo interrogativo e ai tanti stimoli raccolti, la tavola
rotonda conclusiva ha cercato un dialogo anche con i rappresentanti dei
media (pochi i presenti a dir la verita', tanto per ribadire lo stato di
salute dell'informazione in Italia). Giornalisti e rappresentanti di diverse
fedi religiose si sono trovati tutti d'accordo sulla necessita', e
l'urgenza, di "comunicare la laicita'", mettere in campo tutti gli strumenti
per ribadire il rispetto e la convivenza delle differenze e, in primo luogo,
garantire il diritto alle donne alla loro autodeterminazione. Ma il terreno
si fa piu' scivoloso quando bisogna trovare una definizione comune di
laicita' tra credenti osservanti, laici, atei e agnostici. Soheib Bencheikh
(gia' gran mufti' di Marsiglia) e Samir Khalil Samir (gesuita, di Beirut)
concordano su un concetto chiaro ma che e' sembrato un po' riduttivo a molte
e molti: la laicita' e' il rispetto della distinzione tra Stato e Chiesa,
una divisione amichevole dell'ambito religioso da quello statale che
garantisce la neutralita' della gestione dello spazio pubblico, sia in
assenza che in presenza di religioni. Ragionamento logico ma che non
convince del tutto e soprattutto rimanda a una immagine verticale della
laicita', qualcosa calato dall'alto e che ricorda l'ordine gerarchico,
maschilista e neutro che si vuole trasformare. Perche' invece non pensare a
una laicita' orizzontale che sia lo spazio partecipato dove l'etica non sia
un dogma dato una volta per tutte ma un prodotto delle culture del proprio
tempo?
Questo interrogativo e' rimasto sospeso nell'aria tra i saluti, gli abbracci
e gli sguardi emozionati di Hajet e Saana, due ragazze marocchine che vivono
in Italia da alcuni anni e stanno terminando le scuole superiori. La loro
entusiastica partecipazione e' stata una sincera testimonianza del bisogno,
sentito da molte, di affrontare temi certamente scomodi, complessi, ma che
riguardano il diritto di cittadinanza di tutte le identita' possibili e di
qualunque genere.
E' un vero peccato che il movimento nella sua globalita' non si senta
stimolato da incontri di questo tipo, quasi che non c'entrassero nulla con
la precarieta', la guerra, la tutela dei beni comuni. Ancora una volta il
movimento delle donne dimostra di stare un passetto avanti, ma puo' fare
ancora di piu'. Soprattutto in Italia c'e' bisogno di una maggiore
interlocuzione con le donne migranti, che piu' di altre pagano sulla loro
pelle le follie di politiche fondamentaliste.

7. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI GIUGNO
[Dagli amici dell'"Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini" (per
contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo]

Cari amici,
vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di giugno 2006 del "Cos in rete",
www.cosinrete.it
Nello spirito del Cos [Centro di orientamento sociale] di Capitini, le
nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui
temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo,
partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta,
educazione aperta, antifascismo, tra cui: Ken Loach scomodo a lorsignori; La
legge di Jante; Il dossier di Save the children; Prospettive e problemi per
il vicario; L'aggiunta religiosa di Capitini; Il '68 sullo schermo; I
fascisti perdonati; I falsi progressisti del rock; Idee per la riforma
nonviolenta; Una vittoria femminile; La compresenza secondo i bambini; La
violenza piu' diffusa; La scelta fra giustizia e guerra; ecc. Piu' scritti
di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi
temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al Cos in
rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi all'indirizzo di posta
elettronica: capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del
Cos: http://cos.splinder.com
Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato
indirizzo in: www.aldocapitini.it

8. LIBRI. PIERGIORGIO GIACCHE' PRESENTA "QUESTA NON E' UN'AUTOBIOGRAFIA" DI
PIERRE BOURDIEU
[Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 70
dell'aprile 2006 (sito: www.lostraniero.net), rirpendiamo la sgeuente
recensione li' apparsa col titolo: Bourdieu: l'autoanalisi di un maestro.
