[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1214
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1214
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 22 Feb 2006 00:18:05 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1214 del 22 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Campus delle culture delle donne: una bibliografia su femminismi e intercultura 2. Anna Bravo: La Resistenza nonviolenta 3. Anna Bravo: La Shoa' e i Giusti in Italia 4. Anna Bravo ricorda Lidia Beccaria Rolfi 5. Anna Bravo ricorda Maria Occhipinti 6. Anna Bravo ricorda Nuto Revelli 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. CAMPUS DELLE CULTURE DELLE DONNE: UNA BIBLIOGRAFIA SU FEMMINISMI E INTERCULTURA [Dai resoconti del "Campus sulle culture delle donne" promosso dai Centri interculturali delle donne della Regione Toscana il 30 luglio - 13 agosto 2000 riprendiamo la seguente bibliografia di lavoro su "Femminismi e intercultura"] Il lavoro - Amorevole Rosa, Colombo Grazia, Grisendi Adele, La banca del tempo, Angeli, Milano, 1996 - Barazetti D., Leccardi C., Fare e pensare. Donne, lavoro, tecnologia, Rosenberg & Sellier, 1995 - Buttarelli Annarosa, Longobardi Giannina, Muraro Luisa, Tommasi Wanda, Vantaggiato Iaia, La rivoluzione inattesa. Donne al mercato del lavoro, Pratiche, Milano 1997 - Laura Cappellini (a cura di), Educare alla differenza, dossier in "Bambini", anno XV, n. 1, 1999 - Commissione nazionale per le pari opportunita', Le donne nel mondo 1970-1990. Statistiche e idee, 1991 - Commissione pari opportunita' - Provincia di Livorno, Dipartimento Scienze Sociali - Universita' di Firenze, Doppia presenza, tradizione e innovazione in agricoltura. Una ricerca sulle conduttrici di aziende agricole in provincia di Livorno, a cura di Maria Nella Pezzini, Pacini, 1997 - Curli Barbara, Italiane al lavoro 1914-1920, Marsilio, Venezia 1998 - De Leonardis Ota, Mauri Diana, Rotelli Franco, L'impresa sociale, Anabasi, Piacenza 1994 - Dominique Meda, Societa' senza lavoro, Feltrinelli, Milano 1996 - "DWF", Il mondo che conta, 4 (32) ottobre-dicembre 1996 - Formaper, Donne creano impresa, Sperling & Kupfer, 1998 - Groppi Angela (a cura di), Il lavoro delle donne, Laterza, Roma-Bari 1996 - Picchio Antonella, Come si riproduce la societa'?, In "Animazione sociale", n. 3, aprile 1999 - Saraceno Chiara, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna 1998 - Sen Amartya K., La diseguaglianza. Un riesame critico, Il Mulino, Bologna 1994 - Tognetti Bordogna Mara, Mani invisibili: la vita e il lavoro della donna immigrata, Ediesse, 1994 - Via Dogana, Libreria delle donne di Milano, Liberta' nel lavoro, n. 37, maggio 1998 * I diritti di cittadinanza - Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, 1996 - Balsamo Franca, Da una sponda all'altra del Mediterraneo. Donne immigrate e maternita', L'Harmattan, 1997 - Buttafuoco Annarita, Questioni di cittadinanza, Protagon, Siena 1995 - Chiaramonte Zef, Noi veniamo dall'Albania. Storie di vita, leggende, ricette, indirizzi, Sinnos, 1992 - Crisantino Amelia, Ho trovato l'Occidente. Storie di extracomunitarie, La Luna, Palermo 1992 - Demetrio Duccio, Favaro Graziella, Immigrazione e pedagogia interculturali, La Nuova Italia, 1992 - De Bernart Maura, Di Pietrogiacomo Lucia, Nichelini Loretta, Migrazioni femminili: famiglia e reti sociali tra il Marocco e l'Italia. Il caso di Bologna, L'Harmattan Italia, 1995 - Favaro Graziella, Tognetti Bordogna Mara, Donne dal mondo. Strategie migratorie al femminile, Guerini e Associati, 1991 - Gallissot Rene', Razzismo e antirazzismo. La sfida dell'immigrazione, Dedalo, Bari 1992 - Irigaray Luce, La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994 - Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Sellier, Torino 1987 - Messaoudi Khalida, Una donna in piedi, Mondadori, Milano 1997 - Okin Moller Susan, Multiculturalismo e femminismo, in "Boston Review", ottobre-novembre 1997 - Selvaggio M. Antonietta (a cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza, La Luna, Palermo 1997 * La violenza sul corpo femminile - Doni Elena, Valentini Chiara, L'arma dello stupro. Voci di donne della Bosnia, La Luna, 1993 - Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e e la donna vaginale e altri scritti, Milano 1970 - Lo Russo Giuditta, Uomini e padri, L'antica questione maschile, Roma 1995 - Moroli Emanuela e Sibona Roberta, Schiave d'Occidente. Sulle rotte dei mercanti di donne, Mursia, Milano 1999 - Papa Cristina, Dibattito sull'aborto. Documenti a confronto, Guaraldi, 1975 - Udi di Ferrara, La dimensione donna: educazione sessuale e divisione dei ruoli, Guaraldi, 1975 - Vegetti Finzi Silvia, Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986 * La comunicazione con l'altro/a - "Animazione sociale", C'e' spazio per le donne nel lavoro sociale?, anno XXX, n. 1, 2000 - Arcisolidarieta', Nato in Senegal, immigrato in Italia, Ambiente Edizioni, Milano 1994 - "DWF", Passioni di scena, 1999, 1 (41), gennaio-marzo 1999 - Gnisci Armando, Poetiche dei mondi, Meltemi, 1999 - "Inchiesta", Mediterraneo, n.113, luglio-settembre 1996 - "Inchiesta", Chi ha paura/voglia degli studi di genere?, n. 125, luglio-settembre 1999 - Maher Vanessa ( a cura di), Questioni di etnicita', Rosenberg & Sellier, Torino 1994 - Nigris Elisabetta (a cura di), Educazione interculturale, Mondatori, Milano 1996 - Perrotta Rabissi Adriana, Perucci Maria Beatrice, Linguaggiodonna: primo thesaurus in lingua italiana, in "Bollettino del Centro Studi storici sul movimento di liberazione delle donne in Italia", n. 6, 1991 - Pizzini Franca (a cura di), L'altro: immagine e realta'. Incontro con la sociologia araba, Angeli, Milano 1996 - Viviani Donatella, Conoscere per prepararsi ad una societa' multiculturale. L'immigrazione extracomunitaria a Poggibonsi, a cura di Comune di Poggibonsi e USL Alta Val d'Elsa, 1993 - Provincia di Livorno, Centro mondialita' sviluppo reciproco, Cospe, Afaq O rizzonti, Il Mediterraneo e le sue culture. Societa', tradizioni e costume: il Marocco, San Benedetto, Livorno 1997 * La politica Cigarini Lia, La politica del desiderio, Pratiche Editrice, Parma 1995 - "DWF", Politica. L'amante incompresa, 2-3 (34-35), aprile-settembre 1997 - "DWF", Politica. Sull'orlo del tempo, 4 (36), ottobre-dicembre 1997 - Fusini Nadia, Uomini e donne, Una fratellanza inquieta, Donzelli, Roma - Chambers Ian e Curti Lidia, La questione postcoloniale. Cieli comuni, orizzonti divisi, Liguori, 