La domenica della nonviolenza. 75



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 75 del 28 maggio 2006

In questo numero:
1. Luciano Corradini: Con Rita Borsellino
2. Rita Borsellino: La lezione di mio fratello Paolo
3. Un profilo di Rita Borsellino

1. RIFLESSIONE. LUCIANO CORRADINI: CON RITA BORSELLINO
[Ringraziamo Luciano Corradini (per contatti: luciano.corradini at libero.it)
per questo intervento. Luciano Corradini (Reggio Emilia, 1935), gia'
ordinario di pedagogia generale nella facolta' di scienze della formazione
dell'Universita' di Roma Tre, insegna ora nell'ambito del dottorato di
ricerca della stessa Universita'; e' presidente nazionale dell'Uciim, Unione
cattolica italiana insegnanti dirigenti e formatori, dell'Aidu, associazione
italiana docenti universitari, e dell'Ardep, associazione per la riduzione
del debito pubblico. Dopo la laurea e il perfezionamento in filosofia
nell'Universita' Cattolica di Milano ha insegnato in diversi tipi di scuole
secondarie e nelle universita' di Parma, Cattolica di Brescia, Statale di
Milano, "La Sapienza" di Roma. E' stato per undici anni presidente
dell'Irrsae della Lombardia, per sette anni vicepresidente pro ministro del
Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, per sedici mesi
sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione, per dieci anni membro del
Comitato di valutazione del sistema scolastico della Provincia autonoma di
Trento; ha fatto parte di associazioni, di delegazioni e di comitati
ministeriali e internazionali, in sede di Unione Europea e Consiglio
d'Europa; presso l'Ufficio Studi del Ministero della Pubblica Istruzione ha
promosso e coordinato, dal 1989 al 1996, il Progetto Giovani '93, il
Progetto Ragazzi 2000 e il Progetto Genitori, con delega, fra l'altro, per
l'educazione alla salute. Ha presieduto, come sottosegretario, il Comitato
tecnico scientifico previsto dalla legge contro le tossicodipendenze e il
Comitato di studio incaricato di riscrivere i programmi di educazione civica
(Dm 8 febbraio 1996 n. 58). Ha fondato e diretto il Bollettino dell'Irrsae
Lombardia, e "Studenti & C.", mensile del Ministero della Pubblica
Istruzione per i giovani e viceversa. E' socio onorario della Societa'
italiana di psicologia e cittadino onorario della citta' di Praia a Mare; ha
ricevuto dal Presidente della Repubblica la medaglia d'oro dei benemeriti
della scuola, della cultura e dell'arte (1999). Giornalista pubblicista,
membro dei comitati direttivi e collaboratore di diverse riviste, italiane e
straniere, dirige "La scuola e l'uomo", mensile dell'Uciim,  la collana
"Educazione scuola e societa' presso l'editrice Seam, e la collana Uciim
Aimc"Professione scuola" presso Armando (con M. Prioreschi). Tra le opere di
Luciano Corradini: La difficile convivenza. Dalla scuola di stato alla
scuola della comunita', La Scuola, Brescia 1975 (sesta ed. 1983); Democrazia
Scolastica, La Scuola, Brescia 1976 (settima ed. 1995); La comunita'
incompiuta, Vita e Pensiero, Milano 1979; Educare nella scuola. Cultura
comunita' curricolo, La Scuola, Brescia 1983 (terza ed. 1987); La scuola e i
giovani verso il Duemila, Giunti e Lisciani, Teramo 1987; Educazione e
giovani tra scuola e societa', La Scuola, Brescia 1989 (con altri); Vivere
senza guerra. La pace nella ricerca universitaria, Guerini e Associati,
Milano 1989 (con altri); Progetto Giovani: identita' e solidarieta' nel
vissuto giovanile, Ministero della Pubblica Istruzione, Istituto della
Enciclopedia Italiana, La documentazione educativa n. 8, Roma 1991 (con
altri); Essere scuola nel cantiere dell'educazione, Seam, Roma 1995 (seconda
ed. 1996, vincitore dello "Stilo d'oro", 1997); Educazione alla salute, La
Scuola, Brescia 1997 (con P. Cattaneo); Competizione e solidarieta', Da solo
o con gli altri?, Fondazione italiana per il volontariato, Roma 1998;
Professione docente e autonomia delle scuola, La Scuola, Brescia 2001 (con
G. Macchia, A. Milletti, S. Cicatelli); "Suscitare uomini e donne piu'
saggi: l'Europa passa anche di qui", in Quale Europa per i giovani, I
quaderni di Athenaeum, Roma, Edigraf 2003, pp. 95-99: "L'Europa
dell'educazione e l'educazione all'Europa", in L. Lezzi e C. Mirabelli (a
cura di), Verso una costituzione europea, 9, II/6, pp. 679-697; Sport e
educazione, in Enciclopedia dello sport, Arte scienza storia, Istituto della
Enciclopedia italiana, Roma 2003, pp. 160-186; La tunica e il mantello.