Piergiorgio Giacche', intellettuale critico, saggista, antropologo del
presente, e' docente di Antropologia teatrale all'Universita' di Perugia. Ha
condotto ricerche su vari problemi - dalla devianza alla condizione
giovanile, dalla comunicazione di massa alle tradizioni popolari, dalla
solitudine abitativa alla partecipazione politica, al rapporto tra
antropologia culturale e cultura teatrale. E' stato membro del comitato
scientifico dell'International School of Theatre Anthropology (1981-1990),
si e' occupato del fenomeno del "teatro di gruppo" ed ha condotto una
ricerca sul campo nella penisola salentina intitolata alla "Identita' dello
spettatore" (1987-1990); e' autore di numerose pubblicazioni in volumi e
riviste specializzate; e' coordinatore del gruppo internazionale di lavoro
della Maison de Sciences de l'Homme su "Spectacles vivants et sciences
humaines"; fa parte del comitato di redazione della rivista "Lo straniero" e
del comitato scientifico della rivista "Catarsi. Teatri della diversita', e'
presidente della fondazione "L'Immemoriale di Carmelo Bene"; ha anche curato
un'apprezzata antologia di scritti di Aldo Capitini. Tra le opere in volume
di Piergiorgio Giacche': (con Giancarlo Baronti), La organizzazione del
consenso nel regime fascista: la manipolazione ideologica della devianza
criminale, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983; Carmelo Bene, Bompiani,
1997; Lo spettatore partecipante, Guerini e Associati, 1998; L'altra visione
dell'altro, L'Ancora, 2004.
Pierre Bourdieu, prestigioso intellettuale francese; directeur d'etudes
all'Ecole pratique des hautes etudes di Parigi, impegnato nel movimento
contro la globalizzazione neoliberista e per l'umanita'; e' deceduto nel
gennaio 2002. Dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche
riprendiamo la seguente presentazione: "Pierre Bourdieu e' nato a Denguin,
il 10 agosto 1930. Dopo aver studiato al liceo di Pau, e poi al liceo
Louis-le-Grand a Parigi, entra all'Ecole normale superieure nel 1951.
Agrege' di Filosofia nel 1954, insegna l'anno successivo al liceo di
Moulins. Tra il 1955 e il 1958 fa il servizio militare in Algeria, allora in
guerra. Diventa quindi assistente all'universita' di Algeri. Tornato in
Francia nel 1960, come assistente alla Sorbona, nel 1961 e' professore
incaricato all'universita' di Lille. Nel 1964 viene nominato direttore di
studi all'Ecole pratique des hautes etudes (VI sezione) e nel 1981 e'
chiamato alla cattedra di sociologia del College de France. Dirige il Centro
di sociologia europea (del College de France e dell'Ecole des hautes etudes
en sciences sociales), e le riviste "Actes de la recherche en sciences
sociales" (fondata nel 1975) e "Liber". E' dottore honoris causa della Freie
Universitat di Berlino (1989), membro dell'Accademia Europea e dell'American
Academy of Arts and Sciences, medaglia d'oro del Cnrs (1993), dottore
honoris causa dell'Universita' Johann Wolfgang Goethe di Frankfurt (1996).
