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Voci e volti della nonviolenza. 17
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 17
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 11 Apr 2006 22:05:16 +0200
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 17 dell'11 aprile 2006 In questo numero: 1. Pietro M. Toesca: Ricordare Ivan Illich 2. Et coetera 1. PIETRO M. TOESCA: RICORDARE IVAN ILLICH [Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile anche nel sito www.arivista.org)] Ricordare Illich, per me e per coloro che appartengono alla mia generazione (che e' appunto quella di Illich), significa ritrovare, attraverso la memoria, le tracce del percorso che ci ha condotto al giudizio che noi oggi diamo della realta' che ci circonda e alla presa di coscienza la piu' lucida possibile dell'alternativa storica dinanzi alla quale noi ci troviamo. Proiettiamo forse il nostro pensiero su una posizione datata facendola apparire anticipatrice e straordinariamente profetica? Certamente, ma il senso di questa proiezione sta proprio nella possibilita' di assumere Illich come nostro interlocutore attuale: come per tutti i grandi pensatori la sua storicita' non e' un limite che lo costringe prima o poi all'obsolescenza, ma lo straordinario contributo, concreto e ad un tempo universale, metatemporale, alla formulazione di un giudizio che non si riduca all'interpretazione di fatti che, con il loro superamento, travolgano con se' il pensiero che ne ha preso atto, ma che e' destinato a rimanere elemento di una rappresentazione dinamica grazie alla quale chi pensa e agisce nel mondo gli puo' essere consapevolmente, appunto lucidamente presente e attivamente attento alle sue necessita'. E' proprio questo il merito fondamentale di Illich, il suo contributo all'elaborazione di un giudizio grazie all'identificazione dei criteri che lo costituiscono come una vera e propria presa di coscienza radicale. Leggendolo, o ascoltandolo per chi ha potuto farlo, si ha immediatamente l'impressione di essere posti in grado di vedere le cose con una partecipazione e ad un tempo una distanza che permettono di coglierle nel loro significato non contingente, di avere cioe' a disposizione delle argomentazioni grazie alle quali si puo' ripigliare dall'inizio, dalla radice semplice ed elementare, ma per questo non parziale e gia' compromessa, ogni percorso costruttivo che ci e' dato di dover affrontare. Per questo il destino di Illich, al quale si alludeva sopra, e' pure oggi in qualche modo "cinico e baro": il suo ricordo e' schivato, rimosso, perche' ben pericoloso in un momento storico in cui la difesa strenua ed estrema dei pregiudizi consolidati e deleteri e' affidata all'ignoranza, all'obnubilazione delle coscienze, al rifiuto di ricominciare dal principio, pazientemente, a tessere i fili del nostro sapere e del nostro fare. E' questa la gia' tanto denunziata morte (uccisione) della filosofia. Bisogna dire che questa sorte e' toccata anche fin dall'inizio ad un pensiero cosi' radicale da essere interpretato, anche a sinistra, mettendo avanti, come si direbbe ora, una serie di se e di ma, a cui si appende sempre il realismo teorico e pratico di chi e' portato a identificare la realta' con i fatti e a considerare in qualche modo, per diritto o per traverso, il risultato storico come insuperabile se non dal suo interno, cioe' tenendo fermi appunto, come criteri di giudizio, quelle stesse prospettive attraverso le quali si e' giunti a quei risultati. Come se la continuita' della storia non includesse anche continuamente discontinuita' introdotte dal pensiero e dall'azione guidata dal pensiero, che dispongono, per loro costituzione, di un distacco critico che permette all'uomo di fare, in qualche modo, la storia. Altrimenti la liberta' sarebbe poca cosa. * L'istituzionalizzazione Ricordare Illich e' dunque riscoprire un criterio di giudizio che permette di vedere la realta' storica, che ci riguarda, nel suo insieme; ed e' il criterio della deistituzionalizzazione. E per istituzione si intenda la realta' e il simbolo di quella storicizzazione assoluta che va sotto il nome di realismo. L'istituzione e' la risposta organizzata a bisogni ovvero a domande che l'individuo rivolge alla societa' nella convinzione che essa possa supplire alla sua impotenza ad esercitare un diritto e quindi trasferendo questa necessita' soggettiva ad un meccanismo oggettivo che via via si costituisce in logica oggettiva e diventa cosi' pretesa esclusiva di disporre degli strumenti necessari a soddisfare quei bisogni e quelle richieste. Il diritto si trasforma cosi', a sua volta, in dovere e l'obbligo sociale di intervenire e