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La nonviolenza contro la mafia. 5
- Subject: La nonviolenza contro la mafia. 5
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 27 May 2006 11:02:33 +0200
============================== LA NONVIOLENZA CONTRO LA MAFIA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 5 del 27 maggio 2006 In questo numero: 1. Rita Borsellino: Una testimonianza pronunciata nella parrocchia di S. Melania a Roma il 14 marzo 2001 (parte seconda) 2. Stefania Cantatore: Con Rita Borsellino 3. Gabriele De Veris: Con Rita Borsellino 4. Alessandra Mambelli: Con Rita Borsellino 5. Edo Ronchi: Con Rita Borsellino 6. Nadia Scardeoni: Con Rita Borsellino 7. Zenone Sovilla: Con Rita Borsellino 8. Riccardo Orioles: In Sicilia, la lotta 9. Un profilo di Rita Borsellino 1. RITA BORSELLINO: UNA TESTIMONIANZA PRONUNCIATA NELLA PARROCCHIA DI S. MELANIA A ROMA IL 14 MARZO 2001 (PARTE SECONDA) [Dal sito della parrocchia di S. Melania a Roma (www.santamelania.it) riprendiamo la trascrizione dalla viva voce e non rivista dall'autrice (i titoli sono redazionali) di questo intervento di Rita Borsellino del 14 marzo 2001] Per essere madre, vivere la societa' che ti circonda E' cosi' strana la mia storia! Ho vissuto per tanti anni accanto a Paolo, del riflesso di quello che faceva, di quello che pensava, di quello che viveva, ascoltando, assorbendo tutto quello che lui diceva e faceva, non facendo nulla. Non avevo mai fatto nulla. Mi occupavo della mia famiglia, del mio lavoro, dei miei figli. Tre figli nati nel giro di quattro anni sono una bella fatica, un bell'impegno. Mi ci ero dedicata, mi ero lasciata assorbire completamente da tutto questo. Lo facevo nella quotidianita', tutti i giorni, cercando di dare quanto piu' possibile a loro e cercando di prendere quanto piu' possibile potevano darmi, e mi hanno dato tanto. Sono proprio cresciuta insieme a loro, mi sentivo brava, credevo che tutto questo bastasse. Poi mi resi conto improvvisamente che avevo fatto solo una piccola parte di quello che dovevo fare. Questi ragazzi che io avevo cresciuto, avevo educato con tanta attenzione, con tanta ansia anche, non potevano stare sotto una campana di vetro, non potevano sempre vivere nell'ambito della famiglia, dovevano entrare in questa societa', prima a piccoli passi e poi a passi sempre piu' lunghi, fino a che si sarebbero allontanati da me e avrebbero dovuto camminare soltanto con le loro gambe. E' logico, e' naturale, noi mamme e papa' dobbiamo lavorare per questo, perche' loro un giorno se ne vadano, perche' sappiano camminare con le loro gambe. Lavoro difficile quello delle mamme e dei papa', sicuramente. Poco compreso dai ragazzi che hanno voglia di andare avanti, a volte scalpitano davanti alle attenzioni dei genitori. E' un mestiere difficile, nessuno ci ha insegnato a farlo, dobbiamo impararlo. L'importante e' impararlo insieme a loro, vivere le difficolta' insieme a loro, perche' imparino a loro volta. Dicevo, non avevo mai fatto niente per questo societa' in cui un giorno loro sarebbero entrati e avrebbero dovuto camminare da soli. Avevo fatto, diciamo, meta' del mio lavoro, avevo curato un aspetto ma non avevo curato l'altro. Quando, traumaticamente, mi resi conto di quanto questa societa' in cui vivevano cosi' immersi, che era cosi' tanto vicina a noi, era una societa' veramente terribile, fatta - per quello che io ne vedevo - soltanto di fatti negativi, di inganni, di morti, di uccisioni, di omerta', di silenzi, fatta di tutti gli stereotipi di cui un po' tutti quanti ci siamo nutriti sulla nostra gente di Sicilia. * La fiaccolata Ma io che ci vivevo dentro non riuscivo a vedere veramente com'era. Dopo la morte di Giovanni Falcone, che era caro anche a me come lo era a Paolo, e di sua moglie in particolare che era stata addirittura mia compagna di scuola, con cui c'era un rapporto cosi' forte, dopo avere visto la sofferenza profondissima di Paolo che era cambiato quasi anche nel suo carattere, per diversi giorni non riusci' piu' a scoprire quel sorriso che aveva sempre, la sua caratteristica piu' bella, mi trovai a riflettere ancora di piu' quando il 23 giugno si fece questa commemorazione di Giovanni Falcone; arrivarono tutti questi scout, tutti questi ragazzi. Paolo inconsapevolmente mi diede un mandato perche' questa fiaccolata di 30.000 scout partiva da uno dei quartieri piu' vecchi e degradati di Palermo, partiva dal quartiere della Kalsa, da piazza Maggiore dove eravamo nati sia noi sia Giovanni Falcone, partiva da questo centro storico degradato di Palermo che veniva preso un po' come simbolo della mafia e della malavita che rovinava la nostra citta'. Partiva da li' e li' io ancora gestivo una farmacia che apparteneva alla mia famiglia, da quattro generazioni. Paolo e io eravamo conosciuti, avevamo frequentato la scuola della piazza. Paolo aveva giocato con i bambini della piazza - eravamo conosciuti - era un simbolo molto forte per gli abitanti di la'. Paolo mi telefono' e disse: "Sai, per motivi di sicurezza, non vogliono che io vada per la strada con i ragazzi con la fiaccola. Vi aspettero' nella Chiesa di S. Domenico dove si sono svolti i funerali di Falcone, ma noi non possiamo mancare la'; vai tu per me". E io - quasi a malincuore, devo dire; il pensiero di andare a una manifestazione pubblica, non lo avevo mai fatto, mi turbava; non so perche', ma non sapevo dire di no a Paolo - andai. Andai e mi trova