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La domenica della nonviolenza. 68
- Subject: La domenica della nonviolenza. 68
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 9 Apr 2006 12:35:23 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 68 del 9 aprile 2006 In questo numero: 1. Filippo Trasatti: Ripensando Ivan Illich 2. Francesco Scotti: Ivan Illich. "Nemesi medica" un quarto di secolo dopo 3. Filippo Trasatti intervista Paolo Perticari: Ivan Illich. L'ascesi dell'altro 4. Filippo Trasatti: Ivan Illich. Leggere il presente nello specchio del passato 1. MEMORIA. FILIPPO TRASATTI: RIPENSANDO IVAN ILLICH [Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile anche nel sito www.arivista.org). Filippo Trasatti insegna filosofia e storia in un liceo alla periferia di Milano; si occupa di pedagogia libertaria e di formazione nella didattica della filosofia; e' stato redattore di "Volonta'", e' redattore per la sezione "pedagogia" della rivista "Ecole" e collabora da anni con "A. rivista anarchica". Tra le opere di Filippo Trasatti, Lessico minimo di pedagogia libertaria, Eleuthera, Milano 2004. Ivan Illich e' nato a Spalato nel 1925; laurea in mineralogia a Firenze, studi ulteriori di psicologia, arte, storia (dottorato a Salisburgo); ordinato sacerdote nel 1951, per cinque anni opera in una parrocchia portoricana a New York, poi e' prorettore dell'Universita' Cattolica di Portorico; a Cuernavaca (Messico) fonda il Cidoc (Centro interculturale di documentazione); docente in varie universita', conferenziere, studioso costantemente impegnato nella critica delle istituzioni e nella indicazione di alternative che sviluppino la creativita' e dignita' umana; pensatore originale, ha promosso importanti ed ampie discussioni su temi come la scuola, l'energia, la medicina, il lavoro. E' scomparso nel 2002. Tra le opere di Ivan Illich: Descolarizzare la societa', Mondadori; La convivialita', Mondadori, poi Red; Rovesciare le istituzioni, Armando; Energia ed equita', Feltrinelli; Nemesi medica: l'espropriazione della salute, Mondadori, poi Red; Il genere e il sesso, Mondadori; Per una storia dei bisogni, Mondadori; Lavoro-ombra, Mondadori; H2O e le acque dell'oblio, Macro; Nello specchio del passato, Red; Disoccupazione creativa, Red; Nella vigna del testo, Cortina. Raccoglie i materiali di un seminario con Illich il volume Illich risponde dopo "Nemesi medica", Cittadella, Assisi 1978. Cfr. anche il libro-intervista di David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, Eleuthera, Milano 1994. Utile anche il volume di AA. VV., Le professioni mutilanti, Cittadella, Assisi 1978 (che si apre con un intervento di Illich). Dal medesimo fascicolo di "A. rivista anarchica" riprendiamo anche la seguente scheda su Ivan Illich: "Ivan Illich (1926-2002). Nato nel 1926 a Vienna da un padre di nobili origini dalmate e da una madre ebrea sefardita, fin da piccolo compi' frequenti viaggi in Europa e rimase fino all'ultimo un instancabile viaggiatore. La sua formazione avvenne tra Salisburgo, Firenze, Roma, ma Illich non ebbe mai un buon rapporto con le scuole, ne' con le discipline. Era sociologo, filosofo, linguista (conosceva una decina di lingue), teologo, ma forse piu' di ogni altra cosa uno storico delle istituzioni. Dopo la formazione teologica all'Universita' Gregoriana in Vaticano, fu ordinato prete ed ebbe come primo incarico la cura di una parrocchia a prevalenza portoricana vicino a Manhattan. E' li' forse che nel cuore del primo mondo a contatto con i reietti, gli ultimi, comincio' a capire i meccanismi dell'esclusione e dell'alienazione degli individui attraverso l'istituzionalizzazione della vita. Nel 1956 divenne vicerettore dell'Universita' di Puerto Rico, e nel 1961 fondo' il Centro interculturale di documentazione (Cidoc) a Cuernavaca in Messico, un centro in cui passo' gran parte dell'intellettualita' radicale degli anni Sessanta e Settanta, centro che avrebbe dovuto formare i volontari e missionari per i paesi del terzo mondo. Qui nasce la critica di Illich allo sviluppo, all'idea stessa di paesi in via di sviluppo, condannati a un'eterna poverta' dall'impari confronto con i paesi gia' sviluppati. Contemporaneamente Illich si impegnava contro la guerra, le banche, le grandi corporation, e percio' riusci' facilmente a divenire sospetto alla Cia, al governo americano e al Vaticano. Il Santo Uffizio comincia un procedimento contro di lui e Illich abbandona il proprio abito, la funzione sacerdotale e la Chiesa. Gli anni Settanta furono quelli della notorieta' per la pubblicazione dei suoi scritti piu' noti e polemici sulla critica alle istituzioni, della scuola, della salute, per una rivoluzione nonviolenta verso un modello sociale di convivialita'. Nei decenni successivi continuo' a lavorare secondo uno stile diverso: conferenze in ogni parte del mondo, brevi saggi che esploravano nuovi campi dei suoi multiformi interessi, seminari interdisciplinari con gruppi di collaboratori scelti al di fuori dell'istituzione accademica, provenienti da ogni parte del mondo, soprattutto alle universita' di Brema e della Pennsylvania. Ecco alcuni dei temi affascinanti dei suoi ultimi scritti: la velocita', l'esperienza del dolore nella contemporaneita', i mutamenti nello sguardo nell'epoca delle immagini, la mente alfabetizzata e l'impatto con il computer. Tra i suoi libri tradotti in italiano, ma in parte non piu' disponibili, si possono ricordare: Descolarizzare la societa' (Mondadori, 1972), La convivialita' (Mondadori, 1974), Nemesi medica (Mondadori, 1977), Il genere e il sesso (Mondadori, 1984), Lavoro ombra (Mondadori, 1985), Nello specchio del passato (Red, 1992), Nella vigna del testo (Cortina, 1994). Particolarmente interessante per avere un'immagine del percorso di Illich e' il libro Conversazioni con Ivan Illich (a cura di David Cayley), Eleuthera 1994"] Ho incontrato Illich una sola volta a un convegno sulla scrittura a Milano, lo stesso di cui parla Paolo Perticari nella conversazione qui raccolta. Era gia' malato da tempo, con quel tumore orribile che gli sfigurava il volto e che era quasi imbarazzante guardare. Tenne la sua conferenza sul tema della nascita del libro e della lettura scolastica in italiano, con il suo stile acuto, brillante e asciutto. Non fu tanto quel che disse, che avevo gia' letto nel suo libro, ma per la sua presenza che mi convinse di aver avuto ragione a considerarlo un maestro. A differenza di molti conferenzieri, aveva davvero rispetto per chi gli stava davanti e si capiva che era pronto a cogliere quell'occasione d'incontro come un momento importante. Si sentiva chiaramente che cio' che diceva lo appassionava e lo convinceva, ma era pronto a discuterne con chiunque, meglio se privo di titoli accademici. Aveva quell'inquietudine delle anime erranti come un vero avventuriero del pensiero che affascina e inquieta con i suoi racconti d'altrove e col quale sarebbe stato bello sedersi una sera intorno al fuoco per ascoltarlo. Gli dedichiamo queste pagine, soprattutto nella speranza che incontri attraverso i suoi libri nuovi interlocutori, convinti a guardare insieme a lui il mondo alla rovescia senza paura, con uno sguardo irriverente, a vivere il pensiero come un'avventura e a trasformarlo in prassi quotidiana. 