1997 - Ivekovic Rada, Autopsia dei Balcani, Cortina, Milano 1999 - Pappalardo M. Antonietta, Chiappi Fiorella, Laboratorio pari opportunita', Angeli, Milano 1994 - Ribero A., Vigliani Ferdinanda (a cura di), 100 titoli. Guida ragionata al femminismo degli anni Settanta, Luciana Tufani, Ferrara 1998 - Richter Malabotta Melita (a cura di), L'altra Serbia. Gli intellettuali e la guerra, Selene, 1996 - Richter Malabotta Melita, Conflittualita' balcanica, integrazione europea, Editre, Trieste 1993 - Salvatici Silvia, Scattigno Anna, In una stagione diversa. Le donne in Palazzo Vecchio 1946-1970, Edizioni Comune Aperto, Firenze 1998 - Sgrena Giuliana (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995 - Shiva Vandana, Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995 - Tognetti Bordogna Mara, Legami familiari e immigrazione: i matrimoni misti, Harmattan, 1996 * Le parole chiave - Agnati T., Torres F., Artemisia Gentileschi. La pittura della passione, Selene, Milano 1998 - Arendt Hannah, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964 - Braidotti Rosi, Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernita', Donzelli, Roma 1995 - Cavarero Adriana, Corpo in figure. Filosofia e politica della corporeita', Feltrinelli, Milano 1995 - De Lauretis, Sui generi/s. Scritti di teoria femminista, Feltrinelli, Milano 1996 - Diotima, Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990 - Haraway Donna, Manifesto Cyborg, Feltrinelli, Milano 1995 - Gilligan Carol (1987), Con voce di donna, Feltrinelli, Milano 1987 - hooks bell, Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli, Milano 1998 - Irigaray Luce, Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991 - Laurenzi Elena, Maria Zambrano, All'ombra del Dio sconosciuto. Antigone, Eloisa, Diotima, Pratiche, Milano 1997 - Muraro Luisa, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991 - Rich Adrienne, Segreti, silenzi, bugie. Il mondo comune delle donne, La Tartaruga, Milano 1982 - Rivera Garretas Maria Milagros, Nominare il mondo al femminile, Editori Riuniti, Roma 1998 - Young Iris Marion (1990), Le politiche delle differenze, Feltrinelli, Milano 1996 - Woolf Virginia, Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1975. 2. MEMORIA. ANNA BRAVO: LA RESISTENZA NONVIOLENTA [Nuovamente riproponiamo il seguente saggio di Anna Bravo (che nuovamente ringraziamo per avercelo messo a disposizione) originariamente pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" del 26 aprile 2005. Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it), storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003] Al tempo della seconda guerra mondiale, in Europa e negli Stati Uniti circolava l'espressione "sdraiarsi come un danese" La Danimarca non si era opposta con le armi all'occupazione nazista, il governo socialdemocratico, pur protestando contro la violazione della neutralita', era rimasto in carica, aveva consentito alla messa fuori legge dei comunisti, si lasciava usare come "vetrina democratica" del III Reich, collaborava mantenendo relazioni economiche con la Germania. Dunque la Danimarca si era "sdraiata", allo stesso modo di una donna che si sottometta all'assalto maschile - i discorsi politici ricorrono spesso a metafore sessuali. Strana collaborazione, pero', lontanissima dallo zelo della Francia di Vichy. Visto che la Germania ha sottoscritto un memorandum in cui si impegna a non ingerirsi negli affari interni danesi, il governo sceglie di prenderlo alla lettera, muovendosi sul filo del rasoio con la tattica del "come se": come se la Germania intendesse davvero rispettare i patti, come se la minuscola Danimarca potesse negoziare da pari a pari. A volte ci riesce. Nell'ottobre 1942, Hitler deve rinunciare a far introdurre nel paese leggi antiebraiche, perche' il governo minaccia di dimettersi, dichiarando che qualsiasi attacco agli ebrei danesi equivale a un attacco alla Costituzione, in cui e' garantita l'uguaglianza di tutti i cittadini. Intanto, non solo a a Copenaghen, molti e molte smettono repentinamente di parlare e di capire la lingua tedesca, e il rifiuto dell'antiebraismo e' cosi' diffuso e palese che fra i gerarchi nazisti nascono divergenze su come gestire la situazione. Nell'agosto '43, di fronte alla pretesa tedesca di schiacciare con la legge marziale una ondata di scioperi, il governo si autoscioglie, dando una enorme legittimazione alla pressoche' neonata resistenza. Poco dopo, a cavallo fra settembre e ottobre, la storia piu' ammirevole. Quando gli occupanti cominciano ad arrestare in prima persona gli ebrei e progettano la loro deportazione in massa, ecco che la popolazione - si puo' davvero dire "la popolazione" - si organizza. Il rabbino della sinagoga di Copenaghen comunica ai fedeli la minaccia; la resistenza, i partiti, le Chiese, la diffondono con i loro canali. I cittadini attivano tutto il loro tessuto associativo, nascondono i ricercati, raccolgono denaro per affittare un numero di barche suffficiente a caricare in poche riprese migliaia di persone, li accompagnano nottetempo ai luoghi di imbarco, mentre lungo strade e sentieri di campagna vigilano i membri della resistenza; infine li traghettano nella sicura Svezia. Hanno collaborato almeno quaranta associazioni di vario tipo, organi amministrativi, la polizia, la guardia costiera - per questo alcuni poliziotti finiranno in Lager. Grazie al popolo "sdraiato", piu' del 90% dei 7.695 ebrei danesi passa dalla parte dei salvati. Esempio unico, che alcuni autori hanno cercato invano di relativizzare, e che, ha scritto Hannah Arendt, dovrebbe essere proposto agli studenti di scienze politiche, perche' capiscano a quali risultati puo' arrivare una lotta nonviolenta, sorretta da un buon livello della coesione sociale e del riconoscimento popolare nelle istituzioni. * Prima ancora che nasca una resistenza armata, pratiche conflittuali inermi si sviluppano in tutta Europa: si va dalla non cooperazione agli scioperi, dalle proteste pubbliche per la penuria di viveri, alla protezione dei piu' vulnerabili, alla resistenza alle razzie di lavoratori da gettare nelle fabbriche del III Reich. In Polonia, si crea una rete di scuole clandestine contro il disegno nazista di ridurre quel popolo alla condizione servile. Soprattutto nei paesi del nord, insegnanti, magistrati, medici, sportivi, spesso appoggiati dalle Chiese, rifiutano di iscriversi ad associazioni di mestiere nazificate; in Norvegia non ci sara' piu' alcuna