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La domenica della nonviolenza. 75
- Subject: La domenica della nonviolenza. 75
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 28 May 2006 09:34:08 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 75 del 28 maggio 2006 In questo numero: 1. Luciano Corradini: Con Rita Borsellino 2. Rita Borsellino: La lezione di mio fratello Paolo 3. Un profilo di Rita Borsellino 1. RIFLESSIONE. LUCIANO CORRADINI: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Luciano Corradini (per contatti: luciano.corradini at libero.it) per questo intervento. Luciano Corradini (Reggio Emilia, 1935), gia' ordinario di pedagogia generale nella facolta' di scienze della formazione dell'Universita' di Roma Tre, insegna ora nell'ambito del dottorato di ricerca della stessa Universita'; e' presidente nazionale dell'Uciim, Unione cattolica italiana insegnanti dirigenti e formatori, dell'Aidu, associazione italiana docenti universitari, e dell'Ardep, associazione per la riduzione del debito pubblico. Dopo la laurea e il perfezionamento in filosofia nell'Universita' Cattolica di Milano ha insegnato in diversi tipi di scuole secondarie e nelle universita' di Parma, Cattolica di Brescia, Statale di Milano, "La Sapienza" di Roma. E' stato per undici anni presidente dell'Irrsae della Lombardia, per sette anni vicepresidente pro ministro del Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, per sedici mesi sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione, per dieci anni membro del Comitato di valutazione del sistema scolastico della Provincia autonoma di Trento; ha fatto parte di associazioni, di delegazioni e di comitati ministeriali e internazionali, in sede di Unione Europea e Consiglio d'Europa; presso l'Ufficio Studi del Ministero della Pubblica Istruzione ha promosso e coordinato, dal 1989 al 1996, il Progetto Giovani '93, il Progetto Ragazzi 2000 e il Progetto Genitori, con delega, fra l'altro, per l'educazione alla salute. Ha presieduto, come sottosegretario, il Comitato tecnico scientifico previsto dalla legge contro le tossicodipendenze e il Comitato di studio incaricato di riscrivere i programmi di educazione civica (Dm 8 febbraio 1996 n. 58). Ha fondato e diretto il Bollettino dell'Irrsae Lombardia, e "Studenti & C.", mensile del Ministero della Pubblica Istruzione per i giovani e viceversa. E' socio onorario della Societa' italiana di psicologia e cittadino onorario della citta' di Praia a Mare; ha ricevuto dal Presidente della Repubblica la medaglia d'oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte (1999). Giornalista pubblicista, membro dei comitati direttivi e collaboratore di diverse riviste, italiane e straniere, dirige "La scuola e l'uomo", mensile dell'Uciim, la collana "Educazione scuola e societa' presso l'editrice Seam, e la collana Uciim Aimc"Professione scuola" presso Armando (con M. Prioreschi). Tra le opere di Luciano Corradini: La difficile convivenza. Dalla scuola di stato alla scuola della comunita', La Scuola, Brescia 1975 (sesta ed. 1983); Democrazia Scolastica, La Scuola, Brescia 1976 (settima ed. 1995); La comunita' incompiuta, Vita e Pensiero, Milano 1979; Educare nella scuola. Cultura comunita' curricolo, La Scuola, Brescia 1983 (terza ed. 1987); La scuola e i giovani verso il Duemila, Giunti e Lisciani, Teramo 1987; Educazione e giovani tra scuola e societa', La Scuola, Brescia 1989 (con altri); Vivere senza guerra. La pace nella ricerca universitaria, Guerini e Associati, Milano 1989 (con altri); Progetto Giovani: identita' e solidarieta' nel vissuto giovanile, Ministero della Pubblica Istruzione, Istituto della Enciclopedia Italiana, La documentazione educativa n. 8, Roma 1991 (con altri); Essere scuola nel cantiere dell'educazione, Seam, Roma 1995 (seconda ed. 1996, vincitore dello "Stilo d'oro", 1997); Educazione alla salute, La Scuola, Brescia 1997 (con P. Cattaneo); Competizione e solidarieta', Da solo o con gli altri?, Fondazione italiana per il volontariato, Roma 1998; Professione docente e autonomia delle scuola, La Scuola, Brescia 2001 (con