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La nonviolenza contro la mafia. 6
- Subject: La nonviolenza contro la mafia. 6
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 29 May 2006 11:50:47 +0200
============================== LA NONVIOLENZA CONTRO LA MAFIA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 6 del 29 maggio 2006 In questo numero: 1. Rita Borsellino: Una testimonianza pronunciata nella parrocchia di S. Melania a Roma il 14 marzo 2001 (parte terza e conclusiva) 2. Un profilo di Rita Borsellino 1. RITA BORSELLINO: UNA TESTIMONIANZA PRONUNCIATA NELLA PARROCCHIA DI S. MELANIA A ROMA IL 14 MARZO 2001 (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Dal sito della parrocchia di S. Melania a Roma (www.santamelania.it) riprendiamo la trascrizione dalla viva voce e non rivista dall'autrice (i titoli sono redazionali) di questo intervento di Rita Borsellino del 14 marzo 2001] Domande del pubblico e risposte - Domanda: In ogni sua parola traspare l'affetto che nutre per suo fratello Paolo. - Rita Borsellino: Anche questo non credo che sia merito mio, ma di Paolo, perche' Paolo era - non mi piace dire che era un uomo eccezionale, perche' non era un uomo eccezionale; era un uomo normale, la vera normalita' che molti di noi non sanno vivere - era un uomo che amava la vita profondamente, era un uomo buono, un uomo di una generosita' veramente straordinaria. Era un uomo che anche in mezzo alle difficolta' piu' estreme sapeva mantenere questa serenita' che veniva fuori da questo suo sorriso straordinario. Io credo che chiunque abbia visto anche soltanto una fotografia di Paolo, davvero sia rimasto colpito da questo sorriso, che non necessariamente era sulle sue labbra - anche se c'era spesso - ma che traspariva da tutta la sua espressione. Mia figlia dice: "Il sorriso di zio Paolo cominciava dai baffi". Ed e' vero perche' aveva questa espressione sorridente, questo sorriso che non si sapeva localizzare in nessuna parte del viso, ma esprimeva questo sorriso, quando lo si guardava. Era un uomo che cosi', istintivamente, era amatissimo dai giovani. Quando andava, come andava molto spesso, nelle scuole, a parlare di giustizia, di legalita', a cercare di fare innamorare i ragazzi di questa giustizia e di questa legalita' che lui amava cosi' profondamente, si instaurava un feeling immediato, forse perche' gli piaceva scherzare, perche' usava un linguaggio molto simile a quello dei giovani. Ha avuto anche lui tre figli, tre ragazzi, che hanno la stessa eta' dei miei figli e lui li seguiva molto da vicino. Questo lo aiutava ad essere molto vicino ai ragazzi che lo sentivano vicino. Era facile volergli bene, era facile restare davvero affascinati da questa sua figura. Forse per tutto quello che davvero traspariva dalla sua persona. Era talmente tanto quello che aveva dentro, che straripava anche all'esterno. La prova e' data da tutte le persone che, dopo la sua morte, lo sentivano cosi' vicino da piangerlo, da chiamarlo Paolo. Tutte le persone che hanno cercato in tutti i modi di riversare tutto questo su di noi familiari. Abbiamo avuto gente che ci ha scritto da tutte le parti del mondo - le ultime lettere addirittura, giunte successivamente alla morte di Paolo, dall'Australia, dal Giappone. Questa figura era talmente universale, come l'amore d'altro canto, era talmente vera ed universale che quell'esplosione l'aveva veramente moltiplicato, l'aveva trasportato in tutti i posti, l'aveva fatto arrivare dovunque. Non solo, in questi anni ho parlato a centinaia di migliaia di ragazzi - non so quante scuole ho visitato in questi anni. I ragazzi si innamorano di Paolo, lo riconoscono come testimone, lo riconoscono come modello. Spesso, a partire da questa conoscenza, decidono di impegnarsi, di fare qualcosa. Non sapete quanti ragazzi dopo la morte di Giovanni e di Paolo abbiano deciso di iscriversi a giurisprudenza! Non per uno spirito di imitazione, perche' non credo che aspirassero alla fine che avevano fatto Paolo e Giovanni. Era presa di coscienza, era voglia di dire: "Continuo io", "Ci sono io". Era un modo di restare talmente affascinati da questa figura, da dire: "Ci voglio provare. Voglio provare a conoscere che cosa