gara fino alla conclusione della guerra - il che contribuisce a aprire gli occhi a molti giovani. Ovunque durissimo, il braccio di ferro porta ad arresti e deportazioni, ma le istituzioni collaborazioniste sono completamente svuotate, la parvenza di normalizzazione cui aspirano gli occupanti resta un miraggio. Pochissime, almeno fino agli anni novanta, le ricerche che mettono a tema il carattere disarmato di queste lotte, e dovute quasi esclusivamente a studiosi dell'area nonviolenta, fra cui lo storico francese Jacques Semelin. Elaborando alla fine degli anni Ottanta il concetto di resistenza civile, Semelin da' a queste pratiche eterogenee un solido statuto teorico, e ne chiarisce la specificita': assenza delle armi e metodi in genere nonviolenti, i cittadini come protagonisti principali, autonomia degli obiettivi, diretti a contrastare lo sfruttamento e il dominio nazista sulla societa'. Altra cosa, e piu' complessa, del ruolo di appoggio e supporto alla resistenza armata, che pure conta ed e' prezioso. * Ancora oggi, nell'opinione comune e nella ritualita' ufficiale, e' solo quest'ultimo aspetto a essere ricordato. Cosi' anche in Italia. Sull'onda dell'attenzione di Carlo Azeglio Ciampi per il rapporto fra identita' nazionale e resistenza, le celebrazioni del 25 aprile si sono aperte da tempo all'esperienza dei civili, presentati come attori solidali e sofferenti, pero' calati e confusi in una massa indistinta, gregaria alla lotta in armi. Diversamente che nel dibattito storiografico, quasi mai si parla della resistenza disarmata come di una realta' autonoma. Eppure anche da noi e' esistita, ed ha avuto il suo momento unico, iniziato e cresciuto nei giorni dopo l'8 settembre, quando alla notizia dell'armistizio con gli alleati l'esercito si dissolve, e decine di migliaia di militari si sbandano sul territorio nazionale, braccati da tedeschi e fascisti. Sulle strade - scrive Meneghello ne I piccoli maestri - si vedevano "file praticamente continue di gente, tutti abbastanza giovani, dai venti ai trentacinque, molti in divisa fuori ordinanza, molti in borghese, con capi spaiati, bluse da donna, sandali, scarpe da calcio... Pareva che tutta la gioventu' italiana di sesso maschile si fosse messa in strada, una specie di grande pellegrinaggio di giovanotti, quasi in maschera, come quelli che vanno alla visita di leva". Dietro quei capi sottratti ad armadi gia' sguarniti, indossati in case cautamente ospitali o in luoghi appartati, si nasconde una iniziativa di massa del tutto indipendente da direttive politiche, e carica di rischi - presa in ostaggio, deportazione, fucilazione. E' la piu' grande azione di salvataggio della nostra storia, e una testimonianza che fra popolazione e nazisti/fascisti si e' aperto un contenzioso su aspetti cruciali dell'esistenza collettiva e della legittimita' pubblica, come i criteri di innocenza e colpevolezza. E' politica, che altro? Solo che a agire sono per lo piu' donne, e donne odiosamente definite "umili", donne ritenute incompatibili con la sfera pubblica, che operano individualmente o ricorrendo a reti di relazione parentali, di comunita', di vicinato - strutture basilari della coesione sociale, pero' invisibili alle categorie dell'analisi politica. In quegli anni si incontrano storie belle e importanti, che andrebbero raccontate in ogni occasione, pervicamente. Che aiuterebbero a ripensare il tema della responsabilita' personale nella guerra e nella resistenza. E' vero che la lotta armata chiede corpi giovani e sani, che non tutti possono sparare, vivere in clandestinita', reggere grandi fatiche; ma il quadro cambia se si pensa a una resistenza diversa, praticabile in molti piu' luoghi e forme, accessibile a molti piu' soggetti, dalla madre di famiglia al prete al nonviolento, a chi ha un'eta' anziana o e' fisicamente debole. "Fai come me" e' un invito che il resistente civile puo' estendere ben al di la' di quanto possa fare il partigiano in armi, e che mina alle radici una infinita' di autoassoluzioni. * Quelle storie aiuterebbero anche a smontare lo stereotipo della nonviolenza come utopia per anime belle. Niente affatto. Nel '43, poteva apparire del tutto irrealistico tentare un salvataggio degli ebrei con mezzi nonviolenti, in un paese sotto legge marziale direttamente controllato dai nazisti. Guardando all'oggi, nessuno aveva previsto le rivoluzioni incruente all'est, e c'e' chi diffida dei militanti di Otpor, l'organizzazione serba per la resistenza civile contro Milosevic, che girano l'Europa per insegnare le tecniche non armate, ma che devono pur avere altri fini! - la nonviolenza da sola non varrebbe la pena. Non era utopica neppure la lunga resistenza civile della popolazione kosovara; e' stata ottusa la comunita' internazionale a non sostenere decisamente Rugova, una scelta che nel tempo ha minato la fiducia nella strategia nonviolenta dando spazio all'Uck. * La seconda guerra mondiale ha ancora molto da dire, a cominciare da quel che si intende per contributo di un paese o di un gruppo alla lotta antinazista (e a qualsiasi lotta). Oggi lo si valuta ancora in termini di morti in combattimento; sarebbe giusto, tanto piu' in tempi di guerre contro i civili, misurarlo anche sulla quantita' di energie, di beni, soprattutto di vite strappate al nemico; sul sangue risparmiato non meno che sul sangue versato. 3. MEMORIA. ANNA BRAVO: LA SHOA' E I GIUSTI IN ITALIA [Riproponiamo il seguente saggio di Anna Bravo originariamente pubblicato come voce "Giusti d'Italia", nel Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino 2004 ( edizione italiana curata da Alberto Cavaglion)] Poco numerosi, relativamente ben integrati nel tessuto sociale e nelle istituzioni, concentrati nelle citta', gli ebrei italiani parlavano la stessa lingua dei loro connazionali e avevano abitudini cosi' simili da riuscire in pratica indistinguibili. Nonostante la tradizione dell'antigiudaismo cristiano e la propaganda del regime, non esisteva un diffuso antiebraismo radicale. L'occupazione tedesca, che dura venti mesi mentre nel resto dell'Europa si conta in anni, inizia quando i tedeschi sono manifestamente in difficolta' su tutti i fronti, e la popolazione ha sperimentato l'incapacita' del regime a garantire minime condizioni materiali, conosce i disastri militari dell'Italia, e' ostile alla guerra e potenzialmente solidale con le sue vittime: nell'Italia del '43-'45 chi protegge gli ebrei puo' sperare, se non nell'appoggio, in