Influenzato contemporaneamente dal marxismo e dallo strutturalismo, Bourdieu
si e' dedicato in particolare alla sociologia dei processi culturali,
elaborando il concetto originale di "violenza simbolica", connessa secondo
lui con i processi educativi. I suoi studi sul ceto studentesco
universitario francese ebbero vasta eco negli anni attorno al 1968, in piena
agitazione studentesca. Bourdieu ha rinnovato la tradizione francese
dell'engagement, prendendo posizione negli eventi piu' significativi del
nostro tempo, in difesa di Solidarnosc, al fianco degli studenti nelle lotte
del 1986, e con gli intellettuali algerini: interventi sostenuti tutti dalla
sua competenza di sociologo". Opere di Pierre Bourdieu: Sociologie de
l'Algerie, P. U. F., Paris 1956; The Algerians, Beacon Press, Boston 1962;
con A. Darbel, J. P. Rivet e C. Seibel, Travail et travailleurs en Algerie,
Mouton, Paris 1963; con A. Sayad, Le deracinement. La crise de l'agriculture
traditionnelle en Algerie, Minuit, Paris 1964; con J. C. Passeron, Les
heritiers, Minuit, Paris 1964; con J. C. Passeron, Les etudiants et leurs
etudes, Mouton, Paris 1964; con L. Boltanski, R. Castel e J.C. Chamboredon,
Un art moyen. Essai sur les usages sociaux de la photographie, Minuit, Paris
1965; con J. C. Passeron e M. de Saint-Martin, Rapport pedagogique et
communication, Mouton, Paris 1965; con A. Darbel, L'Amour de l'art, Minuit,
Paris 1966; con J. C. Passeron e J. C. Chamboredon, Le Metier de sociologue,
Mouton-Bordas, Paris 1968; Zur Soziologie der symbolischen Formen, Suhrkamp,
Frankfurt 1970; con J.-C. Passeron, La reproduction. Elements pour une
theorie du systeme d'enseignement, Minuit, Paris 1970; Esquisse d'une
theorie de la pratique, Droz, Geneve 1972; La distinction. Critique sociale
du Jugement, Minuit, Paris 1979; Le Sens pratique, Minuit, Paris 1980;
Questions de sociologie, Minuit, Paris 1980; Ce que parler veut dire.
L'economie des echanges linguistiques, Fayard, Paris 1982; Homo academicus,
Minuit, Paris 1984; Choses dites, Minuit, Paris 1987; L'ontologie politique
de Martin Heidegger, Minuit, Paris 1988; La noblesse d'etat, Paris 1988;
Reponses. Pour une anthropologie reflexive, Paris 1992; Les Regles de l'art.
Genese et structure du champ litteraire, Seuil, Paris 1992; La Misere du
monde, Paris 1993; Libre-echange, Paris 1994; Raisons pratiques. Sur la
theorie de l'action, Seuil, Paris 1994. Tra i testi disponibili in
traduzione italiana: La distinzione, Il Mulino, Bologna 1984; Fuehrer della
filosofia? L'ontologia politica di Martin Heidegger, Il Mulino, Bologna
1989; La responsabilita' degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 1991;
Risposte. Per un'antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino 1992;
Ragioni pratiche, Il Mulino, Bologna 1995; Sulla televisione, Feltrinelli,
Milano 1997; Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, Milano 1998; Il dominio
maschile, Feltrinelli, Milano 1999. Tra i libri di intervento militante piu'
recenti segnaliamo particolarmente: Contre-feux, Editions Raisons d'agir,
Paris 1998; Contre-feux 2, Editions Raisons d'agir, Paris 2001; Questa non
e' un'autobiografia, Feltrinelli, Milano 2005. A parziale integrazione (e
scusandoci per le inevitabili ripetizioni) riportiamo anche la seguente
notizia bibliografica, apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio
2002: "E' quasi impossibile citare tutti i volumi scritti o diretti da
Pierre Bourdieu, per non parlare dei suoi oltre 200 saggi e articoli di
sociologia. Tra i piu' importanti: Sociologie de l'Algerie (1961), Le
deracinement (con A. Sayad, 1964), Les heritiers (con J.-C. Passeron, 1964),
Un art moyen: essay sur les usages sociaux de la photographie (con L.
Boltanski, R. Castel e J.-L. Chamboredon, 1965); L'amour de l'art (con A.
Darbel, 1966); Le metier du sociologue, con J.-C. Passeron e J.-C.
