La nonviolenza e' in cammino. 1264



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1264 del 13 aprile 2006

Sommario di questo numero:
1. Lea Melandri: Questa volta niente saldi
2. Giovanna Providenti: Il sapere attinto dal pozzo
3. Danilo Zolo: Le stragi umanitarie
4. Rossana Rossanda: Siamo ciechi
5. Severino Vardacampi: Alcune minime postille al testo che precede
6. Mohandas K. Gandhi: Se
7. Letture: Claudio Tugnoli, Perche' la violenza
8. Riedizioni: Niccolo' Machiavelli, Opere
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: QUESTA VOLTA NIENTE SALDI
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo questo intervento apparso sulla
rivista on line "Golem. L'indispensabile" di marzo 2006. Lea Melandri, nata
nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista
"L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata
nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di
Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba
voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il
sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli
1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

In occasione di una scadenza elettorale, la politica viene ad occupare anche
per il piu' distratto dei cittadini un posto non trascurabile nell'ordine
dei suoi pensieri. Dai muri delle citta', volti sorridenti e accattivanti di
candidati elargiscono speranze, promesse, riconoscimenti, protezione,
soddisfazione di bisogni e desideri. Alcuni si sono visibilmente fatti
stirare le rughe per cancellare, oltre ai segni del tempo, il dubbio che la
politica porti con se', inconfessabili, le ombre di un potere millenario.
La trasparenza e l'inganno, la levigatezza e la rugosita', il sorriso e la
smorfia, la solidarieta' e l'arroganza, confuse nella magia di una foto
costruita ad arte, fanno dimenticare confini, distanze, divaricazioni che
tutti conoscono e a cui hanno dovuto ogni volta faticosamente adattarsi. Si
dimentica persino, incrociando le fattezze morbide e sensuali di un primo
piano femminile, che la polis e' tutt'ora saldamente in mano a una
genealogia di padri e di figli, sempre meno certi di essere il prototipo
unico, universale e piu' compiuto della specie, ma non per questo disposti a
cedere privilegi e a deporre la maschera di una falsa neutralita'.
Dai segretari dei partiti dell'Unione ci si sarebbe aspettato almeno un
segno, una battuta, un cenno di consapevolezza: "Si', lo sappiamo: siamo
solo maschi e nel voluminoso programma che vi presentiamo le donne sono un
dettaglio trascurabile, un 'soggetto sociale' accanto ad altri, debole,
svantaggiato e bisognoso di protezione; le donne sono sempre e comunque il
baluardo della famiglia, le madri a cui non devono mancare asili nido,
sostegni per gli anziani affidati alle loro cure, congedi parentali adeguati
perche' possano continuare il lavoro in casa e fuori". Ma non c'e' stato
neppure questo, per una sinistra che teme sopra ogni cosa il venir meno di
una ritrovata traballante "unita'", ma che sembra cieca e indifferente di
fronte alla divisione sempre piu' vistosa tra uomini e donne che passa al
suo interno.
*
Negli ultimi mesi, le piazze di tre grandi citta' italiane, Milano, Roma e
Napoli, si sono riempite di donne di ogni eta' e appartenenza: femministe
impegnate da oltre trent'anni in gruppi, associazioni; donne singole
richiamate da una comune diffusa insofferenza per tutti i pulpiti, religiosi
e laici, che parlano e decidono ogni giorno per loro e su di loro; donne che
nella vita di un partito o di un sindacato hanno visto ricomparire e
consolidarsi antichi ruoli familiari. Confusi, ma non tanto da non essere
visti, molti uomini chiamati non "a dare solidarieta'" ma a "ripensarsi"
nell'appartenenza a un sesso, a una storia che porta ancora i segni del
dominio millenario dei loro simili. Non era difficile capire che, se era
bastato un breve "messaggio in bottiglia", mandato inizialmente a poche
amiche, per fare uscire dalle case piu' di trecentomila persone, non era
certo solo per la difesa della legge 194 e di alcune essenziali liberta'
individuali, minacciate dal risveglio di religioni aggressive e
integraliste.
Nessuno sottovaluta il pericolo di arretramento culturale e politico che
puo' venire da una Chiesa che pretenda di dettare legge ai parlamenti e di
riportare l'intero ciclo della vita, dalla nascita alla morte, sotto il
controllo di una verita' assoluta, rivelata. E' noto che questo controllo le
caste sacerdotali di ogni tempo e luogo lo hanno esercitato prioritariamente
sulla sessualita' e sul potere generativo della donna.
Ma cio' che oggi viene allo scoperto in modo inequivocabile e' la connivenza
tra Chiesa e Stati, che si vorrebbero costituzionalmente laici e
democratici, quando si tratta di legiferare sulle cosiddette "questioni di
vita".
Dal momento in cui sono entrati nella vita pubblica, oltrepassando la
barriera del pudore e della privatezza, e' stato piu' facile accorgersi che
corpo, sessualita', rapporto uomo-donna, non sono mai usciti dall'orbita dei
poteri che si sono imposti sulla scena del mondo, piu' facile capire quanto
la loro presenza/assenza abbia contribuito a configurare la fisionomia delle
civilta', il cammino della storia, delle sue istituzioni, dei suoi saperi e
linguaggi.
