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La nonviolenza e' in cammino. 1319
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1319
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 7 Jun 2006 00:28:00 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1319 del 7 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito: Oi autoi 2. Severino Vardacampi: Un no che vuol dire no 3. Maria Luisa Boccia, Cecilia D'Elia, Isabella Peretti, Tamar Pitch, Grazia Zuffa: Perche' come cittadine e femministe vogliamo impegnarci per un no allo stravolgimento della Costituzione 4. Enrico Peyretti: Costituzionalismo 5. Beppe Pavan: La liberta' delle donne e' civilta' 6. Barbara Romagnoli: Un incontro a Genova 7. Il "Cos in rete" di giugno 8. Piergiorgio Giacche' presenta "Questa non e' un'autobiografia" di Pierre Bourdieu 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: OI AUTOI Gli stessi che li mandano a morire alacri inchiodano le loro bare cantando canzonette tricolori spremendo acide larme fasulle ad uso dei cronisti parabelli. Gli stessi che intonano peana a tutti gli eserciti assassini ancora degli assassinati succhiano il sangue nero e spento, forbendo poi la bocca alla bandiera. . Tutte le armi sono assassine. Tutti gli eserciti sono assassini. Ed assassine son tutte le guerre. E assassini tutti i governanti che le armi, gli eserciti, le guerre ammettono. 2. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: UN NO CHE VUOL DIRE NO Lo scriviamo perche' giovi alla chiarezza: quando diciamo no al golpe della cosiddetta "riforma costituzionale" berlusconiana intendiamo dire precisamente no. Intendiamo dire che noi vogliamo che resti in vigore la Costituzione del 1948 con la firma del Presidente dell'Assemblea Costituente Umberto Terracini. Vogliamo dire che non diamo nessuna delega a nessuno, che a nessuno intendiamo permettere di manipolare e stravolgere la Costituzione della Repubblica Italiana: ne' al blocco golpista dei neofascisti, dei mafiosi e dei razzisti, ne' ai loro allegri compari oggi al governo. Quando diciamo no vogliamo dire proprio no. 3. APPELLI. MARIA LUISA BOCCIA, CECILIA D'ELIA, ISABELLA PERETTI, TAMAR PITCH, GRAZIA ZUFFA: PERCHE' COME CITTADINE E FEMMINISTE VOGLIAMO IMPEGNARCI PER UN NO ALLO STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. Maria Luisa Boccia, nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive, e' attualmente senatrice della Repubblica. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002. Cecilia D'Elia, laureata in filosofia, pubblica amministratrice, responsabile scuola, universita' e ricerca dei Ds di Roma, condirettrice del mensile "Fuoriluogo", e' stata tra le promotrici della rivista "Sofia, materiali di filosofia e cultura delle donne" e presidente dell'Associazione "Forum droghe"; ha lavorato presso l'Assessorato alle politiche educative del Comune di Roma. Isabella Peretti, nata a Venezia, laureata in filosofia con una tesi di laurea dal titolo "Analisi critica dell'ideologia di Palmiro Togliatti", docente di formazione politica presso l'Istituto Togliatti (Frattocchie, Roma), ha lavorato successivamente presso l'Associazione Crs (Centro di studi e di iniziative per la riforma dello Stato) e ha diretto la segreteria dell'onorevole Anna Finocchiaro, quando era ministra per le pari opportunita'; e' impegnata nella cooperativa "Generi e Generazioni"; ha pubblicato numerosi articoli e saggi su giornali e periodici, in particolare sul trimestrale "Democrazia e diritto". Tra le opere di Isabella Peretti: (con Francesca Brezzi): Welcome? Migrants and natives network, Aracne, 2006. Tamar Pitch, prestigiosa intellettuale, antropologa e sociologa, insegna sociologia del diritto presso la facolta' di giurisprudenza dell'universita' di Camerino. Fa parte del comitato scientifico del Progetto citta' sicure della Regione Emilia Romagna ed e' giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Roma. Collabora a numerose riviste italiane e straniere. Tra le sue opere: La devianza, La Nuova Italia, Firenze 1975; Sociologia alternativa e nuova sinistra negli Stati Uniti d'America, La Nuova Italia, Firenze 1977; Responsabilita' limitate, Feltrinelli, Milano 1989; AA. VV., Donne in carcere, Feltrinelli, Milano 1992; Un diritto per due. La costruzione giuridica di genere, sesso e sessualita', Il Saggiatore, Milano 1998. Grazia Zuffa, psicologa, senatrice per due legislature, nel 1990 presento' un disegno di legge sulle tecnologie della riproduzione artificiale; si occupa da anni di teoria e politica femminista, con particolar riguardo ai temi della sessualita' e della procreazione; direttrice del mensile "Fuoriluogo", autrice di molti saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo della maternita', 1993; Franca Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre provetta, Angeli, Milano 1994; con Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998] Il patto costituzionale su cui Ëe' fondata la nostra convivenza e' gravemente minacciato. Non