Chamboredon, 1968); Pour une sociologie des formes symboliques (1970): La
reproduction (con J.-C. Passeron, 1971); Esquisse d'une theorie de la
pratique (1972, da poco ristampato da Seuil e di prossima traduzione per
Raffaello Cortina Editore con il titolo "La teoria della pratica"); La
distintion: critique sociale du jugement (1979, tradotto dalla casa editrice
Il Mulino con il titolo La distinzione, e ripubblicato nel 2001); Le sens
pratique (1980); Ce que parler veut dire (1982); Lecon sur la lecon (1982);
Homo academicus (1984); L'ontologie politique de Martin Heidegger (1989);
Reponses: pour une anthropologie reflexive (con L. Wacquant, 1992); La
misere du monde (a cura di, 1993); Meditations pascaliennes (1997); La
domination masculine 1998 (Il dominio maschile, Feltrinelli); Sulla
televisione (Feltrinelli 1997); Meditazioni pascaliane (Feltrinelli 1998);
Il mese scorso la Manifestolibri ha pubblicato "Controfuochi 2. Per un nuovo
movimento europeo". Oltre che gli "Actes de la recherche en sciences
sociales", Bourdieu ha diretto "Liber" e ha fatto il caporedattore della
rivista di tendenza "Inrockuptibles" 'per dar voce a chi e' considerato
irresponsabile dalla politica ufficiale'". Opere su Pierre Bourdieu: Anna
Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, Marsilio, Venezia
2003]

"Questa non e' un'autobiografia" e' il titolo alla Magritte che il curatore
e l'editore italiano (Feltrinelli) hanno preferito dare al libro postumo di
Bourdieu (titolo originale "Esquisse pour une auto-analyse"); e non per
ragioni di economia e commercio, ma per rispetto dell'avversione dichiarata
dell'autore per le biografie e le autobiografie. Se pero' l'avversione e'
motivata e sacrosanta, il titolo e' sbagliato: questa e' un'autobiografia, e
delle piu' serie e utili che siano state scritte. Certo si pone fuori dal
"genere", ma proprio per questo ne riscopre il senso e ne rinnova il metodo.
Innanzitutto perche' non segue la via della giustificazione cronologica
delle storie di vita, ma il cammino dell'argomentazione logica e del
confronto dialogico fra una vita e la storia; innanzitutto, cioe', perche'
semplicemente ricorda che la storia di ognuno non comincia dalla nascita, ma
dalle occasioni professionali e dalle scelte personali che lo formano,
ovvero - per abusare di un concetto caro a Bourdieu - che lo distinguono. E
anche su questa "distinzione" bisogna stare attenti, in quanto - piu' che
"dagli altri" con cui Pierre Bourdieu si confronta e si scontra - la
distinzione che conta e che forma e' quella dall'ambiente avvolgente e
dall'ideologia dominante del proprio tempo. E - nel caso di Pierre
Bourdieu - il tempo e' quello dei soliti "ignoti" anni Sessanta e l'ambiente
e' quello dei fin troppo noti intellettuali e universitari (molti e molto
francesi) che hanno caratterizzato e diffuso la visione corrente della
"storia attuale" (se ci e' permesso chiamare cosi' un'epoca breve e nuova
che - malgrado i testi e i salti mortali di molti storici - non riesce
ancora a farsi spazio e a darsi pace dentro la fase o la disciplina che
chiamiamo Storia contemporanea).