*
Il "triste fratello", scriveva Sibilla Aleramo all'inizio del '900, si e'
condannato ad essere "solo" "ad evolvere, godere, combattere" nella vita.
Oggi la meta' del mondo, che ha creduto di essersi lasciato alle spalle,
chiuso nelle case insieme alla sua infanzia, ai suoi affetti e ai suoi
bisogni primari, gli sta invece attorno, lo preme dall'interno delle ferree
norme che ha dato al suo vivere sociale, lo chiama a un confronto di valori
e di esperienze. Cio' nonostante, contro ogni prevedibile aspettativa, e'
sempre un sesso a parlare e a decidere per l'altro.
Oggetto del discorso, della volonta' e del potere decisionale di altri, le
donne lo sono diventate nell'atto stesso fondativo della politica, intesa
come luogo riservato a una comunita' storica di uomini, depositari unici di
una umanita' compiuta e, in quanto tali, autolegittimati a decidere sul
destino dell'altro sesso. Sull'esclusione/inclusione del primo essere
diverso che il maschio incontra nascendo, si e' costruita la civilta', i
suoi saperi, le sue istituzioni; si sono definite le forma molteplici che
hanno preso di volta in volta il dominio, la violenza, lo sfruttamento, la
guerra, tutti visibilmente imparentati con l'amore-odio per il diverso e con
la logica contrappositiva: maschile/femminile, amico/nemico, Bene/Male,
civilta'/barbarie, ecc.
*
E' per questo che anche quando si e' conquistata la scena pubblica, ottenuto
l'accesso alle sue istituzioni e ai suoi poteri, se non si opera una
trasformazione dei ruoli sessuali, dei modelli di genere interiorizzati, dei
pregiudizi, degli stereotipi che passano quasi invariati da una generazione
all'altra, la scala dei valori, delle competenze, dei poteri, messa in opera
dal patriarcato, resta sostanzialmente la stessa, e alla donna, "liberto
della societa' moderna, tollerato ma non eguagliato a noi, orfano raccolto
per la via, che vive coi membri di una famiglia senza farne parte
integrante" - come scriveva a fine '800 Paolo Mantegazza - non resta che
affannarsi per diventare, al massimo, un "uomo-femmina", completamento
femminile del maschio.
Irrinunciabile diventa percio' che venga ripensata alla radice la
collocazione che la politica da sempre ha riservato alla donna: soggetto
esterno/estraneo al "contratto sociale", vincolato alla funzione
riproduttiva, individualita' imperfetta e percio' costretta a vivere della
relazione con l'altro: moglie-di, madre-di, figlia-di. E' necessario,
perche' si possa ripensare la convivenza tra uomini e donne, uscire dalla
logica che ha trasformato l'esito di un rapporto nella questione specifica
di un sesso solo - la questione femminile - permettendo in questo modo
all'uomo di sentirsi non implicato, non responsabile in vicende come
l'aborto, la maternita', la cura dei figli e degli anziani.
Le donne che hanno manifestato cosi' vistosamente a Milano, Roma e Napoli la
loro volonta' di "uscire dal silenzio" e di decidere autonomamente dei loro
corpi e della loro vita, non nascono oggi alla vita pubblica; hanno dietro,
per la consapevolezza nuova di cui sono portatrici, piu' di un secolo di
storia, e davanti, purtroppo, una comunita' di uomini ancora tenacemente
aggrappati a paure, pregiudizi e privilegi antichi.
Il movimento delle donne, oggi come trent'anni fa, non chiede che si
allarghino le maglie della citta', affinche' si compia la loro piena
integrazione, ma pone - Cassandra inascoltata - la necessita' che si
riconoscano somiglianze sempre piu' evidenti tra logiche d'amore e logiche
di guerra, tra conservazione di se' e distruzione dell'altro, tra modi della
politica e modelli di produzione e consumo; preme perche' si rileggano,
partendo dal sessismo, tutte le forme di
assimilazione/espulsione/cancellazione del diverso (la donna, l'ebreo,
l'arabo, l'omosessuale, visto non a caso come portatore di tratti
"femminili"): razzismo, nazionalismo, pulizia etnica, scontro di civilta',
ecc.
*
Nella speranza che la vittoria elettorale della coalizione di centrosinistra
venga ad arginare una pericolosa inclinazione populista e antidemocratica,
le assemblee di donne che si sono costituite in molte citta' d'Italia
intendono essere una presenza politica continua, un osservatorio critico e
al medesimo tempo produttivo di idee e iniziative.
Cio' comporta, per chi governa, l'impegno a confrontarsi con gruppi,
associazioni gia' operanti fuori dalle istituzioni, a garantire da ora in
poi pari presenza di donne e uomini in tutti i campi decisionali, a partire
dal governo. Comporta, innanzi tutto, ripensare gerarchie date come
"naturali" e scontate, come ad esempio quella che vede la politica
istituzionale (ma potremmo dire professionale) come la vetta di una
piramide, il luogo in cui sarebbero destinate a confluire, lasciandosi il
vuoto dietro, tutte le spinte che vengono dalla societa' civile.
Provando, una volta tanto, a rovesciare base e vertici, qualcuno potrebbe
anche accorgersi che il progressivo indebolimento dei partiti e la
lontananza sempre piu' marcata delle istituzioni politiche dalla realta'
sociale, dipende in gran parte anche  dall'incapacita' di riconoscere nelle
pratiche delle donne e dei movimenti che vi si sono in parte ispirati,
interlocutori indispensabili, con cui stabilire scambi continuativi e una
dichiarata reciprocita'.

2. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: IL SAPERE ATTINTO DAL POZZO
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo
del 7 aprile 2006.
Giovanna Providenti (per contatti: providen at uniroma3.it) e' ricercatrice
presso l'Universita' Roma Tre, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e
di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due
figli. Partecipa  al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi
donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le
differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e pubblicato numerosi saggi su
rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e
nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004;
Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella
formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione.
Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005;
L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in
Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche
racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di
Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori.
Alba de Cespedes (1911-1997) scrittrice, giornalista ed intellettuale
democratica, resistente antifascista, acuta indagatrice dell'oppressione
sessista nelle dimensioni macrosociali come nelle relazioni interpersonali e
nelle lacerazioni infrapsichiche.
Natalia Ginzburg, nata Levi a Palermo nel 1916 (ma la famiglia si trasferi'
presto a Torino) in una famiglia di intellelttuali che ha grandemente
contribuito alla lotta contro il fascismo, moglie del martire antifascista
Leone Ginzburg, sposo' poi in seconde nozze Gabriele Baldini, scrittrice tra
le piu' grandi del Novecento, autorevole collaboratrice della casa editrice
Einaudi, parlamentare, di profonda umanita' e forte impegno civile, e'
deceduta a Roma nel 1991. Opere di Natalia Ginzburg: segnaliamo
particolarmente l'autobiografico Lessico famigliare (che e' anche uno
straordinario documento storico e di vita civile). Opere su Natalia
Ginzburg: per un avvio: Luciana Marchionne Picchione, Natalia Ginzburg, La
Nuova Italia, Firenze; Elena Clementelli, Invito alla lettura di Natalia
Ginzburg, Mursia, Milano.
Anna Maria Crispino e' nata a Napoli, ma vive e lavora a Roma; giornalista,
si occupa prevalentemente di questioni internazionali; ha ideato la rivista
"Leggendaria - Libri, letture, linguaggi" che dirige dal 1987; e' tra le
socie fondatrici - e attualmente presidente - della Societa' Italiana delle
Letterate.
Genevieve Vaughan, studiosa e scrittrice, si occupa di semiotica, critica
del capitalismo, marxismo, logiche del mercato e dello scambio, teoria
femminista, comunicazione, divulgando attivamente le sue idee in molte sedi
accademiche. Ha pubblicato i volumi For-Giving, a Feminist Criticism of
Exchange e Mother Nature's Children (un libro per bambini) e un cd di
canzoni pacifiste e femministe, The Tree of Life. Opere di Genevieve Vaughan
disponibili in italiano: (a cura di), The Gift, volume monografico della
rivista "Athanor", anno XV, nuova serie, n. 8, 2004; Per-donare. Una critica
femminista dello scambio, Meltemi, 2005]