una certa benevolenza dei concittadini. Infine a Roma c'e' il Vaticano, sede del papato con la sua autorita' internazionale, e centro di una rete fitta di parrocchie e conventi con una lunga pratica di asilo ai bisognosi. Gli aspetti favorevoli all?opera dei soccorritori sono dunque molti. Eppure 8.000 ebrei/e italiani vengono deportati, a volte su delazione o per l'accanimeto di funzionari statali, piu' spesso perche' non trovano nessuno disposto a spendersi per loro. E' vero che il rischio e' grande, e che i nazisti considerano gli italiani una popolazione inferiore e traditrice contro cui infierire. Resta il fatto che ci si decide a dare aiuto solo quando e' evidente che per gli ebrei e' questione di vita o di morte, e che a agire e' una minoranza. Come in tutta Europa, si tratta di persone diverse fra loro, non riconducibili a un determinato tipo umano e sociale o a una fede religiosa o politica, e neppure alla difficilmente verificabile categoria della "personalita' altruista" o a una condizione di marginalita' sociale che favorirebbe autonomia di giudizio e scelte trasgressive. Sono differenti anche le modalita' di azione. C'e' chi si appoggia a forze partigiane, chi fa riferimento alle reti di resistenza civile che lavorano per mettere in salvo in Svizzera antifascisti e prigionieri alleati, chi e' in contatto con la Delasem, l'organizzazione ebraica di soccorso ai perseguitati; altri si servono dei rapporti fra parrocchie e fra conventi, altri ancora usano la loro posizione nelle catene ufficiali di comando, come quei capi militari e alti funzionari delle zone occupate dall'Italia - Croazia, sud della Francia, Grecia - che in varia misura e con varie motivazioni ostacolano gli arresti di ebrei del luogo. Alla base di moltissime iniziative ci sono networks di tipo familiare, amicale, di comunita', di vicinato, quasi sempre piccoli o piccolissimi, spesso costituiti di un individuo con una minima rete di aiutanti; a volte c'e' una sola persona. Per lo piu' si comincia offrendo occasionalmente cibo, contatti o ospitalita', per poi passare a un sostegno piu' continuativo e impegnativo, e si arriva all'illegalita' gradualmente e senza averlo programmato, ma in tempi rapidi e conoscendone i pericoli. * Di questa minoranza i Giusti italiani (325 al gennaio 2003) costituiscono uno spaccato, non un campione - in quegli anni, per esempio, l'aiuto offerto da una famiglia veniva accreditato al padrone di casa, anche se l'iniziativa era stata della moglie, figlia o sorella; il riconoscimento dipende da molte variabili, compreso il caso. Ma le vicende dei Giusti sono indicatori preziosi delle dinamiche sociali e delle vie attraverso cui si diventa salvatori. Nella situazione italiana, i network informali hanno un ruolo di spicco, e per buone ragioni. L'8 settembre 1943 il paese esce da vent'anni di un regime che ha frantumato l'opposizione e avviato la fascistizzazione delle strutture sociali. I partiti antifascisti mancano di radicamento, mezzi, a volte di consapevolezza. Diversamente che in altri paesi europei, le associazioni professionali, culturali o di altro tipo e i grandi nomi dell'intellettualita' non si attivano in alcun modo. I sentimenti civici, storicamente deboli, sono sbriciolati; la coesione sociale e' scarsa, le istituzioni statali svuotate. Al contrario, i legami personali, familiari e comunitari, tradizionalmente piu' solidi, reggono, ed ecco perche' riescono a realizzare le iniziative piu' efficaci (ma anche meno visibili alle categorie della politica). * Almeno in un caso e' documentato il coinvolgimento di un'intera comunita'. A Nonantola, un paese dell'Emilia-Romagna, nell'estate '42 sono accolti una novantina di ragazzi ebrei di vari paesi europei, che il presidente nazionale della Delasem Vittorio Valobra e' riuscito a trasferire dalla Jugoslavia. Sistemati a villa Sacerdoti alla periferia di Nonantola, i piccoli profughi vivono abbastanza tranquillamente e trovano amici fra gli abitanti. Rapporti preziosi, perche' dopo l'8 settembre 1943, quando i tedeschi occupano il paese, i ragazzi saranno nascosti, oltre che nei locali del Seminario e nell'asilo delle suore, presso famiglie del posto. Nel frattempo si prepara la loro fuga verso la Svizzera. I due Giusti di Nonantola, il dottor Giuseppe Morreali e don Arrigo Beccari, riescono a far preparare carte d'identita' false intestate al comune di Larino, in provincia di Campobasso, dove si spera sia impossibile fare controlli. Tutto avviene all'interno della comunita', e solo per facilitare il passaggio in Svizzera Beccari e Morreali cercano contatti con il neonato movimento partigiano del centro-nord. * Fra quanti decidono e operano da soli o quasi - il gruppo forse piu' eterogeneo - alcuni hanno una storia di impegno politico. Cosi' il medico piemontese Carlo Angela, che era stato tra i fondatori del partito Democrazia sociale nel 1921, e che per il suo antifascismo aveva scontato vessazioni e ostacoli nella carriera. Nel 1943, Angela dirige la clinica psichiatrica Villa Turina Amione di San Maurizio Canavese, un paese delle valli torinesi. Ha moglie e due figli appena adolescenti, e' di poca salute, e' lui stesso sotto sorveglianza; il paese e' stato piu' volte rastrellato, fascisti e tedeschi entrano a loro piacere nella clinica, fra i dipendenti non mancano i collaborazionisti. Eppure Angela accoglie a Villa Turina varie famiglie ebree, scrive falsi certificati medici, fronteggia le ispezioni e gli interrogatori dei fascisti, nel febbraio '44 e' preso in ostaggio e si salva fortunosamente. Nel caso di Renzo Segre e Nella Morelli, ospitati per 20 mesi facendo passare lui per malato, lei per sua assistente, arriva a presentarsi al temutissimo presidio fascista torinese per farsi garante della loro identita' fittizia. Sostenuto soltanto da un piccolissimo nucleo di dipendenti della clinica, il settantenne Angela opera con piu' efficacia delle forze della resistenza e del clero locale. * 34 anni, figlia di commercianti milanesi, corista alla Scala, Liuba Bandini non ha invece un curriculum politico e ha imparato a detestare i totalitarismi attraverso l'esperienza dell'ex marito Giorgio Scerbanenco, profugo dall'Ucraina. Anche lei agisce di propria iniziativa e sostanzialmente da sola, nascondendo nella sua casa milanese i coniugi Alberto e Marisa Campelung dal primo dicembre 1943 alla primavera 1945; l'unico sostegno le viene dalla sorella Ines, che abita nello stesso stabile e custodisce