era questa cosa cosi' bella, cosi' affascinante per cui addirittura si puo' dare la vita". Paolo lo diceva, diceva: "E' bello morire per qualche cosa in cui si crede". Quando qualcuno gli diceva: "Ma non hai paura?", lui diceva: "E' bello morire per quello in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una sola volta". E aggiungeva: "E poi io sono cristiano e un cristiano non crede alla morte". Lui guardava veramente alla morte come a un passaggio, tanto da parlarne con questa grande serenita' che gli permetteva di dire non "Se mi ammazzeranno", ma "Quando mi ammazzeranno". Ecco, io credo che i ragazzi non abbiano bisogno di storie, di parole, che spesso li stancano e li annoiano. Hanno bisogno di fatti e allora anche se queste sono parole, quelle che raccontano di Paolo, raccontano i fatti, dei fatti concreti di persone vere, di persone che hanno creduto talmente in quello che facevano, non perche' eroi - perche' non erano affatto degli eroi - ma perche' persone normalissime che avevano scelto di non scendere a compromessi con niente, ne' con se stessi, ne' con la vita, ne' con niente altro. La coerenza della scelta, la coerenza della vita. I ragazzi questo lo avvertono, lo avvertono e sono delle persone concrete, vere con cui ci si puo' provare. L'ho detto a dei ragazzi al termine di un incontro: "Io so che ognuno di voi puo' essere Paolo Borsellino soltanto che lo voglia. Ma non per imitarlo - non serve imitare, ognuno deve essere se stesso - ma ognuno ha dentro di se' la possibilita' e la capacita' di essere Paolo Borsellino nel senso di essere uomo o donna coerente con le proprie scelte, con le proprie idee, con i valori della vita. Un'altra cosa vi dico di Paolo. Paolo diceva una frase che nella sua banalita' e' sconvolgente, perche' come il Vangelo impegna in maniera radicale, diceva: "Ognuno deve fare la sua parte, ognuno per quello che puo', ognuno per quello che sa, ognuno nel suo piccolo". Da qui non scappa nessuno. Quante volte mi sentivo dire: "Ma io che posso fare?". Nelle scuole elementari, i bambini giustamente mi dicevano: "Ma noi piccoli, che cosa possiamo fare?". Ognuno la sua parte. Non c'e' nessuno che possa dire: "Io non posso fare niente". No, perche' ognuno di noi puo' mettere quello che e', non tanto quello che ha, ma quello che e'. Ognuno di noi e', ognuno di noi e' se stesso, soltanto che lo voglia, soltanto che decida di saperlo. * - Domanda: La notizia della morte di Paolo Borsellino era cosi' tragica che ce la ricordiamo come se fosse ieri. Ci hanno distrutto un mito. Questo ha aumentato poi il senso di sfiducia. Ecco poi il discorso dei ragazzi, ma penso in generale all'opinione pubblica. Il senso di sfiducia verso le istituzioni. - Rita Borsellino: Ma Paolo apparteneva alle istituzioni. * - Domanda: Paolo Borsellino era nelle istituzioni. Ma, come lei accennava prima, viveva in un isolamento dalle istituzioni considerate come Palazzo. Anche lei ha accennato a questo desiderio di giustizia non ancora soddisfatto. Volevo chiederle qual e' il percorso che lei intende fare per ottenerla questa giustizia. - Rita Borsellino: Le puo' sembrare strano, ma dopo la morte di Paolo, io sono cambiata profondamente, e come prima ero una persona molto chiusa in me stessa, adesso non lo sono piu', anche se ogni volta che entro in una sala, in una classe, in un'aula e vedo le persone che aspettano, io vorrei scappare, perche' ancora riaffiora quella che e' stata per tanti anni la mia personalita', di una persona comune anche timida, molto chiusa e incapace di comunicare con l'esterno. Poi sono cambiata, perche' ho voluto cambiare, perche' mi sono imposta di cambiare, perche' mi sono resa conto che restare chiusa nel mio guscio significava, in poche parole, "dargliela vinta". Mi sono imposta in quei giorni, dopo la morte di Paolo, di non piangere, perche' non volevo dargli questa soddisfazione. Neanche ai funerali di Paolo dove c'erano, insieme, forse, mafia e istituzioni - quando addirittura non si identificavano. Mi sono rifiutata di stringere la mano a chiunque, perche' non sapevo chi fosse, non sapevo se erano mani pulite o no. In quei giorni avevo forte questo senso di repulsione, questa voglia di mettere le