*
Cosi', se il racconto di Bourdieu parte e ritorna spesso sugli anni e le
esperienze della scuola e dell'universita', il libro riguarda e riconsidera
insieme la fase della formazione e l'impegno della professione - di se
stesso, dei suoi maestri ma anche dei suoi colleghi - non rispettando sempre
le date ma certamente precisando l'ambito e l'oggetto del suo saggio
autobiografico: "il campo con il quale e contro il quale ci si e' fatti". E
"campo" e' una parola volutamente ambigua, che da un lato indica davvero la
sede dei suoi studi e la rete delle sue relazioni, ma dall'altro suggerisce
al lettore (ma anche all'autore) l'idea di un'autobiografia che intende
svilupparsi con i modi e gli obiettivi di una ricerca. Una "auto-analisi",
si vuole e si dice nel titolo originale, ma stesa con un metodo descrittivo
piuttosto che introspettivo, nella quale le relazioni del ricercatore "sul
campo" anticipano e guidano le riflessioni o le spiegazioni
dell'auto-osservazione: un'autoanalisi che e' dunque davvero fuori dal
"genere", giacche' si muove con il calore e il rigore di un'indagine su di
se' ma anche sugli altri, nella quale si adopera magari lo strumento o lo
stile da diario personale (sempre del ricercatore), ma che raramente fa
emergere toni o problemi da dialogo intimo.
Ma non e' una questione di pudore e nemmeno pero' una posizione comoda per
evitare critiche e intanto seminare giudizi. E' invece una prassi d'analisi
sistematica, gia' inaugurata in altri testi e utilizzata non per esporsi e
proporsi, ma per verificare e valutare il cammino e l'importanza del
soggetto che fa scienza e ricerca (tra parentesi, in modo tutt'affatto
diverso dal compiacente riconoscimento della soggettivita' e perfino della
creativita' dello scienziato-autore, cosi' come viene rivendicata dalla
recente letteratura antropologica). In piu', in questa complessiva e
sfortunatamente definitiva "autoanalisi", c'e' una domanda sincera e perfino
stupefatta che Bourdieu si pone e che gradualmente avvince il suo lettore:
quella di cercare il fondamento e di fornire il chiarimento sulla sua
diversita'. Una diversita' che lo iscrive in un certo senso fra i normali (e
lo allontana dai normalisti), anziche' sospingerlo verso aree disciplinari e
ambizioni luminari piu' a' la page. Una diversita' che ad esempio - ed e'
questo il nodo della questione - lo porta a rivendicare il ruolo e
ristabilire il senso della sociologia, contro un ambiente e un'epoca che
preferiva archiviarla fra i saperi gia' noti e i metodi di base, anziche'
scommetterci un'attenzione e una speculazione tutta rivolta a discipline
piu' qualitative e meno realistiche (nel senso dell'attenzione e insieme
della sottomissione alla realta' del mondo sociale).
*
Certo Bourdieu e' consapevole di essere diventato un maestro, di appartenere
all'elenco (ormai tutto postumo) delle grandi personalita' intellettuali che
hanno reso importante e imponente il contributo della "scuola" francese nel
mondo. Ma la sua scelta e infine la sua opera di rilancio e rinnovamento di
una disciplina avversata o sottovalutata dagli altri suoi "pari" di Francia,
lo rende davvero un'eccezione che non conferma la regola o il metodo o
infine la moda del suo tempo. E del suo "campo".
Le vere discriminanti che lo separano e lo rendono in molti sensi straniero
al suo stesso ambiente consistono nella lunga frequentazione di un "terreno"
(di ricerca) che nei fatti e nell'esperienza si oppone al "campo" (di
appartenenza) e - prima ancora, ma anche durante e dopo - nella insofferenza
per la disciplina o forse per l'habitus con cui tutti o troppi intellettuali
francesi amano rivestirsi. Il terreno e' il Bearn e l'Algeria, dove Bourdieu
comincia la sua ricerca da etnologo e - dopo anni di contatti ed esperienze
di autentica formazione umana e politica - si convince e costringe ad
aggiornarsi come sociologo. La disciplina nei confronti della quale si sente
progressivamente distante e immediatamente diffidente e' la filosofia,
massimo e comune denominatore e moltiplicatore di quegli atteggiamenti e di
quei riferimenti che connotano la casta e l'entourage fin troppo affollato
dei "maitres a' penser": la scienza totale e la missione intellettuale, la
retorica della scientificita' e la gerarchia tra teorico ed empirico, o
ancora tra scienze umane nobili e scienze sociali plebee, tra il lavoro
solitario "creativo" e "l'alienazione spersonalizzante" del lavoro di
gruppo.