Debito pubblico e bene comune: provocare per educare, Euroma, Roma 2003; ha
curato: Il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione nel periodo
1989-1997, in Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione,
75-76, 1996, Le Monnier, Roma 1997; La dimensione affettiva nella scuola e
nella formazione dei docenti, Seam, Roma 1998; Educazione civica e cultura
costituzionale. La via italiana alla cittadinanza europea, Il Mulino,
Bologna 1999 (con G. Refrigeri); Il corpo a scuola, Seam, Roma 1999 (con I.
Testoni); Pedagogia: ricerca e formazione, Saggi in onore di Mauro Laeng,
Seam, Roma 2000; Educazione alla convivenza civile. Educare istruire formare
nella scuola italiana, Armando, Roma,  2003  (con W. Fornasa e S. Poli);
Insegnare perche'? Orientamenti, motivazioni valori di una professione
difficile, Armando, Roma 2004]

Condivido totalmente le motivazioni, il coraggio e la testimonianza di Rita,
con la quale ho avuto la fortuna di partecipare ad una tavola rotonda a
Praia a Mare, per la Fondazione Serio.
La sua candidatura e' un formidabile aiuto a tentare di ricostruire,
soprattutto a beneficio dell'educazione civica, quell'ecosistema di rispetto
della persona, della civilta' e delle istituzioni che nel corso di questa
interminabile campagna elettorale e' stato devastato per interessi di parte,
gridati senza pudore come superiori a quelli generali.

2. TESTIMONIANZE. RITA BORSELLINO: LA LEZIONE DI MIO FRATELLO PAOLO
[Ringraziamo Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci
inviato il testo di questo intervento di Rita Borsellino all'incontro del 10
dicembre 2003 promosso dal Laboratorio palermitano "Percorsi nonviolenti per
il superamento del sistema mafioso" (nell'incontro si presentava il saggio
di Vincenzo Sanfilippo apparso nella rivista "Quaderni Satyagraha" nel 2003
e gia' riproposto su questo notiziario); questo intervento di Rita
Borsellino e' poi apparso alle pp. 53-61 del libro a cura di Vincenzo
Sanfilippo, Nonviolenza e mafia, DG Editore, Trapani 2005]

Ho ascoltato con grandissima attenzione gli interventi che mi hanno
preceduto e mi sono resa conto di quanto io abbia da imparare ancora,
nonostante Emanuele mi abbia definito di professione "girovaga". Questo e'
vero perche' da undici anni giro in lungo e in largo, continuamente.
Probabilmente viaggio piu' alla ricerca di qualcosa che non per portare
qualcosa io. Condivido la preoccupazione di Alfio, per i "ritmi frenetici" a
cui ci sottoponiamo per rispondere alle tante richieste che ci arrivano e
questo e' comunque un fatto importantissimo, un fatto sicuramente positivo:
le richieste che ci arrivano dalle scuole, ma non solo, anche dalle
associazioni e da tante realta' sono segno di un'attenzione ancora viva,
ancora attenta e - visto il momento generale di cui si parlava - a me certe
volte sembra quasi un miracolo che ci sia ancora questa grande richiesta di
interventi e di partecipazione e forse e' proprio per questo che ci
sottoponiamo a questi ritmi frenetici, perche' - almeno io personalmente -
non mi sento in diritto di dire di no quando qualcuno mi chiede di andare a
parlare.
Se qualcuno vuol parlare, si vuole confrontare su certi argomenti, credo che
non ho il diritto di dire di no perche' sono stanca o ho altre cento cose da
fare: le cose piu' normali di quella vita che era la mia vita fino a undici
anni fa: essere professionista, madre, ora anche essere nonna, insomma di
svolgere tutte quelle cose che una persona normale svolge durante la sua
giornata, durante la sua vita.