G. Macchia, A. Milletti, S. Cicatelli); "Suscitare uomini e donne piu' saggi: l'Europa passa anche di qui", in Quale Europa per i giovani, I quaderni di Athenaeum, Roma, Edigraf 2003, pp. 95-99: "L'Europa dell'educazione e l'educazione all'Europa", in L. Lezzi e C. Mirabelli (a cura di), Verso una costituzione europea, 9, II/6, pp. 679-697; Sport e educazione, in Enciclopedia dello sport, Arte scienza storia, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2003, pp. 160-186; La tunica e il mantello. Debito pubblico e bene comune: provocare per educare, Euroma, Roma 2003; ha curato: Il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione nel periodo 1989-1997, in Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, 75-76, 1996, Le Monnier, Roma 1997; La dimensione affettiva nella scuola e nella formazione dei docenti, Seam, Roma 1998; Educazione civica e cultura costituzionale. La via italiana alla cittadinanza europea, Il Mulino, Bologna 1999 (con G. Refrigeri); Il corpo a scuola, Seam, Roma 1999 (con I. Testoni); Pedagogia: ricerca e formazione, Saggi in onore di Mauro Laeng, Seam, Roma 2000; Educazione alla convivenza civile. Educare istruire formare nella scuola italiana, Armando, Roma, 2003 (con W. Fornasa e S. Poli); Insegnare perche'? Orientamenti, motivazioni valori di una professione difficile, Armando, Roma 2004] Condivido totalmente le motivazioni, il coraggio e la testimonianza di Rita, con la quale ho avuto la fortuna di partecipare ad una tavola rotonda a Praia a Mare, per la Fondazione Serio. La sua candidatura e' un formidabile aiuto a tentare di ricostruire, soprattutto a beneficio dell'educazione civica, quell'ecosistema di rispetto della persona, della civilta' e delle istituzioni che nel corso di questa interminabile campagna elettorale e' stato devastato per interessi di parte, gridati senza pudore come superiori a quelli generali. 2. TESTIMONIANZE. RITA BORSELLINO: LA LEZIONE DI MIO FRATELLO PAOLO [Ringraziamo Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci inviato il testo di questo intervento di Rita Borsellino all'incontro del 10 dicembre 2003 promosso dal Laboratorio palermitano "Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso" (nell'incontro si presentava il saggio di Vincenzo Sanfilippo apparso nella rivista "Quaderni Satyagraha" nel 2003 e gia' riproposto su questo notiziario); questo intervento di Rita Borsellino e' poi apparso alle pp. 53-61 del libro a cura di Vincenzo Sanfilippo, Nonviolenza e mafia, DG Editore, Trapani 2005] Ho ascoltato con grandissima attenzione gli interventi che mi hanno preceduto e mi sono resa conto di quanto io abbia da imparare ancora, nonostante Emanuele mi abbia definito di professione "girovaga". Questo e' vero perche' da undici anni giro in lungo e in largo, continuamente. Probabilmente viaggio piu' alla ricerca di qualcosa che non per portare qualcosa io. Condivido la preoccupazione di Alfio, per i "ritmi frenetici" a cui ci sottoponiamo per rispondere alle tante richieste che ci arrivano e questo e' comunque un fatto importantissimo, un fatto sicuramente positivo: le richieste che ci arrivano dalle scuole, ma non solo, anche dalle associazioni e da tante realta' sono segno di un'attenzione ancora viva, ancora attenta e - visto il momento generale di cui si parlava - a me certe volte sembra quasi un miracolo che ci sia ancora questa grande richiesta di interventi e di partecipazione e forse e' proprio per questo che ci sottoponiamo a questi ritmi frenetici, perche' - almeno io personalmente - non mi sento in diritto di dire di no quando qualcuno mi chiede di andare a parlare. Se qualcuno vuol parlare, si vuole confrontare su certi argomenti, credo che non ho il diritto di dire di no perche' sono stanca o ho altre cento cose da fare: le cose piu' normali di quella vita che era la mia vita fino a undici anni fa: essere professionista, madre, ora anche essere nonna, insomma di svolgere tutte quelle cose che una persona normale svolge durante la sua giornata, durante la sua vita. Ora non voglio dire che io non sia piu' una persona normale, ma mi sono trovata in una situazione che di normale