di provvedere passa al soggetto individuale come dipendenza assoluta e appunto obbligo di rivolgersi senza alternativa all'istituito ed autorizzato fornitore di servizi. Cosi' si costituisce il monopolio istituzionale e il rapporto tra individuo e societa' si rovescia perfettamente, poiche' non e' piu' l'attivita' del soggetto individuale che associandosi fonda e controlla continuamente l'organizzazione delle risposte sociali e quindi della societa' intesa come soggetto collettivo e dialogante tra di se', ma e' la societa' organizzata, tendente alla conservazione della propria figura definita una volta per tutte, ad imporre le proprie regole ed i propri procedimenti e quindi assumendo nella propria oggettivita' tutta la soggettivita' degli associati espropriandoli proprio di cio' che essa sarebbe invece chiamata a sostenere e a garantire realmente. L'originaria giustificazione dell'istituzione si perde con la trasformazione di questa in interlocutore obbligatorio e assolutamente autoreferenziale. Attraverso questa autoreferenzialita' passano tutte le regole di comportamento che invece di mettere in grado gli associati, cioe' la comunita', di esercitare la propria liberta' creativa trasferiscono direttamente quel potere a chi, in un modo o in un altro, cioe' con la forza o con il consenso, e' incaricato o si incarica di esercitarlo concentrandolo in se' "per il bene e al servizio" di tutti. Ogni istituzione e' a rischio di questa ambiguita', dalla famiglia alla scuola, dal luogo di lavoro alla societa' tutta. La societa' organizzata tende a sostituire monopolisticamente ogni processo di realizzazione della relazionalita' che e' un aspetto dell'individualita' di ciascun soggetto umano e che per essere mantenuta nella sua verita' deve poter fare riferimento continuo a se stessa ed alla propria formazione progressiva. La societa' deve "fare" liberi, come la societa' deve essere "fatta" dalla liberta' effettiva degli associati. * Il monopolio espropriante Contestare l'istituzione significa per Illich contestare questo monopolio espropriante che mantiene in uno stato di inferiorita' e di dipendenza permanente ed anzi progressiva gli individui che compongono la societa' e che invece di maturare attraverso e grazie ad essa sono costretti sempre piu' e in ogni campo ad obbedire a chi comanda con una giustificazione che riduce di molto la differenza tra metodi violenti e metodi democratici quando questi si avvalgono di mezzi di persuasione che fanno del consenso una vera e propria abdicazione alla liberta' di giudizio e cioe' all'esercizio effettivo della coscienza. La societa' dei consumi interiorizza semplicemente la costrizione sociale, trasformando la paura della repressione in vergogna della emarginazione. Il paradosso e' che la liberta' circolante nella democrazia dei consumi "libera" tutte le forme di licenza corruttrice ed oltretutto miope e contraddittoria in funzione di un unico scopo, quello dell'interesse esclusivamente individuale che, per corrispondenza all'abrasione sociale dell'individualita', elimina semplicemente la relazionalita' come condizione e partecipazione all'umanita' comune. * La convivialita' L'alternativa? Illich la indica nella "convivialita'". Si tratta di recuperare, senza i salti e i rovesciamenti della mediazione artificiale che invece di essere tramite di sviluppo sostituisce e cancella i passaggi "naturali", i processi attraverso i quali la razionalita' costitutiva di ogni soggetto costruisce via via i rapporti reali, li esercita e li sperimenta in continuazione, attribuendo alla societa' il connotato e le dimensioni autentiche di un soggetto collettivo che non estrania ne' espropria i singoli ma li immerge in un dialogo fecondo che, mentre li fa uscire dalla solitudine, riversa su di loro, a sua volta, la propria acquisita e crescente forza inventiva, smontando ogni volta la tentazione istituzionale e mantenendo l'insieme in perenne attenzione cosciente, giudicante, partecipe, creativa. Convivialita' significa prima di tutto condivisione, gioiosa partecipazione reciproca: il che non vuol dire beota negazione delle difficolta' e dei triboli dell'esistenza, ma attivazione continua, gli uni per gli altri, della meraviglia che fa risuonare in noi la bellezza della realta' e permette di affrontare la sofferenza come una dimensione interna, mai catastrofica, di un percorso che si manifesta sempre come bene se e' costruito insieme in uno scambio generoso di cio' che ciascuno scopre e realizza per se'. Questo stare vitalmente intorno ad un tavolo circolare, che la parola convivialita' evoca, annulla le differenze gerarchiche mentre riconosce e attiva le differenze grazie