vale dire che la riforma della seconda parte della Costituzione, voluta dal centrodestra, non tocca i principi contenuti nella prima parte. Al contrario. Sia sul piano simbolico che su quello pratico, e' stato stravolto, per di piu' a maggioranza, l'impianto complessivo della Costituzione, modificando l'intero sistema dei poteri e delle garanzie, e dunque mettendo seriamente in discussione la realizzazione dei principi e dei fini che sono scritti nella prima parte, e che e' compito di tutto il sistema istituzionale attuare con coerenza. Con il referendum del 25 giugno abbiamo l'occasione, come cittadini e cittadine, di esprimerci. Per noi questa occasione e' un dovere e qui cercheremo di dire perche', come cittadine e femministe, vogliamo impegnarci perche' queste modifiche siano respinte. 1. La storia conta. Il passato e' parte di cio' che siamo, e se non ne teniamo conto, provochiamo catastrofi. Innanzitutto favoriamo la distruzione del legame sociale, costruito su quella storia. Del passato oggi si curano pochi/e, tanto che chi vuole puo' farne scempio a piacere. Ma senza passato, vivendo solo nella dimensione del presente, non c'e' futuro, non c'e' mutamento consapevole. Il patto costituzionale nasce da una storia tragica, che, se si vuole progettare un futuro, e' assai importante non rimuovere ne' stravolgere. Le nuove carte dei diritti, prima di tutto quella europea, ne riprendono i temi essenziali, proprio per contrastare il ripresentarsi, in forme nuove, dei suoi peggiori aspetti: dalla guerra al razzismo, dal rifiuto delle differenze alle disuguaglianze e discriminazioni nei diritti civili e sociali, dall'autoritarismo al populismo demagogico. E' nella Resistenza antifascista e nella Costituzione che sono state poste le basi della cittadinanza delle donne. Ed e' un'eredita' e un debito che riconosciamo verso tutte le donne che ne furono protagoniste. Per noi cambiare, anche radicalmente, rispetto a quella storia e a quelle conquiste di cittadinanza, non vuol dire in alcun modo prescinderne o misconoscerne il significato. 2. La democrazia ridotta a consenso, la politica intesa come rapporto diretto tra il capo e il popolo: questo e' il nocciolo forte delle modifiche alla Costituzione, ed e' la traduzione coerente della cultura e della pratica del potere che sono il vero cemento del centrodestra. E' una risposta drastica alla crisi della rappresentanza, che tende a tramutare questa crisi in morte definitiva; e' una risposta di segno del tutto opposto rispetto alla critica femminista, che ha messo al centro l'esigenza di allargare le forme di partecipazione, privilegiando la politica radicata nella societa' e nell'esperienza. Con il potere del premier di sciogliere il Parlamento, le Assemblee elettive sono del tutto esautorate. Cosi' il capo si presenta come l'unico rappresentante del popolo, al di sopra delle leggi, incurante dei diritti delle minoranze e dell'opposizione. E' il trionfo della rappresentazione identitaria e del decisionismo. Ne soffrirebbe non solo la politica delle istituzioni, ma tutta la sfera pubblica, intesa come costruzione ricca ed allargata di relazioni per la definizione e la gestione dei beni comuni. Ne soffrirebbe quindi proprio la politica che piu' sta a cuore al femminismo. 3. La liberta' e i diritti sono ridotti a preferenza di questa o quell'offerta, in un contesto in cui i beni da scegliere sono definiti altrove, tutti equiparati a merci, ed ogni scelta e' misurata in termini di interesse, comprese quelle della rappresentanza politica. La liberta' femminile, lo abbiamo detto molte volte, non e' riducibile ai diritti e agli interessi specifici delle donne. Non e' neppure riducibile all'uguaglianza di diritti ed opportunita' tra donne e uomini. Ma un conto e' la critica all'uguaglianza come omologazione, assimilazione, altro e' l'uguaglianza come giustizia sociale, come quell'insieme di misure volte a far si' che ciascuna e ciascuno siano messi in grado di autoprogettarsi e autodeterminarsi. A che cosa si riduce la liberta' individuale senza questa uguaglianza? Senza un ricco corredo di diritti sociali effettivamente esigibili? Ma e' proprio questa eguaglianza che la riforma sacrifica, in coerenza del resto con l'ispirazione di fondo che la muove. 