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La nonviolenza e' in cammino. 1296
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1296
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 15 May 2006 00:24:09 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1296 del 15 maggio 2006 Sommario di questo numero: 1. Appello al Presidente della Repubblica affinche' il 2 giugno sia festa della Costituzione. Senza parata militare 2. Mao Valpiana: Dal convegno nazionale della Tavola della pace un'adesione unanime alla richiesta di abolire la sfilata militare il 2 giugno 3. Maria G. Di Rienzo: La pace dal seno di una madre 4. Guido Caldiron intervista Abdennour Bidar 5. Giuliana Turroni: Un convegno a Torino sull'islam laico 6. Marco Revelli presenta "Un paese migliore. Vita di Alessandro Galante Garrone" di Paolo Borgna 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA AFFINCHE' IL 2 GIUGNO SIA FESTA DELLA COSTITUZIONE. SENZA PARATA MILITARE [Riproponiamo l'appello scritto da Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) e sottoscritto gia' da numerose persone; invitiamo tutte le persone che ci leggono ad aderire all'iniziativa e a diffonderla ulteriormente] Signor Presidente della Repubblica, insieme ai nostri vivi auguri per il Suo alto compito, Le rivolgiamo una calda richiesta, che viene dal popolo della pace, di festeggiare il prossimo 2 giugno come vera festa della Costituzione, come festa del voto popolare che ha voluto la Repubblica e eletto la Costituente, e niente affatto come festa militare. Ammessa, per amore di dialogo, e non concessa la necessita' dell'esercito - che noi come tale discutiamo (tra esercito e polizia democratica la differenza e' essenziale, come tra la violenza e la forza, la forza omicida e la forza non omicida) - esso non e' assolutamente il simbolo piu' bello e vero della patria, non e' l'esibizione giusta per il giorno della festa della Repubblica: nell'ipotesi piu' benevola, e' soltanto una triste necessita'. La parata militare e' brutta tristezza e non e' festa. La parata delle armi non festeggia la vita e le istituzioni civili del popolo, non dimostra amicizia verso gli altri popoli, non e' saggezza politica. Non e' neppure un vero rispetto per chi, sotto le armi, ha perso la vita. Rispettando le diverse opinioni, e' un fatto inoppugnabile che l'esercito non ha avuto alcuna parte nell'evento storico del 2 giugno 1946, quando unico protagonista e' stato il popolo sovrano e l'azione democratica disarmata: il voto. Nella festa del 2 giugno l'esercito e' fuori luogo, occupa un posto che non e' suo. * Primi firmatari: Enrico Peyretti, Lidia Menapace, Anna Bravo, Giancarla Codrignani, Angela Dogliotti Marasso, Alberto L'Abate, Marco Revelli, Luigi Sonnenfeld, Gianguido Crovetti, Michela Vitturi, Patrizia Rossi, Alessandra Valle, Gennaro Varriale, Clara Reina, Enzo Arighi, Fabio Ragaini, Pasquale Pugliese, Nella Ginatempo, Stefano Longagnani, Martina Pignatti Morano, Ilaria Giglioli, Francesca Vidotto, Simone D'Alessandro, Carlo Corbellari, Franca Maria Bagnoli, Mario Signorelli, Lucia Ceccato, Nandino Capovilla, Maria G. Di Rienzo, Carlo Minnaja, Melo Franchina, Carmine Miccoli, Doriana Goracci, Mariagrazia Campari, Stefano Dall'Agata, Enea Sansi, Alfredo Izeta, Claudia Cernigoi, Michele de Pasquale, Antonio Sorrentino, Aldo e Brunella Zanchetta, Roberto Fogagnoli, Franco Borghi, Enza Longo, Annalisa Frisina, Alessandro Cicutto, Marcella Bravetti, Giuliana Beltrame, Giuliano Cora', Mariangela Casalucci, Mao Valpiana, Margherita Del Bene, Sergio Giorni, Claudia Marulo, Dario Cangelli, Carlo Ferraris, Danila Baldo, Gino Buratti, Marco Tarantini, Elisabetta Donini, Francesco Cappello, Donato Zoppo, Antonella Sapio, Franca Franchini, Franco Franchini, Francesco D'Antonio, Maurizio Campisi... * Per aderire all'iniziativa: scrivere lettere recanti il testo dell'appello al Presidente della Repubblica (all'indirizzo di posta elettronica: presidenza.repubblica at quirinale.it, ricordando che si deve firmare con il proprio nome, cognome e indirizzo completo, altrimenti le lettere non vengono prese in considerazione), e comunicare a "La nonviolenza e' in cammino" (e-mail: nbawac at tin.it) di avere scritto al Presidente. 2. INIZIATIVE. MAO VALPIANA: DAL CONVEGNO NAZIONALE DELLA TAVOLA DELLA PACE UN'ADESIONE UNANIME ALLA RICHIESTA DI ABOLIRE LA SFILATA MILITARE IL 2 GIUGNO [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] Naturalmente aderisco all'appello, e ieri [sabato 13 maggio - ndr], a Riccione, ho proposto alla Tavola della pace di scrivere un'analoga lettera al Presidente della Repubblica, chiedendo che il 2 giugno non venga fatta sfilare la parata militare. La proposta e' stata accolta all'unanimita' per acclamazione. 3. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: LA PACE DAL SENO DI UNA MADRE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] "Fiducia; azioni veloci ma accuratamente preparate; preghiera; essere umili e ordinari; mostrare empatia ed essere rispettosi e sinceri; ascoltare con il cuore; assumersi rischi, aggrappandosi alla speranza; essere umani: questi sono gli ingredienti della mia ricetta casalinga per costruire la pace". Umile lo e', Mary Okumu, ma ordinaria per niente: costruttrice di pace, esperta di salute pubblica, facilitatrice professionista per la risoluzione dei conflitti, formatrice alle istanze di genere, attivista per i diritti umani. E madre, e amica. Questa donna ha speso gli ultimi venticinque anni della sua vita lavorando per la pace ed i diritti umani in Sudan, Kenya, Uganda, Etiopia ed Eritrea. "La mia visione e' quella di un'Africa senza poverta', epidemie ed analfabetismo; un'Africa che possa prosperare e fiorire; un'Africa dove gli africani vivano in sicurezza e dignita' come risultato del loro lavoro e della loro autodeterminazione". Mary, kenyota, ha due lauree ed ha rivestito posizioni direttive in numerose organizzazioni, dall'Amref (Fondazione per la ricerca medica in Africa) al Forum africano per lo sviluppo. Attualmente e' la coordinatrice di "El-Taller Africa", un'organizzazione per i diritti umani con base in Tunisia. Nel 1999, con il sostegno di Unifem, questo gruppo preparo' il Tribunale africano delle donne, che si tenne in Kenya. Davanti alla corte testimoniarono 250 donne africane sopravvissute a violenze di ogni tipo. "Creare lo spazio pubblico e politico per le donne violate, che hanno potuto denunciare i crimini per nome, nelle loro proprie lingue, ricevere protezione e cura e rispetto, sono i fattori che hanno ripristinato in loro dignita' e autostima", racconta Mary Okumu. * Quando lavorava per l'Amref, ne cambio' le politiche semplicemente cominciando a domandarsi e a domandare "Perche'?". Perche' il numero dei decessi di donne e bambini era cosi' alto, e perche' cio' appariva accettabile, normale? Perche' non ci si accorgeva che lo stato della salute delle donne era legato in modo inestricabile alla loro marginalizzazione? Mary scrisse un rapporto al riguardo, ma poiche' esso non era stato vergato da un medico, il direttore generale dell'organizzazione ricevette un bel po' di pressioni affinche' i suggerimenti della donna, soprattutto quello che i professionisti sanitari fossero affiancati da altri consulenti, non venissero adottati. Il rapporto aveva pero' centrato il problema, e l'organizzazione, che per dodici anni aveva impiegato solo personale sanitario, comincio' a servirsi di antropologi, sociologi ed economisti. Mary divenne la responsabile della formazione di medici e infermieri, una formazione volta ad integrare la dimensione sociale della salute nel loro lavoro. "All'epoca", spiega Mary Okumu, "ne' i miei colleghi ne' io sapevamo che quello che stavamo facendo si chiamava mediazione, lavoro di collegamento, empowerment, avvocatura dei diritti umani. Ma piu' tardi le nostre tecniche divennero modelli per il cambiamento e la creazione di pace nelle comunita', sia a livello istituzionale sia a livello di base". * Ci sarebbe voluta un'altra esperienza perche' Mary cominciasse a definire se stessa "costruttrice di pace". Nel 1987, l'Amref la mando' in Uganda. Nel paese la sanita' pubblica era stata distrutta dalla guerra (1984-1986) e all'organizzazione era stato demandato il compito di ricostruirla. Mary fu assegnata al distretto di Lira, nel nord dell'Uganda, una regione in cui vi erano quasi esclusivamente donne e bambini che morivano di fame. "C'erano piccoli di tre o quattro mesi che non avevano mai assaggiato il latte delle loro madri, perche' le donne erano gravemente denutrite. Vivevano delle occasionali distribuzioni di cibo, distribuzioni che erano ostacolate dai gruppi di ribelli. Quando giunsi sul posto, io stavo allattando, ma avevo lasciato il mio figlioletto di sette mesi a casa, a Nairobi. Un giorno, per evitare che il ristagno di latte mi provocasse una mastite, mi ero messa in disparte per tirarne fuori un po'. Una donna mi si avvicino' per vedere che stessi facendo. Mi chiese di non gettare via il latte, ma di nutrire il suo bambino. Dopo un lungo momento di esitazione, acconsentii. Nel giro di pochi giorni, altre nove donne mi pregarono di nutrire i loro piccoli, nessuno dei quali aveva mai potuto accostare le labbra al seno della madre. Ho dato il latte a tutti questi bambini per i successivi dieci giorni. Fu cosi' che incontrammo l'intera comunita' dei dispersi, che ritorno' nel villaggio abbandonato. Prima non c'era quasi nessuno con cui parlare, avevamo a malapena potuto disegnare un quadro delle condizioni territoriali del distretto. Ora, piu' di duecento donne con bambini denutriti e morenti uscirono dai loro nascondigli per incontrarci". Fu questo evento a spingere Mary a lavorare piu' da vicino sui diritti umani, sullo sviluppo sostenibile e la trasformazione dei conflitti, istanze strettamente correlate alla costruzione della pace. "Il nutrire al seno quei bimbi nel distretto di Lira ha cambiato per sempre la mia vita. Fu una rude introduzione alle atrocita' che un essere umano puo'infliggere ad un suo simile. Per me, Lira divenne l'epitome di un disastro umano, ed un punto di svolta, il momento in cui riuscii a collegare lo stesso centro della mia esistenza al miglioramento della vita della donne. Il rapporto che i miei colleghi ed io redigemmo sul distretto dava conto delle morti lente e dolorose dei bimbi e delle loro madri. Naturalmente, mi si chiese di omettere la storia dei piccoli che avevo allattato, in quanto questione non abbastanza "tecnica", ma ormai ero diventata piu' abile nel maneggiare i conflitti basati sul genere. Avevo imparato che tali tensioni, propagate dall'ignoranza, dallo sciovinismo e dalla ristrettezza di vedute, si originavano spesso dalla paura. Cosi' presentai la storia scientificamente, aggiungendovi tabelle e statistiche, e dimostrando che se non fosse stato per il mio latte, quei bambini sarebbero morti. Diedi riconoscimento al fatto che le donne avevano parlato, e diedi riconoscimento a cio' che avevano detto, che era reale, onesto, urgente. Le loro parole mi insegnarono che c'erano modi di conoscere, di percepire e ascoltare, che forse erano migliori di quelli che usiamo abitualmente. Cominciai ad ascoltare con le orecchie del cuore, condividendo le preoccupazioni delle altre persone. Ho imparato in questo modo che, per ottenere fiducia, bisogna darne". 4. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA ABDENNOUR BIDAR [Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 maggio 2006. Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale, Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002. Abdennour Bidar, pensatore musulmano, e' docente di filosofia a Nizza. Tra le sue opere: Un Islam pour notre temps, Seuil, Paris 2004] Filosofo e musulmano. Abdennour Bidar, docente di filosofia a Nizza, e' uno dei protagonisti del dibattito che si e' aperto da tempo tra i musulmani europei intorno alla necessita' di una "riforma" dell'Islam. Autore di Un Islam pour notre temps, pubblicato da Seuil nel 2004 e di un "Manifeste pour un Islam europeen", che "Le Monde" ha proposto ai propri lettori nel febbraio dello scorso anno, Bidar e' tra gli ospiti del Festival di filosofia che si apre oggi all'Auditorium di Roma. Nell'ambito della kermesse romana, Bidar interverra' questa mattina a una tavola rotonda su "Islam e liberta' occidentali: il dialogo e le forme della paura", insieme a Umberto Galimberti, Eugenio Scalfari, Carlo Augusto Viano e Angelo Bolaffi. Domani il filosofo musulmano terra' invece la sua lezione magistrale dedicata alla "Presenza dell'Islam in Europa, fattore di instabilita'?". * - Guido Caldiron: In Un Islam pour notre temps lei si e' pronunciato in favore di un processo di riforma della fede musulmana. Ma su quali elementi concreti potra' fondarsi un tale rinnovamento? - Abdennour Bidar: Partirei da due elementi. Innanzitutto qui in Europa per il solo fatto che l'Islam vive una condizione di minoranza e si muove all'interno di Stati secolarizzati, "produce" dei musulmani educati secondo degli ideali e delle pratiche di tolleranza, di rispetto delle convinzioni altrui e in grado di costruire per se' una vera identita' personale - e di non muoversi soltanto dentro un'identita' collettiva o comunitaria come accade invece nei paesi musulmani. In questo senso, i musulmani d'Europa rappresentano gia' qualcosa di atipico: esprimono un modo di vivere l'Islam, e in modo piu' ampio di rifarsi alla cultura musulmana, molto diversificato e distante dalla norma islamica classica: pur mantenendo spesso - anche se non sempre - la loro fede in Allah, la loro pratica religiosa si e' "rilassata" e i loro costumi, il loro modo di vivere e la loro cultura sono divenuti europei o occidentali quanto e come quelli di altri gruppi sociali che vivono qui. L'altro elemento che puo' essere indicato, riguarda l'emergere di una corrente "riformatrice", costituita da intellettuali, che segue le evoluzioni di cui ho parlato fin qui e gli da' un senso, una legittimita' attraverso un lavoro di reinterpretazione del Corano in particolare e della tradizione religiosa piu' in generale. Questi intellettuali cominciano ad avere una certa audience, anche se le loro tesi si scontrano ancora con molte resistenze e con un certo scetticismo sia presso i musulmani che presso i non musulmani. Ma, deve essere chiaro a tutti come non si possa cambiare una religione in un solo giorno, ma nemmeno in dieci anni! Quindi credo che nemmeno l'Islam potra' riformarsi nello spazio di una sola generazione. * - Guido Caldiron: "Rifondare l'Islam alla luce dei Diritti dell'uomo". Sono parole sue, ma come crede che questo si potra' fare restando nel campo della religione? E se invece il percorso immaginato ci portera' fuori dallo spazio della fede, cosa sara' diventato l'Islam alla fine di questo percorso, una cultura, una filosofia o cos'altro? - Abdennour Bidar: Personalmente ritengo che i Diritti dell'uomo rappresentino prima di tutto il diritto individuale alla liberta': liberta' di credere o di non credere, liberta' di vivere come si vuole, nei limiti del rispetto degli altri. Ora, cio' che in Occidente si tende spesso a dimenticare, e' che questa liberta' possiede anche una dimensione spirituale, e non solamente sociale o politica: si puo' vivere liberamente la propria religione. Ebbene, nell'Islam si e' progressivamente perso di vista il fatto che questa liberta' spirituale rappresenta l'essenza stessa della nostra religione. Il Corano dice testualmente: "Nessun obbligo nella religione" e "C'e' per ciascuno di voi una direzione verso la quale volgersi". Sul piano concreto, cio' vuol dire che ciascun musulmano e' libero di scegliere di fronte alla propria responsabilita' spirituale. Invece di obbedire alla legge islamica (shari'a) in modo collettivo e cieco, seguendo passivamente la tradizione o i capi religiosi, ciascuno deve domandarsi individualmente: "Di cosa ho bisogno oggi per nutrire la mia fede?", e, ancora, "Ho bisogno di pregare cinque volte o una sola volta al giorno?", "Devo mangiare unicamente della carne halal?", e via dicendo. L'Islam deve diventare qualcosa che ha a che fare con la coscienza individuale, di