alle quali ciascun uomo e' al principio e alla fine di ogni processo, connota in qualche modo di se' la storia che nasce dal discorso comune (dalla conversazione) e realizza quella reciprocita' di fondo tra individualita' e relazionalita' che costituisce lo straordinario paradosso di un soggetto collettivo che non sopprime i soggetti singoli poiche' e' grazie alla loro realta' attiva che esso esiste e compie a sua volta la sua insostituibile funzione vitale. * La demistificazione del potere Con questo Illich e' in pieno nel processo di demistificazione del potere e dell'autorita', quella clamorosa scoperta, o riscoperta se si fa attenzione a tutte le anticipazioni dell'umanita' cosciente e pensante, che sfugge sempre, ed e' addirittura sfuggita a molta parte della contestazione rivoluzionaria dell'ultima storia, che l'eguaglianza tra gli uomini e' si' un diritto strutturale ma non si attiva realmente se non attraverso una effettiva eguaglianza di partecipazione sociale, non contraddetta dal rientro per la finestra, cioe' sul piano dei fatti, del monopolio organizzativo, scacciato dalla porta, cioe' dalle parole dichiarative grazie a cui si finge la definitiva eliminazione di uno schema metodologico di differenze qualitative e quantitative che si riaffacciano poi con tutta la forza (ahime') necessaria, cioe' dell'extrema ratio quando si passa poi davvero all'operativita'. Anche questo rapporto tra le parole non e' semplice e ovvio: le parole sono astratte, inefficaci, ingannevoli quando i fatti pretendono una loro logica autonoma, uno sbrigativo passaggio espresso dall'imperativo "basta con le parole, vogliamo i fatti". Ma quali fatti se non quelli guidati dalle parole, dalle idee elaborate e confrontate, dalle parole come discorso conviviale: ecco la conversazione. Quali connotati positivi puo' avere allora l'istituzione se non quelli che le possono derivare dalle condizioni che ne fanno un principio attivo di presa di coscienza, di capacita' di disporre delle idee e delle parole da parte di tutti coloro che attraverso il dialogo sociale scoprono la propria umanita' e sono messi in grado di esercitarla? Il problema della scuola, il primo che Illich affronta con clamorosa e radicale denuncia, e' per questo esemplare. * La descolarizzazione La descolarizzazione non e' il rifiuto o l'eliminazione della dimensione educativa ma la sua restituzione alla trasversalita' universale; ogni azione ha, lo si voglia o no, un versante pedagogico ed e' alla restituzione di questo aspetto di strutturale reciprocita' dinamica dell'azione umana che bisogna porre esplicita attenzione. Ogni istituzione come oggettivazione operativa deve avere questo carattere della dinamicita' e quindi della provvisorieta' strumentale che esalta esclusivamente il potere derivante dallo stare insieme, potere dunque evidentemente condiviso e da condividersi sempre piu' (questa e' la politica come pedagogia). La scuola come istituzione definitiva e sclerotizzata, cioe' autoritaria, impedisce questo processo generale di coeducazione, sostituendolo con un indottrinamento istruttivo che trasforma ogni uomo che vi passa (ogni alfabetizzato) in tecnico a vari livelli, anche minimi, da cui e' estromessa come destabilizzante proprio quella competenza grazie alla quale ogni uomo si riconosce appartenente ad una comune umanita', la cui figura storica e' via via attrezzata si' di competenze particolari e strumentali ma soprattutto di una coscienza di se' che le deriva dalla cultura intesa come giudizio, come approssimazione alla verita', come ininterrotta meraviglia di fronte all'esistenza. Quando Illich parla di descolarizzazione della societa' denunzia l'esito espropriante di una mediazione che, intrapresa per rispondere a domande e richieste tese a sapere, cioe' a conoscere in qualche modo la realta' secondo verita', si costituisce poi come oggetto definitivo essa stessa di sapere, una nuova realta' non piu' giustificata dalla ricerca ma termine organizzato di un sistema di affermazioni e dunque di informazioni che con le domande proposte non hanno piu' niente a che fare o che, meglio, sostituiscono le risposte come referenti dialettici intendibili soltanto appunto come risposte, con un sistema di dati che tendono per loro natura, cioe' per forza di autonomia, a mantenersi, crescere e giustificarsi secondo una logica tutta interna ed autoreferenziale. Questa e' la confusione, indotta dalla scolarizzazione, tra processo e sostanza: chi vi approda ha modo poi di entrare, essendone autorizzato ma per questo costretto senza alternativa se non l'emarginazione, nel meccanismo sociale costituito come un "o dentro o fuori", una realta' forte