aveva poco. Si parlava un momento fa delle emozioni del dopo stragi; bene, di quelle emozioni per prima sono stata investita anch'io essendo stata coinvolta in prima persona. Ho deciso... ma forse decidere e' una parola grossa. Ho sentito, forse era piu' un sentimento, una sensazione, un'emozione che sul momento non ho saputo o voluto analizzare, ma ho sentito di dovere diventare in qualche modo parte attiva, non di subire in qualche modo quello che era accaduto ma di cercare in qualche modo di prenderlo in mano e dargli un indirizzo particolare. Ho cominciato allora a cercare questo rapporto con gli altri perche' avevo bisogno io prima di tutto di capire; avevo bisogno di sentire qualche cosa che fino a quel momento era stato per me molto estraneo. * Ora a proposito di ritmi frenetici devo fare una confessione. E' vero, era da parecchio che avevo ricevuto il saggio di Enzo Sanfilippo, ma presa dai quei cento impegni di lavoro, associazionismo, di tutto quello che cerco faticosamente di fare nelle mie giornate, l'avevo messo in mezzo alla mia agenda nel giorno segnato, sperando di avere prima o poi il tempo di leggerlo. Ogni tanto mi capitava tra le mani e dicevo: "Devo leggere questo perche' devo andare". Confesso che questo tempo non l'ho trovato fino a stamattina. Stamattina ho preso con me i fogli perche' non c'era piu' tempo. Ora non e' che questo sia un saggio che si puo' leggere in farmacia tra un cliente e l'altro... sicuramente no. Pero' stamattina mi sono messa in un angolino e ho cominciato a leggerlo e li' e' successo il danno, perche' leggendolo ho dimenticato tutto il resto. Ogni tanto veniva mio marito che lavora con me in farmacia e mi diceva: "Ma come fini'?". In effetti questo saggio mi aveva come assorbita completamente. Mi ci sono ritrovata e ho riconosciuto tantissime cose che avevo dentro di me e non avevo saputo esprimere, non avevo saputo analizzare... E' una cosa che mi e' successa spesso in questi anni, ascoltare o leggere qualcosa e riconoscere in questa qualcosa che avevo dentro e non avevo mai saputo esprimere o che non avevo saputo tirar fuori, non avevo trovato il modo per tirarla fuori... * Mi sono venuti in mente alcuni particolari di questi undici anni. In particolare mi e' venuta in mente una frase di un bambino. Era appena stata compiuta la strage di via D'Amelio. Voi sapete che io abitavo in quella stessa strada e io restai fuori casa quando avvenne la strage. La mia casa fu uno degli appartamenti distrutti. Eravamo la' ad aspettare che qualcuno ci desse il permesso di andare a prendere quello che restava delle nostre cose e ci ritrovavamo con altre famiglie, gli altri inquilini con i quali non ci eravamo probabilmente mai fermati neanche un momento nel corso degli anni nonostante sono ormai trent'anni che abito la'. Con queste persone invece in quei giorni nasceva una strana familiarita', perche' si vivevano le stesse situazioni, le stesse emozioni. Allora ci si fermava quasi a farsi forza l'uno con l'altro. Una signora giovane che aveva due bambini piccoli mi disse poco tempo dopo che alla riapertura delle scuole il suo bambino, che aveva sette anni, parlando con la maestra di quello che era accaduto aveva sentito la maestra parlare di "lotta contro la mafia", e questo bambino si era alzato e aveva detto: "Maestra, non lotta, perche' la lotta e' violenza!". Mi e' ritornata in mente questa frase perche' mi fa capire come certe cose "stanno dentro", sono proprio innate e poi poco alla volta, con l'andare del tempo, con l'accumularsi di tante scorie, le mettiamo da parte, le dimentichiamo, le trasformiamo, le facciamo diventare qualcos'altro. Quel bambino sotto l'input dell'emozione forte, vissuta tra l'altro in prima persona, era stato capace di fermare questo pensiero e di esprimerlo ad alta voce. Devo dire che allora mi sembro' curiosa questa espressione, quasi esagerata. Ecco, invece oggi alla luce di undici anni di esperienza, ripetendomela dentro, risentendola dentro di me, l'ho capita perfettamente, penso di averla recepita, segno di una maturazione che in questi anni io per prima ho vissuto - anche se non a