immersa in mezzo a questa sconfinata moltitudine di ragazzi, che erano arrivati da tutte le parti d'Italia, anche da altre citta' dell'Europa e che venivano la' anche soltanto per quelle due, tre ore di questa manifestazione. Poi con i pullman tornavano indietro. Sentire l'intensita' dell'impegno di questi ragazzi che, con le loro fiaccole in mano, percorrevano cantando le strade di quella citta' martoriata, buia, immersa veramente nel buio, fu per me una sensazione particolare, anche perche' poco prima che la fiaccolata partisse sentimmo arrivare le macchine della polizia a sirene spiegate. Arrivo' Paolo. Aveva vinto lui, c'era riuscito, era venuto anche lui. Ma questi ragazzi si erano stretti intorno a lui in un abbraccio di amore cosi' forte, cosi' vero, cosi' sincero che davvero cominciai a interrogarmi: "Ma che ne sanno loro di Paolo?". Io credevo che Paolo appartenesse soltanto a me e mi chiedevo, davvero erano queste le mie sensazioni: "Ma perche' gli vogliono cosi' bene? Ma perche' senza conoscerlo si stringono intorno a lui quasi a proteggerlo?". Quasi a voler camminare con lui su questa strada cosi' rischiosa. Non vi nego che un po' di paura c'era. Le strade erano strade del centro storico, erano buie, il momento era particolarmente difficile, Gli agenti di scorta - ce n'erano due che poi sarebbero morti con Paolo - si stringevano attorno a lui e li vedevo camminare alzando la testa, guardando i balconi, cercando di penetrare nel buio, per vedere se qualche pericolo vi si annidasse. Lui camminava, pensieroso ma sereno, e io mi trovavo a stringermi quasi alle sue spalle perche' sentivo il bisogno di proteggerlo in qualche modo. Mi contagiavo di tutta questa atmosfera che stavo vivendo e poi arrivammo alla Chiesa di S. Domenico, il Pantheon di Palermo, e ci dissero che ancora il corteo continuava a defluire dalla piazza dalla quale eravamo partiti. Erano proprio tanti. Queste fiaccole avevano veramente squarciato il buio di quella citta'. Paolo comincio' a parlare e fece questa sorta di omelia. Bellissima, di una forza e di una serenita' straordinaria, trasmetteva questa sua voglia impetuosa di verita' e di giustizia. Era come se la consegnasse veramente ad ognuno di questi ragazzi e loro sentivano questa corrente che ritornava indietro. Io ero veramente in un'altra dimensione, assorbivo quasi senza capire tutto questo e alla fine proprio delle parole che don Andrea ha detto, alla fine Paolo disse: "Perche' Giovanni e' vivo!". Lo disse con una forza, con una convinzione che tutti sentirono che era vero e scoppio' un applauso che non finiva piu' in questo tempio grande, enorme, che tremava per gli applausi di questi ragazzi. Ricordo che anch'io battevo le mani e lo guardavo quasi come se lo vedessi per la prima volta, perche' lo vedevo sotto una luce diversa. E una ragazza in piedi su un banco dietro di me che ero in fondo alla chiesa, batteva le mani e poi disse "Ma chi e' quest'uomo?". E io, istintivamente, feci una cosa che forse a lei sembro' sciocca, ma per me era importante. Mi girai e dissi: "E' mio fratello". Paolo quella sera, in qualche modo, mi consegno' questo testimone, perche' da quel momento cominciai a guardare all'esterno in maniera diversa, cominciai a capire tante cose. Cominciai a guardare anche la gente in maniera diversa, fino a quel momento avevo avuto il silenzio di chi incontravo, di chi mi stava intorno, di chi non conoscevo, perche' pensavo che fossero tutti nemici, tutti ostili. Io sapevo della solitudine di Paolo anche nel suo lavoro, anche all'interno del Palazzo di Giustizia e avevo proprio una grande ostilita' nei confronti degli altri. Ma poi avevo visto questi ragazzi, ragazzi che non lo conoscevano, che non sapevano neppure chi fosse e che pure lo amavano cosi' tanto. * La morte di Paolo Borsellino E poi Paolo mori' e io arrivai in quella via D'Amelio - non ero in casa quel giorno - devastata come da un bombardamento, e mi venne incontro tanta gente che aveva subito la distruzione della propria casa e che non pensava a questo, che si stringeva attorno a me, attorno ai miei familiari, che ci abbracciava e piangeva con noi. E poi alla camera ardente a Palazzo di Giustizia, due giorni e due notti di fila interminabile di persone che aspettavano ore per passare soltanto davanti alla bara di Paolo e dei cinque agenti della sua scorta. E poi i funerali, in cui migliaia e migliaia di persone sotto un sole cocente - era il 19 luglio e a Palermo, alle due del pomeriggio, non e' cosa agevole stare fuori - avevano aspettato delle ore perche' in chiesa non si poteva entrare, solo per vederlo passare. E quando passo' Paolo, piangendo lo chiamavano Paolo e ancora una volta capii - e ancora di piu' - che Paolo apparteneva a tutti, che Paolo non era solo mio, che Paolo era stato capace di suscitare tanto amore nella gente che neanche lo conosceva che ci doveva essere qualche cosa di speciale, qualche cosa di particolare. Mi guardavo attorno e sentivo che io dovevo dividere questo dolore con gli altri, ma non soltanto il dolore, anche la partecipazione, anche la presenza. Non potevo stare piu' chiusa dentro il mio guscio, anche perche' il mio guscio non c'era piu', la mia casa era stata distrutta insieme ad altri 140 appartamenti in quella via D'Amelio. Ecco, forse questo restare a nudo, in quel momento, senza questo guscio anche materiale, dentro il quale mi ero sempre rifugiata, in quei giorni mi ha aiutata a