Ora non voglio dire che io non sia piu' una persona normale, ma mi sono
trovata in una situazione che di normale aveva poco. Si parlava un momento
fa delle emozioni del dopo stragi; bene, di quelle emozioni per prima sono
stata investita anch'io essendo stata coinvolta in prima persona. Ho
deciso... ma forse decidere e' una parola grossa. Ho sentito, forse era piu'
un sentimento, una sensazione, un'emozione che sul momento non ho saputo o
voluto analizzare, ma ho sentito di dovere diventare in qualche modo parte
attiva, non di subire in qualche modo quello che era accaduto ma di cercare
in qualche modo di prenderlo in mano e dargli un indirizzo particolare. Ho
cominciato allora a cercare questo rapporto con gli altri perche' avevo
bisogno io prima di tutto di capire; avevo bisogno di sentire qualche cosa
che fino a quel momento era stato per me molto estraneo.
*
Ora a proposito di ritmi frenetici devo fare una confessione.
E' vero, era da parecchio che avevo ricevuto il saggio di Enzo Sanfilippo,
ma presa dai quei cento impegni di lavoro, associazionismo, di tutto quello
che cerco faticosamente di fare nelle mie giornate, l'avevo messo in mezzo
alla mia agenda nel giorno segnato, sperando di avere prima o poi il tempo
di leggerlo. Ogni tanto mi capitava tra le mani e dicevo: "Devo leggere
questo perche' devo andare". Confesso che questo tempo non l'ho trovato fino
a stamattina.
Stamattina ho preso con me i fogli perche' non c'era piu' tempo. Ora non e'
che questo sia un saggio che si puo' leggere in farmacia tra un cliente e
l'altro... sicuramente no. Pero' stamattina mi sono messa in un angolino e
ho cominciato a leggerlo e li' e' successo il danno, perche' leggendolo ho
dimenticato tutto il resto. Ogni tanto veniva mio marito che lavora con me
in farmacia e mi diceva: "Ma come fini'?". In effetti questo saggio mi aveva
come assorbita completamente. Mi ci sono ritrovata e ho riconosciuto
tantissime cose che avevo dentro di me e non avevo saputo esprimere, non
avevo saputo analizzare... E' una cosa che mi e' successa spesso in questi
anni, ascoltare o leggere qualcosa e riconoscere in questa qualcosa che
avevo dentro e non avevo mai saputo esprimere o che non avevo saputo tirar
fuori, non avevo trovato il modo per tirarla fuori...
*
Mi sono venuti in mente alcuni particolari di questi undici anni. In
particolare mi e' venuta in mente una frase di un bambino. Era appena stata
compiuta la strage di via D'Amelio. Voi sapete che io abitavo in quella
stessa strada e io restai fuori casa quando avvenne la strage. La mia casa
fu uno degli appartamenti distrutti. Eravamo la' ad aspettare che qualcuno
ci desse il permesso di andare a prendere quello che restava delle nostre
cose e ci ritrovavamo con altre famiglie, gli altri inquilini con i quali
non ci eravamo probabilmente mai fermati neanche un momento nel corso degli
anni nonostante sono ormai trent'anni che abito la'. Con queste persone
invece in quei giorni nasceva una strana familiarita', perche' si vivevano
le stesse situazioni, le stesse emozioni. Allora ci si fermava quasi a farsi
forza l'uno con l'altro. Una signora giovane che aveva due bambini piccoli
mi disse poco tempo dopo che alla riapertura delle scuole il suo bambino,
che aveva sette anni, parlando con la maestra di quello che era accaduto
aveva sentito la maestra parlare di "lotta contro la mafia", e questo
bambino si era alzato e aveva detto: "Maestra, non lotta, perche' la lotta
e' violenza!". Mi e' ritornata in mente questa frase perche' mi fa capire
come certe cose "stanno dentro", sono proprio innate e poi poco alla volta,
con l'andare del tempo, con l'accumularsi di tante scorie, le mettiamo da
parte, le dimentichiamo, le trasformiamo, le facciamo diventare
qualcos'altro. Quel bambino sotto l'input dell'emozione forte, vissuta tra
l'altro in prima persona, era stato capace di fermare questo pensiero e di
esprimerlo ad alta voce. Devo dire che allora mi sembro' curiosa questa
espressione, quasi esagerata.
Ecco, invece oggi alla luce di undici anni di esperienza, ripetendomela
dentro, risentendola dentro di me, l'ho capita perfettamente, penso di
averla recepita, segno di una maturazione che in questi anni io per prima ho
vissuto - anche se non a livello cosciente probabilmente.