4. La cosiddetta "devoluzione", con l'istruzione, l'assistenza e la sanita' delegate alle Regioni, stravolge la distribuzione di competenze tra Stato nazionale, Regioni ed enti locali, lacera la struttura unitaria della societa' e dello Stato, mettendo in discussione le garanzie universali dei diritti, creando insopportabili disuguaglianze nel territorio. Diversamente da quanto si afferma, questa riforma non rafforza affatto il legame tra istituzioni e societa', proprio perche' mina i rapporti orizzontali di convivenza, mettendo in contrapposizione tra loro le diverse aree territoriali del Paese. Respingere con un "no" questa riforma non e' un atto di conservazione, di accettazione inerte di un testo, di nostalgia per il passato. E' invece la premessa indispensabile per rilanciare il confronto tra soggetti politici attivi nella societa', per rinnovare ed arricchire i contenuti del patto costituzionale. Noi pensiamo che, a partire dalla politica delle donne, si possa costruire un patto di convivenza tra donne e uomini, adeguato alle sfide del futuro. Non sentiamo affatto il bisogno di riforme istituzionali, scritte in nome e in ragione della governabilita', volte ad alterare l'equilibrio dei poteri, a mortificare la democrazia rappresentativa, a ridurre la cittadinanza attiva, a negare la giustizia sociale. Un patto rinnovato non e' affatto in contrasto con la Costituzione, puo' anzi innestarsi sui suoi principi e sulle sue lungimiranti potenzialita'. Maria Luisa Boccia, Cecilia D'Elia, Isabella Peretti, Tamar Pitch, Grazia Zuffa 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: COSTITUZIONALISMO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Essenza del costituzionalismo e' la limitazione del potere. Con cio', il potere e' posto sulla via della nonviolenza, che e' la distribuzione massima del "potere di tutti", cioe' della possibilita' (potere-di, e non potere-su) di vivere e svolgere la propria vita e donare agli altri le proprie capacita', non rattrappite da impedimenti esterni, o peggio stroncate da violenze. E' quanto dispone l'art. 3 della nostra Costituzione, la super-norma, da avere sempre davanti agli occhi, come direttiva di ogni politica. Le regole per la formazione e il controllo del potere, la sua divisione in aspetti separati e bilanciati, sono mezzi vincolanti, al fine della non-sopraffazione. La quale non e' altro che il principio della tutela del debole, della inviolabilita' del meno potente, perche' in lui risiede, come in tutti, una dignita' intatta, che vale piu' di ogni potere e funzione. Il costituzionalismo, un frutto tra i migliori della ambigua modernita', e' una museruola posta alla politica potente, perche' il senso della politica non e' il potere, ma la liberazione dei non liberi, il potere di chi non ha potere, "il rovesciamento dei troni e l'innalzamento degli umili". Questa non e' utopismo evangelico, ma una tappa raggiunta, almeno come proposito irrinunciabile della civilta', per cui ogni politica che non e' cosi', ogni accentramento dei poteri, ogni loro indurimento, ogni riduzione del principio costituzionale, ormai e' cosa barbara, non e' piu' decentemente umana. 5. INCONTRI. BEPPE PAVAN: LA LIBERTA' DELLE DONNE E' CIVILTA' [Dal "Foglio di comunita'" di giugno 2006 della comunita' cristiana di base di Pinerolo (per contatti: info at viottoli.it) riprendiamo il seguente intervento. Beppe Pavan (per contatti: carlaebeppe at libero.it) e' impegnato nella bellissima esperienza nonviolenta della comunita' di base e del "gruppo uomini" di Pinerolo (preziosa esperienza di un gruppo di uomini messisi all'ascolto del femminismo con quella virtu' dell'"attenzione" di cui ci parlava Simone Weil), ed in tante altre esperienze di pace e di solidarieta'] "La liberta' delle donne e' civilta'" e' il titolo del convegno organizzato a Genova dalla rivista femminista "Marea" nei giorni 26 e 27 maggio. Intorno a temi quali "donne e fondamentalismi, cittadinanza e identita' multiple, responsabilita' e democrazia, convivenza e laicita'" hanno intrecciato testimonianze e riflessioni donne algerine e iraniane, palestinesi e israeliane, indiane e serbe... con donne e uomini d'Italia e non solo. Molto vivace e' stata la tavola rotonda finale su "Comunicare la laicita'". Stefano Ciccone di Roma e il sottoscritto siamo stati invitati a svolgere brevi interventi sulle motivazioni e il cammino dei gruppi uomini, con particolare riferimento al tema del convegno. E' stata anche una bella occasione per incontrare fratelli e sorelle della comunita' di base di Genova, oltre a Giovanna Romualdi di Roma, Letizia Tomassone, Lidia Menapace, Luisa Morgantini, Vladimir Luxuria... 6. INCONTRI. BARBARA ROMAGNOLI: UN INCONTRO A GENOVA [Dal quotidiano "Liberazione" del 31 maggio 2006. Barbara Romagnoli (per contatti: duepunti2 at yahoo.it), giornalista e saggista, e' nata e vive a Roma; laureata in filosofia con una tesi su "Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", si e' poi interessata di studi di genere; collabora con varie testate (tra cui "Liberazione", "Carta", "Marea")] Lo scorso weekend a Genova il convegno internazionale "La liberta' delle donne e' civilta'. Donne e uomini impegnati contro i fondamentalismi religiosi, per l'autodeterminazione delle donne e la cittadinanza", promosso dalla rivista femminista "Marea", e' riuscito nella non facile impresa di far dialogare in maniera feconda donne e uomini di lingua, cultura e provenienza diversa. Due giorni densi, dove si sono susseguite plenarie e seminari, con pochi interventi fuori tempo massimo e, come nelle migliori tradizioni, qualche sparuto intervento fuori luogo. Un centinaio di donne e un gruppo di uomini "in cammino". Laici, religiosi e non credenti che