ciascuno. Su un piano piu' generale, spetta a ogni individuo di cultura musulmana scegliere il modo in cui avvicinarsi o appartenere a questa stessa cultura: l'uno alla fede e alla pratica, l'altro alla fede senza la pratica, un altro ancora, totalmente al di fuori della religione puo' riconoscersi "di cultura musulmana" attraverso l'adozione di determinati costumi o il riferimento a specifiche radici. e cosi' via. Il mondo musulmano deve ormai accettare di guardarsi allo specchio: smettere di farsi illusioni sulla propria unita' e ammettere che non e' soltanto Islam, vale a dire religione, ma anche filosofia di vita, cultura/e, valori umanisti (onore, condivisione, ospitalita', famiglia, rispetto degli anziani, solidarieta' tra le generazioni), tutti elementi che non hanno nulla di specificamente religioso. * - Guido Caldiron: La Chiesa cattolica ha fatto per molti aspetti i conti con la modernita' attraverso il Concilio Vaticano II. I risultati di quella svolta, che si sono fatti sentire fino ad oggi, sono dovuti all'autorita' che la Chiesa ha sui fedeli del cattolicesimo. In assenza di una simile autorita' centrale, e di alcuna Chiesa, qual e' l'autorita', se ne esiste una, che potra' proporre qualcosa di simile ai fedeli musulmani? - Abdennour Bidar: Credo sia inutile continuare a cercare un'autorita' centrale, sul modello del cristianesimo, nel campo musulmano. L'Islam e' per la sua stessa essenza individuale, personale. "Ogni essere ha il proprio ruolo", spiega il Corano. Non esiste, all'interno dell'Islam, alcuna autorita' legittima che possa imporre a tutti i musulmani del mondo un sedicente "vero Islam". Il "clero" islamico, rappresentato prima di tutto dai wahabiti che custodiscono i luoghi santi della Mecca e di Medina e tutti i presunti capi religiosi (esperti in scienze religiose, imam, mollah, rettori delle grandi universita' islamiche e via dicendo) non hanno alcun diritto di considerare la loro visione dell'Islam come un modello. Tentano di imporre un Islam conservatore, intollerante, spiritualmente imperialista visto che si proclama la sola vera religione. Intanto, pero', le masse musulmane si stanno diversificando, e questo malgrado le rivoluzioni conservatrici che hanno luogo qua e la' e che sembrano indicare una tendenza contraria. L'Islam sta conquistando la propria diversificazione interna, e sta facendo di questa molteplicita' una forza spirituale considerevole: in un mondo in cui tutto sta diventando multiplo, diverso, nel quale tutte le differenze si esprimono e le societa' evolvono in senso sempre piu' multiculturale, il futuro spirituale sara' appannaggio delle religioni che saranno in grado di aprirsi a questa diversita', diversita' che inoltre dona loro un senso spirituale profondo. Un passo che l'Islam puo' fare, anche in virtu' del fatto che questa religione considera che "Ogni giorno Allah appare sotto una nuova forma", come dice il Corano. Detto in altri termini, la diversita' del mondo e degli uomini e' l'espressione dello scintillio infinito della Luce di Allah e ogni vita, umana e naturale, deve essere rispettata perche' e' una manifestazione della Grande Via di Allah, chiamato nel Corano il Vivente (al Hayy). * - Guido Caldiron: Come ha spiegato nel "Manifeste pour un islam europeen", pubblicato su "Le Monde" nel febbraio dello scorso anno, lei e' convinto che il futuro di questo nuovo Islam si giochi in Europa. In questa prospettiva, come valuta le diverse esperienze di rappresentanza istituzionale dei musulmani, sorte nei paesi del vecchio continente? - Abdennour Bidar: Gli Stati europei hanno bisogno di interlocutori certi per dare risposte ai problemi e alle aspirazioni dei musulmani che vivono qui - e eventualmente per controllarli politicamente... Ma questi diversi "Consigli rappresentativi" sorti in questi ultimi anni, non rappresentano in realta' granche': non rappresentano che una sensibilita' musulmana tra le altre e fanno spesso gli interessi di questo o quel paese musulmano (Algeria, Marocco, Turchia, ecc.), piuttosto che quelli degli stessi musulmani europei. L'Islam reale evolve in realta' in larga misura al di fuori di queste strutture. * - Guido Caldiron: A Roma, nell'ambito del Festival della filosofia, lei parlera' tra le altre cose di "Islam e liberta' occidentale". Conosciamo bene le paure dell'Occidente verso il mondo islamico, ma i musulmani, dal canto loro, cosa temono del nostro mondo? - Abdennour Bidar: L'Islam ha paura perche' coltiva ancora in se' il fantasma dell'unita' - una sola religione vera, un solo modo di essere musulmano, una solo modo retto di vivere - in un mondo sempre piu' multiplo e aperto. Ma ha, in realta', soprattutto paura di se stesso, perche' comprende che questa diversita' e' gia' in lui. E si manifesta in due modi. Tra gli stessi musulmani, prima di tutto, che appartengono a un'infinita' di popoli diversi, a diverse societa', tribu', etnie e culture e che sono presenti in tutti i continenti e che in ogni luogo vivono degli islam molto diversi tra loro. L'altra manifestazione di cio' viene dall'essenza stessa dell'Islam che, come ho spiegato, e' la religione del multiplo: Allah, il nome di Dio, non designa una sola persona e sempre la stessa, ma l'insieme di tutti gli esseri. Nel Corano e' definito con novanta nomi diversi: e' "il comparente" come "l'invisibile", "l'interno" come "l'esterno". Chi non e' dunque e in chi non vive? Noi musulmani dobbiamo ora accettare tutte le differenze che esistono tra noi e con tutti gli altri uomini, credenti o atei che siano, e considerarli tutti uguali a noi - proprio perche' sono altrettanti volti di Allah. La liberta' e l'uguaglianza non sono soltanto dei principi politici, ma nell'Islam rappresentano i fondamenti stessi della nostra comprensione spirituale del mondo. 