distanze, pero' poi piano piano mi sono riaffiorate tante cose che Paolo mi aveva insegnato, non solo con le parole - non teneva delle lezioni - ma con la sua vita. Mi sono ricordata che Paolo, non solo era uomo delle istituzioni, ma aveva un profondo rispetto delle istituzioni. Tanto profondo... Credeva tanto al ruolo che ognuno doveva ricoprire nelle istituzioni, ognuno per la sua parte, ognuno al suo posto, che quando dopo la morte di Giovanni Falcone, una volta andai a trovarlo e vidi in quella strada dove abitava gli autoblindati della polizia con i mitra spianati, e poi davanti al portone di casa il cassonetto dell'immondizia, gli dissi: "Paolo ma perche' non lo fai togliere? Li' dentro si puo' mettere qualsiasi cosa". Mi sembrava cosi' banale questa cosa - sara' stata una dimenticanza, mi dicevo. Lui si fece pensieroso e mi disse: "Non spetta a me pensare alla mia protezione, ci sono altri che devono farlo". Mi sono ricordata di questa cosa quando, sotto la mia casa, dove Paolo veniva tutte le settimane a trovare mia madre, in una Palermo piena di zone rimozione, non esistevano zone rimozione, non c'era alcuna sorveglianza, Tanto e' vero che avevano potuto mettere con tutta calma una macchina piena di tritolo che poi avevano fatto esplodere, azionando un telecomando da grandissima distanza - non si e' mai neanche capito da dove. Mi sono ricordata di queste parole di Paolo, ma mi sono anche ricordata di un'altra cosa, che lui, a chi gli contestava che spesso le istituzioni non sono all'altezza delle situazioni, ma spesso si macchiavano anche di colpe, quando non si scoprivano collusioni con la mafia, lui, Paolo rispondeva: "Attenzione" - lo diceva soprattutto ai ragazzi - "Non sono le istituzioni a essere malate, non sono le istituzioni da mettere in discussione, ma gli uomini, gli uomini che in quel momento occupano, qualche volta abusivamente, il ruolo nelle istituzioni". Allora questo fa riflettere: non sono le istituzioni sbagliate, sono gli uomini chiamati a ricoprire certi ruoli, uomini che tradiscono, uomini colpevoli, colpevoli come Toto' Riina, peggio di Toto' Riina. Perche' - ripeto - Toto' Riina ha vissuto magari dei condizionamenti, ha vissuto delle situazioni familiari per cui poi e' diventato cosi', ma un magistrato, un prefetto, un capo della polizia, un presidente del consiglio, insomma metteteci tutto quello che volete, non e' un ignorante, non e' una persona che e' stata trasportata dalla vita a diventare cosi'. Ha scelto di fare certe cose. Di questo cerco di ricordarmi sempre, ma non e' facile, anche perche' non e' facile distinguere, non e' facile sapere veramente. Sono delle cose che rimangono sempre nebulose. Io ricordo subito dopo la morte di Paolo, si formo' un gruppo spontaneo - ne nacquero tanti in quel periodo. Si chiamava "Donne del digiuno". Erano delle donne che venivano dalle estrazioni sociali, politiche, culturali piu' diverse, che si erano incontrate nella piazza Politeama a Palermo, dove la gente sostava ormai giorno e notte, sentendo questa necessita' di parlare, di stare insieme, di comunicare. Erano donne che avevano scelto il metodo piu' antico del mondo per protestare, quello dello sciopero della fame, e scrivevano "Noi digiuniamo perche' abbiamo fame di giustizia". Per la prima volta una protesta di questo genere, veniva accompagnata da richieste ben precise. Perche' questa e' la cosa straordinaria accaduta dopo la morte di Paolo, all'interno della societa' civile, che la gente non solo si e' indignata, non solo ha protestato, cosa che prima non aveva quasi mai fatto, non solo e' scesa in piazza, quando prima ad ogni strage ci si chiudeva in casa. Ma oltre a protestare, oltre a fare le fiaccolate e le marce, chiedeva delle cose ben precise, proponeva. Cosa che non era mai accaduta. Eravamo bravi a criticare tutti quanti, ma nessuno faceva poi delle proposte. "Questo e' sbagliato, questo e' sbagliato", pero' basta li'. Queste donne facevano un elenco delle persone di cui chiedevano la rimozione, la destituzione. Il prefetto, il questore, il capo della polizia, il procuratore della Repubblica. Facevano nomi e cognomi, perche', giustamente dicevano: "Anche se non sono colpevoli come normalmente