che mentre nutre e supporta i suoi associati, li obbliga ad una fedelta' accecante poiche' impedisce loro di vedere l'artificio fittizio di un'operazione che sostituisce il sapere e dunque il giudizio riducendosi alla funzione di giustificazione dell'apparato di mantenimento di una societa' data a cui viene meno lo strumento della giustizia, cioe' ogni momento critico del rapporto tra domanda e risposta. Un vero e proprio cogito interruptus poiche', invece di attrezzare il bisogno del singolo soggetto pensante degli strumenti necessari ad un giudizio autonomo interno alla realta' (la verita' soggettiva verificata mediante procedimenti in qualche modo oggettivi), la cultura prodotta e distribuita scolasticamente trae pedissequamente dalla storia risposte storiche date per definitive, veri e propri pregiudizi che impediscono, oltre che lo sviluppo del sapere, l'accesso personale dei singoli, mediante l'apprendimento, ai vari processi di presa di coscienza della realta'. E' qui che deve valere la distinzione tra processo e sostanza (il mezzo non deve essere il messaggio, cio' che avviene in una societa' alienata, come osservera' McLuhan), il che comporta una infinita variazione di procedure grazie alle quali il sapere e' appropriato, e dunque accessibile, nelle infinite situazioni e alle infinite sensibilita' esperienziali che connotano la personalita' di ciascun uomo. * Universalita' della dimensione pedagogica L'apprendimento viene cosi' liberato dalla dipendenza esclusiva dall'insegnamento: la dimensione pedagogica si ritrova come un aspetto del sapere e dell'agire di chiunque, anche del piu' modesto uomo la cui esperienza ha una potenzialita' di comunicazione conoscitiva che e' infinitamente e imprevedibilmente superiore al riconoscimento formalizzato che la codificazione sociale ne puo' dare. Illich segnala i casi e i successi dell'apprendimento cogestito da partners di cui uno dispone semplicemente di un sapere che ne costituisce la capacita' comunicativa e relazionale (vedi una lingua, una capacita' tecnica) e l'altro ha bisogno di acquisire quegli strumenti per comunicare a sua volta con la realta' che lo circonda. La scuola manca assolutamente di questa condizione concreta e percio' insegna in modo statico, vale a dire cio' che non serve e a chi non ne ha bisogno (avendo in realta' altri bisogni e dunque altre attese che, disattese, lo disgustano e lo rendono ormai irrimediabilmente ignorante). E questo avviene con un dispendio enorme di denaro, di risorse, di energie e di organizzazione che si potrebbero risparmiare soltanto se si desse ascolto alla figura reale della richiesta di sapere ed alla presenza nella realta' sociale di ogni epoca e di ogni situazione di una straordinaria ricchezza di elementi educativi che non attendono altro che di essere attivati con pochissima spesa e con una reale partecipazione di tutti coloro che "vogliono" sapere. E' evidente che una prospettiva di questo genere scardina completamente un sistema di potere cioe' una forma sociale fondata sul potere, sulla sua elaborazione concentrata e sul suo esercizio e richiede la costruzione (la restituzione) di una alternativa cioe' della cogestione come autogestione. E' cio' che Illich chiama convivialita'. * La societa' vivente Le persone di una tale societa' a cui pensa Illich non sono il risultato ma il principio stesso, il fondamento di una operativita' che deriva direttamente dalle doti che le costituiscono nella loro semplice esistenza. Il rapporto reale attiva queste doti il cui esercizio incrociato e molteplice costruisce via via una societa' che non e' gia' costituita a priori rispetto a ciascuno dei suoi membri: egli non vi si deve inserire, ma e' piuttosto in grado di attribuirle i connotati viventi che egli elabora semplicemente vivendo. Il segreto di questo passaggio, dalla vita di ciascuno alla realta' sociale, sta nell'attivazione di quella dimensione che si e' chiamata pedagogica, l'utilizzazione della forza comunicativa come istituzione di un rapporto creativo di risultati, cioe' di una crescita comune. Si tratta di una istituzione la cui oggettivita' non e' altro che l'esercizio reale della soggettivita' attivata dalla reciprocita'. Il rischio di sclerosi espropriante e' evaso continuamente dalla possibilita' di appropriarsi in ogni momento della iniziativa, e questo coincide con la liberta'. Sostanzialmente la funzione sociale e' liberatoria, e il suo principio sta nella liberta' stessa dei singoli attivata dalla relazione. Convivialita' richiama il convivere, una cerimonia di fruizione in comune della vita, con tutta la gioia del riscontrare nell'altro, negli altri, per sorpresa, la