2. MEMORIA. FRANCESCO SCOTTI: IVAN ILLICH. "NEMESI MEDICA" UN QUARTO DI SECOLO DOPO [Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile anche nel sito www.arivista.org). Dalla medesima fonte riprendiamo anche la seguente scheda sull'autore di questo intervento: "Francesco Scotti, medico e psichiatra, dal 1967 ha lavorato nell'ospedale psichiatrico di Perugia; e' uno dei protagonisti del rinnovamento e della trasformazione dell'assistenza psichiatrica in Umbria. Le sue ricerche sono collocate al di fuori di ogni ambito accademico, un po' per sua scelta, un po' perche' nessuna accademia l'ha voluto. Si e' occupato di organizzazione e valutazione dei servizi, di osservazione diretta, di psicoterapia dei pazienti psicotici"] Che cosa ci dice oggi questo libro e, soprattutto, quale posizione permette di attribuire al suo autore nella storia della cultura del Novecento? Innanzi tutto e' un libro che ha una collocazione storica precisa, fin troppo precisa; appartiene infatti a quella cultura degli anni '60 tesa alla delegittimazione della scienza ufficiale, nella speranza, sarebbe forse meglio dire nella illusione, che attraverso la verita' i buoni avrebbero avuto accesso al potere. Si salva pero' dall'ingenuita' che riconosciamo altrove perche' ha, quale retrofondo, un'idea pessimistica del progresso: le invenzioni e le scoperte che costruiscono la modernita' sono attivatori di uno sviluppo senza fine che, da una parte, ha bisogno di incentivare il consumo, cosi' che la domanda si moltiplichi, dall'altra porta alla perdita di senso di cio' che e' stato gia' creato, con la sua riduzione a manifestazione di potenza dell'istituzione che l'ha creato piuttosto che risposta a reali bisogni o desideri. "Cio' porta ad identificare la scuola con l'educazione, l'assistenza medica con la salute...". Perche' Nemesi medica? Le cure prestate, la difesa contro gli effetti nocivi delle cure, provocano una reazione paradossale che e' costituita da un aumento del danno, per cui cio' che era nato per portare beneficio si risolve in un'ulteriore sofferenza per l'uomo. Dice Illich: "I greci nelle forze della natura vedevano delle divinita'. Per essi la nemesi era la vendetta divina che colpiva i mortali quando questi usurpavano le prerogative che gli dei riservavano gelosamente a se'... Nemesi rappresenta la risposta della natura alla ubris, alla presunzione dell'individuo che cercava di acquistare gli attributi del dio. La nostra moderna ubris sanitaria ha determinato la nuova sindrome della nemesi medica" (p. 31). Ricordo l'entusiasmo che questa tesi suscito' in un convegno ad Assisi quando Illich, nel 1976, presento' il suo libro. Riusciva a dare legittimita' ai dubbi che gia' si erano impiantati, nella cultura della sinistra italiana, riguardo alla asetticita' della scienza e della tecnologia e sulla bonta' intrinseca della medicina. Illich era riuscito a raccogliere una massa impressionante di dati che obbligavano a ripensare dalle fondamenta l'impianto della ricerca e della pratica nel campo sanitario. In un certo senso colpiva alle spalle i ricercatori ufficiali approfittando della loro incapacita' di avere una visione di insieme, condannati dal bisogno di efficienza ad essere specialisti in un piccolo campo. Condannava senza appello, non dava spazio all'avversario, identificato come nemico di classe, senza sfumature o distinzioni. Non faceva ricerca per costruire ma per distruggere. Aveva cioe' tutte le caratteristiche di quello che Enriques chiama lo scienziato eterodosso. "Le critiche degli scienziati eterodossi, di solito uomini di una genialita' superiore a quella che appartiene alla media degli studiosi, di una genialita' non bene contemperata dall'equilibrio delle varie doti che occorrono allo scienziato, ma spesso appunto piu' vivace perche' non infrenata dalle esigenze del metodo e della dottrina, sottolineano come i problemi della scienza ortodossa sono mal posti, privi di significato e di valore". * Ma i medici fanno fatica... Chi erano i destinatari di questa provocazione? E' una rilettura a distanza che ci permette di rispondere a questa domanda meglio di quanto fosse possibile in diretta. Se andiamo a valutare la situazione attuale, della ricerca e degli elementi di criticita' in essa presenti, e della mentalita' prevalente, dobbiamo dire che la provocazione e' completamente fallita con i medici e gli altri operatori sanitari, a meno che non fossero gia' convinti della bonta' delle tesi sostenute da Illich. I medici non possono e non potevano capire che il successo nel singolo caso e la salvaguardia della salute in generale non coincidono. Non potrebbero capire che se si abolissero tutte le specializzazioni della medicina e della chirurgia, e si dedicassero tutte le risorse in tal modo risparmiate alla prevenzione, all'igiene ambientale e alla cura delle malattie piu' comuni, la salute della popolazione migliorerebbe notevolmente. Gli esercenti una professione liberale, quali si definiscono i medici, fanno fatica ad entrare in una prospettiva sociale e collettiva. Restano ancorati all'idea che il lavoro di terapia parte dalla contrattazione con il singolo. La formazione professionale, l'esercizio della medicina, oltre che l'appartenenza spesso ad una classe privilegiata, li tengono lontani dall'idea che solo una mediazione politica permette un uso razionale delle conoscenze e delle risorse mediche. Possono al massimo giungere ad una impostazione umanitaria, e anche ugualitaristica, ma senza accorgersi che ogni tentativo di estendere in modo meccanico il privilegio di pochi alla maggioranza porta tali contraddizioni da produrre un danno proprio al bene che si vuole tutelare, cioe' alla salute. Credo che il beneficiario della polemica di Illich non fosse il corpo medico ma l'utente, o