Il pozzo e' un luogo da sempre appartenuto alle donne, dentro e fuor di
metafora: sono le donne ad andare a prendere l'acqua al pozzo, percorrendo
distanze chilometriche, nei paesi del Terzo Mondo in cui questa e', ancora
oggi, pratica quotidiana necessaria. E sono le donne, ovunque nel mondo, a
conoscere "quello che si sa quando si viene su dal pozzo" (Alba De
Cespedes). Perche'? Un po' per via di quello che Natalia Ginzburg definiva
il guaio delle donne: "la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un
pozzo, di lasciarsi prendere da una terribile malinconia e affogarci dentro,
e annaspare per tornare a galla"; un po' perche' le donne sentono, piu'
degli uomini, il bisogno, sano, di ritornare a visitare luoghi in cui si
svolge la vita in tutta la sua autenticita'.
Cogliendo l'occasione della rilettura del carteggio tra le due scrittrici De
Cespedes e Ginzburg, pubblicato nella rivista "Mercurio" nel 1948, e
riproposto da Anna Maria Crispino in Ciao Bella. Ventun percorsi di critica
letteraria femminile oggi, (Milano, Manni-Lupetti, 1996, pp. 173-182),
voglio invitare ad una breve riflessione sulla pratica del visitare pozzi
applicata alla sfera politica.
Prima una precisazione: negli ultimi cinque anni le donne sono state vittime
di legislatori poco attenti, che hanno compilato pastrocchi: come la legge
40 sulla fecondazione assistita e la recente legge sull'affidamento
condiviso. In entrambi i casi si tratta di leggi fondate su un'astratta idea
morale (il diritto dei figli/embrioni) senza tenere conto di quello che
succede effettivamente nel quotidiano di uomini, donne e bambini e bambine.
A causa della legge 40, le donne che si rivolgono alla fecondazione
assistita devono sottoporsi a indicibili e inutili sofferenze del corpo.
Presupponendo una parita' di condizioni sociali ed una condizione d'accordo
(entrambe cose che non esistono quasi mai tra genitori separati), la legge
sull'affido congiunto penalizza innanzitutto i figli, che saranno vittime di
continue conflittualita' irrisolte (allora la decisione e' rimessa al
giudice, coi tempi dei tribunali!). Inoltre, e' un netto ritorno indietro
contro le donne, che vengono decisamente penalizzate pur non essendo nemmeno
nominate. Facendo riferimento solo a un neutro "il genitore", la scrittura
rivela la natura del legislatore che ci sta dietro: un uomo (o potrebbe
anche essere una donna) che non ha mai fatto pratica di pozzi. Perche' chi
ha fatto tale pratica, avendo conosciuto la sofferenza, riesce a riconoscere
anche quella dell'altro e dell'altra, e a provarne compassione. A pensare
leggi compassionevoli (volte a limitare le sofferenze), piuttosto che
punitive e fondamentaliste.
*
Ma per saper fare certe cose bisogna aver scoperto l'inganno del "privilegio
di essere liberi dal dolore, dalla miseria umana": "Chi scende nel pozzo
conosce la pieta'. E come si puo' vivere, agire, governare con giustizia
senza conoscere la pieta'?" scrive, nel prezioso carteggio, Alba De
Cespedes. E, denunciando la mancanza delle donne nei luoghi di governo e
nella magistratura ("il diritto ad essere magistrati" verra' sancito solo
dal 1963), aggiunge: "Gli uomini non solo ignorano l'esistenza di questi
pozzi, e tutto cio' che s'impara quando si cade in essi, ma ignorano anche
d'esser proprio loro a spingervi le donne con tanta spietata innocenza... Tu
dici che le donne non sono esseri liberi: e io credo invece che debbano
soltanto acquisire la consapevolezza delle virtu' di quel pozzo e diffondere
la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il
fondamento di quella solidarieta', oggi segreta e istintiva, domani
consapevole e palese, che si forma fra donne anche sconosciute l'una