risposta possibile alle proprie domande, un fare comunicativo che passa dagli uni agli altri e fornisce ciascuno di cio' di cui ha bisogno per vivere da uomo. Questa e' una societa' che coincide con la reale attivita' di relazione dei suoi membri, sta e cade con la loro vita: vivendo essi elaborano, definiscono, sviluppano gli strumenti che permettono loro, sia praticamente che a livello di coscienza, di fabbricarsi le condizioni necessarie e sufficienti per la propria umanita'. Nell'homo faber/sapiens c'e' gia' tutta l'evoluzione ulteriore e interna alla sua costituzione: da quel momento il suo problema e' quello di sventare, continuamente e con precisa attenzione, l'ambiguita' che gli strumenti che via via egli elabora portano con se', trasformando in espropriazione un'attivita' il cui senso sta tutto nell'appropriarsi della vita e che dunque richiede una misura, un giudizio, la consapevolezza del rischio di ogni possibile e temibile esagerazione. * La scolarizzazione come principio Illich identifica nella scolarizzazione il principio invasivo dell'istituzionalizzazione sociale generale: e' la' che i processi significativi vengono requisiti e il bambino si abitua a rivolgersi ad una serie di protesi che, mentre lo attrezzano artificialmente ad ogni bisogna, lo privano della possibilita', cioe' della capacita' di fruire direttamente delle indicazioni di un ambiente significativo. L'alternativa e' proprio una societa' come ambiente significativo, in cui le istituzioni, invece di manipolare le indicazioni della realta' varia e dinamica ordinandola in pacchetti la cui logica di mantenimento sostituira' totalmente la funzione vitale in coloro che da quel momento da quel mantenimento dipenderanno, non avranno altro compito ed altra giustificazione che quella di mettere in grado gli "utenti" di essere autonomamente attivi, giudicanti e liberi. Una sorta di ossimoro fecondo che demitizza la necessita' dell'istituzione, la cui provvisorieta' funzionale consistera' nell'operazione di autoeliminazione, di sostituzione progressiva della propria necessita' con la maturazione comunitaria. Una maturazione che ha si' una progressivita', uno sviluppo (e questa e' la storia come presa di coscienza successiva crescente) ma che richiede sin dall'inizio l'impostazione del rapporto istituzione/comunita' in termini tali che la prima valga come strumento interno della seconda e non come referente dialettico assoluto definitivamente ineliminabile in nessuna occasione. Questa versione statica dell'istituzione reintrodurrebbe, come di fatto reintroduce, un altro concetto di storia, la ricorrente dialettica tra positivo e negativo, tra buoni istinti e cattivi istinti umani, alla cui neutralizzazione sarebbe addetta insostituibilmente l'istituzione. Controllo, contenimento, repressione: questo e' il compito della legge. Il corretto processo di umanizzazione dell'umanita' punta invece sulla presa di coscienza, che a questo punto e' evidente come sia impedita invece che favorita da istituzioni che si fondano sul presupposto dell'incapacita' originaria dell'uomo di organizzarsi i percorsi per la propria realizzazione. Non all'uomo singolo associato ma ad un mitico fantasma delegato (formalmente o no) spetterebbe questa liberazione dall'impotenza, che pero' paradossalmente rimarrebbe eternamente tale a giustificare l'esistenza necessaria di un referente dialettico fattosi a tutti gli effetti potere. Assolutamente diseducativo poiche' estraniante, interruzione, sbarramento di quei processi grazie ai quali, come dimostrano i primi anni di vita dei bambini, si esercita l'aspetto dinamico della "natura" dell'uomo, cioe' il suo statuto di "apprendista", di persona che si fa persona. Perche' cio' accada bisogna restituire al rapporto sociale la sua forza educativa, quel passaggio osmotico di capacita' e di virtu' che sta alla base di ogni invenzione civile e culturale. La legge sta forse alla base dell'arte, della solidarieta', del riconoscimento reciproco o non e' piuttosto l'estremo e disperato rimedio alla constatazione della loro assenza, cioe' del loro bisogno insoddisfatto? Dove non c'e' giustizia si ricorre alla legge, e questo ricorso sostituisce definitivamente la giustizia ed il suo bisogno. Cosi' la scuola si pretende cultura: ma quale invenzione culturale e' mai nata dalla scuola e non piuttosto dalla sua contestazione (o addirittura dall'indifferenza nei suo confronti)? Ecco dunque in che senso la descolarizzazione e' centrale nella prospettiva della deistituzionalizzazione: poiche' la "scuola" impedisce l'educazione, il ricasco reciproco sociale della maturazione di ciascuno, la formazione stessa della societa' come