meglio l'insieme dei cittadini consumatori, ai quali viene dimostrata la miseria che si nasconde in cio' che riluce nelle tecnologie mediche. Il messaggio e' finalizzato ad una presa di coscienza, da parte dei cittadini, di cio' che la medicina da' loro e di cio' che toglie, facendo promesse che non puo' mantenere. Da questo l'insistenza, che puo' apparire ingenuita' in un uomo cosi' avvertito quale e' Illich, sulla ricchezza dei valori tradizionali che danno senso alla malattia e aiutano a gestirla, con ragionamenti che prendono a prestito perfino il linguaggio delle virtu' cristiane. Che siano gli utenti i veri destinatari del messaggio spiega la semplificazione di molti ragionamenti e il carattere apodittico di certe tesi. "Studiando l'evoluzione della struttura della morbosita' si ha la prova che durante l'ultimo secolo i medici hanno influito sulle epidemie in misura non maggiore di quanto influivano i preti nelle epoche precedenti" (p. 22). "E' stato dimostrato che il ruolo decisivo nel determinare come si sentono gli adulti e in quale eta' tendono a morire e' svolto dal cibo, dall'acqua, dall'aria, in correlazione con il livello di uguaglianza sociopolitica e con i meccanismi culturali che permettono di mantenere stabile la popolazione" (p. 23). Il messaggio e' stato accolto? Forse si', perche' oggi assistiamo al diffondersi dell'idea che vada recuperato il carattere umano (e non unicamente tecnologico) della cura, dell'idea che la salute e' un tutto inscindibile, non divisa per organi e apparati, che e' una qualita' della vita e non una merce. Inoltre si moltiplicano coloro che vogliono decidere del proprio destino quando si troveranno ad essere malati, decidere se essere curati o no, se vivere o morire - senza che cio' diventi oggetto di delega. Bisogna dire che gli scienziati non hanno aiutato i consumatori di medicina a mantenere un atteggiamento corretto. Li hanno stimolati a consumare perche' cosi' si potesse produrre di piu'. Riducendo la salute a merce hanno espropriato i cittadini della competenza sul proprio malessere e sul proprio benessere. Cio' hanno fatto, anche in buona fede, per laicizzare la medicina, liberandola da quell'alone religioso che la legava poi inevitabilmente a una qualche fede, e da qui a una qualche chiesa. Ma con cio' hanno preteso - ed e' questa una delle tesi centrali di Illich - di sganciare la medicina da qualunque sistema di valori; per liberarla dal religioso l'hanno esclusa dall'etico. Questa norma dovrebbe trovare il suo fondamento nell'idea che e' possibile dimostrare il limite del progresso, ovvero la tendenza dell'economia, della scienza, della tecnologia, abbandonate a se stesse, a produrre piu' danni che vantaggi. Le distorsioni introdotte dal sistema sanitario si manifestano in forme paradossali che superano in stramberia le invenzioni piu' fantasiose. Borges aveva inventato una classificazione fantastica degli animali che merita di essere ricordata: "Per una certa enciclopedia cinese... gli animali si dividono in: a) appartenenti all'Imperatore, b) imbalsamati, c) addomesticati, e) sirene, f) favolosi, g) cani in liberta', h) inclusi nella presente classificazione, i) che si agitano follemente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, l) et coetera, m) che fanno l'amore, n) che da lontano sembrano mosche". Illich, prendendo avvio dalla enumerazione delle diverse prestazioni medico-legali che sono abitualmente richieste in un paese moderno, riesce quasi a far meglio (p. 68): "La burocrazia medica suddivide gli individui in: quelli che possono guidare l'automobile, quelli che possono assentarsi dal lavoro, quelli che devono essere rinchiusi, quelli che possono fare il soldato, quelli che possono andare oltre frontiera, fare i cuochi o praticare la prostituzione, quelli che non possono aspirare alla vicepresidenza degli Stati Uniti, quelli che sono morti, quelli che sono in grado di commettere delitto, e quelli che sono responsabili di averlo commesso". La conclusione di questa corsa contro la liberta', con un rafforzamento progressivo del potere dei medici e dell'istituzione sanitaria e' che "oramai il cittadino, finche' non si prova che e' sano, si presume che sia malato" (p. 96). * Che cos'e' la iatrogenesi A questo proposito Illich cita il famoso, e pressoche' contemporaneo, documento di Franco e Franca Basaglia, La maggioranza deviante. Questa citazione ci e' utile per collocare Illich nella cultura che condanna la democrazia occidentale perche' falsa democrazia, in quanto non fa discendere le decisioni dalla volonta' dei piu' ma marginalizza le maggioranze riducendole in condizione di impotenza. L'aver citato Basaglia introduce uníaltra domanda. Perche' Illich non dedica nessun capitolo specifico allo sviluppo della psichiatria e alla reazione che gia' in quegli anni si era ampiamente sviluppata in Europa contro la psichiatria tradizionale, la psichiatria del capitale? La risposta e' che di tale nuova psichiatria non da' un giudizio positivo, anche se a partire soprattutto dai documenti teorici dell'antipsichiatria degli anni Sessanta. Egli infatti critica Goffman, Szasz, Laing accusati di non essere abbastanza radicali perche', per dimostrare la genesi politica della malattia mentale e il suo uso per fini politici "contrappongono tutti l'irreale malattia mentale alla reale malattia fisica". "Essi sostengono che il linguaggio delle scienze naturali e' valido solo per la malattia fisica... Questa posizione antipsichiatrica negando il carattere patologico della devianza mentale finisce col legittimare lo status non politico della malattia fisica" (p. 168). In questo modo essi fanno un favore agli ideologi della societa' industriale in quanto trasformano sofferenza, malattia, statuto di malato, in eventi naturali difendendo una medicina che non sarebbe condizionata dai valori della societa' capitalistica. Ma non e' solo una critica a una tattica sbagliata. E' la conseguenza di una posizione totalmente diversa da quella dell'antipsichiatria europea, e piu' in generale del movimento antiistituzionale. Illich rifiuta di ridurre ad una causa lineare il rapporto tra sistema industriale e danno della salute. Ha introdotto, come mediatrice del danno, l'istituzione sanitaria dominata dalla logica del capitalismo. Il danno e' frutto di una combinazione di fattori, alcuni materiali, altri simbolici. L'insieme dei danni che derivano da una medicina moderna viene analizzato da Illich in funzione del meccanismo che li produce. La iatrogenesi (cio' che e' causato