5. RIFLESSIONE. GIULIANA TURRONI: UN CONVEGNO A TORINO SULL'ISLAM LAICO [Dal quotidiano "Liberazione" del 12 maggio 2006 riprendiamo il testo dell'introduzione di Giuliana Turroni al convegno sull'Islam laico che si e' svolto quello stesso giorno a Torino. Giuliana Turroni e' docente di Storia e istituzioni del mondo musulmano all'Universita' di Torino] Oggi l'islam non e' piu' una realta' lontana ed estranea: la terra si e' fatta piu' piccola, e cio' che avviene in una singola localita' puo' avere enormi ripercussioni a livello mondiale; inoltre l'immigrazione dai paesi musulmani ha portato l'islam nel cuore dell'Europa. Eppure, nonostante i contatti siano sempre piu' ravvicinati, la conoscenza reciproca cede il passo a rappresentazioni caricaturali fondate sull'idea di un'irriducibile e inconciliabile diversita': da un lato l'Europa e gli Stati Uniti considerano la religione islamica causa dell'arretratezza e dell'intolleranza delle societa' musulmane; parallelamente, queste ultime puntano il dito contro il materialismo occidentale, che ritengono la causa della perdita dei valori e della decadenza morale dell'Occidente. Gli uni rappresentano gli altri come entita' statiche, incapaci di cambiamento. Si tratta evidentemente di una visione ideologica che non corrisponde alla realta', ma che e' in grado di influenzarla, agendo, come in un gioco di specchi deformanti, sull'autorappresentazione di se' che ciascuno rinvia all'altro. Quanto sia riduttivo parlare di Occidente risulta chiaro non appena si cerca di individuarne gli elementi caratterizzanti: e' a questo punto che emergono le enormi differenze tra i paesi, come tra le regioni e tra i singoli individui; basti pensare, per quanto riguarda l'Europa, al disaccordo nell'individuarne i principi costitutivi, come dimostra l'acceso dibattito sulle radici cristiane. Cosi', e' piu' pertinente parlare di societa' islamiche al plurale, che non di mondo musulmano in generale; infatti, tra paesi che si definiscono allo stesso titolo islamici, le differenze storiche, sociali e culturali superano le somiglianze, come risulta chiaro se proviamo ad accostare l'Albania all'Indonesia, o il Marocco all'Afghanistan. Trattare di islam in generale non aiuta dunque la comprensione di una realta' complessa e in continuo mutamento. Le societa' islamiche di oggi sono assai diverse da quel che erano solo trent'anni fa, quando l'identita' si declinava non tanto in riferimento all'appartenenza confessionale, quanto a quella nazionale, e ad accendere gli animi non erano gli ideali religiosi, ma quelli secolari. Attribuire all'islam un carattere monolitico e immodificabile contribuisce ad alimentare l'ostilita' tra fronti contrapposti. Lo stesso avviene quando da parte musulmana si guarda con timore e sospetto alla contaminazione con la cultura occidentale. In questo caso sono i musulmani a dimenticare come la loro stessa cultura non si sia formata tutta in una volta e una volta per sempre, ma sia invece il frutto del contatto e dell'appropriazione, nel corso della storia, di culture differenti, quali quella persiana, greca, romana e bizantina, che sono anche alla radice della cultura europea, e che la stessa religione musulmana si inserisce, per sua stessa ammissione, nel solco del monoteismo ebraico e cristiano. * Oggetto del convegno e' il rapporto tra islam e laicita'. Si tratta di due nozioni complesse che vanno analizzate separatamente e in combinazione tra loro. Le questioni sollevate saranno affrontate con un approccio interdisciplinare, che tenga conto dei molteplici aspetti teorici, giuridici, storici e sociali. Le domande che ci poniamo sono: esiste veramente nell'islam un nocciolo duro e immodificabile, che consiste nel preteso intreccio tra religione e politica? Che cosa si intende con il termine laicita'? E' pensabile un islam laico? Si tratta di un ossimoro o di una realta' che ha avuto precedenti storici? Puo' costituire una prospettiva per il futuro? Qual e' il ruolo dei musulmani d'Europa per l'affermazione e la diffusione, anche nei paesi islamici, di un dibattito sull'argomento? L'Europa puo' contribuire a favorire lo sviluppo dell'islam in questa direzione? * Nella prima sessione del convegno, "Teoria e diritto", si affronteranno i nodi del dibattito teorico sulla laicita' all'interno dell'islam; questo principio, inteso come separazione della politica dalla religione, si puo' rintracciare tanto nella storia quanto nel pensiero musulmano (G. Turroni). Particolare attenzione verra' dedicata alla Turchia, in primo luogo perche' e' il paese musulmano che ha recepito piu' profondamente il principio della laicita'; in secondo luogo a causa della controversia sul suo ingresso nell'Unione Europea, che solleva, all'interno dei paesi europei, questioni non solo economiche e politiche ma anche culturali e religiose (S. Vaner). Il diritto ha poi un'importanza essenziale se si cerca di comprendere quale rapporto intercorra nell'islam tra religione e