guardare meglio fuori e ho capito, ripeto, che Palermo non era quella che altri volevano che si credesse, che Palermo non era quella che io pensavo. Palermo era fatta di decine e decine, centinaia di migliaia di persone oneste, buone, che ci credevano, che avevano riconosciuto in Paolo qualcuno che lavorava per loro, che cercava di riscattarli in qualche modo e ne piangevano la morte. Allora, sentii il bisogno di stare con gli altri, sentii il bisogno di comunicare e di ricevere, quello che loro riversavano in qualche modo su di noi. Cosi' cominciai a venire fuori, cosi' cominciai a girare, ad incontrare persone, e mi resi conto che c'era un movimento straordinario di gente, di opinione pubblica, di gente semplice, di gente che veramente a volte non riusciva neanche a esprimere quello che sentiva, che voleva giustizia, ma voleva giustizia come conseguenza della verita'. Non era, ancora una volta, richiesta di vendetta, era richiesta di giustizia, che e' molto diverso. Vedete, la vendetta e' qualcosa di negativo, che deriva dall'odio. Secondo me non puo' generare che altro odio. E' una catena fatta di male, non fatta di bene. Io mi rendevo conto di quello che aveva generato, il bene che Paolo aveva fatto, i sentimenti positivi che Paolo aveva trasmesso agli altri, e mi rendo conto oggi che l'odio, i sentimenti di vendetta, non sono altro che elementi negativi che generano altro odio, che generano altra voglia di vendetta. * Paolo ha sempre cercato di incontrare l'uomo Allora in questo mio girare, in questo mio andare, soprattutto in quell'incontro straordinario che don Roberto mi ha offerto di fare a Rebibbia, ho capito che quello che Paolo aveva fatto in tutta la sua vita, nella sua vita di magistrato, era una cosa che pochi fanno e sanno fare, che era la ricerca dell'uomo. La ricerca dell'uomo all'interno di ognuno di noi. Qualsiasi persona Paolo si trovasse di fronte - che fosse Toto' Riina o il rappresentante delle istituzioni - lui cercava prima di tutto l'uomo, di individuare l'uomo, con la sua coscienza, con i suoi sentimenti, con i suoi perche', anche con i suoi errori. Mai giudicando, sempre cercando di capire. Era questa la sua grande forza: lui cercava l'uomo e cercava l'uomo da amare, anche e soprattutto nei piu' deboli, nei piu' fragili, in quelli che erano caduti, in qualche modo, in quelli che avevano sbagliato strada, chiedendosi perche' avevano sbagliato strada. Non solo, di piu'. Chiedendosi quale era la sua, la nostra responsabilita' in tutto quello che era accaduto. Perche' - ne parlavamo ieri in una scuola in Campania, un'altra regione dalle situazioni terribili - secondo me ognuno di noi e' corresponsabile di tutto quello che e' accaduto. Perche' se e' stato possibile che si verificassero le stragi, le morti, le uccisioni, c'e' la corresponsabilita' di ognuno di noi. In questo clima di illegalita' diffusa, serpeggiante, di cui non si capiscono piu' neppure i confini, si e' perso il senso del buono e del cattivo, si e' perso il senso dell'ingiustizia e della giustizia, non c'e' piu' un confine netto, non si capisce piu' dove finisce l'uno e comincia l'altro. E' come un sistema fatto di piccoli compromessi. Piccoli compromessi di ogni giorno, non quelli grandi, non fatti da quelli che ammazzano, da quelli che rubano, ma fatti da ognuno di noi, ogni momento con la propria coscienza, nelle proprie scelte di ogni giorno, nelle proprie decisioni, nel modo di guardare a chi ci sta vicino, nel giudicare chi ci sta vicino in maniera cosi' netta, come se fossimo infallibili. Paolo, da cattolico convinto quale era, cercava quella scintilla di umanita', cercava quella scintilla perche' era convinto che soffiandoci sopra si sarebbe ravvivata, si sarebbe potuta riaccendere. Questo mi aveva insegnato Paolo, solo che io non lo avevo capito prima. C'e' voluta la sua morte per farmi rivisitare tutto questo, per farmi tornare alla memoria tante cose, per incontrare tanta gente che mi ha aiutato a scoprire tutto questo. * Cosa vuol dire perdonare? E allora quando io parlo di perdono, oggi ne parlo in maniera diversa da come ne parlai all'indomani della morte di Paolo. Ricordo che in mezzo alle macerie di via D'Amelio, mi si avvicino' un giornalista con il microfono in mano, me lo mise sotto il naso e mi chiese: "Ma lei perdona gli assassini di suo fratello?". E io, per togliermelo di mezzo, per non rispondergli in maniera violenta - anche perche' non ne sono capace, perche' davanti ad una domanda di questo genere, davvero cascano le braccia - gli risposi istintivamente di si'. Forse me lo ha detto la mia educazione, il mio essere cattolica, quasi fosse obbligatorio perdonare chi ti ha fatto del male. Perche' e' un po' questa l'idea corrente, se si chiede a un familiare di qualcuno o a chi ha subito violenza di qualsiasi genere, se perdona oppure no. Tu ti aspetti che dica di si', perche' se quello ti dice di no, tu ci resti pure male, perche' e' quasi obbligatorio che quello li perdoni. Davvero ci si resta cosi'. Io quando sento queste domande e ricordo quello che ho provato io, quando mi e' stata posta, mi viene voglia di prenderli a schiaffi questi qui, di svegliarli, di dirgli: "Aspetta di provarlo tu e poi capirai la violenza che fa una domanda di questo genere". Ma come fai in quei momenti in cui non ti rendi neanche conto di quello che ti e' successo, in cui fai fatica veramente a prendere coscienza, a capire, in cui cerchi soltanto