*
Un altro episodio piu' recente mi torna in mente.
Risale a 4-5 anni fa quando per la prima volta, un po' faticosamente devo
dirvi, accettai l'invito di un sacerdote mio amico che e' cappellano al
carcere di Rebibbia, il quale un giorno mi disse un po' a bruciapelo: "ma tu
verresti a incontrare i carcerati?".
Io non avevo mai pensato ad una tale possibilita', e l'invito mi creo' un
certo turbamento, e capisco anche il perche' di questo turbamento. Esso
risale ad un periodo ancora precedente.
Nei giorni immediatamente successivi alla strage di Via D'Amelio (credo
fossero passati solo un paio di giorni, non di piu') ci fu un giornalista
che mi si avvicino' e mettendomi il microfono sotto il naso (l'abbiamo vista
fare tante volte questa cosa) mi disse: "Signora lei perdona gli assassini
di suo fratello?". E' un po' difficile essere nonviolenti in questo caso...
io ricordo che in questo caso provai un grandissimo disagio, e per
togliermelo di torno, visto che insisteva dissi frettolosamente: "Si', si',
li perdono". Quasi fosse un dovere perdonare le persone che ti hanno fatto
del male. Tutto questo tuttavia mi porto' poi a riflettere su questa
domanda, su questo problema che non mi ero posta fino a quel momento. Forse
non ne avevo avuto il tempo. Questo ha provocato qualcosa in me, e' stato un
po' l'avvio di una riflessione molto lunga e molto personale di cui non e'
qui il caso di parlare, ma che mi ha portato ad una convinzione: cioe' a
dare un significato a questa parola, perdono, che troppo spesso viene intesa
con troppa superficialita' come se volesse dire "facciamo come se non fosse
successo niente", il cui significato invece non e' questo ma e' molto, molto
di piu'.
Io ero arrivata alla convinzione (grazie anche ai tanti episodi del
comportamento di Paolo con detenuti, collaboratori di giustizia, imputati,
che mi venivano alla mente) che forse perdonare doveva significare essere
disposti a "percorrere insieme la strada", farla diventare un cammino
comune, un percorso comune. Non vi nascondo che tutto questo mi metteva un
po' paura e che forse solo teoricamente riuscivo ad affermarla, ad
accettarla... perche' io queste persone non le conoscevo. Quando le cose si
fanno in teoria e' un po' diverso che farle in pratica. Allora probabilmente
ero stata brava in teoria ad elaborare questa convinzione perche' queste
persone non le conoscevo, non le avevo incontrate, e potevo quindi essere
disposta a dire che lo avrei potuto fare. Ora venne poi questo momento in
cui mi si proponeva di incontrare queste persone. Magari non erano proprio
gli assassini di Paolo, ma era quello comunque l'ambito. Devo dire che ho
voluto riflettere su quell'invito perche' non ero sicura di essere pronta a
fare un passo di questo genere.
Poiche' ho imparato a "scommettermi", a scommettere con me stessa, e' una
cosa che faccio da allora perche' prima non lo avevo mai fatto, accettai e
dissi di si'.
*
Quando mi recai a Rebibbia e incontrai prima il direttore del carcere
insieme al cappellano (non parlo di quello attuale ma di quello che lo ha
preceduto); mi disse una frase che mi turbo' profondamente.
Penso che lui fosse un po' preoccupato per quell'incontro, molto di piu' di
quanto lo fosse il cappellano che invece aveva fatto un percorso con questi
detenuti e quindi non si arrivava a caso a questo incontro. I detenuti
avevano accettato, non erano costretti, avevano scelto, avevano chiesto di
partecipare, si erano dovuti "iscrivere" in qualche modo. Avevano accettato
in tanti. Incontrai quel giorno circa 400 detenuti... Il direttore del
carcere mi fece una premessa molto semplice, mi disse: "Signora, volevo
ricordarle che qui dentro loro sono le vittime e lei rappresenta il
carnefice". Questa cosa mi turbo'. Devo dire che non ero preparata. Forse
pensavo di arrivare li' dall'alto della mia dignita' e del mio diritto al
dolore. Non sapevo cosa avrei fatto perche' io non sono capace di preparare
un incontro. Io devo arrivare li', guardare le persone in faccia, e poi
quello che viene fuori viene fuori...