politica; l'applicazione della legge sacra costituisce infatti uno degli argomenti principali della propaganda islamista, ma anche un principio generale di cui i governanti musulmani si servono per la legittimazione del proprio potere (R. Aluffi). Dal canto suo, l'Europa si trova di fronte a nuovi problemi di ordine giuridico: le crescenti diversita' culturali e religiose pongono infatti la questione dei diritti, secondo modalita' che costringono a ripensare principi fondamentali come la tolleranza, la liberta', la democrazia, e la laicita' (S. Ferrari). * La seconda sessione, "Societa' e storia", riprende la questione della democrazia: quale tipo di democrazia e' concepibile oggi per il mondo musulmano? quali mutamenti politici e sociali consentono di affermarla e di consolidarla (R. Guolo)? Lo sguardo socio-politico torna poi a focalizzarsi sulle societa' europee, nel tentativo di capire se qui la crisi dello Stato laico sia determinata dalle religioni in se', e in particolare dall'islam, oppure dalle nuove forme di religiosita', e se non siano piuttosto queste a costituire il vero problema politico del mondo contemporaneo (O. Roy). Infine, verra' preso in considerazione il subcontinente indiano come esempio storico, rappresentativo da un lato di una forma di islam caratterizzata da una forte tradizione laica e dall'altro di come questa tradizione sia stata offuscata dalle politiche coloniali a partire dal XIX secolo (M. Torri). * A conclusione della giornata, ci auguriamo che l'osservazione incrociata dai diversi angoli prospettici possa contribuire alla sostituzione almeno parziale degli specchi deformanti con altri, che riflettano piu' fedelmente la realta'. Potremo ritenerci soddisfatti se saremo riusciti a mettere in luce le contraddizioni e le ambiguita' interne ai singoli sistemi socio-culturali e a mostrare come questi siano meno lontani e diversi gli uni dagli altri di quanto non si creda. 6. LIBRI. MARCO REVELLI PRESENTA "UN PAESE MIGLIORE. VITA DI ALESSANDRO GALANTE GARRONE" DI PAOLO BORGNA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 maggio 2006. Marco Revelli, storico e saggista, figlio di Nuto Revelli, e' docente di scienza della politica all'Universita' del Piemonte Orientale. Opere di Marco Revelli: Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1989; (con Giovanni De Luna), Fascismo/antifascismo, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1995; Le due destre, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, Torino 1997; Fuori luogo, Bollati Boringhieri, Torino 1999; Oltre il Novecento, Einaudi, Torino 2001; La politica perduta, Einaudi, Torino 2003; (con Fausto Bertinotti e Lidia Menapace), Nonviolenza. Le ragioni del pacifismo, Fazi, Roma 2004; Carta d'identita', Intra Moenia - Carta, Napoli-Roma 2005. Ha anche curato l'edizione italiana del libro di T. Ohno, Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino 1993; un suo importante saggio e' in Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995. Paolo Borgna, torinese, e' magistrato e storico. Opere di Paolo Borgna: (a cura di), Alessandro Galante Garrone, Il mite giacobino. Conversazione su liberta' e democrazia raccolta da Paolo Borgna, Donzelli, Roma 1994; (con Margherita Cassano), Il giudice e il principe. Magistratura e potere politico in Italia e in Europa, Donzelli, Roma 1997; (a cura di), Piero Fassino, Sicurezza e giustizia. Conversazione con Paolo Borgna, Donzelli, Roma 2001; (con Marcello Maddalena), Il giudice e i suoi limiti. Cittadini, magistrati e politica, Laterza, Roma-Bari 2003; Un Paese migliore. Via di Alessandro Galante Garrone, Laterza, Roma-Bari 2006. Alessandro Galante Garrone, nato a Vercelli nel 1909, scomparso nel 2003, magistrato, partigiano, docente universitario, storico. Scrivemmo di lui su questo foglio in occasione del decesso nel 2003: "Dei piu' grandi maestri di vita civile che l'Italia abbia avuto, Alessandro Galante Garrone era uno dei piu' grandi. Uomo della Resistenza, magistrato, storico, limpido e strenuo difensore dei valori della civilta', del rigore morale e intellettuale, della dignita' umana, del buono e del vero cultore, sollecito sempre del pubblico bene, fraterno con tutti e generoso sempre. Ed avversario sempre alla menzogna e alla sopraffazione, nemico sempre e per sempre di ogni violenza ed oltraggio e degradazione. Una persona civile, una persona buona, un nostro maestro". Opere di Alessandro Galante Garrone: Buonarroti e Babeuf; Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento; Gilbert Romme. Storia di un rivoluzionario; I radicali in Italia. 1849-1925; Cavallotti; Salvemini e Mazzini; I miei maggiori; Padri e figli; Calamandrei; L'albero della liberta'. Dai giacobini a Garibaldi; Amalek: il dovere della memoria; Liberta' liberatrice; Un affare di coscienza; L'Italia corrotta. 