dal medico o dalla medicina) puo' attuarsi attraverso le manipolazioni delle malattie e dei disturbi. Vi e' una iatrogenesi clinica, in cui "il danno i medici lo infliggono nell'intento di guarire o di sfruttare il paziente, o i danni discendono dalla preoccupazione del medico di tutelarsi da una eventuale denuncia per malpratica". Oppure viene introdotto un danno modificando il peso sociale della medicina (iatrogenesi sociale): "la gente viene spinta a diventare consumatrice di medicina curativa, preventiva, ecc., menomati che sopravvivono al limite del sistema e grazie all'assistenza; false attestazioni di invalidita' che privano del diritto di lavorare". Esiste infine una iatrogenesi culturale: distrugge la capacita' potenziale dell'individuo di far fronte in modo personale e autonomo alla propria umana debolezza, vulnerabilita', unicita'. La iatrogenesi e' all'origine di un travolgimento antropologico che parte dalla soppressione del dolore. "L'individuo diventa incapace di accettare la sofferenza come una componente inevitabile del suo consapevole confronto con la realta' e impara a vedere in ogni malessere il segno di un proprio bisogno di protezione a riguardo" (p. 139). L'idea centrale e' che con la societa' industriale si e' raggiunto il fondo, si e' creata una situazione insopportabile rispetto alla quale lo sfruttamento, la sofferenza delle eta' precedenti sono il paradiso. Di fronte al dolore aggiuntivo, insopportabile, la societa' stessa offre l'anestetico, addirittura un sistema anestetizzante. Dal bisogno di confrontare l'esperienza del dolore e della sofferenza nella civilta' industriale e nelle culture tradizionali, scaturiscono analisi antropologiche che riguardano la strutturante centralita' dell'esperienza del dolore, l'atteggiamento nei confronti della morte, la scoperta della dignita' dell'uomo, il tentativo di caratterizzarlo rispetto agli animali e, insieme, il rischio che tutto cio' si perda, si alieni. Sono questi esempi magistrali di quella antropologia marxiana che trova il suo fondamento nei "Manoscritti economico-filosofici del 1844", a proposito dell'alienazione del lavoro umano e che ha avuto pochi altri cultori. Ma Illich non si accontenta di fare la fenomenologia dell'alienazione del dolore, della sofferenza e della morte; fa riferimento - ed e' questo uno dei punti meno chiari delle sue tesi - ad un'organizzazione primitiva della societa' in cui sarebbero disponibili quei rimedi che sono andati perduti nella modernita'. Citando Malinowski dice che "nelle popolazioni primitive la morte minaccia la coesione e quindi la sopravvivenza dell'intero gruppo. Scatena infatti una esplosione di paura e forme irrazionali di difesa. Solo tramutando l'evento naturale in un rito sociale si riesce a mantenere la solidarieta' del gruppo". "Il dominio dell'industria ha spezzato e spesso distrutto quasi tutti i vincoli di solidarieta' tradizionali" (p. 197). Quale e' il mito fondante la posizione politico-filosofica di Illich? Una sorta di ideale primitivismo, un'eta' dell'oro del selvaggio naturale? Una simile riduzione sarebbe inutilmente provocatoria, anche se erano obiezioni di questo tipo ad eccitare la sua forza polemica. L'idea comunque e' che prima era meglio, il che porta a dimenticare che le soluzioni trovate dalle varie culture in passato sono tutte, per loro natura, assolutamente provvisorie e parziali; solo la tragicita' degli eventi cui dovevano far fronte ci porta ad apprezzare in qualche modo una risposta che noi non abbiamo ancora trovato. * Revisionismo scientista In conclusione bisogna riconoscere che e' anche grazie a sintesi come quella di Illich che la ricerca sanitaria si e' liberata di molti dei suoi vincoli, ha criticato gli assunti di base, e' stata costretta a una rigorosita' maggiore, ad una visione complessiva che tenesse conto dell'interazione tra ambiti ristretti, e' stata sospinta a scoprire una prospettiva ecologica, ad inventare un'epidemiologia nuova, ad impiantare un'economia sanitaria che fosse studio dei costi delle malattie oltre che delle cure, ad assumere una visione politica. Ci troviamo oggi ad un nuovo punto di svolta con il rischio di un revisionismo scientista. Abbiamo a che fare con entusiasmi neoilluministici di una medicina basata sulle evidenze, su una eticita' affermata ma piu' fondata sulla efficienza della distribuzione delle prestazioni e sulla difesa del diritto di accesso universale alle risorse sanitarie, che sul senso della cura per il singolo uomo bisognoso. Tutto cio' richiederebbe forse un nuovo libro, una nuova denuncia che facesse giustizia di questa nuova ubris medica. Ma il nostro tempo aspetta ancora la comparsa di un uomo dal destino cosi' particolare come quello di Ivan Illich. 3. MEMORIA. FILIPPO TRASATTI INTERVISTA PAOLO PERTICARI: IVAN ILLICH. L'ASCE SI DELL'ALTRO [Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile anche nel sito www.arivista.org). Paolo Perticari insegna pedagogia generale all'Universita' di Bergamo. Ha pubblicato tra l'altro i libri Conoscenza come educazione (1992), Insegnamento/apprendimento (1995), Attesi imprevisti (1997), e ha curato il volume Biopolitica minore (2003)] Avevo invitato Paolo Perticari a tenere una conferenza alla libreria Utopia di Milano nel mese di febbraio. Li', nel corso della conferenza, Paolo ha fatto riferimento a Illich come a un maestro. Cosi' gli ho chiesto di incontrarci per fare una chiacchierata su questo tema. L'incontro e' avvenuto in maggio all'Universita' di Bergamo, presso la quale Perticari insegna pedagogia. Cio' che segue e' la parziale trascrizione della nostra conversazione. * - Filippo Trasatti: Perche' hai deciso di dedicare l'ultimo libro che hai curato (1) a Ivan Illich in memoriam? - Paolo Perticari: Come ho scritto il libro trae origine anche da un incontro con Ivan Illich. Pur avendolo ben presente fin da ragazzo, l'ho incontrato un'unica volta un paio d'anni fa a Milano. Sapevo che era malato da parecchi anni e continuava a curarsi in maniera olistica, al di fuori della sanita' istituzionale. Per me era gia' un punto di riferimento essenziale. Quel giorno a Milano sono capitato quasi per caso, invitato da una studentessa a un convegno sulle origini della scrittura (2). Mi sono iscritto a un elenco, quando sono arrivato, senza sapere bene a che servisse. Ho scoperto dopo che era la lista delle persone che si accreditavano per una conversazione con Illich. * - Filippo Trasatti: Mi ricordo quel convegno, c'ero anch'io. - Paolo Perticari: Allora ti ricorderai