di rimuovere quello che ti fa male, quello che ti ha fatto del male, in cui sono tante le sensazioni che ti attanagliano, che l'ultima cosa che puoi fare e' ragionare, ma come fai a rispondere? Io, ripeto, risposi istintivamente di si', pero' devo dare un merito a questo giornalista - e ne abbiamo parlato in seguito, perche' e' anche una persona seria, lo fanno per mestiere, forse non e' neanche colpa loro, e' questo che gli chiede poi l'esigenza della cronaca. Gli dissi: "Io ti ringrazio, perche' mi hai fatto riflettere, perche' non mi aveva neanche sfiorato quest'idea, non ne ho avuto il tempo, ne' la possibilita'. Ma dopo che tu me lo hai chiesto, ho cominciato a pensarci su e ho seguito un percorso, un ragionamento che mi ha portato poi a rispondere in maniera consapevole a questa domanda, a rispondere a me prima di tutto, perche' era questo che volevo capire io, di cui rendermi conto io". E' un percorso, un ragionamento difficile, complicato, pieno d'insidie anche, pieno di si' e di no che ti tirano da una parte e dall'altra. Mi sono resa conto che per dare una risposta a questa domanda, devi mettere insieme la testa e il cuore. Non puoi rispondere solo con la testa, non puoi sentire solo quello che ti dice il cuore, perche' altrimenti quello che tu dici poi in quel momento, resta incompleto, mutilato. E' un percorso che io credo non finisca mai, perche' puoi dire un momento o pensare un momento una cosa e il momento dopo sentirti sopraffare dal dolore, dall'assenza della persona che ti era cara, dal risentimento davanti a qualcosa che vedi, che senti o che ti porta da tutt'altra parte. E' un percorso che credo non finisca mai, un percorso difficile e complicato, ma che ti fa prendere coscienza. Io ci ho ragionato sopra e mi sono resa conto che, come vi dicevo prima, se e' vero che io ho ricevuto il dono di non odiare, il dono di non cercare vendetta, e' un dono che ho ricevuto da Dio ed un dono che io devo condividere con qualcun altro. Non posso tenerlo stretto per me, e se c'e' qualcuno con cui devo condividerlo, e' proprio con chi mi ha fatto del male. Perche' altrimenti non e' vero, non e' sincero tutto questo. E' facile stare da una parte, isolandosi completamente da quell'altra. Tu devi metterti davvero davanti a chi ti ha fatto del male e rifare questo ragionamento, lo devi verificare in qualche modo, collaudare. E ancora una volta ho trovato un grande aiuto in questo percorso cosi' complicato e cosi' tormentato. Ero davanti alla televisione dove proiettavano le immagini della cattura di Toto' Riina, questo ometto fotografato quasi per scherno sotto le fotografie di Paolo e Giovanni, nei locali della questura di Palermo - non so quanti di voi lo ricordano - un ometto dimesso, piccolo, malvestito, quasi impacciato, che non sapeva dove mettere le mani, ma con uno sguardo che balenava sotto le palpebre che dava davvero i brividi. E mi chiedevo in maniera molto sofferta e quasi con paura cosa provavo nei confronti di questa persona, perche', vedete, altro e' dire che non si odia, che non si prova rancore nei confronti di qualcuno che non conosci, e altro e' poi vederlo in faccia, materializzato. Allora e' un po' diverso. Lo guardavo quasi con timore che affiorasse qualcosa che mi faceva paura. Allora ho sentito che dietro di me, piano piano, si era avvicinata mia madre. Mia madre aveva 86 anni, aveva visto morire suo figlio, perche' Paolo veniva quel giorno a casa mia a trovare mia madre che non stava bene. C'era un rapporto fortissimo tra loro, aveva telefonato anche lui dicendo: "Sto venendo", e poi aveva avuto soltanto il tempo di pigiare il campanello del portone di casa. Mia madre aveva sentito il suono, sapeva che era Paolo, ed era scoppiato il finimondo. Muri che crollavano, tetti che si sbriciolavano, schegge da tutte le parti, pareti che si aprivano, sirene impazzite, fiamme dovunque. Mia madre sapeva che in tutto questo Paolo moriva. Mia madre si avvicino' a piccoli passi, non l'avevo sentita, sentii dietro di me la sua voce che diceva: "Che pena mi fa quell'uomo!". E' stato per me un messaggio straordinario. Mia madre aveva visto l'uomo. Io ancora me lo chiedevo, non c'ero riuscita. Mamma con lo stesso sguardo di Paolo, aveva visto l'uomo dentro Toto' Riina e aveva visto un uomo che le faceva pena, ma perche' le faceva pena? Perche' si chiedeva come quell'uomo si era potuto ridurre cosi', come quell'uomo aveva spento, aveva rischiato di spegnere quella scintilla umana che aveva dentro, quella scintilla divina che aveva dentro. Come aveva fatto? Erano le stesse domande che si faceva Paolo, quando chiedeva: "Chi sei, come giocavi, cosa facevano i tuoi genitori, perche' non sei andato piu' a scuola?". L'aveva racchiuso in una parola sola, mia madre, e io l'ho assorbito, l'ho penetrato, ho capito quello che lei istintivamente in quel momento mi aveva trasmesso. * Quale storia conduce un uomo ad uccidere? Allora se un uomo ti fa pena, tu non puoi odiarlo. Ti devi chiedere perche'. Se ti fa pena, ti devi chiedere perche' si e' ridotto in quel modo, qual e' il cammino che ha seguito, percorso, qual e' la strada e di chi sono le responsabilita', oltre che sue - perche' e' certo che si tratta di una scelta, pero' cosa c'e' attorno? E allora ho cominciato a chiedermi anch'io, e di questo ho fatto tesoro quando ho avuto il mio incontro a Rebibbia e gli incontri successivi nelle altre carceri, ancora ieri in un carcere minorile. Mi