1895-1996. Opere su Alessandro Galante Garrone: Paolo Borgna, Un Paese migliore, Laterza, Roma-Bari 2006. Dal sito www.torinoscienza.it/accademia riprendiamo la seguente scheda biografica a cura di L. Guerci: "Alessandro Galante Garrone, 1909 - 2003. Fu magistrato per un trentennio, dedicandosi al tempo stesso agli studi storici. Nel 1969 divenne professore ordinario di Storia del Risorgimento nell'Universita' di Torino. Esponente della cultura laica e democratica torinese. Nato a Vercelli nel 1909, si laureo' nel 1931 presso la Facolta' di Giurisprudenza con Federico Patetta, ma i suoi veri maestri furono Gioele Solari e Francesco Ruffini, piu' volte ricordati nei suoi scritti. Entrato in magistratura nel 1933, esercito' la funzione di magistrato per trent'anni, coltivando al tempo stesso gli studi storici. Durante la Resistenza rappresento' il Partito d'Azione nel Comitato di liberazione del Piemonte. Il suo primo libro fu Buonarroti e Babeuf (1948), dedicato a Franco Venturi; segui' nel 1951 il fondamentale lavoro Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento, 1828-1837 (II edizione 1972). Studio' la storiografia rivoluzionaria e curo' la traduzione e l'introduzione de L'Ottantanove di Georges Lefebvre (1949), cosi' come di La Rivoluzione di Edgar Quinet (1951; splendido il saggio introduttivo). Fece parte della Societe' des etudes robespierristes e intrattenne rapporti con i piu' importanti storici della Rivoluzione francese, da Georges Lefebvre a Albert Soboul, a Richard Cobb. Del 1959 e' la biografia di Gilbert Romme (Gilbert Romme. Storia di un rivoluzionario, con prefazione di Georges Lefebvre; traduzione francese 1971), frutto di lunghe ricerche. Sul personaggio torno' in anni successivi. Professore incaricato dal 1953-'54 presso la Facolta' di Giurisprudenza dell'Ateneo torinese, poi vincitore, nel 1965, di concorso a cattedra, insegno' a Cagliari, e nel 1969 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Storia del Risorgimento presso la Facolta' di Lettere dell'Universita' di Torino. Nel secondo dopoguerra divenne uno dei punti di riferimento della cultura laica e democratica torinese, in fecondo sodalizio con Norberto Bobbio e Franco Venturi. Sia sul piano dell'attivita' scientifica sia su quello delle scelte etico-politiche due dei suoi ispiratori furono Adolfo Omodeo e Gaetano Salvemini. Di Salvemini si occupo' in libri appositi (Salvemini e Mazzini, 1981; Zanotti-Bianco e Salvemini. Carteggio, 1983), e a lui riservo' ampio spazio nel volume I miei maggiori (1984). Altro maestro fu Piero Calamandrei, largamente presente in I miei maggiori e in Padri e figli (1986), nonche' oggetto di una monografia nel 1987. Studioso espertissimo della tradizione democratica italiana, in cui si sentiva inserito, pubblico' i volumi I radicali in Italia, 1849-1925 (1973) e Felice Cavallotti (1976). Occorre altresi' segnalare L'albero della liberta'. Dai giacobini a Garibaldi (1987), raccolta di contributi apparsi nell'arco di molti anni. Preziosa testimonianza della sua personalita' e delle sue idee e' Il mite giacobino. Conversazione su liberta' e democrazia raccolta da Paolo Borgna (1994)"] Questo bel libro di Paolo Borgna sulla vita e il pensiero di Alessandro Galante Garrone non poteva avere titolo piu' giusto: Un Paese migliore (Laterza, pp. 480, 26 euro). Non solo perche' un'Italia diversa da quella in cui gli e' toccato di vivere, piu' giusta e piu' degna, era l'obiettivo e il desiderio di "Sandro" e di quelli come lui. Ma anche perche' la sua vicenda individuale disegna davvero la biografia collettiva di un'altra Italia, cosi' lontana e per molti versi contrapposta a quella che ancor oggi continua a prevalere, e tuttavia non meno tenace e reale. E' il resoconto di una vita che corre diritta attraverso tutto il secolo - e quale secolo -, a testa alta, tagliandone con coerenza i nodi. Affrontandone con responsabilita' le minacce e le sfide. Ed e' insieme la storia di un'Italia - d'elite, certo, minoritaria, ma non per questo meno radicata nel nucleo storico profondo della formazione della nazione -, che a partire dall'originario liberalismo di stampo risorgimentale, ne' autoritario ne' notabiliare, e' costretta a misurarsi con lo sconvolgimento dei tempi nuovi, con la torsione della precedente idea di nazione in nazionalismo aggressivo, e poi con la vergogna dell'esperienza fascista, e la ferocia di due guerre mondiali, ritrovando nuove ragioni d'impegno - la Resistenza, in primo luogo. Nuovi valori: la Giustizia, in particolare la giustizia sociale, inevitabile corollario della Liberta'. E nuove passioni: la Democrazia, da interpretare con intransigente determinazione. Un'Italia, insomma, che non si deve vergognare del proprio Novecento. * In questa biografia ideale un ruolo di primo piano lo dovettero giocare, senza dubbio, le radici familiari. La sobria solidita' di quella famiglia di "contadini e professori", in cui si era educati alla durata degli affetti e alla religione del dovere. E in cui un segno indelebile era stato lasciato dalla morte in guerra dei due zii materni (i fratelli Garrone, partiti volontari e caduti entrambi, decorati con la medaglia d'oro), simbolo del prezzo da pagare alla propria responsabilita' storica. Ma non meno importante fu l'ambiente torinese del tempo, soprattutto quello universitario, dove era ancor viva la memoria di Piero Gobetti (morto in esilio, pochi anni prima, nel 1926, a Parigi). E dove impartivano le proprie lezioni di civilta' maestri come Francesco Ruffini (uno dei tredici che non giurarono), Gioele Solari, Luigi Einaudi, Mario Carrara (un altro che non giuro'). Li' si stringono i primi nodi di una rete di amicizie destinate a durare tutta la vita, con uomini (allora ragazzi) come Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco, Aldo Garosci, a cui si aggiungeranno via via Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Franco Venturi... Un gruppo coeso, socialmente