si intende la colpevolezza di qualcuno, non avevano fatto tutto quello che avrebbero potuto". Erano colpevoli di omissioni. Ed e' vero: come e' possibile che Borsellino venga ucciso 45 giorni dopo Falcone esattamente nello stesso modo? Qualcuno ci doveva pensare, qualcuno doveva mettere la zona rimozione e sorvegliare la casa della madre che era l'unica dove Paolo aveva l'abitudine di andare. Qualcuno doveva pensare che questo poteva succedere e doveva evitarlo. L'avrebbero ammazzato in un altro modo - perche' se avevano deciso di eliminarlo, non era questo il problema. Pero' si doveva fare tutto il possibile e non lo si era fatto. Ecco quindi: uomini, persone! Non bisogna pero' neanche dimenticare, e anche questo me l'ha insegnato Paolo, di vedere il positivo che c'e' nelle cose. Allora quando io subisco tentazioni di questo genere, cioe' di lasciarmi andare anche al pessimismo, di dire: "Che cosa e' cambiato? Ci siamo fermati, si torna indietro, la mafia non finira' mai eccetera eccetera", faccio soltanto un paragone. Dal 1992 al 2001 cosa e' cambiato? Se io lo guardo cosi', lei dice: "E' poco tempo". E' vero, e' poco tempo, ma e' anche tanto. Tanti di questi ragazzi che stasera sono qui sono troppo giovani per ricordare quello che e' successo. Ne possono avere - se sono stati informati - un ricordo come cronaca. Ma non ricordano, erano troppo piccoli. Mi capita di andare nelle scuole medie, dove i bambini di 11 anni avevano 3-4 anni quando questo e' successo - non possono avere memoria di tutto questo. Se si chiede loro chi era Paolo Borsellino - se sono stati fortunati, se nelle scuole qualcuno ha cercato di mantenere la memoria - sapranno che era un magistrato ucciso dalla mafia. Ma di tutta la vita di Paolo Borsellino, alle nuove generazioni rischia di restare solo questo, se non si mantiene la memoria. Ecco perche' e' importante continuare a parlare. Ma e' anche giusto. Lo dobbiamo anche a Paolo Borsellino e lo dobbiamo a tutti gli uomini che in questi anni si sono impegnati - perche' la storia non si e' fermata con Paolo Borsellino, non e' che non sia stato ammazzato piu' nessuno, perche' qualcuno e' stato ancora ammazzato. Li' e' cominciata una storia. Non dimentichiamo che a Palermo, dopo queste stragi tremende, c'e' stato un magistrato che ha chiesto di venire a prendere il loro posto Ed era gia' successo. Dopo la strage in cui era morto il consigliere istruttore Chinnici, che era quello che aveva cominciato il lavoro con Paolo e Giovanni, Caponnetto a 64 anni chiese di venire a Palermo a prendere il suo posto. Non solo, non parliamo soltanto dei magistrati. Dopo la strage di Capaci, in cui muoiono in quella maniera terribile tre uomini della scorta di Giovanni Falcone e due rimangono in pessime condizioni, c'e' la fila - lo dice Paolo - c'e' la fila, dietro l'ufficio di Paolo in procura, di agenti di scorta che chiedono di entrare nella sua scorta. Questi sono fatti straordinari. Paolo negli ultimi giorni della sua vita dice - e lo dice con gioia, se e' possibile usare questo termine - che per la prima volta c'e' tanta gente che va a raccontare quello che ha visto, quello che crede di avere visto. Anche se sono cose insignificanti va addirittura a raccontarlo. E' il segnale di una mentalita' che cambia, di qualcosa che ha inciso cosi' profondamente nelle coscienze, che ci sono uomini e donne capaci di reagire, non soltanto di ricordare o di restare a guardare. E cosi' alla Procura di Palermo si lavora e si continua a lavorare, anche se ci saranno sempre magistrati isolati, perche' ci saranno sempre magistrati che cercheranno di vivere tranquillamente fino alla fine del mese per prendere lo stipendio e basta. Ci saranno sempre magistrati disposti a dire che i colleghi che lavorano 18 ore al giorno lo fanno solo per manie di protagonismo, ci sara' sempre chi e' disposto a dire che lo fanno per fare carriera. Questa e' purtroppo la natura umana - da certe categorie non ci si aspetterebbe che ci fossero uomini di questo genere, ma sono uomini e ci sono. E' successo prima e continua a succedere. L'importante e' che la storia non si fermi, perche' se dopo la morte di Falcone e Borsellino non ci fosse stato nessuno disposto a