certamente quale straordinario interlocutore lui fosse. Parlo' della scrittura e della lettura, riprendendo le analisi del suo libro su Ugo da San Vittore (3). Soprattutto mi sembro' straordinaria quella parte sull'ascesi dell'altro, sulla trasformazione dei codici di comunicazione che reprimono la possibilita' dell'altro di emergere. Fatto sta che mi trovai nella lista di coloro che potevano parlare con lui. Finita la relazione, Illich disse: Prodi e Perticari con me, tutti gli altri fuori, perche' sto male. Non posso lasciar fuori l'allievo dell'allievo di von Neumann. Come faceva a sapere che avevo dei rapporti con Heinz von Foerster, appunto l'allievo di von Neumann? Non lo so, ma questo dice qualcosa di questi personaggi in via d'estinzione che hanno questa capacita' di collegare, di accorgersi di un incontro possibile. * - Filippo Trasatti: Illich parla da qualche parte della sua pratica della lettura curiosa... - Paolo Perticari: Si', forse si potrebbe dire che aveva la curiosita' dell'incontro, il non averne mai abbastanza di volti. Insomma ci trovammo. Lui era gia' gravemente malato: il cancro aveva invaso il volto, la schiena, e nonostante questo restava una persona gioiosa. L'incontro fu ricchissimo di idee; da un incontro del genere, se l'universita' non fosse quello che e', potrebbero nascere ricerche, percorsi, collegamenti, senza la burocrazia che soffoca tutto. Uno dei punti centrali mi sembra questo: come accorgersi che viviamo in un mondo burocratico, caratterizzato dalla gestione della vita a tutti i livelli. Da questo punto di vista mi sembra che il percorso di Illich si avvicini al ragionamento di Foucault. * - Filippo Trasatti: Infatti ne parla esplicitamente nell'intervista con David Cayley (4). - Paolo Perticari: Soprattutto l'attenzione a quanto passa nelle nostre pratiche quotidiane. Illich e Foucault andrebbero letti insieme, per vedere meglio cio' che li collega. L'altra cosa formidabile che mi ha insegnato Illich e' quella di non abbandonare mai la critica radicale di ogni forma di consulenza... * - Filippo Trasatti: Ossia la diffidenza per gli esperti... - Paolo Perticari: Si', per gli specialisti di ogni genere. Lui sentiva molto questo e lo legava a un ripensamento dei rapporti. Anche per questo creava dei gruppi di ricerca in diverse universita' europee e non. Era riuscito a creare una rete internazionale di rapporti tra persone unite in una ricerca comune. Il tema che studiava ultimamente e' quello dell'ascesi dell'altro in un mondo completamente tecnologicizzato. Ossia come costruire un percorso verso l'altro, per migliorare la presenza dell'altro, del suo volto, dei suoi elementi umani. Noi siamo come delle macchine di moltiplicazione dei poteri attraverso i rapporti interpersonali, percio' il rapporto da questione privata diventa questione politica, anzi un problema biopolitico (5) centrale del nostro tempo. * - Filippo Trasatti: Vorrei chiederti qualcosa su questa modalita' di ricerca prediletta da Illich, il lavoro per gruppi di amici. Sceglieva le persone appartenenti ai piu' diversi campi disciplinari e le metteva insieme a lavorare su un'idea, su un progetto. - Paolo Perticari: Quest'anno e' stato un anno duro per me. Nel giro di pochi mesi sono morti prima Francisco Varela, molto giovane, poi a distanza di pochi giorni uno dall'altro Ivan Illich e Heinz von Foerster. Queste persone avevano in comune questo modo di lavorare, che a me non e' nuovo perche' l'avevo imparato da von Foerster. Anche a me non dispiacerebbe fare cosi': si tratterebbe di raccogliere queste modalita' di lavoro comune, di farne dei comportamenti, una cultura, una pratica e anche una politica dell'amicizia. Quei pensatori ci hanno lasciato un'eredita' importante da raccogliere. Tra l'altro Illich e von Foerster sono stati anche amici, hanno collaborato a Cuernavaca; due giganti accomunati dalla generosita' di non nascondere le idee, ma anzi di diffonderle liberamente. * - Filippo Trasatti: Quest'idea dell'amicizia come pratica secondo te e' dovuta al fatto che la conoscenza non passa solo attraverso rapporti di potere-sapere, ma anche attraverso una certa qualita' della relazione? Ossia, io voglio lavorare con te, non perche' tu sei l'esperto di qualcosa, ma perche' sei tu. - Paolo Perticari: Questa e' una cosa importante. Io penso che questi uomini abbiano avuto il privilegio di vivere e di esplorare con grande passione territori sterminati con grande liberta', ma anche con grande competenza. L'amicizia era il modo di concepire i rapporti, di stare dentro le cose con la voglia di incontrare uomini non ancora assoggettati. Come se la produttivita' dell'amicizia si opponesse alla produttivita' del potere, fosse cioe' un modo di sottrarsi alle forme di assoggettamento. * - Filippo Trasatti: Ti riporta all'Illich degli anni Settanta, quello piu' noto della descolarizzazione e della convivialita'. Quale ruolo ha avuto nella tua formazione? - Paolo Perticari: In quegli anni non volevo leggere Illich, mi sembrava troppo. Certi testi vanno conservati per un certo tempo, finche' non ci si sente all'altezza. Ho cominciato a parlare di Illich a un convegno che si occupava di epistemologia costruttivista dentro i contesti dell'educazione e della scuola, perche' mi sembrava che i pedagogisti, e persino gli stessi epistemologi, banalizzassero la complessita'. Ecco la' mi e' servita la radicalita' di Illich. Ma piu' che la descolarizzazione, l'idea di Illich che mi ha dato di piu' e' stata quella di convivialita', applicata alle pratiche della relazione, della comunicazione e del rapporto con l'altro. Convivialita' per me significava creare una deviazione rispetto alla pragmatica della comunicazione umana, alla teoria dell'agire comunicativo, al sistema della comunicazione. Queste teorie non sono strumenti sufficienti per opporsi efficacemente all'emergere degli imbonitori televisivi, e di nuove relazioni di potere nella comunicazione. Come se oggi la comunicazione fosse totalmente mercificata e mercificata dagli apparati di potere. Allora il libro sulla convivialita', il titolo originale era "Attrezzi per la convivialita'", per me divento' rapidamente una struttura di apprendimento molto efficace, un contesto estremamente produttivo. L'idea era quella di costruire delle tecnologie che danno a chi le usa la possibilita' di arricchire il mondo attraverso la sua visione, in particolare, ma non solo, nei contesti di apprendimento. * - Filippo Trasatti: Pur avendo abbandonato, come diceva, la sua posizione privilegiata