E questa cosa mi turbo', e quando mi trovai davanti questo teatro pieno,
pieno di persone, provai un certo disagio ma, ripeto, mi venne ancora una
volta in aiuto il ricordo di Paolo. Tanti ricordi di Paolo che io in questi
anni ho rivissuto e pian piano ho scoperto, ho cercato di analizzare, di
interiorizzare e di fare miei. Ricordai alcuni colloqui di Paolo che io
conoscevo gia' e che ho poi ritrovato in un libro. Uno di questi colloqui
riguarda l'incontro di Paolo con un uomo che era stato arrestato con
l'accusa tra le altre cose di avere organizzato un attentato contro di lui
(attentato che era fallito perche' questa persona era stata arrestata per un
altro motivo molto banale). Iniziando il colloquio con questa persona Paolo
gli dice: "Sono venuto un giorno prima a interrogarti perche' mi sono
accorto dalle tue carte che oggi e' il tuo compleanno: auguri". Io adesso
conosco questa persona. Gli ho parlato diverse volte. Oggi e' un
collaboratore di giustizia. Questo qui immediatamente si senti' preso in
giro, disse tra se': "Dove vuole arrivare? Questo e' un trabocchetto". Ma
man mano che il colloquio andava avanti si rese conto pero' che questo era
Paolo, questo era il suo atteggiamento, questo era il suo modo di
confrontarsi, di porsi nei confronti degli altri, e se ne rese conto anche
quando Paolo gli contesto' i capi di imputazione. Nel modo di rapportarsi
con quest'uomo, la cosa importante non era tanto il reato che gli si
contestava, la colpa, ma era capire il perche', era il capire quali erano i
suoi sentimenti, quali erano i motivi che lo avevano spinto a fare questo.
La cosa piu' importante era conoscere l'uomo che aveva davanti e allora
cominciava a chiedergli: "Quanti fratelli eravate? Cosa facevate? Quali
erano i rapporti tra di voi?" E poi chiedeva: "Ma perche' lo hai fatto?".
Oppure: "Che cosa hai provato quando lo hai fatto?". Si appassionava nel
colloquio fino a chiedere: "Ma come hai potuto fare una cosa di questo
genere?", "Che cosa hai provato quando lo hai fatto?", comunicando in
qualche modo la sua emozione quando indagava e in qualche modo cercava la
verita', cercando la confessione su quello che gli stava contestando. Questa
era un'abitudine che mi e' stata confermata da varie testimonianze in questo
senso.
Ecco mi sono ricordata di questo, mi sono ricordata del fatto che Paolo
diceva che prima di tutto, quando hai davanti una persona, devi vedere
l'uomo, devi cercare l'uomo. Diceva che prima di puntare il dito per
giudicare devi essere disposto a porgere una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Ecco, mi venne in mente tutto questo, mi venne in mente che avevo davanti
degli uomini ognuno con la sua storia, ognuno con le sue debolezze, anche
con le sue violenze e con le sue colpe, ma erano soprattutto uomini e come
tali io dovevo rivolgermi a loro. Non ero io che dovevo giudicarli, io
dovevo solo confrontarmi con loro.
Ricordo che mi misi sullo stesso piano, raccontai dell'esperienza che io
avevo vissuto, esperienza difficile e dolorosa, e in qualche modo la misi a
confronto con l'esperienza difficile che loro stavano vivendo: la privazione
della liberta', la lontananza dalle loro famiglie...
Dapprincipio mi resi conto che c'era una certa diffidenza, mi guardavano, e
molti erano pronti a contestarmi (lo so perche' me lo racconto' poi don
Roberto, il cappellano).
Poi alcuni di loro presero la parola. Ricordarono Paolo Borsellino, lo
ricordavano a modo loro, lo ricordavano, mettendo bene in chiaro quali erano
le loro posizioni, ma lo ricordavano, ancora una volta, da uomini davanti a
un altro uomo. Si era invertita quasi la posizione. Poi in omaggio a Paolo
mi mandarono una musica che avevano composto nel laboratorio musicale e
chiesero che fosse trasmessa durante la manifestazione "Legami di memoria"
mentre si ricordava Paolo Borsellino.