soggetto collettivo vivente dell'attivita' di ciascun soggetto singolo che la compone e che anche grazie ad essa, come fatto unitario, trae da se' il meglio che lo riguarda e riguarda il rapporto con i suoi simili. * La restituzione sociale Il testo principale di Illich, Descolarizzare la societa', e' scritto negli anni della contestazione ('60/'70) in cui e' attribuito e quindi richiesto alla stessa istituzione di autoriformarsi, cioe' di trasformarsi radicalmente grazie alla riappropriazione, da parte di tutti i suoi fruitori, insieme ai suoi operatori, delle condizioni originarie e giustificative in vista delle quali esse sono nate. Il che comporta a volte, e all'estremo, la propria autodemolizione come premessa alla restituzione sociale dei processi di soddisfazione di un bisogno. Il secondo passo e' proprio quello educativo, l'educarsi collettivamente cioe' reciprocamente a identificare con esattezza bisogni e procedimenti adatti a soddisfarli, demistificando le induzioni generate dalla confusione del bisogno con l'impotenza; confusione che produce il proliferare di una serie di altri bisogni artificiali che prendono il posto di quello originario e lo trasformano appunto nell'incapacita' del soggetto di provvedere in qualche modo a se' e lo consegnano mani e piedi legati ad una organizzazione che provvede, con l'apparenza e dunque l'alibi della soddisfazione del bisogno, a privarlo di ogni autorizzazione e di ogni energia autonoma. Cosi' il cittadino non esce dalla condizione di suddito, e lo Stato sociale non e' altro che il rafforzamento del Potere concentrato. Non si e' mai sentito parlare di una politica sociale di destra? molti esiti delle rivoluzioni sociali del secolo ventesimo fanno capo a questo equivoco. In questa denunzia della trasformazione di autorita', e quindi autorizzazione, in potere si mette in rilievo che quello che conta non e' il piu' o il meno della disponibilita' dell'istituzione ad essere partecipata e quindi ad assumere i bisogni reali nella propria logica prospettica ed operativa, ma e' l'impossibilita' dell'istituzione di non porsi come filtro, come imbuto attraverso cui deve passare ogni processo costruttivo umano per farsi sensato. Questa centralita' dell'istituzione taglia corto ed impedisce ogni sforzo del soggetto umano di realizzare di fatto le premesse della propria soggettivita': invece che potersi rivolgere alle cose, a modelli, ai coetanei e compagni di strada e ad anziani saggi capaci di comunicare la propria esperienza, come ad interlocutori del proprio apprendimento, il giovane, o comunque l'"apprendista" e' costretto a fare i conti con tutto questo come con un patrimonio indiscutibile che egli deve semplicemente introiettare per non interrompere uno sviluppo non di se' ma di una storia che riguarderebbe, come forme di una fantastica umanita', di volta in volta, aggregazioni mitiche che attraverso appunto l'insegnamento/apprendimento dovrebbero plasmare i singoli soggetti a propria immagine e somiglianza, integrandoli nel proprio percorso definitorio. Illich tocca qui la radice del problema e si figura un rovesciamento radicale di prospettiva: deve essere restituita ai soggetti la propria capacita' di iniziativa dialettica nei confronti di un contesto, quello sociale, che contiene in se', come suo aspetto didattico, gli elementi dinamici della costruzione comune, che possono essere attivati solo da una attivita' comune, dall'attivazione permanente di una azione/prassi che non si identifica con la fabbricazione, cioe' con la produzione di oggetti, ma attraverso questa, anche attraverso questa, si realizza come permanente esercizio dell'umanita' di ciascun soggetto. E' questa la vera attivita' politica, come in questi anni di contestazione radicale verra' messo in rilievo anche da altri pensatori (vedi ad esempio Hannah Arendt) e che Illich, con un richiamo non solo implicito all'esperienza greca e alla cultura medievale, identifica con l'attivita' educativa. Con l'autoeducazione collettiva ovvero attraverso la collettivita'. Per questo la descolarizzazione assume la centrale importanza del disarmo dell'istituzione sociale e descolarizzare la societa' significa restituirle le condizioni della propria essenziale soggettivita'. In questa prospettiva si inscriveranno gli straordinari studi di Illich sulla lettura come interiorizzazione dei significati oggettivati dalla scrittura che i medievali inaugureranno superando la lettura pubblica ad alta voce come rituale quasi esclusivamente sociale, promotore di una cultura tendenzialmente oggettiva, attraverso l'accumulazione ripetitiva di suoni orientati alla produzione di una uniformita' unisona. * Scuola