sono chiesta: "Ma come e' possibile?". Si nasce bambini tutti uguali, anche Toto' Riina e' nato come tutti gli altri bambini. Non nascono bambini cattivi. Sono bambini e basta. Certo possono nascere in una situazione di condizionamenti familiari, culturali, che lo porteranno poi a diventare cattivo, a fare il male, a scegliere il male come strada, come modo di esprimersi, ma il bambino non e' una monade isolata. Vive si' in famiglia ma ha contatti anche con l'esterno. Sono bambini che hanno frequentato la scuola, perche' almeno per un po' l'hanno frequentata, hanno frequentato gli oratori delle parrocchie, perche' i mafiosi frequentano la chiesa. E' un punto d'onore far frequentare la chiesa alle mogli e ai figli, qualche volta anche di piu', abbiamo avuto mafiosi che si portavano la chiesa in casa, forse pensando di potere mettere cosi' Dio al loro servizio. Ricordo di un sacerdote che diceva: "Quella dei mafiosi e' una religiosita' senza Dio". E' un fatto sconvolgente quello della religiosita' dei mafiosi, cui loro credono profondamente, e allora dicevo: "Hanno frequentato le parrocchie, avranno incontrato altre persone, crescendo, sono entrati in relazione con altri, ma questi altri che influenza hanno avuto sulla loro vita? Come la maestra, il maestro, il sacerdote non si sono mai accorti che c'era qualcosa che cominciava a non funzionare piu', che il linguaggio che questi bambini usavano era un linguaggio fatto di violenza, di prevaricazione, fatto di prepotenze? Come e' possibile che nessuno si sia accorto e nessuno si sia fatto carico di questo, abbia cercato di fare qualcosa?". Allora io credo che noi societa' civile, noi persone perbene, noi persone buone, spesso ci accorgiamo di tutto questo - non potrebbe essere diversamente - ma facciamo finta di non vederlo e giriamo la testa dall'altra parte perche' e' piu' facile, e ci turiamo il naso perche' e' piu' comodo non sentire il puzzo di tutto questo, ci scarichiamo di dosso tutto questo, ce lo scrolliamo di dosso perche' e' troppo difficile, perche' ci disturba, perche' rompe i nostri equilibri. Mi ricordo quando ero piccola - oggi forse tutto questo grazie a Dio non succede piu' - mi ricordo che frequentavo la scuola di quel quartiere che era un quartiere povero e molto degradato e io ero la figlia della gallina bianca, perche' il mio papa' e la mia mamma erano i farmacisti del quartiere, come lo erano stati il nonno e la nonna. Quindi eravamo delle persone in vista, delle persone che contavano all'interno del quartiere e mi ricordo che la mia maestra che era una signorina molto perbene che abitava un piano sopra di noi, la mattina mi prendeva per mano e mi portava lei a scuola. Un giorno da quella prima elementare ritornai piangendo a casa e mia madre mi chiese: "Cosa e' successo?", e io le dissi: "La maestra mi ha tolto dal banco accanto alla mia compagna e mi ha fatto sedere accanto a lei". Mia madre mi chiese subito: "Che hai fatto?", e io: "Non ho fatto niente". E davvero non avevo fatto niente e non capivo. Mia madre, preoccupata, volendo sapere, l'indomani mattina venne a scuola e chiese alla maestra il perche'. La maestra le diede, sorridendo, una risposta sconvolgente: "No, e' che la sua compagna di banco ha i pidocchi". Io non mi potevo contaminare. Allora non si curava la bambina che aveva dei problemi - perche' a casa decisamente non era abbastanza curata -, si preservava me dal contagio, dal contatto nefando che poteva farmi del male. Io credo che questo sia l'emblema di come si e' comportata la societa' nei confronti di questi bambini, che invece avevano i pidocchi e rischiavano di contagiarsene anche nell'anima. Si tenevano i buoni isolati dai cattivi, si guardavano i cattivi con sospetto, si aspettava il momento buono per buttarli fuori, per eliminarli dalla societa' perche' cosi' davano meno fastidio. Peccato che poi, a un certo punto, all'interno della societa' questi ci stavano lo stesso e, diventati adulti, avevano anche una forma di rivalsa nei confronti di chi li aveva isolati. O se non altro non avevano piu' ricevuto quei messaggi positivi che invece avrebbero potuto ricevere e che magari li avrebbero aiutati, se non altro, o messi nelle condizioni di scegliere. Perche' tanti di questi bambini non sono stati nelle condizioni di scegliere, hanno sentito un solo tipo di linguaggio, hanno subito soltanto un tipo di comportamento da parte degli adulti, sia da quelli che erano loro vicini, sia da quelli che li respingevano. Cosi' si sono formati una loro cultura, che era una cultura di violenza, di rivalsa, in cui sapevano che l'unico modo per rifarsi in qualche modo era quello di essere violenti, perche' era l'unico linguaggio che gli altri capivano. Se parlavano con una pistola in mano tutti gli altri davano loro ragione e se non davano loro ragione li ammazzavano. E' un ragionamento molto elementare ma in tutto questo una piccola parte di responsabilita' non ce l'abbiamo anche noi, non ce l'ha quella maestra che allontana la bambina coi pidocchi per salvare quella che non ce li ha? * La nostra responsabilita' verso di loro e i loro figli Io mi sono sentita colpevole, mi sono sentita molto in colpa, e mi sono chiesta: "Che cosa ho fatto fino adesso?". Non avevo fatto nulla, mi ero tenuta i miei figli sotto le mie ali protettive, cercando di proteggerli da quella citta' esterna che non mi piaceva perche' era una citta' che si esprimeva con la violenza, tanto