livello cosciente probabilmente. * Un altro episodio piu' recente mi torna in mente. Risale a 4-5 anni fa quando per la prima volta, un po' faticosamente devo dirvi, accettai l'invito di un sacerdote mio amico che e' cappellano al carcere di Rebibbia, il quale un giorno mi disse un po' a bruciapelo: "ma tu verresti a incontrare i carcerati?". Io non avevo mai pensato ad una tale possibilita', e l'invito mi creo' un certo turbamento, e capisco anche il perche' di questo turbamento. Esso risale ad un periodo ancora precedente. Nei giorni immediatamente successivi alla strage di Via D'Amelio (credo fossero passati solo un paio di giorni, non di piu') ci fu un giornalista che mi si avvicino' e mettendomi il microfono sotto il naso (l'abbiamo vista fare tante volte questa cosa) mi disse: "Signora lei perdona gli assassini di suo fratello?". E' un po' difficile essere nonviolenti in questo caso... io ricordo che in questo caso provai un grandissimo disagio, e per togliermelo di torno, visto che insisteva dissi frettolosamente: "Si', si', li perdono". Quasi fosse un dovere perdonare le persone che ti hanno fatto del male. Tutto questo tuttavia mi porto' poi a riflettere su questa domanda, su questo problema che non mi ero posta fino a quel momento. Forse non ne avevo avuto il tempo. Questo ha provocato qualcosa in me, e' stato un po' l'avvio di una riflessione molto lunga e molto personale di cui non e' qui il caso di parlare, ma che mi ha portato ad una convinzione: cioe' a dare un significato a questa parola, perdono, che troppo spesso viene intesa con troppa superficialita' come se volesse dire "facciamo come se non fosse successo niente", il cui significato invece non e' questo ma e' molto, molto di piu'. Io ero arrivata alla convinzione (grazie anche ai tanti episodi del comportamento di Paolo con detenuti, collaboratori di giustizia, imputati, che mi venivano alla mente) che forse perdonare doveva significare essere disposti a "percorrere insieme la strada", farla diventare un cammino comune, un percorso comune. Non vi nascondo che tutto questo mi metteva un po' paura e che forse solo teoricamente riuscivo ad affermarla, ad accettarla... perche' io queste persone non le conoscevo. Quando le cose si fanno in teoria e' un po' diverso che farle in pratica. Allora probabilmente ero stata brava in teoria ad elaborare questa convinzione perche' queste persone non le conoscevo, non le avevo incontrate, e potevo quindi essere disposta a dire che lo avrei potuto fare. Ora venne poi questo momento in cui mi si proponeva di incontrare queste persone. Magari non erano proprio gli assassini di Paolo, ma era quello comunque l'ambito. Devo dire che ho voluto riflettere su quell'invito perche' non ero sicura di essere pronta a fare un passo di questo genere. Poiche' ho imparato a "scommettermi", a scommettere con me stessa, e' una cosa che faccio da allora perche' prima non lo avevo mai fatto, accettai e dissi di si'. * Quando mi recai a Rebibbia e incontrai prima il direttore del carcere insieme al cappellano (non parlo di quello attuale ma di quello che lo ha preceduto); mi disse una frase che mi turbo' profondamente. Penso che lui fosse un po' preoccupato per quell'incontro, molto di piu' di quanto lo fosse il cappellano che invece aveva fatto un percorso con questi detenuti e quindi non si arrivava a caso a questo incontro. I detenuti avevano accettato, non erano costretti, avevano scelto, avevano chiesto di partecipare, si erano dovuti "iscrivere" in qualche modo. Avevano accettato in tanti. Incontrai quel giorno circa 400 detenuti... Il direttore del carcere mi fece una premessa molto semplice, mi disse: "Signora, volevo ricordarle che qui dentro loro sono le vittime e lei rappresenta il carnefice". Questa cosa mi turbo'. Devo dire che non ero preparata. Forse pensavo di arrivare li' dall'alto della mia dignita' e del mio diritto al dolore. Non sapevo cosa avrei fatto perche' io non sono capace di preparare un incontro. Io devo arrivare li', guardare le persone in faccia, e poi quello che viene fuori viene fuori... E questa cosa mi turbo', e quando mi trovai davanti