di prete, Illich ha continuato a far riferimento alla tradizione ecclesiastica, non tanto come a un'autorita', quanto come una fonte di ispirazione per guardare in modo diverso le istituzioni attuali e per forgiare i suoi concetti critici. Inoltre c'e' molto forte in lui la presenza del pensiero teologico: e' costante il suo richiamo alla patristica, alla teologia occidentale, in particolare all'epoca medievale. Non ti colpisce questo continuo bisogno di un riferimento teologico? - Paolo Perticari: Mi sembra la punta della macchina di pensiero di Illich. E' importante in questo senso questo continuo riferimento ai testi della tradizione; Illich sapeva leggerli con precisione e cura. Sapeva fare una pedagogia del testo a livelli altissimi soprattutto per quanto concerne i testi medievali. Cercava di vedere l'attualita' attraverso i testi medievali. Io vorrei provare a farlo rileggendo Paolo di Tarso cortocircuitando i suoi testi con le pratiche sociali di questi tempi. * - Filippo Trasatti: Che cosa resta secondo te attualmente del pensiero di Illich? - Paolo Perticari: Un'altra maniera di concepire le cose che si sta facendo strada, un pensiero negativo applicato alle pratiche. Un Ronnie Browman di Medici senza frontiere che si interroga molto su queste pratiche a proposito degli interventi umanitari che invita ad acquisire consapevolezza su cose in cui uno specialista rischia di provocare piu' danni che benefici; il lavoro sulla Nemesi medica (6); le sue ricerche sul genere e il sesso, contestate, ma ricchissime. Insomma una ricchezza enorme da pensare. * Note 1. A cura di Paolo Perticari, Biopolitica minore, Manifestolibri, Roma 2003. 2. Si tratta del convegno "Origini della scrittura", Milano 27 ottobre 2000. 3. Ivan Illich, La vigna del testo, tr. it. Cortina, Milano 1994. 4. David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, Eleuthera, Milano 2003. 5. Si veda in proposito l'introduzione di Perticari al volume gia' citato Biopolitica minore. 6. Ivan Illich, Nemesi medica, tr. it. Mondadori, Milano 1977. 4. MEMORIA. FILIPPO TRASATTI: IVAN ILLICH. LEGGERE IL PRESENTE NELLO SPECCHIO DEL PASSATO [Da "A. rivista anarchica", anno 33 n. 294, novembre 2003 (disponibile anche nel sito www.arivista.org)] "Se qualcuno mi domandasse: 'Ivan, che cos'e' che ti potrebbe stimolare di piu' nel prossimo anno e mezzo?' - e' questo il tipo di orizzonte nel quale inquadro la mia vita - risponderei che mi piacerebbe convincere un certo numero di persone a riflettere piu' su come gli strumenti influiscano sulla nostra percezione che su cio' che possiamo fare con essi, a indagare su come gli strumenti modellino la nostra mente, come il loro uso modelli la nostra percezione della realta' ben piu' di quanto noi si modelli la realta' applicandoli o utilizzandoli" (Ivan Illich) Strategie di spiazzamento E' quasi impossibile inquadrare l'opera di Illich all'interno di un preciso ambito disciplinare: dalla Nemesi medica, a Descolarizzare la societa', Lavoro-ombra, La convivialita', Il genere e il sesso, fino agli ultimi articoli, come L'era dello sguardo, ogni volta sembra che, partito da un terreno familiare, Illich svolti all'improvviso per imboccare una strada diversa. Lui stesso sfugge a ogni tentativo di definizione: sociologo, filosofo, antropologo, studioso di teologia? Questa insofferenza per gli steccati, lo ha portato anche nella sua vita a riunire gruppi di amici, provenienti da differenti ambiti disciplinari, intorno a un progetto di ricerca, e nei suoi libri c'e' sempre una traccia importante di queste esperienze di discussione, di ricerca e di condivisione. In questo c'era la sua insofferenza per le "idees recues", ma anche l'orrore per la specializzazione che non ha mai smesso di denunciare come processo alienante. Immergendosi nella lettura dei suoi libri e dei suoi articoli, l'impressione e' quella di un salutare spaesamento, che richiede una ri-definizione dei concetti scontati e la messa in discussione dei tabu'. A volte sembra che davvero Illich voglia "epater les bourgeois", ma lo fa prima di tutto per sgomberare il campo dalle ovvieta', per dar vita a una confusione creativa che porti a un modo diverso di vedere il problema considerato. Per far questo egli utilizza diverse strategie di spiazzamento. Ne segnalo qui tre: a) la trasmigrazione delle idee; b) il plurilinguismo; c) lo specchio del passato. a) Illich ci ha offerto esempi illuminanti del potere delle idee quando travalicano i limiti disciplinari. Propongo qui un solo esempio, il concetto di "limite". Illich si imbatte in questo concetto nell'ambito della morfologia, ossia dello studio delle forme animali e vegetali. In particolare legge il saggio di un biologo inglese, eccentrico e ribelle, John Haldane, Della giusta misura (1), che mostra, attraverso argomentazioni da biologo evoluzionista, perche' una formica non puo' avere le dimensioni di un elefante. Per ogni tipo di animale, cosi' come lo conosciamo, c'e' una giusta misura superata la quale diventa inevitabile un radicale mutamento di forma. Da qui la trasposizione prima di Haldane, poi di Illich: "Proprio come gli animali hanno una misura giusta, anche le istituzioni umane hanno una grandezza ottimale". Questa idea diventera' uno dei cardini della ricerca sulla convivialita' nel senso di una critica all'elefantiasi delle istituzioni nel mondo tardocapitalistico. Non e' che un esempio tra i tanti, ma mostra come Illich considerasse produttiva questa trasmigrazione delle idee. b) Illich era poliglotta, parlava correntemente piu' di una decina di lingue, considerava naturale l'homo plurilinguis e una mutilazione invece cio' che noi consideriamo normale, l'uomo monolingue, nato secondo lui sotto il segno degli Stati-nazione. Lo studio delle altre lingue permette di guardare a distanza la storia intellettuale e i concetti espressi nella propria lingua: solo quando ci si immerge in un'altra lingua, si comprendono meglio i confini della propria. Illich stesso ricorda di aver tentato una piu' radicale esperienza di estraniazione nelle lingue orientali, ma di aver poi rinunciato. Studioso del Medioevo, usava il latino che aveva appreso nella sua formazione di sacerdote, per provare a ritradurre in quella lingua i concetti fondamentali del nostro presente. c) Se consideriamo come Illich guardava al proprio lavoro, notiamo che piu' spesso nell'ultimo periodo della sua vita si attribuiva il compito di storico, uno storico pero' del tutto particolare. "Io studio la storia come un negromante rievoca il