i bagagli della coppia. Il 14 marzo, avvertiti che i tedeschi sono sulle loro tracce, i Campelung devono fuggire, e Liuba viene pesantememente minacciata dalla polizia SS. Non solo tiene testa all'interrogatorio, lei donna sola e madre di un bimbo di 4 anni, ma per quanto sorvegliata riesce in seguito a far arrivare qualche aiuto ai suoi ex ospiti. * Per quanto riguarda l'opera di preti e religiosi/e, non esiste alcuna specifica direttiva del papa che la solleciti, e l'impegno nasce per altre vie. Alcuni si attivano su richiesta e in accordo con la Delasem, come don Francesco Repetto, giovane segretario del cardinale di Genova Pietro Boetto, cui poco dopo l'8 settembre Valobra aveva chiesto di distribuire sussidi agli ebrei della zona e agli stranieri rifugiati. Dato che molti sono presto costretti a nascondersi, Repetto si trova a procurare viveri, documenti falsi, asilo presso conventi e privati, guide per la fuga in Svizzera. Intanto lavora per mobilitare una quantita' di religiosi nella diocesi genovese e per sensibilizzare sacerdoti e vescovi dell'Italia settentrionale. Scoperto nel luglio '44, sara' sostituito da un altro futuro Giusto, don Carlo Salvi. Molti religiosi/e agiscono pero' indipendentemente dai canali delle Curie: in Piemonte, il domenicano padre Girotti, che sara' deportato nell'estate '44 e ucciso a Dachau, ospita nel suo monastero molti ebrei, pare senza chiedere e dire nulla ai superiori gerarchici. A Assisi, dove non ci sono rappresentanti della Delasem, e' invece la chiesa a prendere l'iniziativa. Nella cittadina era gia' in piedi un comitato per l'assistenza ai profughi promosso dal vescovo Nicolini e affidato a don Aldo Brunacci - un organismo perfettamente legale, che colmava il vuoto lasciato dalla crisi delle istituzioni e che si giovava delle tante strutture di accoglienza. Quando dopo l'8 settemebre cominciano ad arrivare ebrei italiani e profughi di altri paesi che non parlano la lingua e hanno bisogno di tutto, il comitato passa a operare segretamente. Don Brunacci persuade alcuni impiegati comunali a procurare documenti in bianco e un tipografo a creare timbri ufficiali di comuni delle zone occupate dagli alleati o distrutti dai bombardamenti. Nel frattempo si rivolge alle suore di Assisi e del circondario perche' ospitino nelle loro foresterie le persone senza mezzi, facendole passare per pellegrini stranieri. Partecipa al lavoro di assistenza anche padre Rufino Nicacci, superiore del convento di San Damiano, che fra l'altro sistema molti rifugiati presso il monastero delle Clarisse di San Quirico, assicurando loro viveri e conforto. Don Brunacci dira' in seguito che Nicolini gli aveva confidato di aver ricevuto una lettera del segretario di stato vaticano Maglione con l'invito a soccorrere antifascisti e ebrei, e che a ogni vescovo ne era stata mandata una simile. Ma di nessuna si e' mai trovata traccia. Probabilmente Brunacci aveva visto una lettera nelle mani del vescovo, che gli aveva lasciato credere che si trattasse della richiesta papale, e si era convinto che fosse cosi' perche' lo desiderava e lo trovava naturale; e forse a sua volta ne aveva fatto cenno ad altri preti, a suore e monaci per guadagnarne l'appoggio. Certo, come molti altri italiani/e, don Brunacci e padre Nicacci agiscono spinti dalla pietas cristiana; ma nessun sentimento affiorerebbe in assenza di quell'immedesimazione con i perseguitati che puo' nascere dall'incontro con la loro sofferenza e il loro bisogno di protezione, e che e' il tratto piu' diffuso fra i soccorritori, indipendentemente dalla loro religione e religiosita'. * Segue lo stesso impulso il padovano Giorgio Perlasca, il piu' noto e il piu' singolare fra i salvatori italiani. Fascista, volontario nellle guerre d'Etiopia e di Spagna, ma ostile alle leggi antiebraiche del '38 e all'alleanza con la Germania, di mestiere commerciante di carni, Perlasca si trova a Budapest nell'inverno '44, al momento in cui stanno precipitando deportazioni e massacri. Si offre di collaborare con l'ambasciata spagnola, che di concerto con quelle di altri paesi neutrali, ospita gruppi di ebrei in edifici extraterritoriali e li fornisce di lettere di protezione; alla partenza del titolare d'ambasciata decide di rimanere per continuare l'opera, spacciandosi per il nuovo incaricato d'affari spagnolo. Fatta eccezione per un microgruppo di aiutanti, Perlasca e' solo, con pochi mezzi, e il suo bluff lo rende vulnerabilissmo; eppure moltiplica le lettere di protezione, riempie le case, accorre per fronteggiare le aggressioni di SS e bande naziste, tratta con i capi della polizia e delle Croci frecciate alternando lusinghe, minacce, promesse di impunita', corruzione. Alla fine, circa 5.000 persone saranno salve, un risultato reso possibile dalle doti personali del protagonista, ma, imprevedibilmente, anche dal suo passato: al momento del congedo dalla guerra di Spagna, Perlasca ha infatti ricevuto dalle autorita' franchiste un documento che lo legittima a rivolgersi in caso di necessita' a qualsiasi sede diplomatica spagnola. Nell'Ungheria del 44, che dopo il rovesciamento italiano delle alleanze e' un paese nemico, ha bisogno di una nuova identita' come cittadino spagnolo per salvarsi e tornare in Italia, e la ottiene. Diventera' invece un paradossale esempio di Giusto, che salva gli ebrei nonostante sia (sia stato) fascista, e nello stesso tempo perche' e' (e' stato) un fascista e ha combattuto al fianco dei fascisti spagnoli. 4. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA LIDIA BECCARIA ROLFI [Riproponiamo il seguente testo di Anna Bravo originariamente apparso nell'ampio lavoro collettaneo, a cura di Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, Italiane, 3 voll., Roma 2004 (nel volume secondo, alle pp. 23-24). Lidia Beccaria Rolfi (1925-1996), nata a Mondovi' nel 1925, staffetta partigiana nella Resistenza, nel '44 fu arrestata dai nazifascisti e deportata nel campo di sterminio di Ravensbrueck. Insegnante, testimone, e' deceduta nel 1996. Opere di Lidia Beccaria Rolfi: (con Anna Maria Bruzzone), Le donne di Ravensbrueck, Einaudi, Torino 1978; L'esile filo della memoria, Einaudi, Torino 1996; (con Bruno Maida), Il futuro spezzato, Giuntina, Firenze 1997. Opere su Lidia Beccaria Rolfi: Bruno Maida (a cura di), Un'etica della testimonianza. La memoria della deportazione femminile e Lidia Beccaria Rolfi, Angeli, Milano 1997. Un ampio profilo di Lidia Beccaria Rolfi scritto da Valentina