chiedere di venire a Palermo - non di venire nominato, perche' era logico che un altro venisse nominato - qualcuno disposto a venire ad affrontare questa situazione tremenda, che c'era in quei giorni al Palazzo di Giustizia di Palermo, in cui sembrava veramente che lo Stato fosse messo in ginocchio, se non ci fosse stato nessuno, disposto a continuare come i giovani sostituti procuratori che sul momento si erano dimessi in massa per protesta contro il loro Procuratore, che non era Paolo, perche' Paolo era Procuratore aggiunto, ma per protesta contro il Capo della Procura, e che poi sulla tomba di Paolo giurano di continuare - perche' e' giusto cosi' - di restare a Palermo, se non ci fosse tutto questo, noi veramente potremmo dire: "Ma in fin dei conti e' stato inutile, non cambiera' mai niente". Questo e' successo. La cosa grave e' che, contemporaneamente, quello che le donne del digiuno avevano chiesto in qualche modo si e' realizzato, perche' questi uomini sono andati via da Palermo, ma andati da un'altra parte. E io mi chiedo che significato ha, dopo un processo disciplinare, dopo quello che volete, prendere un magistrato e portarlo da un'altra parte. Andra' a fare danni da un'altra parte! Ma queste purtroppo sono le leggi, sono i regolamenti, sono cose che magari non condividiamo e non vanno, pero' io credo che ancora qui entra la nostra responsabilita', perche' non e' vero che non possiamo fare niente, che la societa' civile non possa fare niente, debba soltanto stare a guardare quello che gli altri fanno. Noi dobbiamo pretendere, quando riteniamo che un regolamento o una legge non siano giusti, che siano cambiati. E chi la cambia? Noi abbiamo un'arma importantissima: l'arma del voto. Ed e' inutile che poi ci lamentiamo che i politici sono tutti corrotti. Chi ce li ha messi li'? In Sicilia, Lima chi lo teneva al potere? Mica ci andava da solo! Erano i siciliani che lo votavano, e poi si diceva: "Ma tutti lo sanno che e' mafioso". Ma chi lo ha votato, chi glielo dava questo potere? Cosi' oggi con le cose che non vanno. E' vero, magari poi cambiano, noi li mandiamo a rappresentarci perche' li abbiamo conosciuti in un certo modo, poi arrivano li' e cambiano strada. Va bene, ma noi ci siamo, non siamo dei pupi, abbiamo anche una capacita' di interloquire, di interferire in senso positivo. Anche nella vita politica, noi dobbiamo pretendere che chi abbiamo votato ci rappresenti e non rappresenti qualcos'altro. Dobbiamo stare li' a pretenderlo questo e quando c'e' qualche cosa che non ci convince abbiamo il sacrosanto diritto di sapere e di chiedere delle spiegazioni. Quando oggi dobbiamo ancora sapere chi ha causato la strage di Piazza Fontana o quella di Ustica, il cittadino deve pretendere la verita'. Come e' possibile che in un Paese libero, democratico come l'Italia, dopo 25 anni, non si debba sapere la verita' sulle stragi che hanno insanguinato la nostra terra. Ma cosa abbiamo noi per lasciarci prendere in giro in questo modo? Bisogna pretendere queste cose. Non dobbiamo aspettare che siano altri a chiederlo, a battersi. Per prima cosa ognuno di noi deve farsi carico di queste cose. Perche' se davvero ci crede e se ne fa carico, tante voci messe insieme devono essere ascoltate. Una voce puo' essere messa a tacere, ma centomila, dieci milioni, venti milioni no. La verita' e' che noi abbiamo una brutta abitudine. Ci sappiamo lamentare, pero' poi al momento di impegnarci davvero in prima persona non lo sappiamo fare, non abbiamo il coraggio o comunque pensiamo sempre che sia qualcun altro a doverlo fare. E questo non lo dico perche' io ho scelto di mettermi in gioco. Io mi sento profondamente colpevole del fatto che questo l'ho fatto solamente perche' e' morto mio fratello. Allora io capisco che chi vive una vita normale, magari non deve aspettare di avere uno stimolo come quello che ho avuto io. Guai se fosse cosi'. Ecco perche' a volte mi metto a dire delle cose che possono sembrare ovvie e scontate - forse le cose ovvie e scontate sono quelle che abbiamo bisogno di sentirci dire, in qualche modo, per prenderne coscienza, perche' altrimenti e' piu' facile cercare di rimuoverle. Io ho avuto la disgrazia da un lato e la fortuna dall'altro