all'altra".
Queste parole scritte nel 1948 risultano essere fin troppo attuali. Dobbiamo
stare attente, molto attente, a non farci strappare di mano i progressi del
femminismo, magari annebbiate dalla conquista di un seggio elettorale, dalle
quote rosa, che il nostro partito ha rispettato, nonostante la legge non sia
passata in Parlamento. Il diritto di famiglia del 1975 e le leggi in difesa
dei diritti delle donne stanno subendo dei gravissimi attacchi.
E inoltre e' necessario distinguere tra "il relativismo, cioe' il lasciarsi
portare qua e la' da qualsiasi vento di dottrina" di cui parla Papa
Ratzinger (riuscendo a portare dalla sua parte le femministe piu'
agguerrite!), e il rispetto del pluralismo etico: ci sono scelte di valore
che vanno rispettate, anche se, con tutta probabilita', sono differenti dai
fondamenti della morale cattolica, che difende l'indissolubilita' del
matrimonio (retrostante la recente legge sull'affidamento condiviso) e la
presenza di vita personale nell'embrione. Nelle due leggi sopra nominate e'
palese la presenza di un unico valore di riferimento, pretestuosamente
collegato alla fede cristiana, ma in realta' connesso allíesigenza maschile
di evitare di cadere nei pozzi, e alla tendenza maschile di controllare,
piuttosto che condividere, cio' che avviene nel mondo del privato: la
sofferenza che una vita intima, vissuta in tutta la sua profondita', puo'
comportare. Le donne sanno in cosa consiste la reale relazione con i figli,
fin dalla loro presenza nella pancia: conoscono il pozzo delle difficolta'
da affrontare giorno dopo giorno, con figli che crescono e scalpitano.
Compito delle leggi non e' auspicare che la pratica del privato possa essere
condivisa tra uomini e donne, ma aiutare le persone in difficolta' ad
affrontare la concreta realta' di ogni giorno.
La lunga pratica femminile di pozzi (in cui vi e' l'infelicita' dello
sprofondare nella sofferenza, ma anche la felicita' di sapere stare in
relazioni significative, di sapere dare e darsi con tutte se stesse) e' uno
strumento di conoscenza irrinunciabile. Le donne oggi non possono rinunciare
al loro patrimonio di genere, lasciandosi annebbiare dalla
parita'-omologazione al valore-paradigma unico maschile. Non possiamo
ammettere che altri pastrocchi di legge attentino ai nostri diritti umani.
*
Concludo dando voce a una femminista americana, Genevieve Vaughan, vissuta
molti anni in Italia ed ora tornata nel Texas, dove ha fondato numerose
associazioni volte a riportare "come chiave interpretativa del simbolo", e a
farla emergere dalla invisibilita' in cui e' relegata, la pratica del dono e
della cura, che e' alla base della nostra vita e da riconoscere "in cio' che
molte donne e alcuni uomini fanno gia' tutti i giorni" (Per-donare. Una
critica femminista dello scambio, Meltemi, 2005).
Ecco cosa scrive Vaughan nell'introduzione di un volume monografico edito
dalla rivista italiana "Athanor" nell'agosto 2004: "Oggi nel mondo
coesistono due paradigmi economici di base, logicamente contraddittori ma
anche complementari. Uno e' visibile, l'altro invisibile; uno fortemente
apprezzato, l'altro sottovalutato. L'uno e' collegato con gli uomini,
l'altro con le donne. Quello che dobbiamo fare e' dare valore a quello
collegato con noi donne per causare uno spostamento fondamentale dei valori
con cui gestiamo le nostre vite e le nostre politiche".
C'e' da auspicare che, conclusesi le imminenti elezioni, le donne (e gli
uomini) che saranno chiamate a partecipare alla redazione di leggi
importanti per lo svolgersi quotidiano della vita di persone in carne ed
ossa, sapranno ricordarsi dell'esistenza di tali paradigmi invisibili,
appartenuti per secoli alle donne.