Non vi racconto poi dei gesti di affetto individuali che mi arrivano ogni
tanto da Rebibbia. Per esempio un vecchietto che sta scontando l'ergastolo
per omicidio (molti di loro non sono "ladri di polli", sono persone che
stanno scontando delle pene gravi), avendo conosciuto una mia piccola mania
(io colleziono presepi), mi mando' l'anno scorso per Natale, tramite don
Roberto, un presepe che aveva costruito in carcere ritagliando le figure da
cartoline con oggetti e legandole assieme con un filo argentato. Questo
oggetto per me e' carissimo, perche' e' il segno di una relazione direi
affettiva. Segno di un volersi mettere in relazione con la persona quasi a
livello familiare, utilizzando le conoscenze piu' piccole.
*
Vi ho raccontato queste cose perche' ho cercato di entrare in quello che voi
in maniera sicuramente piu' dotta avete detto a questo tavolo. Ho voluto
farvi vedere come poi tutto questo c'e' ed e' vero, e' concreto, basta
cercarlo per poterlo realizzare.
Devo dire di piu'. Parlavate di quello che era successo dopo le emozioni
delle stragi, quando si era cominciato a parlare di tutto questo e che poi
non aveva avuto un seguito.
Credetemi, in questi anni ho cominciato a capire una cosa: che probabilmente
questo non e' successo perche' spesso e' la vittima che non e' disponibile.
Spesso e' la vittima che si arrocca - capitemi - in una situazione di
"privilegio" (tra molte virgolette) e non ritiene possibile un rapporto di
questo genere. Non ritiene possibile aprire un colloquio mettendosi sullo
stesso piano. Perche' e' facile (e non e' piu' un colloquio ma un
soliloquio) parlare mettendosi in una posizione in cui dall'alto osservi
cio' che succede in basso giudicando.
Ma non si tratta di giudicare. Per fare una cosa di questo genere io credo
che si debba partire da un'introspezione. Ognuno deve leggersi dentro e
vedere perche' vuole farlo e in che posizione intende mettersi. Fare una
cosa di questo genere e' possibile, ma c'e' un equilibrio molto delicato,
particolare, da cercare con attenzione e con grande buona volonta'.
*
Parlavate di Rita Atria. Quando Rita Atria fu esiliata in qualche modo a
Roma per la sua sicurezza, lontana dalla sua realta', dalla sua famiglia, da
tutto quello che fino a quel momento aveva rappresentato la sua vita (fu
Paolo che lo volle perche' Rita correva ormai dei pericoli davvero seri e
molto concreti) Paolo non la lascio' mai sola. Non la lascio' sola perche'
capiva che questa ragazzina non doveva sentirsi esiliata, non doveva
sentirsi estranea, ma, semmai, doveva sentirsi inserita in un progetto
diverso, doveva sentirsi inserita in quella famiglia che doveva diventare la
sua famiglia.
Io ricordo che Paolo spessissimo partiva per Roma, anche soltanto per mezza
giornata. Lo sapevamo perche' lui parlava molto di Rita con noi. Ne parlava
soprattutto con sua figlia e con mia figlia che avevano la stessa eta'. Lui
diceva: aiutatemi a capirla per poterla aiutare.
E ricordo in particolare che subito dopo il 23 maggio in cui Paolo visse (lo
sapete tutti d'altro canto forse meglio di me) 57 giorni frenetici, in una
situazione psicologica terribile, Paolo ando' due volte a Roma, la prima
volta subito dopo la strage. Paolo disse in quell'occasione: "Chissa' che
cosa sta provando dda picciridda!". Chissa che cosa sta sentendo, chissa'
qual e' la paura, l'isolamento che sta sentendo. Lui parti' per fare sentire
a Rita la presenza concreta, forte, di chi in quel momento la stava
assistendo per questo suo gesto di coraggio, di questo suo cambiamento di
vita difficilissimo, perche' la storia di Rita e' una storia
complicatissima. Volle farle sentire soprattutto la presenza di un affetto,
di qualche cosa di nuovo che stava nascendo attorno a lei e che proprio in
quel momento non le poteva mancare.
*
Allora quella mia esperienza a Rebibbia (che e' soltanto il primo passo
perche' poi vi tornai varie volte), cosi' come l'esperienza di Lecce, io
credo che ci insegnino che qualunque cosa vogliamo fare in questo senso,
qualunque cosa ci accingiamo anche soltanto a pensare, la dobbiamo fare con
l'approccio di chi si mette come uomo di fronte a un altro uomo, come uomini
in mezzo ad altri uomini, senza pensare di potere insegnare nulla ma
cercando di imparare, di imparare dalle esperienze... perche' come per noi
e' difficile capire loro, il loro linguaggio, la loro mentalita', il loro
modo di guardare le esperienze che vivono e che costruiscono, cosi' per loro
e' difficile guardare noi, il nostro linguaggio.