omogeneo, con gusti, letture, esperienze condivise, per cui l'antifascismo era un fatto esistenziale prima che un'opzione politica. Una dimensione di vita prima che una scelta ideologica. Del fascismo li infastidiva tutto: le buffonate del sabato, che li distoglievano dallo studio e dalle letture preferite, la volgarita' del linguaggio, l'ignoranza dei gerarchi e dei gregari. Opporsi, trasgredire, prendere le distanze era piu' un modo per difendere la propria dignita' che non la dichiarazione di un'appartenenza politica: "Loro non amano la 'volgarita' studentesca' e il 'solito servilismo' che serpeggia tra i giovani fascisti. Mentre i coetanei cantano Giovinezza, loro scoprono e leggono tutto d'un fiato Ibsen. Discutono sulle Confessioni di Sant'Agostino. Studiano la democrazia inglese e si scambiano i libri di William Gladstone. Divorano, appena uscito, A l'Ouest rien de nouveau di Remarque... Loro sono fuori dal gregge. E se ne compiacciono: fuori dal gregge stanno benissimo". Li troviamo cosi' (i due fratelli Galante Garrone, Sandro e Carlo, Giorgio Agosti, Livio Bianco, Ludovico Geymonat, un figlio di Einaudi, Mario...) nel gruppo che nell'ottobre del 1928 difese Ruffini dall'aggressione di un manipolo di camicie nere che non gli avevano perdonato la denuncia ex cathedra delle leggi liberticide. Li ritroviamo ancora, nella prima meta' degli anni Trenta, tutti piu' o meno implicati nella rete clandestina di "Giustizia e Liberta'" torinese (alcuni piu' strettamente, cosi' da essere costretti all'esilio come Garosci, o al carcere come Foa, altri in posizioni per ora piu' periferiche come i Galante Garrone o Norberto Bobbio). E quando verranno prima la guerra, poi il 25 luglio e l'8 settembre, e il momento delle scelte, l'entrata nella Resistenza appare un passaggio naturale, un esito scontato. Allora quella rete amicale, si trasformera' in una straordinaria macchina al servizio della guerra partigiana, con Livio sulle montagne del cuneese, "in banda", e Giorgio Agosti in citta', a tessere le fila della cospirazione, e "Sandro" in Tribunale a organizzare la latitanza dei ricercati, preparare documenti falsi, ricevere staffette e portaordini sotto la copertura di Presidenti di Corte d'Appello amici e con l'appoggio di giudici complici. L'insurrezione di Torino sara' "il capolavoro" di quella generazione (cosi' lo definisce Borgna). La Liberazione sara' il momento alto, e irripetibile, in cui per un breve istante l'"altra Italia" - minoritaria, sommersa - sovrappose il proprio profilo a quello della nazione: ne interpreto' - per un frammento temporale - l'identita' storica. E tuttavia quel modello politico-culturale non esauri', allora, il proprio ruolo. Ha continuato, a lungo, a lavorare, sottotraccia, nella vicenda italiana. * Mi sono chiesto piu' volte in che cosa consistesse il suo nucleo profondo. Quale fosse il segreto di quella cultura politica che - con un qualche schematismo - viene ricondotta al ruolo e all'esperienza del Partito d'Azione (dell'"azionismo"). E mi pare di poter concludere che esso consiste in quel particolare intreccio tra pratica personale e visione pubblica, tra vita vissuta e valori politici, che in un uomo come Alessandro Galante Garrone e' particolarmente evidente. Egli e' - il libro lo mostra assai bene - di quelli che hanno fatto della propria vita un manifesto politico o, forse meglio, civile: nel senso che ha interpretato un tipo umano in cui il privato costituisce, al tempo stesso, un esempio pubblico. In cui cioe' la propria vita personale e' vissuta con il rigore, la sobrieta' e la vigilanza su di se' di chi sa di essere giudicato storicamente: di essere portatore anche nella propria dimensione privata, di una responsabilita' pubblica. E' il concetto che esprime Piero Calamandrei quando a proposito di Ferruccio Parri scrive che "la politicita' di Parri faceva tutt'uno con la sua moralita' di uomo". O che comunica Giorgio Agosti quando dichiara che "Parri e' l'unico uomo per cui ci si puo' non vergognare di essere italiani". Il che non e' "moralismo" (come il cinismo machiavellico di destra e di sinistra tenta di liquidarlo). E', al contrario un modello di agire politico che intende lavorare non solo sulla dimensione superficiale del potere ma su quella piu' profonda dei fondamenti antropologici - su quella che un tempo si chiamava la sfera dell'eticita'. E che per questo non misura il proprio valore sul successo immediato, ma guarda lontano. Con l'occhio del precursore. O del seminatore. Si spiega cosi' - con questa attualita' inattuale di quella cultura - l'accanimento con cui, di recente, essa e' stata aggredita. Il tentativo di damnatio memoriae che figure come Galante Garrone, ma anche Bobbio e in generale l'azionismo hanno subito dal cosiddetto fronte revisionista e in particolare di quel bell'esempio di teppismo culturale incarnato da "Il Foglio": perche' lo sdoganamento dell'Italia peggiore, con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, presupponeva necessariamente la liquidazione di quell'antropologia alternativa. E il trionfo della vecchia "autobiografia della nazione" richiedeva, per compiersi, la sterilizzazione della nostra identita' da ogni traccia di virtu' civili. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1296 del 15 maggio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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