e cultura Leggere Illich vuol dire respirare contemporaneamente le origini di una cultura che per poter manifestare la propria essenzialita' deve essere liberata dalla sua ambiguita' che la fa pretendere, e cosi' spesso nella storia la trasforma, come principio del dominio, e insieme identificare esattamente l'antidoto di questo rovesciamento, cioe' il ritrovamento del significato di quelle origini nel riferimento alle dimensioni elementari, "naturali" dell'uomo che si scopre come soggetto ed esercita per tutta la vita le conseguenze, che sono anche le condizioni, di questa scoperta. E' questo ritrovamento che la scuola impedisce, emarginando i piu' con l'esclusione, o con un pesante giudizio di inadeguatezza, dal processo di apprendimento requisito in termini di sistema tutto precostituito, cioe' affatto indipendente e previo rispetto all'esercizio stesso dell'apprendimento, che dovrebbe invece avere principio in se stesso. Cosicche' l'autoeducazione che non abbisogna di altro che dell'attivazione dell'aspetto didattico/comunicativo delle doti di ciascun vivente, e' sostituita e dunque resa impotente dai dettami elaborati da un sapere che fa riferimento a se stesso (ai propri metodi, e fini, e privilegi) e affatto alle richieste reali e sensate di chi vuole sapere. Cosi' i piu' sono esclusi, e la curiosita' naturale e generale lascia il posto alla logica di una costruzione maneggiabile da coloro che hanno il coltello per il manico, cioe' da coloro che possiedono ed esercitano il sapere come privilegio discriminatorio. Ovvero come lo strumento principale della discriminazione. Per questo la deistituzionalizzazione scolastica e' prioritaria, poiche' e' nella scuola che si elaborano e si comunicano i criteri di questa discriminazione, l'obbedienza, l'accettazione dei dati di fatto. "La scuola e' l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della societa' cosi' com'e'". Illich sa qual e' il formidabile valore rivoluzionario della cultura come progressivo processo di autocoscienza e quindi di acquisizione del giudizio critico, e per questo denunzia la scuola come altrettanto formidabile disarmo di questo potenziale esplosivo. Un esplosivo, se cosi' lo si puo' chiamare metaforicamente, finalmente pacifico che rappresenta cioe' le condizioni della trasformazione sociale come normale procedura di costruzione della storia invece che costretto esercizio della violenza clonata sulla violenza del potere da cui ci si deve difendere. Interrompiamo il "normale" processo di alienazione e ci affrancheremo dalla necessita' del ricorso alla violenza come strumento di liberazione dalla violenza. Questo significa restituire la speranza che e' stata sostituita storicamente dalle aspettative: la speranza, come apertura alla vita di ciascun uomo, che e' stata vanificata dalla costruzione artificiale di aspettative in un gioco oggettivo di rimandi tra possibilita' operative e creazioni di bisogni che le rendano concretamente reali e indefinitamente superabili. Cosi' si chiude il saggio sulla descolarizzazione, con un richiamo all'unico dono positivo che Pandora ha tenuto ben chiuso nel suo vaso dopo essersi lasciati sfuggire tutti i mali disperdendoli nel mondo, l'unico bene divino che ella ha riservato all'umanita', la speranza come respiro della soggettivita'. 2. ET COETERA Pietro Maria Toesca (1927-2005) e' stato uno dei maggiori filosofi della nonviolenza in cammino in Italia. Dallo stesso fascicolo di "A. rivista anarchica" da cui abbiamo estratto l'articolo che precede riportiamo anche la seguente scheda (auto)biografica di Toesca: "Pietro M. Toesca ha insegnato filosofia e storia prima nei licei, poi filosofia nelle sue varie versioni (teoretica, della storia, delle scienze) alla Sapienza di Roma e a Parma. Dimessosi nell'80 per dignita' e rifiuto di connivenza con l'Accademia ricostruita, insegna ora nell'Universita' del Territorio della Rete delle piccole citta' storiche. Ha scritto una montagna di libri, forse piu' o meno inutili, su Platone, Pascal, Marx, sulla filosofia contemporanea, su scienze e potere, su culture e politica, sulla scuola, sull'arte, sui grandi scrittori. Dirige una piccola editrice cooperativa, Nuovi Quaderni, e una rivista critica di ecologia territoriale, 'Eupolis'. Vive a San Gimignano" [ricordiamo che questa scheda e' del 2003; Toesca e' deceduto nel 2005 - ndr]. Ivan Illich e' nato a Spalato nel 1925; laurea in mineralogia a Firenze, studi ulteriori di psicologia, arte, storia (dottorato a Salisburgo); ordinato sacerdote nel 1951, per cinque anni opera in una parrocchia portoricana a New York, poi e' prorettore dell'Universita' Cattolica di Portorico; a