Greco, con preziosa bibliografia, e' nei nn. 1184-1185 di questo foglio] "Per rappresentare la dialettica servo-padrone non c'e' bisogno del Lager, per raccontare il Lager non c'e' bisogno di inventare una storia d'amore tra carnefice e vittima" - diceva sempre Lidia Beccaria Rolfi, partigiana piemontese deportata al campo nazista di Ravensbrueck. Alla prima del "Portiere di notte" si era risentita di fronte alla rappresentazione del rapporto fra l'ex deportata Charlotte Rapling e l'ex Ss Dirk Bogarde. Non aveva dimenticato il suo ritorno, quando tanti pensavano che le donne fossero state deportate per lo svago dei soldati tedeschi, esempio estremo del sospetto che circonda sempre la prigionia femminile; e aveva in orrore il repertorio di fantasie sadiche cresciuto rapidamente intorno al binomio SS-prigioniere. Maestra elementare di famiglia contadina, nel 1945 Lidia e' una ragazza ardita e vulnerabile, un'antifascista esistenziale avida di cose fresche e nuove. Ma sui libri di testo rifatti in fretta e furia trova al posto dei balilla una schiera di orfanelli poveri tristi e operosi, al posto delle storie di guerra storie di santi; negli uffici si scontra con i vecchi funzionari del regime. Non entra in nessun partito, frequenta tutte le riunioni politiche, lavora per 100 lire al giorno alla Camera del lavoro. Riprende a insegnare. Al momento di partire per una scuoletta in cima alle Langhe, e' "pronta a violare subito la nuova legge dell'Italia libera" - fraternizzando con i genitori degli allievi, leggendo troppi libri e giornali politici, trascurando le preghiere in classe. In piu' - bella, bionda, minuta, penetranti occhi castani - si trucca e porta i pantaloni, fuma, non va in chiesa, balla alle feste dei coscritti. Per la gente del paese e' una persona cara. Per i benpensanti di campagna e di citta', una strana ragazza che deve aver avuto una strana esperienza in Germania. Presto si accorge che anche tra gli antifascisti di deportazione si sa poco, e quella femminile non interessa proprio. "Deportata? - la apostrofa un comandante della sua zona - le partigiane si fanno uccidere, non si fanno prendere prigioniere". Tempo qualche anno, impara a contrattaccare in vari modi. Insieme ad Anna Maria Bruzzone scrive Le donne di Ravensbrueck, la prima opera analitico-narrativa sulle deportate politiche, uscita nel '78 e all'indomani gia' un classico e un battistrada per altre ricerche; sull'atteggiamento con cui i suoi compagni di partigianato l'accolgono al ritorno da Ravensbrueck, dice parole essenziali: "Quando tu tentavi di raccontare la tua avventura, tiravano sempre fuori l'atto eroico: '... pero' noi!'. I tedeschi li avevano ammazzati loro, i fascisti li avevano fatti fuori loro... e noi eravamo prigionieri..." - dove l'ironia prende di mira, insieme all'autocelebrazione, i valori celebrati: orgoglio militare, enfasi sulla morte, primato del combattente in armi. Per Lidia, a qualificare la resistenza non sono gli strumenti con cui la si pratica. Per quasi trent'anni si dedica a far conoscere la prigionia delle donne e a correggere il clima che l'ha tenuta ai margini. Grande disturbatrice, la battaglia contro fascismo e negazionismi non le impedisce di criticare l'equazione resistenza=lotta armata, che oscura ogni altra forma di opposizione antinazista, a cominciare da quelle attuate in Lager; di strapazzare gli amici deportati per il loro maschilismo; di imporre la presenza femminile nelle sedi piu' restie. Cuore vigile, prende posizione contro i crimini del presente, convinta che compito dei sopravvissuti sia testimoniare il Lager e insieme farsi portavoce di tutti gli oppressi, in primo luogo dei meno ascoltati. Muore nel '96, subito dopo aver pubblicato il racconto del suo ritorno - non una parola sprecata ne' una mancata, nessun eufemismo linguistico e politico: era il suo modo di raccontare, che ha portato in tante scuole, in tante occasioni pubbliche. Lavorava da anni a un libro sull'infanzia sotto il nazismo, dove accanto ai bambini dei ghetti e dei lager dovevano trovare posto gli scolari e scolare tedeschi violentemente socializzati alla guerra e alla riproduzione, i bambini uccisi nella cosiddetta "Operazione Eutanasia", quelli vittime dell'"Operazione Lebensborn". Non riuscira' a completarlo; ma dopo il Lager - diceva - era stata tutta vita regalata. 5. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA MARIA OCCHIPINTI [Riproponiamo il seguente testo di Anna Bravo originariamente apparso nell'ampio lavoro collettaneo, a cura di Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, Italiane, 3 voll., Roma 2004 (nel volume terzo, alle pp. 206-207). Per un accostamento alla figura di Maria Occhipinti, dalla tesi di laurea di Silvia Ragusa, "Maria Occhipinti: una ribelle del Novecento" (sostenuta all'Universita' di Catania nell'anno accademico 2003-2004, disponibile nel sito www.tesionline.it) riportiamo per stralci la seguente utile bibliografia: a. Opere di Maria Occhipinti: Monito alle donne siciliane, in "La comune anarchica", Siracusa 1947; Chi sono i colpevoli della prostituzione?, In "Anarchismo", Napoli, numero unico maggio-marzo 1950-1951; Una donna di Ragusa, prefazione di Paolo Alatri e nota di Carlo Levi, Landi Editore, Firenze 1957; Una donna di Ragusa, prefazione di Enzo Forcella, Feltrinelli, Milano 1976; Lettera a Feliciano Rossitto, in "L'Unita'", 5 maggio 1977; Mani in alto e fuori la terra!, in "L'Europeo", 8 novembre 1979; Sull'ospedale civile di Ragusa, in "Sicilia Libertaria", anno IV, n. 15, novembre 1980; I terremoti, quelli creati dallo Stato, in "Lotta Continua", 12 dicembre 1980; Una donna di Ragusa, nota di Carlo Levi, Sellerio, Palermo 1993; Il carrubo ed altri racconti, introduzione di Gianni Grassi, Sellerio, Palermo 1993; Una donna libera, nota di Marilena Licitra, Sellerio, Palermo 2004. b. Studi critici in libri e riviste: Addonizio Michele, Una donna contro il governo, la chiesa, la guerra, in "Lotta Continua", 22 novembre 1979; Anonimo, A "Donna di Ragusa" di Maria Occhipinti il premio Brancati, in "Corriere della Sera", 30 dicembre 1976; Antoci Franca, Maria, la Pasionaria di Ragusa, in "La Sicilia", 8 marzo 1994; Eadem, Nelle lettere ai grandi la rabbia della ribelle, in "La Sicilia", 8 marzo 1994; Asciolla Enzo, La Sicilia esca dal suo "letargo", in "Gazzetta del Sud", 31 dicembre 1976; Barone Laura, Maria Occhipinti. Storia di una donna libera, Sicilia Punto L, Ragusa 1984; Eadem, Il carrubo ed