che non mi ero neanche accorta che la maggior parte della citta' era altro, che la maggior parte della gente era altro, che la pensava in altro modo e magari aveva soltanto la paura di esprimersi. Ognuno cosi' si chiudeva nella sua monade e restavano a spadroneggiare soltanto quelli che alzavano la voce. A partire da questo, che cosa fare allora? Che cosa fare? Io mi sono messa a cercare l'uomo, mi sono messa a cercare partendo da chi mi stava accanto, proprio dai piu' vicini, mi sono messa a cercare di capire, di parlare, di comunicare, perche' e' parlando e comunicando che si capisce, altrimenti non si capisce nulla, ognuno si forma la sua idea che puo' essere anche altro da quella che e' la realta', da quella che e' la verita', ancora una volta la verita'. Ho cercato giustizia, giustizia quella vera, giustizia quella che viene dalla verita', non dalle mezze parole. E allora quando mi dicono per esempio: "Eh, ma almeno sul caso di tuo fratello si e' fatta giustizia, perche' sono stati celebrati tre processi, uno ormai finito in Cassazione, i killer sono ormai in galera, uno che e' in Appello e che si sta per concludere, e allora i mandanti materiali sono assicurati alla giustizia", io allora dico: "Aspetto il terzo, quello in cui qualcuno deve dirmi chi ha voluto la morte di Paolo Borsellino, a chi interessava la morte di Paolo Borsellino". Certo Toto' Riina usato come simbolo, perche' e' ormai il simbolo di tutti i mali, perche' era un avversario scomodo, era uno che gli dava fastidio e che soprattutto gli aveva dato fastidio in passato, certo i suoi compagni, certo i mafiosi. Ma chi sono i mafiosi? Ecco, io cerco la verita' e cerco che in base alla verita' si faccia giustizia, perche' altrimenti e' giustizia a meta' e a me la giustizia a meta' non interessa. Me l'ha insegnato Saveria che la giustizia a meta' non e' verita' e quindi non e' giustizia. Me l'ha insegnato Saveria e io questa lezione l'ho maturata, perche' lei aveva piu' esperienza di me. Lei per avere giustizia a meta', perche' sono stati condannati i killer, ha aspettato dall'85 fino ad ora. Il processo su Paolo Borsellino si e' fatto piu' in fretta, perche' la societa' civile ha voluto, ha chiesto a gran voce giustizia. Allora io chiedo alla societa' civile, a tutti noi, ad ognuno di noi e a noi tutti insieme: "Cerchiamo la verita' e pretendiamo giustizia, perche' ancora una volta se la verita' si fermera' a meta' non sara' giustizia, ancora no". Non solo. Per poter dire veramente di perdonare - anche cosi' nel senso in cui intendo io, cioe' nel senso di condividere questo dono che ho ricevuto e scegliere di accompagnare, di capire, di accompagnare nel loro cammino, coloro che hanno sbagliato e mi hanno fatto del male, perche' per me oggi perdono significa questo, significa cercare di condividere, scegliere di condividere anche il percorso che queste persone possono e devono fare per ritrovare se stessi - ma per ritrovare se stessi ed iniziare questo percorso, prima di tutto devono rendersi conto di quello che hanno fatto. E allora perdono non puo' significare come comunemente si intende o si vuole intendere: "Facciamo finta che non sia successo niente, tu te ne vai per la tua strada e io me ne vado per la mia", perchÈ questo e' un modo comodo di scaricarsi e di acquietarsi. Io non mi voglio ne' scaricare, ne' acquietare. Io voglio soffrire, anche con loro, voglio anche soffrire condividendo il loro cammino, cercando di capire insieme a loro e cercando di recuperare insieme a loro. Sapere come si puo' recuperare. Certo con un uomo condannato all'ergastolo, posso recuperare poco, posso aiutarlo poco. Posso magari fargli sentire che io non ho odio nei suoi confronti, magari non gliene importera' niente, ma io posso farglielo sentire lo stesso. Il vero modo che ho di condividere questo dono, che io ho ricevuto, con loro, e' fare in modo che i suoi figli non diventino come lui. Il figlio di Toto' Riina ha vent'anni e ha gia' due ergastoli sulle spalle. Io questo devo impedirlo, devo fare in modo che coloro che per situazioni sociali, per famiglia, per nome, sono condannati gia' prima all'ergastolo, gia' da bambini - perche' la loro strada e' segnata, e' quella - io devo fare in modo che questa strada non sia segnata, devo fare in modo di cambiare, di raggiungerli, di avvicinarli e di proporgli qualcosa di nuovo. Qualcosa di cui sentano, stavo per dire il fascino, ma non e' quello il termine, la convenienza, mi basta questo. Che capiscano che dall'altra parte, quella della legalita', si sta meglio, che capiscano che non rischiano di morire a 25-30 anni, ammazzati dai loro compari, che non rischiano di vedersi sequestrare quei beni per cui hanno compiuto tanti delitti e restare poveri e pazzi senza neanche poterli trasmettere ai loro figli. Che si puo' vivere onestamente, serenamente, tranquillamente, godendo delle gioie familiari, godendo delle piccole cose di tutti i giorni e che questo e' piu' bello ed e' piu' conveniente. Se io potro' dare anche un minimo contributo a che questo succeda, io non solo potro' dire che questa sara' una vittoria, sara' la vittoria della giustizia sull'ingiustizia, della verita' sulla bugia, che sara' in qualche modo la vittoria del bene sul male, ma potro' dire veramente di avere capito che cosa significa perdonare. (Parte seconda - segue) 2. STEFANIA CANTATORE: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Stefania Cantatore (per contatti: stefi49 at libero.it) per questo intervento] Sostengo a distanza fin dall'inizio l'esperienza di Rita.... C'e' su "Noi donne" una mia intervista a Rita donna del mese. 3. GABRIELE DE VERIS: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Gabriele De Veris (per contatti: gdeveris at tiscali.it) per questo intervento] Perche' la Sicilia ha bisogno di politici onesti, e la politica ha bisogno di persone oneste e noi tutti abbiamo bisogno della Sicilia. Perche' la legalita' e la giustizia non sono concetti astratti o parole da scrivere sulle lapidi. Perche' c'e' chi ha dato la vita per rispettare il valore della comunita' civile. Perche' nell'Italia dei furbetti, dei condoni, degli insabbiamenti e degli scandali c'e' chi crede in un'altra Storia. Perche' la Sicilia non e' solo una bellissima isola ma il luogo da cui rinasce il senso della nostra cittadinanza. Per questo Rita Borselllino. 4. ALESSANDRA MAMBELLI: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Alessandra Mambelli (per contatti: alemambelli at libero.it) per questo intervento] Non sono della Sicilia e non so cosa potra' contare, esprimo comunque tutto il mio appoggio perche' Rita, e quanti credono nella legalita' e nella pace, possano entrare nelle istituzioni e pian piano trasformare sia queste, che la mentalita' piu' diffusa (non solo in Sicilia). 5. EDO RONCHI: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Edo Ronchi (per contatti: ronchi_e at posta.senato.it) per questo intervento] Rita Borsellino rappresenta la speranza per una nuova Sicilia, indispensabile per un'Italia migliore. Noi che amiamo le bellezze della terra di Sicilia, che guardiamo con ammirazione la storia e la cultura delle sue genti, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare l'amicizia preziosa di siciliani, siamo in ansia. Non deludeteci. E' molto difficile che si presenti un'altra occasione come questa. Spero proprio che alle prossime elezioni siciliane siano in tanti a votare con la mente e con il cuore: a votare Rita Bosellino. 6. NADIA SCARDEONI: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Nadia Scardeoni (per contatti: giopal84 at tin.it) per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera] Cara Rita, ho esultato alla prima notizia della tua candidatura... Carissime amiche, carissimi amici, con gioia immensa saluto la candidatura di Rita Borsellino alla presidenza della Regione Siciliana. E' un evento di straordinaria importanza per tutte el donne italiane... "Dove tutti mentono riguardo ad ogni cosa importante, colui che dice la verita', lo sappia o no, ha iniziato ad agire; si e' impegnato negli affari politici poiche', nell'improbabile caso in cui sopravviva, egli ha fatto un primo passo verso il cambiamento del mondo" (Hannah Arendt). 7. ZENONE SOVILLA: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Zenone Sovilla (per contatti: z.sovilla at ladige.it) per questo intervento] C'e' una sensibilita' forte ma che resta nell'ombra, nelle nostre societa' dell'apparenza e della manipolazione mediatica del pensiero (debole) collettivo. E' la sensibilita' di chi non si volta dall'altra parte, di chi ha la lucidita' e il coraggio di gridare che il re e' nudo. Un sistema di convivenza che si nutre, su scala locale e globale, di negazione de facto della pari dignita' di ogni essere umano, di prepotenza e prevaricazione, di violenza fisica o psicologica (dalla fabbrica ai teatri di guerra), di iniqua distribuzione del reddito e della ricchezza, di scelte industriali che devastano l'ambiente naturale e provocano la malattia o la morte (soprattutto nelle classi meno agiate). Percio' il re e' nudo: un modello economico e e politico i cui effetti collaterali stanno prendendo il sopravvento sui benefici. Accade sotto gli occhi di tutti, ma in pochi hanno l'onesta' e la lungimiranza di porre la questione in primo piano e di operare per ridurre i danni dell'emergenza e per costruire un'alternativa di giustizia e di liberta' per tutti (non solo per i piu' uguali degli altri). Rita Borsellino appartiene alla schiera di chi ha la forza di guardare oltre la cortina fumogena del grande inganno liberista e di lavorare a un progetto di inclusione, di partecipazione, di solidarieta' sociale. Non e' poco in un'epoca in cui la classe dirigente opera spesso, a ogni livello, a offrire piu' risorse ai ricchi e piu' sacrifici a tutti gli altri giustificandosi con oscuri richiami ai dogmi mercantili (Montezemolo docet). Oggi, l'Italia e il mondo hanno bisogno di persone capaci di sfidare il conformismo parruccone di chi, in politica, all'universita', nell'impresa, nei mass media, asseconda acriticamente le dinamiche del sistema della competititvita', dell'individualismo e dell'egoismo esasperati, sorvolando sui fallimenti di questo modello, sulle sue drammatiche linee di perdita in termini di costi umani oltre che ambientali e monetari. Rita Borsellino ha fornito a noi tutti un indicatore interessate quando si e' schierata contro la scelta dell'incenerimento dei rifiuti. Questa, infatti, e' una materia sulla quale si misura con precisione la lucidita' del personale politico: e' indice di maturita' amministrativa saper respingere l'assalto della lobby che vende questi costosissimi mega-impianti favoleggiando sulla loro capacita' di trasformare l'immondizia in energia. Dire no al bruciatore di rifiuti (che trasforma materiale utile in scorie tossiche e in emissioni altamente pericolose per produrre calore) significa, infatti, dire si' a un salto di qualita' che implica un'apertura di orizzonte verso nuove e meno dissennate prassi di produzione e di consumo che contemplano anche la riduzione dei rifiuti (meno risorse sprecate in imballaggi, uso di monocomponenti facilmente riciclabili, riuso del vetro e della plastica, vendita sfusa di detersivi e altri prodotti eccetera). Anche questo significa avere un'idea chiara di un'altra convivenza possibile, meno aggressiva e piu' salutare per tutti. Percio' sostengo Rita Borsellino. 