questo teatro pieno, pieno di persone, provai un certo disagio ma, ripeto, mi venne ancora una volta in aiuto il ricordo di Paolo. Tanti ricordi di Paolo che io in questi anni ho rivissuto e pian piano ho scoperto, ho cercato di analizzare, di interiorizzare e di fare miei. Ricordai alcuni colloqui di Paolo che io conoscevo gia' e che ho poi ritrovato in un libro. Uno di questi colloqui riguarda l'incontro di Paolo con un uomo che era stato arrestato con l'accusa tra le altre cose di avere organizzato un attentato contro di lui (attentato che era fallito perche' questa persona era stata arrestata per un altro motivo molto banale). Iniziando il colloquio con questa persona Paolo gli dice: "Sono venuto un giorno prima a interrogarti perche' mi sono accorto dalle tue carte che oggi e' il tuo compleanno: auguri". Io adesso conosco questa persona. Gli ho parlato diverse volte. Oggi e' un collaboratore di giustizia. Questo qui immediatamente si senti' preso in giro, disse tra se': "Dove vuole arrivare? Questo e' un trabocchetto". Ma man mano che il colloquio andava avanti si rese conto pero' che questo era Paolo, questo era il suo atteggiamento, questo era il suo modo di confrontarsi, di porsi nei confronti degli altri, e se ne rese conto anche quando Paolo gli contesto' i capi di imputazione. Nel modo di rapportarsi con quest'uomo, la cosa importante non era tanto il reato che gli si contestava, la colpa, ma era capire il perche', era il capire quali erano i suoi sentimenti, quali erano i motivi che lo avevano spinto a fare questo. La cosa piu' importante era conoscere l'uomo che aveva davanti e allora cominciava a chiedergli: "Quanti fratelli eravate? Cosa facevate? Quali erano i rapporti tra di voi?" E poi chiedeva: "Ma perche' lo hai fatto?". Oppure: "Che cosa hai provato quando lo hai fatto?". Si appassionava nel colloquio fino a chiedere: "Ma come hai potuto fare una cosa di questo genere?", "Che cosa hai provato quando lo hai fatto?", comunicando in qualche modo la sua emozione quando indagava e in qualche modo cercava la verita', cercando la confessione su quello che gli stava contestando. Questa era un'abitudine che mi e' stata confermata da varie testimonianze in questo senso. Ecco mi sono ricordata di questo, mi sono ricordata del fatto che Paolo diceva che prima di tutto, quando hai davanti una persona, devi vedere l'uomo, devi cercare l'uomo. Diceva che prima di puntare il dito per giudicare devi essere disposto a porgere una mano per aiutarlo a rialzarsi. Ecco, mi venne in mente tutto questo, mi venne in mente che avevo davanti degli uomini ognuno con la sua storia, ognuno con le sue debolezze, anche con le sue violenze e con le sue colpe, ma erano soprattutto uomini e come tali io dovevo rivolgermi a loro. Non ero io che dovevo giudicarli, io dovevo solo confrontarmi con loro. Ricordo che mi misi sullo stesso piano, raccontai dell'esperienza che io avevo vissuto, esperienza difficile e dolorosa, e in qualche modo la misi a confronto con l'esperienza difficile che loro stavano vivendo: la privazione della liberta', la lontananza dalle loro famiglie... Dapprincipio mi resi conto che c'era una certa diffidenza, mi guardavano, e molti erano pronti a contestarmi (lo so perche' me lo racconto' poi don Roberto, il cappellano). Poi alcuni di loro presero la parola. Ricordarono Paolo Borsellino, lo ricordavano a modo loro, lo ricordavano, mettendo bene in chiaro quali erano le loro posizioni, ma lo ricordavano, ancora una volta, da uomini davanti a un altro uomo. Si era invertita quasi la posizione. Poi in omaggio a Paolo mi mandarono una musica che avevano composto nel laboratorio musicale e chiesero che fosse trasmessa durante la manifestazione "Legami di memoria" mentre si ricordava Paolo Borsellino. Non vi racconto poi dei gesti di affetto individuali che mi arrivano ogni tanto da Rebibbia. Per esempio un vecchietto che sta scontando l'ergastolo per omicidio (molti di loro non sono "ladri di polli", sono persone che stanno scontando delle pene gravi), avendo conosciuto una mia piccola mania (io colleziono presepi), mi mando' l'anno scorso per