3. RIFLESSIONE. DANILO ZOLO: LE STRAGI UMANITARIE
[Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 aprile 2006. Danilo Zolo, illustre
giurista, nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, e' docente di filosofia e
sociologia del diritto all'Universita' di Firenze. Tra le opere di Danilo
Zolo segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari
1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La
cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995;
Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000; Globalizzazione: una mappa dei
problemi, Laterza, Roma-Bari 2004]

Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso la prospettiva
dell'"ingerenza umanitaria" diviene l'elemento chiave della strategia
statunitense del new world order e avanza crescenti pretese di legittimita'
etica e giuridica. L'obiettivo della "sicurezza globale", si sostiene, esige
che le grandi potenze, responsabili dell'ordine mondiale, diano per superato
il principio vestfaliano della non ingerenza nella domestic jurisdiction
degli Stati nazionali. Gli Stati Uniti dovranno esercitare e legittimare un
loro diritto-dovere di intervento nei casi in cui si giudichi necessario
intervenire, anche con l'uso della forza, per risolvere crisi interne a
singoli Stati, in modo particolare per prevenire o reprimere gravi
violazioni dei diritti dell'uomo.
L'assunzione teorica sottostante all'interventismo umanitario e' che la
tutela internazionale dei diritti dell'uomo deve essere considerata un
principio di carattere prioritario rispetto all'obiettivo stesso della
tutela della pace e dell'ordine mondiale. La "sovranita' esterna" di uno
Stato non puo' essere considerata una prerogativa assoluta e illimitata,
tanto piu' nel contesto di una societa' planetaria che i processi di
integrazione rendono sempre piu' coesa e carica di interdipendenze
funzionali. L'inazione sarebbe complicita'.
La prassi dell'humanitarian interventionism si e' affermata rapidamente nel
corso dell'ultimo decennio del Novecento ad opera delle potenze occidentali
e per impulso soprattutto degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Questa
strategia ha trovato applicazione nella fase immediatamente successiva alla
guerra del Golfo del 1991, sia nell'Iraq settentrionale che in quello
meridionale, attraverso la definizione unilaterale di no flying zones.
Successivamente, nel triennio 1992-'94, la politica degli interventi
umanitari si e' affermata al di fuori di qualsiasi riferimento giuridico,
compresa la Carta delle Nazioni Unite. L'intervento degli Stati Uniti e di
alcune altre potenze in Somalia, inizialmente motivato dalla necessita' di
garantire l'afflusso di soccorsi alimentari e sanitari, si e' rapidamente
trasformato in un sanguinoso conflitto militare i cui obbiettivi si sono
allontanati sempre piu' dalle finalita' istituzionali delle Nazioni Unite,
fino a coincidere con gli interessi di alcune potenti compagnie petrolifere.
*
Nei Balcani, prima la guerra di Bosnia e poi, nel 1999, la guerra scatenata
dalla Nato contro la Federazione Jugoslava - la guerra per il Kosovo - hanno
consacrato definitivamente la prassi dell'interventismo umanitario. La
motivazione umanitaria e' stata assunta nel modo piu' esplicito come justa
causa di una guerra di aggressione. E si e' dichiarato che l'uso della forza
per motivazioni umanitarie era legittimo non soltanto in opposizione al
principio di non ingerenza nella domestic jurisdiction di uno Stato sovrano,
ma anche in contrasto con la Carta delle Nazioni Unite, con i principi della
statuto e della sentenza del Tribunale di Norimberga, oltre che con il
diritto internazionale generale.
Di fronte a questa autentica eversione del diritto internazionale la
reazione delle Nazioni Unite e' stata di sostanziale inerzia e
subordinazione, se non di aperta complicita' con le potenze occidentali. Il
Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, si e' allineato con le
posizioni degli Stati Uniti (ai quali deve, come e noto, la sua elezione
all'incarico che ricopre). In un discorso ufficiale all'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite del settembre 1999, Annan si e' spinto sino a
giustificare in termini di "stato di necessita'" l'intervento militare della
Nato in assenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza. L'uso della forza,
ha dichiarato, e' stato un male minore rispetto all'inerzia della comunita'
internazionale di fronte al rischio di un genocidio. In sostanza le Nazioni
Unite, per bocca del loro Segretario Generale, hanno legittimato la guerra
di aggressione perche' motivata dagli aggressori come "guerra umanitaria".
Kofi Annan non sembra essere stato neppure sfiorato dal dubbio se la guerra
moderna, con i suoi strumenti di distruzione di massa, possa davvero essere
usata per proteggere valori universali come i diritti dell'uomo. Ci troviamo
qui di fronte ad una evidente aporia: sostenere che tutti gli individui sono
titolari di diritti inviolabili e inalienabili significa attribuire loro
anzitutto il diritto alla vita, riconosciuto dall'articolo 3 della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. In secondo luogo
significa riconoscere loro, come vuole ancora la Dichiarazione universale, i
diritti fondamentali di habeas corpus: nessuno puo' essere sottoposto a
trattamenti ostili che comportino una lesione della sua integrita' fisica,
della sua liberta', dei suoi rapporti affettivi e dei suoi beni, se non in
seguito all'accertamento di suoi comportamenti consapevolmente contrari alla
legge penale.
*
La legittimazione della "guerra umanitaria" equivale ad una contradditoria
negazione di tutti questi principi. Nel caso della guerra per il Kosovo, ad
esempio, la pena di morte e' stata di fatto applicata a migliaia di
cittadini jugoslavi prescindendo da qualsiasi indagine sulle loro
responsabilita' personali. Migliaia di persone innocenti sono morte sotto i
bombardamenti degli aerei statunitensi, britannici e italiani, sotto le
micidiali cluster bombs e i proiettili all'uranio impoverito.
Non ci sono dubbi che oggi sia necessaria una tutela internazionale - e non
solo nazionale - dei diritti soggettivi. Il problema e' di rendere
compatibili gli interventi transnazionali a tutela dei diritti con la
diversita' delle culture, con l'identita' e la dignita' dei popoli, con
l'integrita' delle strutture giuridico-politiche di cui essi si siano
liberamente dotati. In questa prospettiva non puo' che essere fermamente
respinta la pretesa di singole potenze o di alleanze militari ad erigersi,
in palese violazione del diritto internazionale, a custodi dei diritti
dell'uomo in quanto valori universali e quindi meritevoli di tutela al di
la' del rispetto della domestic jurisdiction degli Stati.
L'affermazione del militarismo umanitario degli Stati Uniti ha portato ad un
vero e proprio collasso dell'ordinamento giuridico internazionale che e'
nello stesso tempo causa e conseguenza della paralisi delle Nazioni Unite.
La dottrina e la pratica della guerra umanitaria sono state di fatto il
primo passo di un uso sistematico della forza militare da parte di una
superpotenza "imperiale" che intende imporre la sua egemonia economica,
politica e militare al pianeta intero. Le guerre umanitarie non sono state
che un preludio delle successive "guerre preventive" contro l'Afghanistan,
contro l'Iraq e, molto probabilmente, di quella che si annuncia contro
l'Iran. Resta ancora una volta confermata la massima, enunciata da Proudhon
e ripresa da Schmitt: "Chi dice umanita' cerca di ingannarti".