8. RICCARDO ORIOLES: IN SICILIA, LA LOTTA [Da "La catena di San Libero" n. 330 del 19 aprile 2006 riprendiamo questo breve testo di Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles at sanlibero.it)] In Sicilia, la lotta non e' tanto fra dei partiti quanto fra questi due opposti e inconciliabili pezzi di societa'. Uno che convive con la mafia, e ci fa ottimi affari. L'altro che la rifiuta e la combatte ogni volta che puo'. Non ci puo' essere compromesso fra queste due mezze Sicilie; da noi non puo' esistere inciucio. Ecco. La lotta di Rita Borsellino e di chi sta con lei e' proprio questa. Nessuno creda di poterla "moderare", di mettere in questo vino la camomilla. Si vince, o quantomeno si lotta, quando ci schiera apertamente e prima di tutto contro il potere mafioso, senza mediazioni. Si perde, e ci si disonora, quando si cercano i compromessi coi potenti di ora, schierando magari in lista i loro interlocutori. Questo dicono le cifre delle varie elezioni, dai primi anni '90 in poi, a caratteri cubitali. E questo, prima di tutto, dice la dignita' degli uomini e il nostro onore di siciliani. 9. UN PROFILO DI RITA BORSELLINO Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa' civile impegnati contro la mafia. Per coordinare e diffondere le informazioni sulla campagna a sostegno della candidatura di Rita Borsellino a presidente della Regione Sicilia e' attivo il sito: www.ritapresidente.it * Dal sito della Wikipedia (http://it.wikipedia.org) riprendiamo la seguente piu' ampia notizia biobibliografica: "Rita Borsellino (Palermo, 2 giugno 1945) e' una cittadina siciliana nota per il suo impegno in campo politico e sociale. Sorella del magistrato Paolo Borsellino, nel 1967 si laureo' in farmacia all'Universita' degli Studi di Palermo, esercitando la professione di farmacista nel capoluogo siciliano per vari anni. E' divenuta, in seguito all'assassinio del fratello, testimone della lotta alle criminalita' organizzate. Nel 1995 divenne vicepresidente di Libera, associazione antimafia fondata da don Luigi Ciotti, di cui e' stata nominata presidentessa onoraria nel 2005. Con Libera ha contribuito in maniera determinante allíapprovazione delle legge 109/96 sull'uso sociale dei beni immobili confiscati alle mafie e sostiene attivamente il progetto Libera Terra. Dal 1992 e' impegnata attivamente nella societa' civile nel campo dell'educazione alla legalita' democratica, nel diffondere una cultura di giustizia e solidarieta', non solo per tener vivo il ricordo del fratello e di tutte le vittime della mafia, ma soprattutto perche' in particolare le nuove generazioni attraverso la conoscenza dei fatti acquistino consapevolezza dei propri diritti, del valore della legalita' e della democrazia, una coscienza critica e responsabile che, una volta adulte, consenta loro di fare scelte giuste e coerenti per il bene loro e della collettivita' nella quale sono chiamate a vivere. Dal 1994 assieme all'Arci Sicilia e in seguito con la collaborazione di Libera contribuisce all'ideazione e alla crescita dell'iniziativa della Carovana Antimafie, un'esperienza ormai di carattere internazionale che mira a "portare per tutte le strade" l'esperienza di un'antimafia propositiva che vuole incidere positivamente sulla realta' economica, sociale, amministrativa dei luoghi che attraversa stringendo intrecci solidali ed etici tra i cittadini, le istituzioni e le diverse realta' della societa' civile organizzata presenti sui territori. Dal 1998 e' presidentessa della 'Associazione Piera Cutino - guarire dalla talassemia', associazione senza scopo di lucro che promuove la ricerca medica contro la talassemia. Numerose sono state le sue iniziative contro le attivita' mafiose ed in favore dell'emancipazione delle donne. Tra le sue opere, impregnate proprio di questi temi, si ricordano Nonostante Donna. Storie civili al femminile (1996); La fatica della legalita' (1999); I ragazzi di Paolo. Parole di resistenza civile (2002); Fare memoria. Per non dimenticare e per capire (2003); Rita Borsellino - Il sorriso di Paolo (2005). Alla fine del 2005 si e' intensificato il suo impegno politico accettando la proposta, veicolata dalla coalizione di centrosinistra, di candidarsi alla presidenza della Regione Sicilia nelle amministrative della primavera 2006. La sua candidatura e' stata sancita dallo svolgimento di elezioni primarie (il 4 dicembre), nelle qualiha ottenuto il 66,9% dei consensi... E' sposata dal 1969 e ha tre figli". * Tre siti particolarmente utili: - Rita Borsellino Presidente: www.ritapresidente.it - Comitati per Rita Borsellino Presidente: www.comitatixrita.it - Rita-express: www.ritaexpress.it ============================== LA NONVIOLENZA CONTRO LA MAFIA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 5 del 27 maggio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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