Natale, tramite don Roberto, un presepe che aveva costruito in carcere ritagliando le figure da cartoline con oggetti e legandole assieme con un filo argentato. Questo oggetto per me e' carissimo, perche' e' il segno di una relazione direi affettiva. Segno di un volersi mettere in relazione con la persona quasi a livello familiare, utilizzando le conoscenze piu' piccole. * Vi ho raccontato queste cose perche' ho cercato di entrare in quello che voi in maniera sicuramente piu' dotta avete detto a questo tavolo. Ho voluto farvi vedere come poi tutto questo c'e' ed e' vero, e' concreto, basta cercarlo per poterlo realizzare. Devo dire di piu'. Parlavate di quello che era successo dopo le emozioni delle stragi, quando si era cominciato a parlare di tutto questo e che poi non aveva avuto un seguito. Credetemi, in questi anni ho cominciato a capire una cosa: che probabilmente questo non e' successo perche' spesso e' la vittima che non e' disponibile. Spesso e' la vittima che si arrocca - capitemi - in una situazione di "privilegio" (tra molte virgolette) e non ritiene possibile un rapporto di questo genere. Non ritiene possibile aprire un colloquio mettendosi sullo stesso piano. Perche' e' facile (e non e' piu' un colloquio ma un soliloquio) parlare mettendosi in una posizione in cui dall'alto osservi cio' che succede in basso giudicando. Ma non si tratta di giudicare. Per fare una cosa di questo genere io credo che si debba partire da un'introspezione. Ognuno deve leggersi dentro e vedere perche' vuole farlo e in che posizione intende mettersi. Fare una cosa di questo genere e' possibile, ma c'e' un equilibrio molto delicato, particolare, da cercare con attenzione e con grande buona volonta'. * Parlavate di Rita Atria. Quando Rita Atria fu esiliata in qualche modo a Roma per la sua sicurezza, lontana dalla sua realta', dalla sua famiglia, da tutto quello che fino a quel momento aveva rappresentato la sua vita (fu Paolo che lo volle perche' Rita correva ormai dei pericoli davvero seri e molto concreti) Paolo non la lascio' mai sola. Non la lascio' sola perche' capiva che questa ragazzina non doveva sentirsi esiliata, non doveva sentirsi estranea, ma, semmai, doveva sentirsi inserita in un progetto diverso, doveva sentirsi inserita in quella famiglia che doveva diventare la sua famiglia. Io ricordo che Paolo spessissimo partiva per Roma, anche soltanto per mezza giornata. Lo sapevamo perche' lui parlava molto di Rita con noi. Ne parlava soprattutto con sua figlia e con mia figlia che avevano la stessa eta'. Lui diceva: aiutatemi a capirla per poterla aiutare. E ricordo in particolare che subito dopo il 23 maggio in cui Paolo visse (lo sapete tutti d'altro canto forse meglio di me) 57 giorni frenetici, in una situazione psicologica terribile, Paolo ando' due volte a Roma, la prima volta subito dopo la strage. Paolo disse in quell'occasione: "Chissa' che cosa sta provando dda picciridda!". Chissa che cosa sta sentendo, chissa' qual e' la paura, l'isolamento che sta sentendo. Lui parti' per fare sentire a Rita la presenza concreta, forte, di chi in quel momento la stava assistendo per questo suo gesto di coraggio, di questo suo cambiamento di vita difficilissimo, perche' la storia di Rita e' una storia complicatissima. Volle farle sentire soprattutto la presenza di un affetto, di qualche cosa di nuovo che stava nascendo attorno a lei e che proprio in quel momento non le poteva mancare. * Allora quella mia esperienza a Rebibbia (che e' soltanto il primo passo perche' poi vi tornai varie volte), cosi' come l'esperienza di Lecce, io credo che ci insegnino che qualunque cosa vogliamo fare in questo senso, qualunque cosa ci accingiamo anche soltanto a pensare, la dobbiamo fare con l'approccio di chi si mette come uomo di fronte a un altro uomo, come uomini in mezzo ad altri uomini, senza pensare di potere insegnare nulla ma cercando di imparare, di imparare dalle esperienze... perche' come per noi e' difficile capire loro, il loro linguaggio, la loro mentalita', il loro modo di guardare le esperienze che vivono e che costruiscono, cosi' per loro e' difficile guardare noi, il nostro linguaggio. E' come se fosse quello un mondo in contrapposizione o comunque diverso dal nostro. Anche lo stesso fatto di usare le stesse parole, di usare il termine onore, il termine famiglia, in due sensi completamente differenti, e' il segno della difficolta' di comprenderci e di instaurare comunque un rapporto che sia paritario e non dove ognuno ritiene invece di essere superiore all'altro. 