hanno portato testimonianze, raccontato pratiche ed esperienze e riflettuto insieme su cosa significa vivere in una epoca di fondamentalismi, che, si badi bene, non sono solo quelli di ordine religioso ma anche quelli che si celano dietro finti laicismi o politiche neoconservatrici. Non e' stato semplice dirimere una matassa che tesse molteplici piani (chiusure identitarie, relativismi culturali, politiche repressive e di controllo, guerre e migrazioni, religioni invasive e governi deboli o complici) ma che ha certamente un obiettivo chiaro: quello di continuare a rendere difficile la vita alle donne, oltre che agli uomini. E' indubbio infatti che i fondamentalismi, di qualsivoglia natura, prediligono come terreno proficuo il corpo delle donne e non si risparmiano nulla per negare anche i diritti umani fondamentali. A Genova sono state chiare, fin dall'inizio, anche alcune differenze, non solo di provenienza geografica e religiosa. All'approccio molto teorico, a volte dal sapore un po' troppo accademico, di alcune donne italiane, si e' contrapposta la maggiore esperienza sul campo delle donne migranti, come quella delle emigrate algerine che vivono nelle periferie francesi o delle donne di Southall Black Sisters (organizzazione di donne emigrate a Londra, attiva dal 1979 e che si occupa, tra l'altro, di violenza alle donne). Come e' stato sottolineato in uno dei seminari, le voci arrivate dagli altri paesi europei vivono da piu' tempo la realta' di societa' multiculturali, con tutti i loro pregi e limiti. Contesti in cui le donne sono riuscite, col tempo, ad affiancare alle pratiche di convivenza e accoglienza delle vere e proprie strategie politiche, agendo come lobby influenti sia sulla normativa dei loro paesi sia sul lavoro degli stessi parlamentari. Una forza maggiore rispetto al panorama italiano e che tuttavia non basta, perche', come e' stato ripetuto piu' volte, in Europa soffia un vento molto pericoloso che, insieme al binomio fondamentalismo-globalizzazione foriero di nuove disuguaglianze economiche e sociali, sta mettendo a rischio il lavoro svolto finora. Non e' un caso, e' stato detto, che molte donne di cultura islamica, ma cresciute in altri paesi come la Francia, di colpo abbiano deciso di indossare un velo che non avevano mai portato. E non e' un caso che in Italia il dibattito che ha portato alla legge 40 sia stato egemonizzato da alcuni gruppi di potere religioso e scientifico. E non possono cadere nel vuoto le testimonianze che ci sono state offerte, tra le altre, da Sarvi Chitsaz (iraniana), Yael Meroz (israeliana), Stasa Zajovic (serba) e Gita Sahgal (Gender Unit Amnesty International). Sono parole che chiedono ora sostegno e attenzione, per fermare i fondamentalismi piu' volte equiparate ai fascismi di tutte le latitudini. Come fare ad arginare tutto questo, in un contesto, che appare simile nei diversi paesi, dove non sappiamo piu' chi sono i nostri alleati? Per rispondere a questo interrogativo e ai tanti stimoli raccolti, la tavola rotonda conclusiva ha cercato un dialogo anche con i rappresentanti dei media (pochi i presenti a dir la verita', tanto per ribadire lo stato di salute dell'informazione in Italia). Giornalisti e rappresentanti di diverse fedi religiose si sono trovati tutti d'accordo sulla necessita', e l'urgenza, di "comunicare la laicita'", mettere in campo tutti gli strumenti per ribadire il rispetto e la convivenza delle differenze e, in primo luogo, garantire il diritto alle donne alla loro autodeterminazione. Ma il terreno si fa piu' scivoloso quando bisogna trovare una definizione comune di laicita' tra credenti osservanti, laici, atei e agnostici. Soheib Bencheikh (gia' gran mufti' di Marsiglia) e Samir Khalil Samir (gesuita, di Beirut) concordano su un concetto chiaro ma che e' sembrato un po' riduttivo a molte e molti: la laicita' e' il rispetto della distinzione tra Stato e Chiesa, una divisione amichevole dell'ambito religioso da quello statale che garantisce la neutralita' della gestione dello spazio pubblico, sia in assenza che in presenza di religioni. Ragionamento logico ma che non convince del tutto e soprattutto rimanda a una immagine verticale della laicita', qualcosa calato dall'alto e che ricorda l'ordine gerarchico, maschilista e neutro che si vuole trasformare. Perche' invece non pensare a una laicita' orizzontale che sia lo spazio partecipato dove l'etica non sia un dogma dato una volta per tutte ma un prodotto delle culture del proprio tempo? Questo interrogativo e' rimasto sospeso nell'aria tra i saluti, gli abbracci e gli sguardi emozionati di Hajet e Saana, due ragazze marocchine che vivono in Italia da alcuni anni e stanno terminando le scuole superiori. La loro entusiastica partecipazione e' stata una sincera testimonianza del bisogno, sentito da molte, di affrontare temi certamente scomodi, complessi, ma che riguardano il diritto di cittadinanza di tutte le identita' possibili e di qualunque genere. E' un vero peccato che il movimento nella sua globalita' non si senta stimolato da incontri di questo tipo, quasi che non c'entrassero nulla con la precarieta', la guerra, la tutela dei beni comuni. Ancora una volta il movimento delle donne dimostra di stare un passetto avanti, ma puo' fare ancora di piu'. Soprattutto in Italia c'e' bisogno di una maggiore interlocuzione con le donne migranti, che piu' di altre pagano sulla loro pelle le follie di politiche fondamentaliste. 7. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI GIUGNO [Dagli amici dell'"Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini" (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo] Cari amici, vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di giugno 2006 del "Cos in rete", www.cosinrete.it Nello spirito del Cos [Centro di orientamento sociale] di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo, tra cui: Ken Loach scomodo a lorsignori; La legge di Jante; Il dossier di Save the children; Prospettive e problemi per il vicario; L'aggiunta religiosa di Capitini; Il '68 sullo schermo; I fascisti perdonati; I falsi progressisti del rock; Idee per la riforma nonviolenta; Una vittoria femminile; La compresenza secondo i bambini; La violenza piu' diffusa; La scelta fra giustizia e guerra; ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al Cos in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi all'indirizzo di posta elettronica: capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del Cos: http://cos.splinder.com Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in: www.aldocapitini.it 8. LIBRI. PIERGIORGIO GIACCHE' PRESENTA "QUESTA NON E' UN'AUTOBIOGRAFIA" DI PIERRE BOURDIEU [Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 70 dell'aprile 2006 (sito: www.lostraniero.net), rirpendiamo la sgeuente recensione li' apparsa col titolo: Bourdieu: l'autoanalisi di un maestro. Piergiorgio Giacche', intellettuale critico, saggista, antropologo del presente, e' docente di Antropologia teatrale all'Universita' di Perugia. Ha condotto ricerche su vari problemi - dalla devianza alla condizione giovanile, dalla comunicazione di massa alle tradizioni popolari, dalla solitudine abitativa alla partecipazione politica, al rapporto tra antropologia culturale e cultura teatrale. E' stato membro del comitato scientifico dell'International School of Theatre Anthropology (1981-1990), si e' occupato del fenomeno del "teatro di gruppo" ed ha condotto una ricerca sul campo nella penisola salentina intitolata alla "Identita' dello spettatore" (1987-1990); e' autore di numerose pubblicazioni in volumi e riviste specializzate; e' coordinatore del gruppo internazionale di lavoro della Maison de Sciences de l'Homme su "Spectacles vivants et sciences humaines"; fa parte del comitato di redazione della rivista "Lo straniero" e del comitato scientifico della rivista "Catarsi. Teatri della diversita', e' presidente della fondazione "L'Immemoriale di Carmelo Bene"; ha anche curato un'apprezzata antologia di scritti di Aldo Capitini. Tra le opere in volume di Piergiorgio Giacche': (con Giancarlo Baronti), La organizzazione del consenso nel regime fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, Edizioni Scientifiche Italiane, 1983; Carmelo Bene, Bompiani, 1997; Lo spettatore partecipante, Guerini e Associati, 1998; L'altra visione dell'altro, L'Ancora, 2004. Pierre Bourdieu, prestigioso intellettuale francese; directeur d'etudes all'Ecole pratique des hautes etudes di Parigi, impegnato nel movimento contro la globalizzazione neoliberista e per l'umanita'; e' deceduto nel gennaio 2002. Dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la seguente presentazione: "Pierre Bourdieu e' nato a Denguin, il 10 agosto 1930. Dopo aver studiato al liceo di Pau, e poi al liceo Louis-le-Grand a Parigi, entra all'Ecole normale superieure nel 1951. Agrege' di Filosofia nel 1954, insegna l'anno successivo al liceo di Moulins. Tra il 1955 e il 1958 fa il servizio militare in Algeria, allora in guerra. Diventa quindi assistente all'universita' di Algeri. Tornato in Francia nel 1960, come assistente alla Sorbona, nel 1961 e' professore incaricato all'universita' di Lille. Nel 1964 viene nominato direttore di studi all'Ecole pratique des hautes etudes (VI sezione) e nel 1981 e' chiamato alla cattedra di sociologia del College de France. Dirige il Centro di sociologia europea (del College de France e dell'Ecole des hautes etudes en sciences sociales), e le riviste "Actes de la recherche en sciences sociales" (fondata nel 1975) e "Liber". E' dottore honoris causa della Freie Universitat di Berlino (1989), membro dell'Accademia Europea e dell'American Academy of Arts and Sciences, medaglia d'oro del Cnrs (1993), dottore honoris causa dell'Universita' Johann Wolfgang Goethe di Frankfurt (1996). Influenzato contemporaneamente dal marxismo e dallo strutturalismo, Bourdieu si e' dedicato in particolare alla sociologia dei processi culturali, elaborando il concetto originale di "violenza simbolica", connessa secondo lui con i processi educativi. I suoi studi sul ceto studentesco universitario francese ebbero vasta eco negli anni attorno al 1968, in piena agitazione studentesca. Bourdieu ha rinnovato la tradizione francese dell'engagement, prendendo posizione negli eventi piu' significativi del nostro tempo, in difesa di Solidarnosc, al fianco degli studenti nelle lotte del 1986, e con gli intellettuali algerini: interventi sostenuti tutti dalla sua competenza di sociologo". Opere di Pierre Bourdieu: Sociologie de l'Algerie, P. U. F., Paris 1956; The Algerians, Beacon Press, Boston 1962; con A. Darbel, J. P. Rivet e C. Seibel, Travail et travailleurs en Algerie, Mouton, Paris 1963; con A. Sayad, Le deracinement. La crise de l'agriculture traditionnelle en Algerie, Minuit, Paris 1964; con J. C. Passeron, Les heritiers, Minuit, Paris 1964; con J. C. Passeron, Les etudiants et leurs etudes, Mouton, Paris 1964; con L. Boltanski, R. Castel e J.C. Chamboredon, Un art moyen. Essai sur les usages sociaux de la photographie, Minuit, Paris 1965; con J. C. Passeron e M. de Saint-Martin, Rapport pedagogique et communication, Mouton, Paris 1965; con A. Darbel, L'Amour de l'art, Minuit, Paris 1966; con J. C. Passeron e J. C. Chamboredon, Le Metier de sociologue, Mouton-Bordas, Paris 1968; Zur Soziologie der symbolischen Formen, Suhrkamp, Frankfurt 1970; con J.-C. Passeron, La reproduction. Elements pour une theorie du systeme d'enseignement, Minuit, Paris 1970; Esquisse d'une theorie de la pratique, Droz, Geneve 1972; La distinction. Critique sociale du Jugement, Minuit, Paris 1979; Le Sens pratique, Minuit, Paris 1980; Questions de sociologie, Minuit, Paris 1980; Ce que parler veut dire. L'economie des echanges linguistiques, Fayard, Paris 1982; Homo academicus, Minuit, Paris 1984; Choses dites, Minuit, Paris 1987; L'ontologie politique de Martin Heidegger, Minuit, Paris 1988; La noblesse d'etat, Paris 1988; Reponses. Pour une anthropologie reflexive, Paris 1992; Les Regles de l'art. Genese et structure du champ litteraire, Seuil, Paris 1992; La Misere du monde, Paris 1993; Libre-echange, Paris 1994; Raisons pratiques. Sur la theorie de l'action, Seuil, Paris 1994. Tra i testi disponibili in traduzione italiana: La distinzione, Il Mulino, Bologna 1984; Fuehrer della filosofia? L'ontologia politica di Martin Heidegger, Il Mulino, Bologna 1989; La responsabilita' degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 1991; Risposte. Per un'antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Ragioni pratiche, Il Mulino, Bologna 1995; Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997; Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, Milano 1998; Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano 1999. Tra i libri di intervento militante piu' recenti segnaliamo particolarmente: Contre-feux, Editions Raisons d'agir, Paris 1998; Contre-feux 2, Editions Raisons d'agir, Paris 2001; Questa non e' un'autobiografia, Feltrinelli, Milano 2005. A parziale integrazione (e scusandoci per le inevitabili ripetizioni) riportiamo anche la seguente notizia bibliografica, apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2002: "E' quasi impossibile citare tutti i volumi scritti o diretti da Pierre Bourdieu, per non parlare dei suoi oltre 200 saggi e articoli di sociologia. Tra i piu' importanti: Sociologie de l'Algerie (1961), Le deracinement (con A. Sayad, 1964), Les heritiers (con J.-C. Passeron, 1964), Un art moyen: essay sur les usages sociaux de la photographie (con L. Boltanski, R. Castel e J.-L. Chamboredon, 1965); L'amour de l'art (con A. Darbel, 1966); Le metier du sociologue, con J.-C. Passeron e J.-C. Chamboredon, 1968); Pour une sociologie des formes symboliques (1970): La reproduction (con J.-C. Passeron, 1971); Esquisse d'une theorie de la pratique (1972, da poco ristampato da Seuil e di prossima traduzione per Raffaello Cortina Editore con il titolo "La teoria della pratica"); La distintion: critique sociale du jugement (1979, tradotto dalla casa editrice Il Mulino con il titolo La distinzione, e ripubblicato nel 2001); Le sens pratique (1980); Ce que parler veut dire (1982); Lecon sur la lecon (1982); Homo academicus (1984); L'ontologie politique de Martin Heidegger (1989); Reponses: pour une anthropologie reflexive (con L. Wacquant, 1992); La misere du monde (a cura di, 1993); Meditations pascaliennes (1997); La domination masculine 1998 (Il dominio maschile, Feltrinelli); Sulla televisione (Feltrinelli 1997); Meditazioni pascaliane (Feltrinelli 1998); Il mese scorso la Manifestolibri ha pubblicato "Controfuochi 2. Per un nuovo movimento europeo". Oltre che gli "Actes de la recherche en sciences sociales", Bourdieu ha diretto "Liber" e ha fatto il caporedattore della rivista di tendenza "Inrockuptibles" 'per dar voce a chi e' considerato irresponsabile dalla politica ufficiale'". Opere su Pierre Bourdieu: Anna Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, Marsilio, Venezia 2003] "Questa non e' un'autobiografia" e' il titolo alla Magritte che il curatore e l'editore italiano (Feltrinelli) hanno preferito dare al libro postumo di Bourdieu (titolo originale "Esquisse pour une auto-analyse"); e non per ragioni di economia e commercio, ma per rispetto dell'avversione dichiarata dell'autore per le biografie e le autobiografie. Se pero' l'avversione e' motivata e sacrosanta, il titolo e' sbagliato: questa e' un'autobiografia, e delle piu' serie e utili che siano state scritte. Certo si pone fuori dal "genere", ma proprio per questo ne riscopre il senso e ne rinnova il metodo. Innanzitutto perche' non segue la via della giustificazione cronologica delle storie di vita, ma il cammino dell'argomentazione logica e del confronto dialogico fra una vita e la storia; innanzitutto, cioe', perche' semplicemente ricorda che la storia di ognuno non comincia dalla nascita, ma dalle occasioni professionali e dalle scelte personali che lo formano, ovvero - per abusare di un concetto caro a Bourdieu - che lo distinguono. E anche su questa "distinzione" bisogna stare attenti, in quanto - piu' che "dagli altri" con cui Pierre Bourdieu si confronta e si scontra - la distinzione che conta e che forma e' quella dall'ambiente avvolgente e dall'ideologia dominante del proprio tempo. E - nel caso di Pierre Bourdieu - il tempo e' quello dei soliti "ignoti" anni Sessanta e l'ambiente e' quello dei fin troppo noti intellettuali e universitari (molti e molto francesi) che hanno caratterizzato e diffuso la visione corrente della "storia attuale" (se ci e' permesso chiamare cosi' un'epoca breve e nuova che - malgrado i testi e i salti mortali di molti storici - non riesce ancora a farsi spazio e a darsi pace dentro la fase o la disciplina che chiamiamo Storia contemporanea). * Cosi', se il racconto di Bourdieu parte e ritorna spesso sugli anni e le esperienze della scuola e dell'universita', il libro riguarda e riconsidera insieme la fase della formazione e l'impegno della professione - di se stesso, dei suoi maestri ma anche dei suoi colleghi - non rispettando sempre le date ma certamente precisando l'ambito e l'oggetto del suo saggio autobiografico: "il campo con il quale e contro il quale ci si e' fatti". E "campo" e' una parola volutamente ambigua, che da un lato indica davvero la sede dei suoi studi e la rete delle sue relazioni, ma dall'altro suggerisce al lettore (ma anche all'autore) l'idea di un'autobiografia che intende svilupparsi con i modi e gli obiettivi di una ricerca. Una "auto-analisi", si vuole e si dice nel titolo originale, ma stesa con un metodo descrittivo piuttosto che introspettivo, nella quale le relazioni del ricercatore "sul campo" anticipano e guidano le riflessioni o le spiegazioni dell'auto-osservazione: un'autoanalisi che e' dunque davvero fuori dal "genere", giacche' si muove con il calore e il rigore di un'indagine su di se' ma anche sugli altri, nella quale si adopera magari lo strumento o lo stile da diario personale (sempre del ricercatore), ma che raramente fa emergere toni o problemi da dialogo intimo. Ma non e' una questione di pudore e nemmeno pero' una posizione comoda per evitare critiche e intanto seminare giudizi. E' invece una prassi d'analisi sistematica, gia' inaugurata in altri testi e utilizzata non per esporsi e proporsi, ma per verificare e valutare il cammino e l'importanza del soggetto che fa scienza e ricerca (tra parentesi, in modo tutt'affatto diverso dal compiacente riconoscimento della soggettivita' e perfino della creativita' dello scienziato-autore, cosi' come viene rivendicata dalla recente letteratura antropologica). In piu', in questa complessiva e sfortunatamente definitiva "autoanalisi", c'e' una domanda sincera e perfino stupefatta che Bourdieu si pone e che gradualmente avvince il suo lettore: quella di cercare il fondamento e di fornire il chiarimento sulla sua diversita'. Una diversita' che lo iscrive in un certo senso fra i normali (e lo allontana dai normalisti), anziche' sospingerlo verso aree disciplinari e ambizioni luminari piu' a' la page. Una diversita' che ad esempio - ed e' questo il nodo della questione - lo porta a rivendicare il ruolo e ristabilire il senso della sociologia, contro un ambiente e un'epoca che preferiva archiviarla fra i saperi gia' noti e i metodi di base, anziche' scommetterci un'attenzione e una speculazione tutta rivolta a discipline piu' qualitative e meno realistiche (nel senso dell'attenzione e insieme della sottomissione alla realta' del mondo sociale). * Certo Bourdieu e' consapevole di essere diventato un maestro, di appartenere all'elenco (ormai tutto postumo) delle grandi personalita' intellettuali che hanno reso importante e imponente il contributo della "scuola" francese nel mondo. Ma la sua scelta e infine la sua opera di rilancio e rinnovamento di una disciplina avversata o sottovalutata dagli altri suoi "pari" di Francia, lo rende davvero un'eccezione che non conferma la regola o il metodo o infine la moda del suo tempo. E del suo "campo". Le vere discriminanti che lo separano e lo rendono in molti sensi straniero al suo stesso ambiente consistono nella lunga frequentazione di un "terreno" (di ricerca) che nei fatti e nell'esperienza si oppone al "campo" (di appartenenza) e - prima ancora, ma anche durante e dopo - nella insofferenza per la disciplina o forse per l'habitus con cui tutti o troppi intellettuali francesi amano rivestirsi. Il terreno e' il Bearn e l'Algeria, dove Bourdieu comincia la sua ricerca da etnologo e - dopo anni di contatti ed esperienze di autentica formazione umana e politica - si convince e costringe ad aggiornarsi come sociologo. La disciplina nei confronti della quale si sente progressivamente distante e immediatamente diffidente e' la filosofia, massimo e comune denominatore e moltiplicatore di quegli atteggiamenti e di quei riferimenti che connotano la casta e l'entourage fin troppo affollato dei "maitres a' penser": la scienza totale e la missione intellettuale, la retorica della scientificita' e la gerarchia tra teorico ed empirico, o ancora tra scienze umane nobili e scienze sociali plebee, tra il lavoro solitario "creativo" e "l'alienazione spersonalizzante" del lavoro di gruppo. "Contre les philosophes" si chiamerebbe questo suo libro se fosse un pamphlet. Ma un saggio polemico non gli sarebbe mai venuto in mente e in penna, mentre nell'economia e per la necessita' di un'autobiografia, le motivate riserve e le approfondite considerazioni sulla filosofia "alla francese" sono puntuali quanto indispensabili difese delle proprie scelte: prima fra tutte la liberta' e la novita' di una sociologia non scientista ma "aperta ai mondi sociali piu' diversi", non subalterna alla "ortodossia planetaria" della scuola americana ma reimmessa nella via maestra dei Durkheim e Weber e riconfortata da autonome ricerche empiriche "teoricamente ispirate"; quindi, a questo fine, la scelta di mettere in piedi l'impresa collettiva di un laboratorio, il Centre de sociologie europeenne, e di mettere fine al doppio status e statuto di quanti, pur scendendo nei terreni della ricerca sociale o storica o politica, non rinunciano all'appellativo e alla missione del "philosophe". * Se contro la filosofia e i filosofi i distinguo di Bourdieu arrivano fino al ripudio, non e' soltanto per evidenziare la contrapposizione fra il panorama privilegiato delle riflessioni generali e la piattaforma negletta delle ricerche particolari, ma anche per ricapitolare la storia e rivendicare il senso di specifici e difficili dissensi. Nella sua autobiografia se ne segnalano almeno tre fondamentali, non a caso con i tre protagonisti principali della cultura francese contemporanea o, come s'e' detto, attuale. Con Jean-Paul Sartre, Claude Levi-Strauss e Michel Foucault l'incontro e il confronto e' obbligatorio per piu' di una generazione di intellettuali, ma soltanto Bourdieu li ricapitola e li spiega in termini di sostanziale o letterale "disaccordo". Sono i passaggi o le pagine piu' importanti del libro, quelle che raccontano come si diventa e si inventa una vocazione critica, come si difende e si sostanzia una posizione e una funzione di minoranza, restando aperti e attenti ai contributi degli altri studiosi ma anche attivi e coerenti professionisti dell'intelligenza. Cosi' il fascino e la dittatura di Sartre non lascia il suo segno sulla formazione filosofica di Bourdieu, lo "sguardo distante" sul sociale e la deriva estetizzante dell'etnologia di Levi-Strauss non lo convince, e perfino la grande assonanza e perfino la tacita alleanza che lo lega a Foucault non sospende un giudizio sintetico sulle differenze sociali e sulle scelte personali che tuttavia li separano. Perche' per l'autoanalisi di Bourdieu l'origine familiare e la situazione economica e la collocazione accademica o mondana e perfino l'omosessualita' non sono condizionamenti ma semplici condizioni che dialogano con le scelte di vita e di scienza. * C'e' un'attenzione, anzi una comprensione spietata delle posizioni e delle decisioni degli altri e di se', nello svolgimento di questa autobiografia scientifica. In questo sta il metodo e il merito, ma da tutto questo deriva anche un regalo per quel lettore che, davanti alla storia della scelta e della scienza di Pierre Bourdieu, abbia voglia e bisogno di essere indotto in tentazione autocritica. Per quanto sia stata scarsa la parte avuta o il partito preso nelle vicende di cui si tratta, per quanto siano state importanti o interessanti le conoscenze mutuate dai personaggi di cui si parla, vale la pena di compiere, in parallelo alla lettura di questo libro, una silenziosa e umile autoanalisi che restituisca non a Bourdieu (che non ne ha bisogno) ma alla ricerca sui temi e problemi sociali, la dignita' e soprattutto la priorita' che le spetta. Invece di buttarla in filosofia... 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1319 del 7 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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