Cuernavaca (Messico) fonda il Cidoc (Centro interculturale di documentazione); docente in varie universita', conferenziere, studioso costantemente impegnato nella critica delle istituzioni e nella indicazione di alternative che sviluppino la creativita' e dignita' umana; pensatore originale, ha promosso importanti ed ampie discussioni su temi come la scuola, l'energia, la medicina, il lavoro. E' scomparso nel 2002. Tra le opere di Ivan Illich: Descolarizzare la societa', Mondadori; La convivialita', Mondadori, poi Red; Rovesciare le istituzioni, Armando; Energia ed equita', Feltrinelli; Nemesi medica: l'espropriazione della salute, Mondadori, poi Red; Il genere e il sesso, Mondadori; Per una storia dei bisogni, Mondadori; Lavoro-ombra, Mondadori; H2O e le acque dell'oblio, Macro; Nello specchio del passato, Red; Disoccupazione creativa, Red; Nella vigna del testo, Cortina. Raccoglie i materiali di un seminario con Illich il volume Illich risponde dopo "Nemesi medica", Cittadella, Assisi 1978. Cfr. anche il libro-intervista di David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, Eleuthera, Milano 1994. Utile anche il volume di AA. VV., Le professioni mutilanti, Cittadella, Assisi 1978 (che si apre con un intervento di Illich). Dal medesimo fascicolo di "A. rivista anarchica" da cui abbiamo estratto l'articolo che precede riprendiamo anche la seguente scheda su Ivan Illich: "Ivan Illich (1926-2002). Nato nel 1926 a Vienna da un padre di nobili origini dalmate e da una madre ebrea sefardita, fin da piccolo compi' frequenti viaggi in Europa e rimase fino all'ultimo un instancabile viaggiatore. La sua formazione avvenne tra Salisburgo, Firenze, Roma, ma Illich non ebbe mai un buon rapporto con le scuole, ne' con le discipline. Era sociologo, filosofo, linguista (conosceva una decina di lingue), teologo, ma forse piu' di ogni altra cosa uno storico delle istituzioni. Dopo la formazione teologica all'Universita' Gregoriana in Vaticano, fu ordinato prete ed ebbe come primo incarico la cura di una parrocchia a prevalenza portoricana vicino a Manhattan. E' li' forse che nel cuore del primo mondo a contatto con i reietti, gli ultimi, comincio' a capire i meccanismi dell'esclusione e dell'alienazione degli individui attraverso l'istituzionalizzazione della vita. Nel 1956 divenne vicerettore dell'Universita' di Puerto Rico, e nel 1961 fondo' il Centro interculturale di documentazione (Cidoc) a Cuernavaca in Messico, un centro in cui passo' gran parte dell'intellettualita' radicale degli anni Sessanta e Settanta, centro che avrebbe dovuto formare i volontari e missionari per i paesi del terzo mondo. Qui nasce la critica di Illich allo sviluppo, all'idea stessa di paesi in via di sviluppo, condannati a un'eterna poverta' dall'impari confronto con i paesi gia' sviluppati. Contemporaneamente Illich si impegnava contro la guerra, le banche, le grandi corporation, e percio' riusci' facilmente a divenire sospetto alla Cia, al governo americano e al Vaticano. Il Santo Uffizio comincia un procedimento contro di lui e Illich abbandona il proprio abito, la funzione sacerdotale e la Chiesa. Gli anni Settanta furono quelli della notorieta' per la pubblicazione dei suoi scritti piu' noti e polemici sulla critica alle istituzioni, della scuola, della salute, per una rivoluzione nonviolenta verso un modello sociale di convivialita'. Nei decenni successivi continuo' a lavorare secondo uno stile diverso: conferenze in ogni parte del mondo, brevi saggi che esploravano nuovi campi dei suoi multiformi interessi, seminari interdisciplinari con gruppi di collaboratori scelti al di fuori dell'istituzione accademica, provenienti da ogni parte del mondo, soprattutto alle universita' di Brema e della Pennsylvania. Ecco alcuni dei temi affascinanti dei suoi ultimi scritti: la velocita', l'esperienza del dolore nella contemporaneita', i mutamenti nello sguardo nell'epoca delle immagini, la mente alfabetizzata e l'impatto con il computer. Tra i suoi libri tradotti in italiano, ma in parte non piu' disponibili, si possono ricordare: Descolarizzare la societa' (Mondadori, 1972), La convivialita' (Mondadori, 1974), Nemesi medica (Mondadori, 1977), Il genere e il sesso (Mondadori, 1984), Lavoro ombra (Mondadori, 1985), Nello specchio del passato (Red, 1992), Nella vigna del testo (Cortina, 1994). Particolarmente interessante per avere un'immagine del percorso di Illich e' il libro Conversazioni con Ivan Illich (a cura di David Cayley), Eleuthera 1994". ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 17 dell'11 aprile 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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