3. PERSONE. UN PROFILO DI RITA BORSELLINO Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa' civile impegnati contro la mafia. Per coordinare e diffondere le informazioni sulla campagna a sostegno della candidatura di Rita Borsellino a presidente della Regione Sicilia e' attivo il sito: www.ritapresidente.it * Dal sito della Wikipedia (http://it.wikipedia.org) riprendiamo la seguente piu' ampia notizia biobibliografica: "Rita Borsellino (Palermo, 2 giugno 1945) e' una cittadina siciliana nota per il suo impegno in campo politico e sociale. Sorella del magistrato Paolo Borsellino, nel 1967 si laureo' in farmacia all'Universita' degli Studi di Palermo, esercitando la professione di farmacista nel capoluogo siciliano per vari anni. E' divenuta, in seguito all'assassinio del fratello, testimone della lotta alle criminalita' organizzate. Nel 1995 divenne vicepresidente di Libera, associazione antimafia fondata da don Luigi Ciotti, di cui e' stata nominata presidentessa onoraria nel 2005. Con Libera ha contribuito in maniera determinante allíapprovazione delle legge 109/96 sull'uso sociale dei beni immobili confiscati alle mafie e sostiene attivamente il progetto Libera Terra. Dal 1992 e' impegnata attivamente nella societa' civile nel campo dell'educazione alla legalita' democratica, nel diffondere una cultura di giustizia e solidarieta', non solo per tener vivo il ricordo del fratello e di tutte le vittime della mafia, ma soprattutto perche' in particolare le nuove generazioni attraverso la conoscenza dei fatti acquistino consapevolezza dei propri diritti, del valore della legalita' e della democrazia, una coscienza critica e responsabile che, una volta adulte, consenta loro di fare scelte giuste e coerenti per il bene loro e della collettivita' nella quale sono chiamate a vivere. Dal 1994 assieme all'Arci Sicilia e in seguito con la collaborazione di Libera contribuisce all'ideazione e alla crescita dell'iniziativa della Carovana Antimafie, un'esperienza ormai di carattere internazionale che mira a "portare per tutte le strade" l'esperienza di un'antimafia propositiva che vuole incidere positivamente sulla realta' economica, sociale, amministrativa dei luoghi che attraversa stringendo intrecci solidali ed etici tra i cittadini, le istituzioni e le diverse realta' della societa' civile organizzata presenti sui territori. Dal 1998 e' presidentessa della 'Associazione Piera Cutino - guarire dalla talassemia', associazione senza scopo di lucro che promuove la ricerca medica contro la talassemia. Numerose sono state le sue iniziative contro le attivita' mafiose ed in favore dell'emancipazione delle donne. Tra le sue opere, impregnate proprio di questi temi, si ricordano Nonostante Donna. Storie civili al femminile (1996); La fatica della legalita' (1999); I ragazzi di Paolo. Parole di resistenza civile (2002); Fare memoria. Per non dimenticare e per capire (2003); Rita Borsellino - Il sorriso di Paolo (2005). Alla fine del 2005 si e' intensificato il suo impegno politico accettando la proposta, veicolata dalla coalizione di centrosinistra, di candidarsi alla presidenza della Regione Sicilia nelle amministrative della primavera 2006. La sua candidatura e' stata sancita dallo svolgimento di elezioni primarie (il 4 dicembre), nelle qualiha ottenuto il 66,9% dei consensi... E' sposata dal 1969 e ha tre figli". * Tre siti particolarmente utili: - Rita Borsellino Presidente: www.ritapresidente.it - Comitati per Rita Borsellino Presidente: www.comitatixrita.it - Rita-express: www.ritaexpress.it ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 75 del 28 maggio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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