altri racconti della ragusana Maria Occhipinti, in "Ragusa Sera", 17 luglio 1993; Eadem, Maria Occhipinti, in Rivolta e memoria storica. Atti del convegno 1945-1995: le sommosse contro il richiamo alle armi, cinquant'anni dopo, Sicilia Punto L, Ragusa 1995; Eadem, Una donna di Ragusa: Maria Occhipinti, in Nella Sicilia del passato tra figure femminili e vecchi mestieri, Fidapa, Distretto Sicilia 2002; Eadem, Maria Occhipinti, in Tra terra e cielo. Due secoli di storia iblea al femminile, Donna e Comunita', Ragusa 2002; Bonina Gianni, Dalla Russia con dolore, in "La Sicilia", 1 aprile 1995; Bravo Anna, La ribelle di Ragusa messa in galera dagli antifascisti, in "Liberal", 21 maggio 1998; Calapso Jole, Donne ribelli, Flaccovio, Palermo 1980; Cambria Adele, Un'isola di rabbia, in "Il Messaggero", 5 luglio 1976; Catalfamo Antonio, Scrittori umanisti e "cavalieri erranti" di Sicilia, Sicilia Punto L, Ragusa 2001; Chemello Adriana, Una donna di Ragusa, in "Azione nonviolenta", novembre-dicembre 1976; Eadem, Una donna contro la guerra, in "Azione nonviolenta", novembre-dicembre 1981; Cotensin Ismene, Maria Occhipinti e la rivolta di Ragusa (gennaio 1954): un percorso intellettuale, politico e letterario, Sicilia Punto L, Ragusa 2003; D'Aquino Alida, Maria Occhipinti, in Sarah Zappulla Muscara' (a cura di), Letteratura siciliana al femminile: donne scrittrici e donne personaggio, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 1987; D. S., Una donna di Ragusa - veicolo al verbo comunista, in "Avvenire Ibleo", 22 febbraio 1958; Giarratana Letizia, Ciao Compagna, in "Sicilia Libertaria", XX anno, n.146, Ragusa, settembre 1996; Giubilei Giuliano, Lo Stato ruba la terra ai contadini ragusani, in "Paese Sera", 25 gennaio 1980; G. V, Occhipinti-Cambria: meta' premio per ciascuna, in "Espresso Sera", 31 dicembre 1976; Mafai Simona, Le siciliane, in AA. VV., Essere donna in Sicilia, Editori Riuniti, Roma 1976; Marzocchi Umberto, Un documento umano: una donna di Ragusa, in "Umanita' Nova", 3 ottobre 1957; Mughini Giampiero, Essere donna a Ragusa nel 1945, in "Paese Sera", 3 gennaio 1977; Nicolosi Casimiro, Le donne protagoniste al "Brancati-Zafferana", in "La Sicilia", 28 dicembre 1976; Santi Correnti, Donne di Sicilia, Tringale Editore, Catania 1990; Stajano Corrado, Una donna di Ragusa, in "Linus", n.10, ottobre 1976; Seroni Adriano, Una donna di Ragusa, in "L'Unita'", 17 settembre 1957; Simonelli Giovanni, Una donna di Ragusa, in "6 gennaio 1945", Ragusa, maggio 1976; Teodori Maria Adele, La pasionaria di Ragusa, in "L'Europeo", 8 novembre 1979; c. Opere storiche d'inquadramento: AA. VV., Rivolta e memoria storica. Atti del convegno 1945-1995: le sommosse contro il richiamo alle armi, cinquant'anni dopo, Sicilia Punto L, Ragusa 1995; La Terra Giovanni, Le sommosse nel ragusano: dicembre 1944 - gennaio 1945, Sicilia Punto L, Ragusa 1980; Mangiafico Antonio, Gurrieri Pippo, Non si parte! Non si parte! Le sommosse in Sicilia contro il richiamo alle armi, Sicilia Punto L, Ragusa 1991; Mangiamieli Rosario, La regione in guerra 1943-1950, in Storia d'Italia. Dall'unita' a oggi: la Sicilia, Einaudi, Torino 1987; Nicolosi Salvatore, Sicilia contro Italia (il separatismo siciliano), Tringali Editore, Catania 1981; Nobile Giuseppe, Questi miserabili, S. E. I., Genova 1953; Ragionieri Ernesto, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia. Dall'unita' ad oggi, tomo III, Einaudi, Torino 1976; Romano Giosue' Luciano, Moti rivoluzionari nel ragusano: dicembre 1944 - gennaio 1945, Sicilia Punto L, Ragusa 1998. d. Altri saggi letterari: (...) [sono segnalati testi di riferimento non specifici di Salvatore Battaglia, Italo Calvino, Franco D'Intino, Danilo Dolci, Marizano Guglielminetti, Carlo Levi, Carlo Salinari, Manfred Schneider, Leonardo Sciascia, Rocco Scotellaro, Ignazio Silone, Carlo Varese - ndr]. e. Fonti internet, audio e video: (...) Adele Cambria, La rivolta dei Non si parte, 17 settembre 2002, Raisat Album 2002; Silvana Mazzocchi, Le ribelli del Novecento, 22 febbraio 2003, Raisat Album; 16 aprile 2004: Presentazione libro di Ismene Cotensin: Maria Occhipinti e la rivolta di Ragusa (gennaio 1945). Un percosrso intellettuale, politico e letterario, Sicilia Punto L, Sala Avis, Ragusa. Relatori: Laura Barone, Marilena Licitra Occhipinti, Pippo Gurrieri, Ismene Cotensin; 10 luglio 2004: Intervista personale, riportata in appendice [alla tesi di laurea da cui citiamo - ndr], con Marilena Licitra Occhipinti, Ragusa; 12 novembre 2004: Presentazione del libro postumo di Maria Occhipinti Una donna libera, Sellerio, Centro Studi "Feliciano Rossitto", Ragusa. Relatori: Salvatore Assenza, Laura Barone, Marilena Licitra Occhipinti, Pippo Gurrieri, presente in sala Franco Leggio"] Povera, combattiva, di sinistra, la giovane ragusana Maria Occhipinti (1921-1996) non si capacitava che a chiuderla in galera in quel gennaio 1945 fosse la nuova Italia democratica e antifascista. Lei figlia di un muratore e di una cucitrice, costretta a lasciare la scuola a dispetto dell'amore per i libri, lei con la sua storia di sofferenze e riscatto, dall'infanzia difficile alla guerra, da una gravidanza di stenti alla morte della bimba appena nata, dalla ripresa degli studi all'approdo al comunismo, alle grandi speranze all'arrivo degli americani, alle lotte contro il carovita. Quasi un prototipo di biografia militante da portare a esempio - ma solo fino all'inverno '44-'45, quando il governo Bonomi emana i bandi di leva per un contingente da affiancare alle truppe alleate: al nord partigiano si addice il volontariato, al sud toccano le cartoline rosa. Di fronte alla renitenza generalizzata in tutto il centro-sud e nelle isole, si passa ai rastrellamenti casa per casa e alle retate, e ne nascono scontri violentissimi con migliaia di arresti, decine di morti e feriti. E' la rivolta chiamata dei "non si parte", che cambia segno alla vita di Maria. Sulla provinciale di Ragusa il 4 gennaio 1945 avanzava un camion carico di ragazzi catturati nel popolare quartiere "Russia"; e tra la piccola folla di donne disperate c'era lei, incinta di cinque mesi, che quattro anni prima aveva visto partire il marito e ora, decisa a non sopportare piu' che lo stato si impadronisca dei giovani, si stende davanti alle ruote, dando il via alla fuga dei rastrellati. Comincia cosi' la breve epopea della citta', e comincia la repressione giudiziaria. Identificata come leader, Maria e' portata al confino a Ustica, dove