E' come se fosse quello un mondo in contrapposizione o comunque diverso dal
nostro. Anche lo stesso fatto di usare le stesse parole, di usare il termine
onore, il termine famiglia, in due sensi completamente differenti, e' il
segno della difficolta' di comprenderci e di instaurare comunque un rapporto
che sia paritario e non dove ognuno ritiene invece di essere superiore
all'altro.

3. PERSONE. UN PROFILO DI RITA BORSELLINO

Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla
mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice
dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa'
civile impegnati contro la mafia. Per coordinare e diffondere le
informazioni sulla campagna a sostegno della candidatura di Rita Borsellino
a presidente della Regione Sicilia e' attivo il sito: www.ritapresidente.it
*
Dal sito della Wikipedia (http://it.wikipedia.org) riprendiamo la seguente
piu' ampia notizia biobibliografica: "Rita Borsellino (Palermo, 2 giugno
1945) e' una cittadina siciliana nota per il suo impegno in campo politico e
sociale. Sorella del magistrato Paolo Borsellino, nel 1967 si laureo' in
farmacia all'Universita' degli Studi di Palermo, esercitando la professione
di farmacista nel capoluogo siciliano per vari anni. E' divenuta, in seguito
all'assassinio del fratello, testimone della lotta alle criminalita'
organizzate. Nel 1995 divenne vicepresidente di Libera, associazione
antimafia fondata da don Luigi Ciotti, di cui e' stata nominata
presidentessa onoraria nel 2005. Con Libera ha contribuito in maniera
determinante allíapprovazione delle legge 109/96 sull'uso sociale dei beni
immobili confiscati alle mafie e sostiene attivamente il progetto Libera
Terra. Dal 1992 e' impegnata attivamente nella societa' civile nel campo
dell'educazione alla legalita' democratica, nel diffondere una cultura di
giustizia e solidarieta', non solo per tener vivo il ricordo del fratello e
di tutte le vittime della mafia, ma soprattutto perche' in particolare le
nuove generazioni attraverso la conoscenza dei fatti acquistino
consapevolezza dei propri diritti, del valore della legalita' e della
democrazia, una coscienza critica e responsabile che, una volta adulte,
consenta loro di fare scelte giuste e coerenti per il bene loro e della
collettivita' nella quale sono chiamate a vivere. Dal 1994 assieme all'Arci
Sicilia e in seguito con la collaborazione di Libera contribuisce
all'ideazione e alla crescita dell'iniziativa della Carovana Antimafie,
un'esperienza ormai di carattere internazionale che mira a "portare per
tutte le strade" l'esperienza di un'antimafia propositiva che vuole incidere
positivamente sulla realta' economica, sociale, amministrativa dei luoghi
che attraversa stringendo intrecci solidali ed etici tra i cittadini, le
istituzioni e le diverse realta' della societa' civile organizzata presenti
sui territori. Dal 1998 e' presidentessa della 'Associazione Piera Cutino -
guarire dalla talassemia', associazione senza scopo di lucro che promuove la
ricerca medica contro la talassemia. Numerose sono state le sue iniziative
contro le attivita' mafiose ed in favore dell'emancipazione delle donne. Tra
le sue opere, impregnate proprio di questi temi, si ricordano Nonostante
Donna. Storie civili al femminile (1996); La fatica della legalita' (1999);
I ragazzi di Paolo. Parole di resistenza civile (2002); Fare memoria. Per
non dimenticare e per capire (2003); Rita Borsellino - Il sorriso di Paolo
(2005). Alla fine del 2005 si e' intensificato il suo impegno politico
accettando la proposta, veicolata dalla coalizione di centrosinistra, di
candidarsi alla presidenza della Regione Sicilia nelle amministrative della
primavera 2006. La sua candidatura e' stata sancita dallo svolgimento di
elezioni primarie (il 4 dicembre), nelle qualiha ottenuto il 66,9% dei
consensi... E' sposata dal 1969 e ha tre figli".
*
Tre siti particolarmente utili:
- Rita Borsellino Presidente: www.ritapresidente.it
- Comitati per Rita Borsellino Presidente: www.comitatixrita.it
- Rita-express: www.ritaexpress.it

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