4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: SIAMO CIECHI
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 aprile 2006. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana
Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani,
Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione
sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria,
dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii,
Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo
Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma
1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del
secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro
intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e
proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in
articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

La decisione dell'Unione Europea di sospendere ogni aiuto finanziario alla
Palestina e' cieca se non provocatoria. Vogliamo sperare che sia soltanto
cieca, perche' nel secondo caso vorrebbe dire che quel tanto che esiste di
Europa e' in mano a dirigenti pericolosi, determinati ad aggravare senza
fine il conflitto nel Medio oriente. Ma anche la cecita' fa paura.
Che ci si attende dal fatto di affamare un piccolo paese, gia' distrutto
nelle poche infrastrutture che l'Anp aveva cercato di costruire, dai colpi
mirati del governo israeliano, un paese privo di risorse, o come la striscia
di Gaza ridotto all'estrema miseria per avere votato maggioritariamente per
Hamas? E con la motivazione, ribadita dall'Unione Europea, che Hamas non ha
dichiarato di rinunciare in linea di principio alla violenza e di
riconoscere l'esistenza dello stato di Israele? In primo luogo, Hamas
checche' ne pensi il dipartimento di Stato, e' sicuramente un movimento
armato, ma che non ha nulla a che vedere con Al Qaeda e varie jihad che
spuntano nei paesi a bersaglio degli Stati Uniti, ma agisce esclusivamente
nei territori palestinesi, al fine di liberarli dall'occupazione. Si puo'
discutere se sia stata la maniera giusta. Ma Hamas va visto per quel che e',
un movimento di liberazione nazionale e sarebbe elementarmente ragionevole
chiedersi come mai e' arrivato ad avere il voto maggioritario della sola
nazione mediorientale che fino a dieci anni fa era assolutamente laica.
Come non vedere che la risposta e' nella esasperazione di un popolo spinto
agli estremi, dopo un'occupazione di trentacinque anni, il solo a pagare il
rifiuto dei paesi arabi a riconoscere Israele, a sua volta insediata in una
terra araba senza consultazione alcuna con gli abitanti che ne venivano
estromessi? Come non vedere nella politica di Ariel Sharon, di cui egli
forse stava sia pur tardivamente dubitando, un elemento che ha facilitato
l'insediamento di Hamas, sola organizzazione che tentava e riusciva a
sostenere un paese distrutto in tutte le sue infrastrutture? E come non
rendersi conto che le politiche repressive non hanno mai ragione, salvo
andare al vero e proprio sterminio, di una opposizione nazionale? Anzi, la
esacerbano, e in presenza di un cosi' smisurato rapporto di forze, la
spingono verso l'azione armata anche terrorista?
Come non ammettere che la linea di Ariel Sharon e' stata folle, come quella
di Bush con l'Iraq? Come non chiedersi che cosa ha significato rifiutare un
dialogo su basi serie e accettabili, che non e' mai stato - neppure a Taba -
esplicitamente e perfino unilateralmente avanzato? Come non riconoscere che,
se tarda un riconoscimento dell'esistenza di Israele da parte dei paesi
arabi fino alle ultime elezioni ha continuato a dominare a Tel Aviv il
progetto di una grande Israele? Mantenersi su questa strada e' di una
criminale stupidita'.
Ci possiamo augurare soltanto che la "transitorieta'" di questa misura porti
alla sua abrogazione nel piu' breve tempo possibile. E' una ben scarsa
soddisfazione da parte di chi non ha mai creduto che la democrazia si
potesse esportare o imporre con le armi, senza che ne esistano o ne siano
saggiamente alimentate le basi, constatare che essa non consiste soltanto in
"libere elezioni". Che siano state libere quelle palestinesi nessuno ha
messo in dubbio. Che una repubblica islamica possa essere democratica nel
senso pieno che noi diamo alla parola, non e' possibile. Ma che cosa e'
successo in Algeria quando il voto maggioritario ottenuto dal Fis e' stato
negato dalla messa fuorilegge del medesimo? Ne e' seguita una guerra civile
atroce, della quale nessuno parla perche' il gas algerino serve ai paesi
dirimpettai del Mediterraneo.
Domani si vota. La politica internazionale e' stata del tutto assente da
questa campagna elettorale, segno di un pericoloso provincialismo. Fuori di
noi il mondo e' in fibrillazione. La vittoria del centrosinistra dovra'
anche allargare, fra i suoi compiti primari, l'attenzione di un paese che
Berlusconi ha rinchiuso in se stesso o nel servaggio verso gli Stati Uniti.

5. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: ALCUNE MINIME POSTILLE AL TESTO CHE
PRECEDE

La prima: il terrorismo, nessuno lo ha saputo dimostrare meglio di Marx, e'
sempre nemico dell'umanita' e quindi di chi lotta per la liberazione
dell'umanita'.
La seconda: e' giunta l'ora di un cambio di strategia da parte della
comunita' internazionale nei confronti dei paesi guidati da regimi
dittatoriali e/o da gruppi criminali o che compiono atti criminali. Non
sanzioni che reduplicano l'oppressione sui popoli, ma aiuti umanitari alla
popolazione con una cooperazione dal basso che sia ad un tempo sostegno
concreto alla sussistenza materiale ed effettuale promozione di democrazia
autocentrata: un'idea regionevole sarebbe affidare la gestione degli aiuti
internazionali a cooperative di donne.
La terza: la vittoria elettorale di un'organizzazione totalitaria e
terrorista come Hamas in elezioni relativamente democratiche (ma anche in
Italia e in Germania in elezioni relativamente democratiche poterono
prevalere fascisti e nazisti) e' una tragedia che aggrava ma insieme segnala
una tragedia preesistente; Hamas ha vinto le elezioni non tanto perche' sia
un gruppo terrorista, ma per un insieme di altri fattori che tutti
richiedono una presa d'atto e un'analisi, da cui far discendere scelte
conseguenti: la corruzione nel gruppo dirigente dell'Anp; l'aver offerto
Hamas servizi assistenziali a una popolazione terribilmente oppressa e
denegata, l'essersi essa proposta come portatrice di valori - religiosi e
nazionali - in cui molti hanno sentito di riconoscersi, l'essersi presentata
agli occhi di molti - ed in particolare dei piu' diseredati - come
credibilmente impegnata contro la corruzione della leadership laica
palestinese e come intransigentemente avversa all'occupazione militare
israeliana - ferocemente oppressiva e sovente assassina e fin stragista - di
cui il popolo palestinese dei Territori e' vittima; ed e' tragico e
paradossale, ma evidente e ineludibile, che nel voto ad Hamas -
un'organizzazione totalitaria e terrorista - ha sciaguratamente trovato
espressione anche la legittima rivendicazione della popolazione palestinese
della propria dignita' di persone e di popolo. Ma se questo e' accaduto e'
accaduto anche perche' la solidarieta' internazionale (le organizzazioni
internazionali, gli stati, gli attori cosiddetti non governativi) non ha
saputo sostenere con efficacia il processo di pace, non ha saputo farsi
carico di promuovere i diritti e il benessere della popolazione palestinese,
non ha saputo far nascere lo stato palestinese a fianco dello stato di
Israele, facendosi concretamente garante della sicurezza dei due popoli e
dei due stati. Che fare dunque? Occorrono azioni internazionali positive e
costruttive che riconoscano dignita' e diritti alle persone e ai popoli, che
offrano aiuti materiali a una societa' terribilmente oppressa, traumatizzata
e disgregata, che propongano alle rappresentanze istituzionali vie politiche
di riconoscimento e di dialogo, che promuovano nei fatti i diritti umani di
tutti gli esseri umani ed in primo luogo quel diritto dei diritti che e' il
diritto a non essere uccisi; che sconfiggano il terrorismo nell'unico modo
in cui il terrorismo puo' essere sconfitto: con la pace, la democrazia, la
cooperazione internazionale, la condivisione delle risorse, il
riconoscimento delle ragioni di tutti gli interlocutori: interlocutori,
appunto, a cui proporre un dialogo fondato sul rispetto del diritto
internazionale, dei principi dello stato di diritto, dei diritti delle
persone come base condivisa per un'azione comune in cui anche le
conflittualita' possano esprimersi in forma politica e giammai omicida.
Diciamolo ancora una volta: il totalitarismo e il terrorismo, e i soggetti
politici organizzati che ne sono portatori, possono essere contrastati e
sconfitti solo con piu' diritti, piu' democrazia, piu' legalita', piu'
cooperazione, piu' conoscenza, piu' solidarieta' con le persone e i popoli
oppressi.
La quarta: occorre infine e innanzitutto sostenere ad un tempo la
popolazione israeliana e la popolazione palestinese nel diritto di ambedue a
una vita finalmente libera da minacce e violenze, una vita finalmente serena
nell'essere e nel sentirsi tutti riconosciuti; occorre sostenere in
particolare le persone e i gruppi sia palestinesi che israeliani che si
impegnano per la pace e il dialogo, per i diritti umani di tutti gli esseri
umani: ogni solidarieta' unilaterale che deneghi le ragioni altrui non solo
non serve, ma aggrava una situazione gia' tragica.
Infine: non vi sara' speranza di pace in Medio Oriente, come ovunque nel
mondo, se non a partire dalla fine del regime patriarcale, autoritario e
guerriero: sostenere i movimenti delle donne e' il primo, il piu'
ragionevole e piu' urgente passo che la cosiddetta comunita' internazionale
degli stati e la cosiddetta societa' civile globale devono compiere.
La decisione dell'Unione Europea e' una decisione sciagurata. Oggi piu' che
mai e' necessario sostenere il popolo palestinese, il popolo israeliano, i
diritti, la pace, il dialogo.

6. MAESTRI. MOHANDAS K. GANDHI: SE
[Da Mohandas K. Gandhi, Civilta' occidentale e rinascita dell'India,
Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1984, p. 69. Mohandas K. Gandhi
e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore,
cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta
d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e
politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in
India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui
divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati
indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India
e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la
liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e
sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando
precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale
ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti
ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre
ricordare che non va  mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti,
contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua
figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo
Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo
d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti
devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi
considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua
autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti
con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della
nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I,
Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La
mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton
Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento;
La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del
primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri
volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006]

Se l'essere umano si rendesse appena conto che e' vile obbedire a leggi
ingiuste, nessuna tirannia umana potrebbe esistere. Questa e' la chiave
dell'autogoverno.

7. LETTURE. CLAUDIO TUGNOLI: PERCHE' LA VIOLENZA
Claudio Tugnoli, Perche' la violenza. Mimetismo conflitto sacrificio, Il
segno dei Gabrielli, Negarine di S. Pietro in Cariano (Vr) 2005, pp. 104,
euro 10. Alcune acute ricerche filosofiche di uno studioso amico della
nonviolenza che da tempo riflette su temi cruciali nel solco
dell'elaborazione di Rene' Girard (su cui ha scritto peraltro una cospicua
monografia che vivamente raccomandiamo). Per richieste alla casa editrice:
tel. 0457725543, fax: 0456858595, e-mail: scrivimi at gabriellieditori.it,
sito: www.gabriellieditori.it

8. RIEDIZIONI. NICCOLO' MACHIAVELLI: OPERE
Niccolo' Machiavelli, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano
2006, pp. LII + 598, (in suppl. al quotidiano "Il sole 24 ore"). Dalla
classica Letteratura Italiana Ricciardi una selezione delle opere
machiavelliane a cura di Mario Bonfantini (con il Principe, i Discorsi,
l'Arte della guerra, la Mandragola, Belfagor e una scelta dall'epistolario).
In Machiavelli tutto scintilla d'intelligenza, di capacita' di leggere
dentro le cose del mondo, di traduzione in pensiero e in linguaggio del
nudo, del duro vero; e non si puo' divenire buoni amici della nonviolenza se
non si e' passati per questa lettura.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1264 del 13 aprile 2006

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