partorisce la sua seconda bambina e rischia di perderla per mancanza di cure, poi al carcere di Palermo. Quando esce per amnistia, il 7 dicembre 1946, scopre che il marito l'ha abbandonata, peregrina per molte citta', in Svizzera incontra un mondo diverso, che le sembra piu' adulto, piu' rispettoso ed equilibrato nei rapporti uomo/donna e che le fa apparire gli uomini siciliani "piccini, quasi balbettanti". Resta fuori d'Italia per molti anni, mentre sulla lotta dei "non si parte" c'e' un generale silenzio. All'estero lavora duramente, ma trova il tempo di scrivere Una donna di Ragusa, meta' autobiografia meta' cronaca della rivolta. Racconta i protagonisti, studenti, donne, contadini, reduci da tutti i fronti, molti socialisti e comunisti. Spiega che semplicemente nessuno voleva piu' saperne di fare la guerra, tanto meno per Vittorio Emanule e Badoglio; che nessuno credeva piu' sulla parola a chi prometteva un esercito diverso, epurato dalle vecchie ingiustizie e gerarchie. Mostra quanto abbiano avuto torto le forze politiche, compreso il suo partito di riferimento, il Pci, che hanno liquidato la rivolta come frutto di manovre separatiste o di un rigurgito fascista. La calda simpatia di alcuni intellettuali, in primo luogo di Enzo Forcella, non basta a creare consenso intorno a un testo scomodo e a una figura come Maria, antifascista che disobbedisce agli ordini dell'antifascismo, comunista dal cuore anarchico. Una donna di Ragusa resta a lungo un libro per pochi[1], mentre nell'autrice si vede soprattutto l'erede delle donne di ancien regime tante volte insorte a difesa degli interessi della comunita'. in parte e' cosi'. Ma Maria e' anche una moderna ribelle che fa un gesto imprevisto: molto prima che nascano l'interesse per la storia "dal basso" e il mito della spontaneita' popolare, rivendica per se' il diritto di parola e di giudizio disconoscendo a politici e specialisti il monopolio dell'interpretazione. Dal suo racconto esce male la nuova Italia, nordcentrica, sprezzante verso il sud, incapace di riconoscere le proprie aporie e incline a vedere in ogni lotta "irregolare" un anacronismo o un complotto; ne esce esaltata l'iniziativa personale, senza capi ne' organizzazione. Ancora oggi, che abbiamo imparato a distinguere i diversi dopoguerra e le diverse reazioni popolari, della difficilmente catalogabile eroina di Ragusa nei convegni sulla Resistenza spesso ci si dimentica di parlare. 6. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA NUTO REVELLI [Riproponiamo il seguente testo di Anna Bravo originariamente apparso sul bel periodico "Diario" nel 2004, subito dopo la scomparsa dell'eroico comandante partigiano e straordinario testimone del "mondo dei vinti". Nuto Revelli e' nato a Cuneo nel 1919 ed e' scomparso nel 2004; ufficiale degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale. Opere di Nuto Revelli: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, Le due guerre, tutti pubblicati presso Einaudi. Opere su Nuto Revelli: AA. VV., Memorie di vita e di Resistenza. Ricordi di Nuto Revelli 1919-2004, Nuova Iniziativa Editoriale - L'Unita', Roma 2004] Nuto Revelli, nato a Cuneo nel 1919, tenente degli alpini nella campagna di Russia, comandante partigiano di Giustizia e Liberta', studioso del mondo popolare, della guerra e della resistenza, marito di Anna Delfino, padre di Marco, amato da una molltitudine di lettori di tutti i tipi. I suoi libri: Mai tardi. Dario di un alpino in Russia, La guerra dei poveri, La strada del davai, L'ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale (materiali che aveva salvato fortunosamente dal macero), Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, Le due guerre. Lungo gli anni settanta e ottanta, Nuto Revelli andava per paesi, borgate, cascine, baite del cuneese, e con il suo pesante registratore professionale intervistava centinaia di uomini e donne. Lavorava con ponderazione, reiterando molti colloqui, rivedendo piu' volte le trascrizioni, ma credo anche con l'ansia del tempo che correva e la pena per i testimoni che scomparivano. Dopo aver retto all'emigrazione di massa, al primo decollo industriale, alla crisi della grande guerra, il mondo contadino era davvero alla fine, e Nuto voleva preservarne la memoria. Non per riportarlo in vita cosi' com'era stato, perche' ne conosceva le asprezze, ma per cercargli un posto nella storia, come aveva fatto con gli alpini di Russia e con i suoi stessi partigiani, ragazzi di banda presto tornati nell'anonimato. A Nuto era cara la gente dimenticata, appartata, magari cupa, l'opposto dello sfavillio anni ottanta; e l'aggettivo "vincente" doveva sembrargli un'oscenita'. Veri boom editoriali e pietre miliari delle ricerche sulla memoria, Il mondo dei vinti e L'Anello forte portano in primo piano le voci della pianura, della collina, della montagna, delle Langhe: quasi un secolo di storia se si guarda all'eta' dei testimoni, piu' di un secolo se si tiene conto che i discorsi incorporano tradizioni familiari e di comunita' che risalgono ai tempi di madri, padri, nonni. In quegli anni all'universita' ci appassionavamo intorno allo statuto scientifico delle fonti orali, e Nuto ci guardava con simpatia un po' distratta. Preferiva vedersi come un semplice raccoglitore-archivista, mentre era molto di piu', un grande catalizzatore, regista e garante della memoria. E uno scrittore magistrale, che considerava il linguaggio un dono da maneggiare con cura, mai una parola sprecata ne' una mancata. Era anche uno straordinario narratore in prima persona. D'estate a Verduno, sotto una quercia gigantesca al centro di un prato, scenario da favola, raccontava storie di comizi del primo dopoguerra, di piccole amministrazioni comunali, di passioni politiche - e di Giunchiglia Fior del male e delle famose sorelle Nete, che cantavano Un bacio a mezzanotte in un programma di Arbore. Profilo perfetto, un velo di abbronzatura, vestiti a fiori, a volte un lavoro a maglia fra le mani, l'amatissima Anna c'era sempre. Andando via, ci si trovava a pensare che una sinistra buona esisteva, e che il matrimonio poteva essere una cosa bellissima. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1214 del 22 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Voci e volti della nonviolenza. 10
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1215
- Previous by thread: Voci e volti della nonviolenza. 10
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1215
- Indice: