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La nonviolenza e' in cammino. 1264
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1264
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 13 Apr 2006 02:26:35 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1264 del 13 aprile 2006 Sommario di questo numero: 1. Lea Melandri: Questa volta niente saldi 2. Giovanna Providenti: Il sapere attinto dal pozzo 3. Danilo Zolo: Le stragi umanitarie 4. Rossana Rossanda: Siamo ciechi 5. Severino Vardacampi: Alcune minime postille al testo che precede 6. Mohandas K. Gandhi: Se 7. Letture: Claudio Tugnoli, Perche' la violenza 8. Riedizioni: Niccolo' Machiavelli, Opere 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: QUESTA VOLTA NIENTE SALDI [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo questo intervento apparso sulla rivista on line "Golem. L'indispensabile" di marzo 2006. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] In occasione di una scadenza elettorale, la politica viene ad occupare anche per il piu' distratto dei cittadini un posto non trascurabile nell'ordine dei suoi pensieri. Dai muri delle citta', volti sorridenti e accattivanti di candidati elargiscono speranze, promesse, riconoscimenti, protezione, soddisfazione di bisogni e desideri. Alcuni si sono visibilmente fatti stirare le rughe per cancellare, oltre ai segni del tempo, il dubbio che la politica porti con se', inconfessabili, le ombre di un potere millenario. La trasparenza e l'inganno, la levigatezza e la rugosita', il sorriso e la smorfia, la solidarieta' e l'arroganza, confuse nella magia di una foto costruita ad arte, fanno dimenticare confini, distanze, divaricazioni che tutti conoscono e a cui hanno dovuto ogni volta faticosamente adattarsi. Si dimentica persino, incrociando le fattezze morbide e sensuali di un primo piano femminile, che la polis e' tutt'ora saldamente in mano a una genealogia di padri e di figli, sempre meno certi di essere il prototipo unico, universale e piu' compiuto della specie, ma non per questo disposti a cedere privilegi e a deporre la maschera di una falsa neutralita'. Dai segretari dei partiti dell'Unione ci si sarebbe aspettato almeno un segno, una battuta, un cenno di consapevolezza: "Si', lo sappiamo: siamo solo maschi e nel voluminoso programma che vi presentiamo le donne sono un dettaglio trascurabile, un 'soggetto sociale' accanto ad altri, debole, svantaggiato e bisognoso di protezione; le donne sono sempre e comunque il baluardo della famiglia, le madri a cui non devono mancare asili nido, sostegni per gli anziani affidati alle loro cure, congedi parentali adeguati perche' possano continuare il lavoro in casa e fuori". Ma non c'e' stato neppure questo, per una sinistra che teme sopra ogni cosa il venir meno di una ritrovata traballante "unita'", ma che sembra cieca e indifferente di fronte alla divisione sempre piu' vistosa tra uomini e donne che passa al suo interno. * Negli ultimi mesi, le piazze di tre grandi citta' italiane, Milano, Roma e Napoli, si sono riempite di donne di ogni eta' e appartenenza: femministe impegnate da oltre trent'anni in gruppi, associazioni; donne singole richiamate da una comune diffusa insofferenza per tutti i pulpiti, religiosi e laici, che parlano e decidono ogni giorno per loro e su di loro; donne che nella vita di un partito o di un sindacato hanno visto ricomparire e consolidarsi antichi ruoli familiari. Confusi, ma non tanto da non essere visti, molti uomini chiamati non "a dare solidarieta'" ma a "ripensarsi" nell'appartenenza a un sesso, a una storia che porta ancora i segni del dominio millenario dei loro simili. Non era difficile capire che, se era bastato un breve "messaggio in bottiglia", mandato inizialmente a poche amiche, per fare uscire dalle case piu' di trecentomila persone, non era certo solo per la difesa della legge 194 e di alcune essenziali liberta' individuali, minacciate dal risveglio di religioni aggressive e integraliste. Nessuno sottovaluta il pericolo di arretramento culturale e politico che puo' venire da una Chiesa che pretenda di dettare legge ai parlamenti e di riportare l'intero ciclo della vita, dalla nascita alla morte, sotto il controllo di una verita' assoluta, rivelata. E' noto che questo controllo le caste sacerdotali di ogni tempo e luogo lo hanno esercitato prioritariamente sulla sessualita' e sul potere generativo della donna. Ma cio' che oggi viene allo scoperto in modo inequivocabile e' la connivenza tra Chiesa e Stati, che si vorrebbero costituzionalmente laici e democratici, quando si tratta di legiferare sulle cosiddette "questioni di vita". Dal momento in cui sono entrati nella vita pubblica, oltrepassando la barriera del pudore e della privatezza, e' stato piu' facile accorgersi che corpo, sessualita', rapporto uomo-donna, non sono mai usciti dall'orbita dei poteri che si sono imposti sulla scena del mondo, piu' facile capire quanto la loro presenza/assenza abbia contribuito a configurare la fisionomia delle civilta', il cammino della storia, delle sue istituzioni, dei suoi saperi e linguaggi. * Il "triste fratello", scriveva Sibilla Aleramo all'inizio del '900, si e' condannato ad essere "solo" "ad evolvere, godere, combattere" nella vita. Oggi la meta' del mondo, che ha creduto di essersi lasciato alle spalle, chiuso nelle case insieme alla sua infanzia, ai suoi affetti e ai suoi bisogni primari, gli sta invece attorno, lo preme dall'interno delle ferree norme che ha dato al suo vivere sociale, lo chiama a un confronto di valori e di esperienze. Cio' nonostante, contro ogni prevedibile aspettativa, e' sempre un sesso a parlare e a decidere per l'altro. Oggetto del discorso, della volonta' e del potere decisionale di altri, le donne lo sono diventate nell'atto stesso fondativo della politica, intesa come luogo riservato a una comunita' storica di uomini, depositari unici di una umanita' compiuta e, in quanto tali, autolegittimati a decidere sul destino dell'altro sesso. Sull'esclusione/inclusione del primo essere diverso che il maschio incontra nascendo, si e' costruita la civilta', i suoi saperi, le sue istituzioni; si sono definite le forma molteplici che hanno preso di volta in volta il dominio, la violenza, lo sfruttamento, la guerra, tutti visibilmente imparentati con l'amore-odio per il diverso e con la logica contrappositiva: maschile/femminile, amico/nemico, Bene/Male, civilta'/barbarie, ecc. * E' per questo che anche quando si e' conquistata la scena pubblica, ottenuto l'accesso alle sue istituzioni e ai suoi poteri, se non si opera una trasformazione dei ruoli sessuali, dei modelli di genere interiorizzati, dei pregiudizi, degli stereotipi che passano quasi invariati da una generazione all'altra, la scala dei valori, delle competenze, dei poteri, messa in opera dal patriarcato, resta sostanzialmente la stessa, e alla donna, "liberto della societa' moderna, tollerato ma non eguagliato a noi, orfano raccolto per la via, che vive coi membri di una famiglia senza farne parte integrante" - come scriveva a fine '800 Paolo Mantegazza - non resta che affannarsi per diventare, al massimo, un "uomo-femmina", completamento femminile del maschio. Irrinunciabile diventa percio' che venga ripensata alla radice la collocazione che la politica da sempre ha riservato alla donna: soggetto esterno/estraneo al "contratto sociale", vincolato alla funzione riproduttiva, individualita' imperfetta e percio' costretta a vivere della relazione con l'altro: moglie-di, madre-di, figlia-di. E' necessario, perche' si possa ripensare la convivenza tra uomini e donne, uscire dalla logica che ha trasformato l'esito di un rapporto nella questione specifica di un sesso solo - la questione femminile - permettendo in questo modo all'uomo di sentirsi non implicato, non responsabile in vicende come l'aborto, la maternita', la cura dei figli e degli anziani. Le donne che hanno manifestato cosi' vistosamente a Milano, Roma e Napoli la loro volonta' di "uscire dal silenzio" e di decidere autonomamente dei loro corpi e della loro vita, non nascono oggi alla vita pubblica; hanno dietro, per la consapevolezza nuova di cui sono portatrici, piu' di un secolo di storia, e davanti, purtroppo, una comunita' di uomini ancora tenacemente aggrappati a paure, pregiudizi e privilegi antichi. Il movimento delle donne, oggi come trent'anni fa, non chiede che si allarghino le maglie della citta', affinche' si compia la loro piena integrazione, ma pone - Cassandra inascoltata - la necessita' che si riconoscano somiglianze sempre piu' evidenti tra logiche d'amore e logiche di guerra, tra conservazione di se' e distruzione dell'altro, tra modi della politica e modelli di produzione e consumo; preme perche' si rileggano, partendo dal sessismo, tutte le forme di assimilazione/espulsione/cancellazione del diverso (la donna, l'ebreo, l'arabo, l'omosessuale, visto non a caso come portatore di tratti "femminili"): razzismo, nazionalismo, pulizia etnica, scontro di civilta', ecc. * Nella speranza che la vittoria elettorale della coalizione di centrosinistra venga ad arginare una pericolosa inclinazione populista e antidemocratica, le assemblee di donne che si sono costituite in molte citta' d'Italia intendono essere una presenza politica continua, un osservatorio critico e al medesimo tempo produttivo di idee e iniziative. Cio' comporta, per chi governa, l'impegno a confrontarsi con gruppi, associazioni gia' operanti fuori dalle istituzioni, a garantire da ora in poi pari presenza di donne e uomini in tutti i campi decisionali, a partire dal governo. Comporta, innanzi tutto, ripensare gerarchie date come "naturali" e scontate, come ad esempio quella che vede la politica istituzionale (ma potremmo dire professionale) come la vetta di una piramide, il luogo in cui sarebbero destinate a confluire, lasciandosi il vuoto dietro, tutte le spinte che vengono dalla societa' civile. Provando, una volta tanto, a rovesciare base e vertici, qualcuno potrebbe anche accorgersi che il progressivo indebolimento dei partiti e la lontananza sempre piu' marcata delle istituzioni politiche dalla realta' sociale, dipende in gran parte anche dall'incapacita' di riconoscere nelle pratiche delle donne e dei movimenti che vi si sono in parte ispirati, interlocutori indispensabili, con cui stabilire scambi continuativi e una dichiarata reciprocita'. 2. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: IL SAPERE ATTINTO DAL POZZO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo del 7 aprile 2006. Giovanna Providenti (per contatti: providen at uniroma3.it) e' ricercatrice presso l'Universita' Roma Tre, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori. Alba de Cespedes (1911-1997) scrittrice, giornalista ed intellettuale democratica, resistente antifascista, acuta indagatrice dell'oppressione sessista nelle dimensioni macrosociali come nelle relazioni interpersonali e nelle lacerazioni infrapsichiche. Natalia Ginzburg, nata Levi a Palermo nel 1916 (ma la famiglia si trasferi' presto a Torino) in una famiglia di intellelttuali che ha grandemente contribuito alla lotta contro il fascismo, moglie del martire antifascista Leone Ginzburg, sposo' poi in seconde nozze Gabriele Baldini, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, autorevole collaboratrice della casa editrice Einaudi, parlamentare, di profonda umanita' e forte impegno civile, e' deceduta a Roma nel 1991. Opere di Natalia Ginzburg: segnaliamo particolarmente l'autobiografico Lessico famigliare (che e' anche uno straordinario documento storico e di vita civile). Opere su Natalia Ginzburg: per un avvio: Luciana Marchionne Picchione, Natalia Ginzburg, La Nuova Italia, Firenze; Elena Clementelli, Invito alla lettura di Natalia Ginzburg, Mursia, Milano. Anna Maria Crispino e' nata a Napoli, ma vive e lavora a Roma; giornalista, si occupa prevalentemente di questioni internazionali; ha ideato la rivista "Leggendaria - Libri, letture, linguaggi" che dirige dal 1987; e' tra le socie fondatrici - e attualmente presidente - della Societa' Italiana delle Letterate. Genevieve Vaughan, studiosa e scrittrice, si occupa di semiotica, critica del capitalismo, marxismo, logiche del mercato e dello scambio, teoria femminista, comunicazione, divulgando attivamente le sue idee in molte sedi accademiche. Ha pubblicato i volumi For-Giving, a Feminist Criticism of Exchange e Mother Nature's Children (un libro per bambini) e un cd di canzoni pacifiste e femministe, The Tree of Life. Opere di Genevieve Vaughan disponibili in italiano: (a cura di), The Gift, volume monografico della rivista "Athanor", anno XV, nuova serie, n. 8, 2004; Per-donare. Una critica femminista dello scambio, Meltemi, 2005] Il pozzo e' un luogo da sempre appartenuto alle donne, dentro e fuor di metafora: sono le donne ad andare a prendere l'acqua al pozzo, percorrendo distanze chilometriche, nei paesi del Terzo Mondo in cui questa e', ancora oggi, pratica quotidiana necessaria. E sono le donne, ovunque nel mondo, a conoscere "quello che si sa quando si viene su dal pozzo" (Alba De Cespedes). Perche'? Un po' per via di quello che Natalia Ginzburg definiva il guaio delle donne: "la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una terribile malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla"; un po' perche' le donne sentono, piu' degli uomini, il bisogno, sano, di ritornare a visitare luoghi in cui si svolge la vita in tutta la sua autenticita'. Cogliendo l'occasione della rilettura del carteggio tra le due scrittrici De Cespedes e Ginzburg, pubblicato nella rivista "Mercurio" nel 1948, e riproposto da Anna Maria Crispino in Ciao Bella. Ventun percorsi di critica letteraria femminile oggi, (Milano, Manni-Lupetti, 1996, pp. 173-182), voglio invitare ad una breve riflessione sulla pratica del visitare pozzi applicata alla sfera politica. Prima una precisazione: negli ultimi cinque anni le donne sono state vittime di legislatori poco attenti, che hanno compilato pastrocchi: come la legge 40 sulla fecondazione assistita e la recente legge sull'affidamento condiviso. In entrambi i casi si tratta di leggi fondate su un'astratta idea morale (il diritto dei figli/embrioni) senza tenere conto di quello che succede effettivamente nel quotidiano di uomini, donne e bambini e bambine. A causa della legge 40, le donne che si rivolgono alla fecondazione assistita devono sottoporsi a indicibili e inutili sofferenze del corpo. Presupponendo una parita' di condizioni sociali ed una condizione d'accordo (entrambe cose che non esistono quasi mai tra genitori separati), la legge sull'affido congiunto penalizza innanzitutto i figli, che saranno vittime di continue conflittualita' irrisolte (allora la decisione e' rimessa al giudice, coi tempi dei tribunali!). Inoltre, e' un netto ritorno indietro contro le donne, che vengono decisamente penalizzate pur non essendo nemmeno nominate. Facendo riferimento solo a un neutro "il genitore", la scrittura rivela la natura del legislatore che ci sta dietro: un uomo (o potrebbe anche essere una donna) che non ha mai fatto pratica di pozzi. Perche' chi ha fatto tale pratica, avendo conosciuto la sofferenza, riesce a riconoscere anche quella dell'altro e dell'altra, e a provarne compassione. A pensare leggi compassionevoli (volte a limitare le sofferenze), piuttosto che punitive e fondamentaliste. * Ma per saper fare certe cose bisogna aver scoperto l'inganno del "privilegio di essere liberi dal dolore, dalla miseria umana": "Chi scende nel pozzo conosce la pieta'. E come si puo' vivere, agire, governare con giustizia senza conoscere la pieta'?" scrive, nel prezioso carteggio, Alba De Cespedes. E, denunciando la mancanza delle donne nei luoghi di governo e nella magistratura ("il diritto ad essere magistrati" verra' sancito solo dal 1963), aggiunge: "Gli uomini non solo ignorano l'esistenza di questi pozzi, e tutto cio' che s'impara quando si cade in essi, ma ignorano anche d'esser proprio loro a spingervi le donne con tanta spietata innocenza... Tu dici che le donne non sono esseri liberi: e io credo invece che debbano soltanto acquisire la consapevolezza delle virtu' di quel pozzo e diffondere la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il fondamento di quella solidarieta', oggi segreta e istintiva, domani consapevole e palese, che si forma fra donne anche sconosciute l'una all'altra". Queste parole scritte nel 1948 risultano essere fin troppo attuali. Dobbiamo stare attente, molto attente, a non farci strappare di mano i progressi del femminismo, magari annebbiate dalla conquista di un seggio elettorale, dalle quote rosa, che il nostro partito ha rispettato, nonostante la legge non sia passata in Parlamento. Il diritto di famiglia del 1975 e le leggi in difesa dei diritti delle donne stanno subendo dei gravissimi attacchi. E inoltre e' necessario distinguere tra "il relativismo, cioe' il lasciarsi portare qua e la' da qualsiasi vento di dottrina" di cui parla Papa Ratzinger (riuscendo a portare dalla sua parte le femministe piu' agguerrite!), e il rispetto del pluralismo etico: ci sono scelte di valore che vanno rispettate, anche se, con tutta probabilita', sono differenti dai fondamenti della morale cattolica, che difende l'indissolubilita' del matrimonio (retrostante la recente legge sull'affidamento condiviso) e la presenza di vita personale nell'embrione. Nelle due leggi sopra nominate e' palese la presenza di un unico valore di riferimento, pretestuosamente collegato alla fede cristiana, ma in realta' connesso allíesigenza maschile di evitare di cadere nei pozzi, e alla tendenza maschile di controllare, piuttosto che condividere, cio' che avviene nel mondo del privato: la sofferenza che una vita intima, vissuta in tutta la sua profondita', puo' comportare. Le donne sanno in cosa consiste la reale relazione con i figli, fin dalla loro presenza nella pancia: conoscono il pozzo delle difficolta' da affrontare giorno dopo giorno, con figli che crescono e scalpitano. Compito delle leggi non e' auspicare che la pratica del privato possa essere condivisa tra uomini e donne, ma aiutare le persone in difficolta' ad affrontare la concreta realta' di ogni giorno. La lunga pratica femminile di pozzi (in cui vi e' l'infelicita' dello sprofondare nella sofferenza, ma anche la felicita' di sapere stare in relazioni significative, di sapere dare e darsi con tutte se stesse) e' uno strumento di conoscenza irrinunciabile. Le donne oggi non possono rinunciare al loro patrimonio di genere, lasciandosi annebbiare dalla parita'-omologazione al valore-paradigma unico maschile. Non possiamo ammettere che altri pastrocchi di legge attentino ai nostri diritti umani. * Concludo dando voce a una femminista americana, Genevieve Vaughan, vissuta molti anni in Italia ed ora tornata nel Texas, dove ha fondato numerose associazioni volte a riportare "come chiave interpretativa del simbolo", e a farla emergere dalla invisibilita' in cui e' relegata, la pratica del dono e della cura, che e' alla base della nostra vita e da riconoscere "in cio' che molte donne e alcuni uomini fanno gia' tutti i giorni" (Per-donare. Una critica femminista dello scambio, Meltemi, 2005). Ecco cosa scrive Vaughan nell'introduzione di un volume monografico edito dalla rivista italiana "Athanor" nell'agosto 2004: "Oggi nel mondo coesistono due paradigmi economici di base, logicamente contraddittori ma anche complementari. Uno e' visibile, l'altro invisibile; uno fortemente apprezzato, l'altro sottovalutato. L'uno e' collegato con gli uomini, l'altro con le donne. Quello che dobbiamo fare e' dare valore a quello collegato con noi donne per causare uno spostamento fondamentale dei valori con cui gestiamo le nostre vite e le nostre politiche". C'e' da auspicare che, conclusesi le imminenti elezioni, le donne (e gli uomini) che saranno chiamate a partecipare alla redazione di leggi importanti per lo svolgersi quotidiano della vita di persone in carne ed ossa, sapranno ricordarsi dell'esistenza di tali paradigmi invisibili, appartenuti per secoli alle donne. 3. RIFLESSIONE. DANILO ZOLO: LE STRAGI UMANITARIE [Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 aprile 2006. Danilo Zolo, illustre giurista, nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, e' docente di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di Firenze. Tra le opere di Danilo Zolo segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari 1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995; Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000; Globalizzazione: una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari 2004] Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso la prospettiva dell'"ingerenza umanitaria" diviene l'elemento chiave della strategia statunitense del new world order e avanza crescenti pretese di legittimita' etica e giuridica. L'obiettivo della "sicurezza globale", si sostiene, esige che le grandi potenze, responsabili dell'ordine mondiale, diano per superato il principio vestfaliano della non ingerenza nella domestic jurisdiction degli Stati nazionali. Gli Stati Uniti dovranno esercitare e legittimare un loro diritto-dovere di intervento nei casi in cui si giudichi necessario intervenire, anche con l'uso della forza, per risolvere crisi interne a singoli Stati, in modo particolare per prevenire o reprimere gravi violazioni dei diritti dell'uomo. L'assunzione teorica sottostante all'interventismo umanitario e' che la tutela internazionale dei diritti dell'uomo deve essere considerata un principio di carattere prioritario rispetto all'obiettivo stesso della tutela della pace e dell'ordine mondiale. La "sovranita' esterna" di uno Stato non puo' essere considerata una prerogativa assoluta e illimitata, tanto piu' nel contesto di una societa' planetaria che i processi di integrazione rendono sempre piu' coesa e carica di interdipendenze funzionali. L'inazione sarebbe complicita'. La prassi dell'humanitarian interventionism si e' affermata rapidamente nel corso dell'ultimo decennio del Novecento ad opera delle potenze occidentali e per impulso soprattutto degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Questa strategia ha trovato applicazione nella fase immediatamente successiva alla guerra del Golfo del 1991, sia nell'Iraq settentrionale che in quello meridionale, attraverso la definizione unilaterale di no flying zones. Successivamente, nel triennio 1992-'94, la politica degli interventi umanitari si e' affermata al di fuori di qualsiasi riferimento giuridico, compresa la Carta delle Nazioni Unite. L'intervento degli Stati Uniti e di alcune altre potenze in Somalia, inizialmente motivato dalla necessita' di garantire l'afflusso di soccorsi alimentari e sanitari, si e' rapidamente trasformato in un sanguinoso conflitto militare i cui obbiettivi si sono allontanati sempre piu' dalle finalita' istituzionali delle Nazioni Unite, fino a coincidere con gli interessi di alcune potenti compagnie petrolifere. * Nei Balcani, prima la guerra di Bosnia e poi, nel 1999, la guerra scatenata dalla Nato contro la Federazione Jugoslava - la guerra per il Kosovo - hanno consacrato definitivamente la prassi dell'interventismo umanitario. La motivazione umanitaria e' stata assunta nel modo piu' esplicito come justa causa di una guerra di aggressione. E si e' dichiarato che l'uso della forza per motivazioni umanitarie era legittimo non soltanto in opposizione al principio di non ingerenza nella domestic jurisdiction di uno Stato sovrano, ma anche in contrasto con la Carta delle Nazioni Unite, con i principi della statuto e della sentenza del Tribunale di Norimberga, oltre che con il diritto internazionale generale. Di fronte a questa autentica eversione del diritto internazionale la reazione delle Nazioni Unite e' stata di sostanziale inerzia e subordinazione, se non di aperta complicita' con le potenze occidentali. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, si e' allineato con le posizioni degli Stati Uniti (ai quali deve, come e noto, la sua elezione all'incarico che ricopre). In un discorso ufficiale all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del settembre 1999, Annan si e' spinto sino a giustificare in termini di "stato di necessita'" l'intervento militare della Nato in assenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza. L'uso della forza, ha dichiarato, e' stato un male minore rispetto all'inerzia della comunita' internazionale di fronte al rischio di un genocidio. In sostanza le Nazioni Unite, per bocca del loro Segretario Generale, hanno legittimato la guerra di aggressione perche' motivata dagli aggressori come "guerra umanitaria". Kofi Annan non sembra essere stato neppure sfiorato dal dubbio se la guerra moderna, con i suoi strumenti di distruzione di massa, possa davvero essere usata per proteggere valori universali come i diritti dell'uomo. Ci troviamo qui di fronte ad una evidente aporia: sostenere che tutti gli individui sono titolari di diritti inviolabili e inalienabili significa attribuire loro anzitutto il diritto alla vita, riconosciuto dall'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. In secondo luogo significa riconoscere loro, come vuole ancora la Dichiarazione universale, i diritti fondamentali di habeas corpus: nessuno puo' essere sottoposto a trattamenti ostili che comportino una lesione della sua integrita' fisica, della sua liberta', dei suoi rapporti affettivi e dei suoi beni, se non in seguito all'accertamento di suoi comportamenti consapevolmente contrari alla legge penale. * La legittimazione della "guerra umanitaria" equivale ad una contradditoria negazione di tutti questi principi. Nel caso della guerra per il Kosovo, ad esempio, la pena di morte e' stata di fatto applicata a migliaia di cittadini jugoslavi prescindendo da qualsiasi indagine sulle loro responsabilita' personali. Migliaia di persone innocenti sono morte sotto i bombardamenti degli aerei statunitensi, britannici e italiani, sotto le micidiali cluster bombs e i proiettili all'uranio impoverito. Non ci sono dubbi che oggi sia necessaria una tutela internazionale - e non solo nazionale - dei diritti soggettivi. Il problema e' di rendere compatibili gli interventi transnazionali a tutela dei diritti con la diversita' delle culture, con l'identita' e la dignita' dei popoli, con l'integrita' delle strutture giuridico-politiche di cui essi si siano liberamente dotati. In questa prospettiva non puo' che essere fermamente respinta la pretesa di singole potenze o di alleanze militari ad erigersi, in palese violazione del diritto internazionale, a custodi dei diritti dell'uomo in quanto valori universali e quindi meritevoli di tutela al di la' del rispetto della domestic jurisdiction degli Stati. L'affermazione del militarismo umanitario degli Stati Uniti ha portato ad un vero e proprio collasso dell'ordinamento giuridico internazionale che e' nello stesso tempo causa e conseguenza della paralisi delle Nazioni Unite. La dottrina e la pratica della guerra umanitaria sono state di fatto il primo passo di un uso sistematico della forza militare da parte di una superpotenza "imperiale" che intende imporre la sua egemonia economica, politica e militare al pianeta intero. Le guerre umanitarie non sono state che un preludio delle successive "guerre preventive" contro l'Afghanistan, contro l'Iraq e, molto probabilmente, di quella che si annuncia contro l'Iran. Resta ancora una volta confermata la massima, enunciata da Proudhon e ripresa da Schmitt: "Chi dice umanita' cerca di ingannarti". 4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: SIAMO CIECHI [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 aprile 2006. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] La decisione dell'Unione Europea di sospendere ogni aiuto finanziario alla Palestina e' cieca se non provocatoria. Vogliamo sperare che sia soltanto cieca, perche' nel secondo caso vorrebbe dire che quel tanto che esiste di Europa e' in mano a dirigenti pericolosi, determinati ad aggravare senza fine il conflitto nel Medio oriente. Ma anche la cecita' fa paura. Che ci si attende dal fatto di affamare un piccolo paese, gia' distrutto nelle poche infrastrutture che l'Anp aveva cercato di costruire, dai colpi mirati del governo israeliano, un paese privo di risorse, o come la striscia di Gaza ridotto all'estrema miseria per avere votato maggioritariamente per Hamas? E con la motivazione, ribadita dall'Unione Europea, che Hamas non ha dichiarato di rinunciare in linea di principio alla violenza e di riconoscere l'esistenza dello stato di Israele? In primo luogo, Hamas checche' ne pensi il dipartimento di Stato, e' sicuramente un movimento armato, ma che non ha nulla a che vedere con Al Qaeda e varie jihad che spuntano nei paesi a bersaglio degli Stati Uniti, ma agisce esclusivamente nei territori palestinesi, al fine di liberarli dall'occupazione. Si puo' discutere se sia stata la maniera giusta. Ma Hamas va visto per quel che e', un movimento di liberazione nazionale e sarebbe elementarmente ragionevole chiedersi come mai e' arrivato ad avere il voto maggioritario della sola nazione mediorientale che fino a dieci anni fa era assolutamente laica. Come non vedere che la risposta e' nella esasperazione di un popolo spinto agli estremi, dopo un'occupazione di trentacinque anni, il solo a pagare il rifiuto dei paesi arabi a riconoscere Israele, a sua volta insediata in una terra araba senza consultazione alcuna con gli abitanti che ne venivano estromessi? Come non vedere nella politica di Ariel Sharon, di cui egli forse stava sia pur tardivamente dubitando, un elemento che ha facilitato l'insediamento di Hamas, sola organizzazione che tentava e riusciva a sostenere un paese distrutto in tutte le sue infrastrutture? E come non rendersi conto che le politiche repressive non hanno mai ragione, salvo andare al vero e proprio sterminio, di una opposizione nazionale? Anzi, la esacerbano, e in presenza di un cosi' smisurato rapporto di forze, la spingono verso l'azione armata anche terrorista? Come non ammettere che la linea di Ariel Sharon e' stata folle, come quella di Bush con l'Iraq? Come non chiedersi che cosa ha significato rifiutare un dialogo su basi serie e accettabili, che non e' mai stato - neppure a Taba - esplicitamente e perfino unilateralmente avanzato? Come non riconoscere che, se tarda un riconoscimento dell'esistenza di Israele da parte dei paesi arabi fino alle ultime elezioni ha continuato a dominare a Tel Aviv il progetto di una grande Israele? Mantenersi su questa strada e' di una criminale stupidita'. Ci possiamo augurare soltanto che la "transitorieta'" di questa misura porti alla sua abrogazione nel piu' breve tempo possibile. E' una ben scarsa soddisfazione da parte di chi non ha mai creduto che la democrazia si potesse esportare o imporre con le armi, senza che ne esistano o ne siano saggiamente alimentate le basi, constatare che essa non consiste soltanto in "libere elezioni". Che siano state libere quelle palestinesi nessuno ha messo in dubbio. Che una repubblica islamica possa essere democratica nel senso pieno che noi diamo alla parola, non e' possibile. Ma che cosa e' successo in Algeria quando il voto maggioritario ottenuto dal Fis e' stato negato dalla messa fuorilegge del medesimo? Ne e' seguita una guerra civile atroce, della quale nessuno parla perche' il gas algerino serve ai paesi dirimpettai del Mediterraneo. Domani si vota. La politica internazionale e' stata del tutto assente da questa campagna elettorale, segno di un pericoloso provincialismo. Fuori di noi il mondo e' in fibrillazione. La vittoria del centrosinistra dovra' anche allargare, fra i suoi compiti primari, l'attenzione di un paese che Berlusconi ha rinchiuso in se stesso o nel servaggio verso gli Stati Uniti. 5. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: ALCUNE MINIME POSTILLE AL TESTO CHE PRECEDE La prima: il terrorismo, nessuno lo ha saputo dimostrare meglio di Marx, e' sempre nemico dell'umanita' e quindi di chi lotta per la liberazione dell'umanita'. La seconda: e' giunta l'ora di un cambio di strategia da parte della comunita' internazionale nei confronti dei paesi guidati da regimi dittatoriali e/o da gruppi criminali o che compiono atti criminali. Non sanzioni che reduplicano l'oppressione sui popoli, ma aiuti umanitari alla popolazione con una cooperazione dal basso che sia ad un tempo sostegno concreto alla sussistenza materiale ed effettuale promozione di democrazia autocentrata: un'idea regionevole sarebbe affidare la gestione degli aiuti internazionali a cooperative di donne. La terza: la vittoria elettorale di un'organizzazione totalitaria e terrorista come Hamas in elezioni relativamente democratiche (ma anche in Italia e in Germania in elezioni relativamente democratiche poterono prevalere fascisti e nazisti) e' una tragedia che aggrava ma insieme segnala una tragedia preesistente; Hamas ha vinto le elezioni non tanto perche' sia un gruppo terrorista, ma per un insieme di altri fattori che tutti richiedono una presa d'atto e un'analisi, da cui far discendere scelte conseguenti: la corruzione nel gruppo dirigente dell'Anp; l'aver offerto Hamas servizi assistenziali a una popolazione terribilmente oppressa e denegata, l'essersi essa proposta come portatrice di valori - religiosi e nazionali - in cui molti hanno sentito di riconoscersi, l'essersi presentata agli occhi di molti - ed in particolare dei piu' diseredati - come credibilmente impegnata contro la corruzione della leadership laica palestinese e come intransigentemente avversa all'occupazione militare israeliana - ferocemente oppressiva e sovente assassina e fin stragista - di cui il popolo palestinese dei Territori e' vittima; ed e' tragico e paradossale, ma evidente e ineludibile, che nel voto ad Hamas - un'organizzazione totalitaria e terrorista - ha sciaguratamente trovato espressione anche la legittima rivendicazione della popolazione palestinese della propria dignita' di persone e di popolo. Ma se questo e' accaduto e' accaduto anche perche' la solidarieta' internazionale (le organizzazioni internazionali, gli stati, gli attori cosiddetti non governativi) non ha saputo sostenere con efficacia il processo di pace, non ha saputo farsi carico di promuovere i diritti e il benessere della popolazione palestinese, non ha saputo far nascere lo stato palestinese a fianco dello stato di Israele, facendosi concretamente garante della sicurezza dei due popoli e dei due stati. Che fare dunque? Occorrono azioni internazionali positive e costruttive che riconoscano dignita' e diritti alle persone e ai popoli, che offrano aiuti materiali a una societa' terribilmente oppressa, traumatizzata e disgregata, che propongano alle rappresentanze istituzionali vie politiche di riconoscimento e di dialogo, che promuovano nei fatti i diritti umani di tutti gli esseri umani ed in primo luogo quel diritto dei diritti che e' il diritto a non essere uccisi; che sconfiggano il terrorismo nell'unico modo in cui il terrorismo puo' essere sconfitto: con la pace, la democrazia, la cooperazione internazionale, la condivisione delle risorse, il riconoscimento delle ragioni di tutti gli interlocutori: interlocutori, appunto, a cui proporre un dialogo fondato sul rispetto del diritto internazionale, dei principi dello stato di diritto, dei diritti delle persone come base condivisa per un'azione comune in cui anche le conflittualita' possano esprimersi in forma politica e giammai omicida. Diciamolo ancora una volta: il totalitarismo e il terrorismo, e i soggetti politici organizzati che ne sono portatori, possono essere contrastati e sconfitti solo con piu' diritti, piu' democrazia, piu' legalita', piu' cooperazione, piu' conoscenza, piu' solidarieta' con le persone e i popoli oppressi. La quarta: occorre infine e innanzitutto sostenere ad un tempo la popolazione israeliana e la popolazione palestinese nel diritto di ambedue a una vita finalmente libera da minacce e violenze, una vita finalmente serena nell'essere e nel sentirsi tutti riconosciuti; occorre sostenere in particolare le persone e i gruppi sia palestinesi che israeliani che si impegnano per la pace e il dialogo, per i diritti umani di tutti gli esseri umani: ogni solidarieta' unilaterale che deneghi le ragioni altrui non solo non serve, ma aggrava una situazione gia' tragica. Infine: non vi sara' speranza di pace in Medio Oriente, come ovunque nel mondo, se non a partire dalla fine del regime patriarcale, autoritario e guerriero: sostenere i movimenti delle donne e' il primo, il piu' ragionevole e piu' urgente passo che la cosiddetta comunita' internazionale degli stati e la cosiddetta societa' civile globale devono compiere. La decisione dell'Unione Europea e' una decisione sciagurata. Oggi piu' che mai e' necessario sostenere il popolo palestinese, il popolo israeliano, i diritti, la pace, il dialogo. 6. MAESTRI. MOHANDAS K. GANDHI: SE [Da Mohandas K. Gandhi, Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1984, p. 69. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006] Se l'essere umano si rendesse appena conto che e' vile obbedire a leggi ingiuste, nessuna tirannia umana potrebbe esistere. Questa e' la chiave dell'autogoverno. 7. LETTURE. CLAUDIO TUGNOLI: PERCHE' LA VIOLENZA Claudio Tugnoli, Perche' la violenza. Mimetismo conflitto sacrificio, Il segno dei Gabrielli, Negarine di S. Pietro in Cariano (Vr) 2005, pp. 104, euro 10. Alcune acute ricerche filosofiche di uno studioso amico della nonviolenza che da tempo riflette su temi cruciali nel solco dell'elaborazione di Rene' Girard (su cui ha scritto peraltro una cospicua monografia che vivamente raccomandiamo). Per richieste alla casa editrice: tel. 0457725543, fax: 0456858595, e-mail: scrivimi at gabriellieditori.it, sito: www.gabriellieditori.it 8. RIEDIZIONI. NICCOLO' MACHIAVELLI: OPERE Niccolo' Machiavelli, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp. LII + 598, (in suppl. al quotidiano "Il sole 24 ore"). Dalla classica Letteratura Italiana Ricciardi una selezione delle opere machiavelliane a cura di Mario Bonfantini (con il Principe, i Discorsi, l'Arte della guerra, la Mandragola, Belfagor e una scelta dall'epistolario). In Machiavelli tutto scintilla d'intelligenza, di capacita' di leggere dentro le cose del mondo, di traduzione in pensiero e in linguaggio del nudo, del duro vero; e non si puo' divenire buoni amici della nonviolenza se non si e' passati per questa lettura. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1264 del 13 aprile 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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