che altri rimuovessero in me la mia voglia di normalita' e mi costringessero a guardare in faccia la realta'. Tutto questo deriva da una tragedia, da un dolore profondo che non si acquieta di certo con il passare degli anni. Ma da un certo punto di vista devo dire grazie a chi mi ha trascinato a vivere questa vita in questo modo, perche' io ritengo che oggi vivo. Fino a ieri forse ero soltanto sopravvissuta. (Parte terza - fine) 2. UN PROFILO DI RITA BORSELLINO Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa' civile impegnati contro la mafia. Per coordinare e diffondere le informazioni sulla campagna a sostegno della candidatura di Rita Borsellino a presidente della Regione Sicilia e' attivo il sito: www.ritapresidente.it * Dal sito della Wikipedia (http://it.wikipedia.org) riprendiamo la seguente piu' ampia notizia biobibliografica: "Rita Borsellino (Palermo, 2 giugno 1945) e' una cittadina siciliana nota per il suo impegno in campo politico e sociale. Sorella del magistrato Paolo Borsellino, nel 1967 si laureo' in farmacia all'Universita' degli Studi di Palermo, esercitando la professione di farmacista nel capoluogo siciliano per vari anni. E' divenuta, in seguito all'assassinio del fratello, testimone della lotta alle criminalita' organizzate. Nel 1995 divenne vicepresidente di Libera, associazione antimafia fondata da don Luigi Ciotti, di cui e' stata nominata presidentessa onoraria nel 2005. Con Libera ha contribuito in maniera determinante allíapprovazione delle legge 109/96 sull'uso sociale dei beni immobili confiscati alle mafie e sostiene attivamente il progetto Libera Terra. Dal 1992 e' impegnata attivamente nella societa' civile nel campo dell'educazione alla legalita' democratica, nel diffondere una cultura di giustizia e solidarieta', non solo per tener vivo il ricordo del fratello e di tutte le vittime della mafia, ma soprattutto perche' in particolare le nuove generazioni attraverso la conoscenza dei fatti acquistino consapevolezza dei propri diritti, del valore della legalita' e della democrazia, una coscienza critica e responsabile che, una volta adulte, consenta loro di fare scelte giuste e coerenti per il bene loro e della collettivita' nella quale sono chiamate a vivere. Dal 1994 assieme all'Arci Sicilia e in seguito con la collaborazione di Libera contribuisce all'ideazione e alla crescita dell'iniziativa della Carovana Antimafie, un'esperienza ormai di carattere internazionale che mira a "portare per tutte le strade" l'esperienza di un'antimafia propositiva che vuole incidere positivamente sulla realta' economica, sociale, amministrativa dei luoghi che attraversa stringendo intrecci solidali ed etici tra i cittadini, le istituzioni e le diverse realta' della societa' civile organizzata presenti sui territori. Dal 1998 e' presidentessa della 'Associazione Piera Cutino - guarire dalla talassemia', associazione senza scopo di lucro che promuove la ricerca medica contro la talassemia. Numerose sono state le sue iniziative contro le attivita' mafiose ed in favore dell'emancipazione delle donne. Tra le sue opere, impregnate proprio di questi temi, si ricordano Nonostante Donna. Storie civili al femminile (1996); La fatica della legalita' (1999); I ragazzi di Paolo. Parole di resistenza civile (2002); Fare memoria. Per non dimenticare e per capire (2003); Rita Borsellino - Il sorriso di Paolo (2005). Alla fine del 2005 si e' intensificato il suo impegno politico accettando la proposta, veicolata dalla coalizione di centrosinistra, di candidarsi alla presidenza della Regione Sicilia nelle amministrative della primavera 2006. La sua candidatura e' stata sancita dallo svolgimento di elezioni primarie (il 4 dicembre), nelle qualiha ottenuto il 66,9% dei consensi... E' sposata dal 1969 e ha tre figli". * Tre siti particolarmente utili: - Rita Borsellino Presidente: www.ritapresidente.it - Comitati per Rita Borsellino Presidente: www.comitatixrita.it - Rita-express: www.ritaexpress.it ============================== LA NONVIOLENZA CONTRO LA MAFIA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 6 del 29 maggio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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