morto" (2), diceva. A volte parla di una storia degli spazi mentali, delle topologie mentali, si potrebbe anche dire delle mentalita', riprendendo il termine di una delle scuole storiografiche piu' innovative del XX secolo (3). Questo e' per lui un elemento di metodo fondamentale che potrebbe ben diventare lo slogan per lo studio della storia: "Non ho scritto questo volume per portare un contributo specialistico, ma per offrire una guida verso un punto di osservazione nel passato che mi ha schiuso nuove vedute sul presente" (4). Illich sceglie uno spiazzamento temporale come punto di vista sul presente, cosicche' i suoi libri sembrano libri di uno storico, mentre ci parlano del presente che stiamo vivendo: "ho voluto suggerire che solo nello specchio del passato risulta possibile riconoscere la radicale alterita' della topologia mentale del XX secolo e divenire consapevoli dei suoi assiomi generativi, che normalmente rimangono oltre l'orizzonte di attenzione dei contemporanei" (5). Illich usava questa strategia di spiazzamento fin dai libri piu' famosi, uno tra tutti Descolarizzare la societa', di cui parla in queste pagine Pietro Toesca [testo che riproporremo prossimamente nel nostro notiziario - ndr]. Negli ultimi libri e articoli sembra di cogliere ancor piu' fortemente la volonta' di distaccarsi dal tempo presente per guardarlo con altri occhi. * Un commentario Nella vigna del testo, uno degli ultimi libri di Illich, e' un commentario (6) al Didascalicon di Ugo di San Vittore, un testo del XII secolo, ma e' anche, come recita il sottotitolo, "per un'etologia della lettura" (da ethos, in greco "costume, abitudine"), un'indagine sulle abitudini e sulle modalita' di lettura. E' un altro esempio di quelle strategie di spiazzamento di cui parlavamo prima: trasferirsi nel Medioevo e piu' precisamente a Parigi nel XII secolo per guardare da quella distanza cio' che sta accadendo nel presente. Questo libro, dice Illich, commemora gli albori della lettura scolastica e lo fa in un'epoca in cui e' visibile il tramonto del libro, o meglio il tramonto del modo "scolastico" di leggere. Secondo George Steiner la bookishness (la cultura del libro) nasce dall'intreccio di una tecnica, l'invenzione della stampa, da una certa ideologia, quella della borghesia in ascesa, da una certa mentalita'. "Dipende dalla possibilita' di possedere libri, leggerli in silenzio, e discuterli a piacimento in casse di risonanza quali caffe', periodici, universita'. Questo tipo di rapporto e' l'ideale delle scuole. Paradossalmente, tuttavia, piu' l'obbligo scolastico si e' esteso alla maggioranza delle persone, piu' si e' ridotta la percentuale di bookish people nel senso di Steiner" (7). Il libro ha smesso di essere una metafora fondamentale per leggere il nostro tempo; lo e' stato a lungo fin dal Medioevo, attraverso l'eta' moderna (si pensi al "libro della natura" galileiano), forse fino alla meta' del secolo XX, ma oggi non lo e' piu'. Non si tratta di un piagnisteo sull'esiguita' del numero di lettori, sulla vittoria della tv sul libro. Per Illich e' una semplice constatazione: "L'immagine con relativa didascalia, il fumetto, la tabella, il riquadro, il grafico, la foto, gli schermi e l'integrazione con gli altri media esigono dall'utente un genere di abitudini del tutto opposte a quelle coltivare nei modi di lettura scolastici" (8). Il mutamento in corso e' "la dissoluzione della tecnica alfabetica nel miasma della comunicazione". Per molti il libro e' diventato solo una metafora della comunicazione, termine che Illich aborriva. Ecco dunque che mentre si sta chiudendo un'era, Illich vuol mostrarci da lontano quali ne erano le caratteristiche essenziali. Lo fa come sempre utilizzando come chiave di lettura le tecnologie e spiega chiaramente che quest'opera rientra nella sua piu' generale ricerca "sull'interazione simbolica tra tecnologia e cultura, o, piu' precisamente, tra la tradizione e la finalita', i materiali, gli strumenti e le norme per il loro uso" (9). Piu' precisamente Illich indaga le trasformazioni tecniche che nel 1150, cioe' trecento anni prima di Gutenberg, permisero l'emergere di quella che si puo' chiamare lettura scolastica del testo. E qui l'analisi si fa minuziosa e affascinante, il dialogo con il testo di Ugo da San Vittore ci apre un mondo davvero inaspettato. Per i monaci la lettura non era una qualunque attivita'; Ugo scrisse per loro il libro, per insegnare come leggere e gli diede come sottotitolo "de studio legendi", dove "studio" non va inteso solo nel senso che gli diamo noi: studio significa "affetto, amicizia, desiderio, occupazione". Non si leggono libri per accumulare conoscenze, per diventare eruditi e poi magari trattare gli altri dall'alto in basso. La lettura e' per Ugo una medicina (remedium), qualcosa che ci risolleva dall'oscurita' dell'ignoranza e del peccato e che ci illumina. Il libro e la lettura illuminano l'uomo, ma non nel senso del rischiaramento illuministico: l'io diviene ardente, raggiante, quando e' illuminato dalla lettura. Bisogna ricordare che i manoscritti medievali erano miniati e che le miniature non erano come le nostre illustrazioni, supporto al testo, ma che servivano proprio a illuminare il lettore quasi letteralmente; creavano sinestesie, suggerivano scenari per la storia sacra che viene raccontata, aiutavano il lettore ad orientarsi. La lettura non e' un'occupazione per passare il tempo, ma un modo di vivere che li accompagna per tutta la giornata. Sette volte al giorno si riuniscono in chiesa a leggere e ad ascoltare salmi e quando lavorano la recitazione collettiva diventa borbottio sommesso. La lettura e' attivita' motoria, da' voce alla pagina; i monaci ruminano, rimuginano, assaporano, suggono il miele della Scrittura. E' un'attivita' fisica, tanto che i medici ellenistici la prescrivevano, al pari di una camminata, come rimedio. Attraverso la lettura il verbo si fa carne, la parola diventa "senso". Per i monaci la lettura impegna tutto il corpo, non soltanto gli occhi come per noi. Si pensi agli hassidim ebrei che pregano oscillando il corpo avanti e indietro; ancora adesso nell'apprendimento della Bibbia e del Corano i bambini muovono il corpo. Illich riporta le ricerche di Marcel Jausse sul corporage, ossia sulle tecniche psicomotorie per incarnare una sequenza parlata. "in molti individui il ricordo equivale all'attivazione di una sequenza precisa di comportamenti muscolari con i quali le espressioni verbali sono correlate" (10). Leggendo la pagina viene incorporata. Illich ritrova correlati all'attivita' della lettura (ma non solo), una ricca costellazione di termini che si riferiscono ai diversi sensi e sostiene che "il vocabolario disponibile per indicare odori, profumi e sentori era assai piu' ricco nel vernacolo del Medioevo di quanto non sia nelle lingue europee moderne" (11). Segno di un profondo impoverimento sensoriale non solo della nostra lettura, ma piu' in generale della nostra cultura. Insomma la pagina e' una vigna (originariamente in latino pagina significava "pergolato di viti"), di cui la lettura fa vendemmia. Tutto questo sforzo del corpo e dei sensi e' certamente rivolto alla sostanza spirituale, ma viene comunque vissuto molto intensamente dai lettori. All'epoca di Ugo e della redazione del Didascalicon, intorno al 1140, c'e' una svolta: si passa dalla lettura monastica alla lettura scolastica. La lettura monastica, dice Illich, creava un ambiente pubblico uditivo, mentre quella scolastica crea uno spazio bidimensionale in cui c'e' un rapporto diretto, individualistico tra l'io e la pagina. E questo avviene perche' cominciano a diffondersi appunto nuove tecniche, convenzioni materiali che mutano il rapporto con il libro e la lettura. Vengono introdotti titoli e sottotitoli che strutturano il testo, sommari e indici, parole-chiave, glosse riassuntive che si distaccano dal testo principale, virgolette per riconoscere le citazioni. Tecniche che per noi sono del tutto ovvie, ma che allora permisero la creazione di uno spazio della lettura astratto. "Grazie a queste innovazioni tecniche, la consultazione dei libri, la verifica delle citazioni, e la lettura in silenzio sono divenute pratiche comuni e gli scriptoria hanno cessato di essere luoghi nei quali ciascuno doveva sforzarsi di ascoltare solo la propria voce" (12). E' la nascita del testo, distinto dal libro e dalla lettura. * Oltre la monumentalita' del testo Tutto questo mondo che Illich ci ha aperto sembra perduto per sempre. Da vigna, la pagina e' diventata lastra e piu' recentemente schermo. Spazio visivo, astratto da ogni movimento corporeo, con il testo e' nato lo spazio mentale dell'alfabetizzazione. La nuova tecnologia della lettura viene rivendicata come un monopolio degli scribi scolastici che si definiscono istruiti in opposizione a quelli che sono soltanto ascoltatori e si va cosi' costituendo una casta separata di istruiti che monopolizzera' la funzione dell'istruzione degli analfabeti. Il testo, cosi' vivo e vissuto anche fisicamente, diventera' sempre piu' qualcosa di astratto nel quale si depositano le conoscenze da capitalizzare, controllate dai banchieri della conoscenza. Ogni strumento, oltrepassata una certa soglia critica, si rivolta contro l'uomo, lo asservisce, diviene padrone e despota. Vale lo stesso anche per il libro. La scuola come la conosciamo e' figlia del libro, ma di un libro monumentalizzato, diventato Testo unico di riferimento. Neil Postman ha sostenuto in modo suggestivo (13) che le scuole sono state strumenti per governare l'ecologia dell'informazione, per ritagliare campi del sapere, per amministrare lo snodo del sapere/potere, e per far cio' hanno creato e diffuso una lettura. Se e' vero che stiamo entrando in quella che un linguista ha chiamato terza fase (14), ossia l'epoca in cui l'accesso alla conoscenza avviene prevalentemente attraverso media che non sono i libri, e' importante sapere che cosa stiamo perdendo, ma soprattutto cosa ci e' stato sottratto dal monopolio della conoscenza costituitosi in istituzione scolastica. Ecco cio' che mi sembra straordinario in questo testo, come Illich faccia emergere dalla cosiddetta epoca buia un'illuminante sfilata di modi di leggere dimenticati dalla lettura scolastica e in questo modo ci metta di nuovo a confronto sulla poverta' delle forme di lettura che innanzi tutto e per lo piu' sono diffuse. La lettura e' un'attivita' corporea, che coinvolge totalmente; e' una medicina, un rimedio, tanto che era prescritta, ci dice Illich, dai medici ellenistici come attivita' salubre. E' un modo di vivere, un'attivita' morale al servizio della realizzazione personale, un pellegrinaggio in terre lontane... In altre parole ci sono nel mondo tanti modi di leggere che la scuola non riesce neppure a immaginare. E' possibile che il mutamento in corso, ossia la progressiva perdita del predominio scolastico sul sapere, induca a riscoprire nuove (e vecchie) forme di lettura? Siamo proprio sicuri che la lettura collettiva non abbia ancora un forte ruolo da giocare? E' possibile, ancora e infine, giocare la lettura contro la comunicazione? * Note 1. John Haldane, Della giusta misura, tr. it. Garzanti, Milano 1978. 2. David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, Eleutehra, Milano 2003, p. 181. 3. Il rapporto con le Annales andrebbe esplorato in modo piu' approfondito. 4. Ivan Illich, Nella vigna del testo, Cortina, Milano 1994, p. 7. 5. Ibidem. 6. Un modo per considerare un commentario in modo diverso ci viene da questa osservazione: "Il lettore notera' che non di rado io osservo il presente come se dovessi riferirne agli autori dei vecchi testi che cerco di interpretare"; il riferimento qui e' ai suoi amati autori del XII secolo, in particolare a Ugo di san Vittore. 7. Ivan Illich, Mnemosyne: lo stampo della memoria, tr. it. in Nello Specchio del passato, Red edizioni, Como 1992. 8. Ivan Illich, Nella vigna del testo, cit., p. 2. 9. Ibidem, p. 96. L'impostazione di questa ricerca si puo' cogliere in modo ampio nel suo libro La convivialita', il cui titolo originale era "Tools for conviviality", strumenti, attrezzi per la convivialita'. 10. Ibidem, p. 57; e cosi' continua: "Ogni cultura ha conferito la propria forma a questa complementarita' (gesto-parola) asimmetrica bilaterale, in virtu' della quale certi enunciati sono incisi a destra e a sinistra, davanti e dietro, nel tronco e nelle membra e non solo nell'occhio e nell'orecchio". 11. Ibidem, p. 173. 12. Ivan Illich, Sull'isola dell'alfabeto, in "Volonta'", 1/87, p. 21. 13. Neil Postman, Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino 1993. 14. Raffaele Simone, La terza fase, Laterza, Roma-Bari. Nella schematizzazione di Simone due grandi fasi hanno preceduto quella attuale, la prima l'invenzione della scrittura, la seconda l'invenzione della stampa. La terza fase e' quella della visione e delle immagini. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 68 del 9 aprile 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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