"Contre les philosophes" si chiamerebbe questo suo libro se fosse un
pamphlet. Ma un saggio polemico non gli sarebbe mai venuto in mente e in
penna, mentre nell'economia e per la necessita' di un'autobiografia, le
motivate riserve e le approfondite considerazioni sulla filosofia "alla
francese" sono puntuali quanto indispensabili difese delle proprie scelte:
prima fra tutte la liberta' e la novita' di una sociologia non scientista ma
"aperta ai mondi sociali piu' diversi", non subalterna alla "ortodossia
planetaria" della scuola americana ma reimmessa nella via maestra dei
Durkheim e Weber e riconfortata da autonome ricerche empiriche "teoricamente
ispirate"; quindi, a questo fine, la scelta di mettere in piedi l'impresa
collettiva di un laboratorio, il Centre de sociologie europeenne, e di
mettere fine al doppio status e statuto di quanti, pur scendendo nei terreni
della ricerca sociale o storica o politica, non rinunciano all'appellativo e
alla missione del "philosophe".
*
Se contro la filosofia e i filosofi i distinguo di Bourdieu arrivano fino al
ripudio, non e' soltanto per evidenziare la contrapposizione fra il panorama
privilegiato delle riflessioni generali e la piattaforma negletta delle
ricerche particolari, ma anche per ricapitolare la storia e rivendicare il
senso di specifici e difficili dissensi. Nella sua autobiografia se ne
segnalano almeno tre fondamentali, non a caso con i tre protagonisti
principali della cultura francese contemporanea o, come s'e' detto, attuale.
Con Jean-Paul Sartre, Claude Levi-Strauss e Michel Foucault l'incontro e il
confronto e' obbligatorio per piu' di una generazione di intellettuali, ma
soltanto Bourdieu li ricapitola e li spiega in termini di sostanziale o
letterale "disaccordo". Sono i passaggi o le pagine piu' importanti del
libro, quelle che raccontano come si diventa e si inventa una vocazione
critica, come si difende e si sostanzia una posizione e una funzione di
minoranza, restando aperti e attenti ai contributi degli altri studiosi ma
anche attivi e coerenti professionisti dell'intelligenza. Cosi' il fascino e
la dittatura di Sartre non lascia il suo segno sulla formazione filosofica
di Bourdieu, lo "sguardo distante" sul sociale e la deriva estetizzante
dell'etnologia di Levi-Strauss non lo convince, e perfino la grande
assonanza e perfino la tacita alleanza che lo lega a Foucault non sospende
un giudizio sintetico sulle differenze sociali e sulle scelte personali che
tuttavia li separano. Perche' per l'autoanalisi di Bourdieu l'origine
familiare e la situazione economica e la collocazione accademica o mondana e
perfino l'omosessualita' non sono condizionamenti ma semplici condizioni che
dialogano con le scelte di vita e di scienza.
*
C'e' un'attenzione, anzi una comprensione spietata delle posizioni e delle
decisioni degli altri e di se', nello svolgimento di questa autobiografia
scientifica. In questo sta il metodo e il merito, ma da tutto questo deriva
anche un regalo per quel lettore che, davanti alla storia della scelta e
della scienza di Pierre Bourdieu, abbia voglia e bisogno di essere indotto
in tentazione autocritica. Per quanto sia stata scarsa la parte avuta o il
partito preso nelle vicende di cui si tratta, per quanto siano state
importanti o interessanti le conoscenze mutuate dai personaggi di cui si
parla, vale la pena di compiere, in parallelo alla lettura di questo libro,
una silenziosa e umile autoanalisi che restituisca non a Bourdieu (che non
ne ha bisogno) ma alla ricerca sui temi e problemi sociali, la dignita' e
soprattutto la priorita' che le spetta. Invece di buttarla in filosofia...

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1319 del 7 giugno 2006

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