La nonviolenza e' in cammino. 1195



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1195 del 3 febbraio 2006

Sommario di questo numero:
1. Cindy Sheehan: Cos'e' accaduto
2. Wanda Tommasi: Etty Hillesum, testimone e vittima della Shoah
3. Giovanna Boursier presenta "Volevo solo vivere" di Mimmo Calopresti
4. Simone Weil: Il fondamento
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: COS'E' ACCADUTO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente testimonianza
di Cindy Sheehan sul suo arresto del 31 gennaio; ringraziamo Maria G. Di
Rienzo anche per la seguente essenziale descrizione degli eventi: "Cindy
Sheehan e' stata arrestata la sera del 31 gennaio, mentre si trovava nella
galleria riservata al pubblico del Parlamento statunitense. A darle il
biglietto d'ingresso e' stata la deputata californiana Lynn C. Woolsey.
Circa trenta minuti prima che il presidente Bush iniziasse il suo discorso
sullo stato dell'Unione Cindy ha attirato l'attenzione togliendosi la giacca
e rivelando la maglietta nera su cui campeggiava il numero dei soldati
americani morti in Iraq. Quello che segue e' il suo resoconto dei fatti,
scritto il primo febbraio". Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella
guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford,
fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con
l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio;
intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli
Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente
pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di
madre), disponibile nel sito www.koabooks.com]

Come molti di voi probabilmente sapranno gia', ieri sera sono stata
arrestata. Sono senza parole dalla rabbia per cio' che e' accaduto, e dal
dolore per tutto quello che abbiamo perso nel nostro paese.
Dato che polizia e stampa hanno mentito e distorto i fatti, ecco quello che
e' veramente successo: durante il pomeriggio, a Washington, sono stata
raggiunta dai membri del Congresso Lynn Woolsey, John Conyers, Ann Wright,
Malik Rahim e John Cavanagh. Lynn mi ha portato il biglietto per presenziare
al discorso sullo stato dell'Unione. Indossavo una maglietta con su scritto:
"2.245 morti. Quanti altri, ancora?".
Non mi sentivo a mio agio all'idea di andare in Parlamento. Sapevo che
George Bush avrebbe detto cose che mi avrebbero ferita e infuriata e non
volevo essere distruttiva, soprattutto per rispetto di Lynn che mi aveva
dato il biglietto. In effetti, avevo consegnato il biglietto a John Bruhns,
dei Veterani dell'Iraq contro la guerra. Tuttavia, l'ufficio di Lynn aveva
gia' avvisato la stampa, e tutti sapevano che ci sarei andata, e cosi' mi
sono fatta forza e sono andata al Parlamento con la metropolitana. Ho
passato un primo controllo della sicurezza, ho atteso nella sala d'aspetto e
ne ho passato un altro. Il mio biglietto diceva "quinta galleria, frontale,
quarto sedile". La stessa persona che dopo pochi minuti mi avrebbe arrestata
mi ha aiutata a trovare il mio posto.
Mi ero appena seduta, ed ero accaldata dall'aver salito tre piani di scale,
cosi' mi sono tolta la giacca. Mi sono girata verso destra per far uscire
dalla manica il braccio sinistro e lo stesso ufficiale di cui sopra ha visto
la mia maglietta e si e' messo ad urlare: "Dimostrante!". E' corso da me, mi
ha trascinata rudemente fuori dalla galleria e tenendomi le mani dietro la
schiena mi ha spinto verso le scale. Io ho detto qualcosa tipo: "Sto
andando, occorre essere cosi' violenti?"... Quella persona mi ha portato di
corsa agli ascensori, urlando a chiunque di togliersi di mezzo. Una volta
dentro l'ascensore mi ha ammanettata e mi ha portata fuori verso un'auto
della polizia. Mentre mi stava trascinando fuori qualcuno alle mie spalle ha
detto: "Quella e' Cindy Sheehan". A quel punto l'ufficiale mi ha detto:
"Stia attenta ai gradini, qui". Ed io ho risposto: "Non le e' importato di
stare attento, mentre mi trascinava sugli altri gradini". E lui: "Ma quello
era perche' lei stava protestando".
Wow, mi hanno cacciata di forza dal Parlamento perche' stavo "protestando"!
Nessuno mi ha detto che non potevo indossare quella maglietta nel palazzo
del Congresso. Nessuno mi ha chiesto di toglierla o di rimettermi la giacca.
Se mi avessero chiesto una di queste cose l'avrei fatta, ed avrei lamentato
la soppressione della mia liberta' di parola e ne avrei scritto piu' tardi.
Sono stata immediatamente e rozzamente (ho i lividi che lo provano)
trascinata via e arrestata per "condotta illegale".
Dopo che i miei effetti personali sono stati inventariati e mi sono state
prese le impronte digitali, un gentile sergente entro' nella stanza, guardo'
la mia maglietta e disse: "E cosa sono 2.245? Io sono appena tornato
dall'Iraq". Gli ho detto che mio figlio c'era morto. Sono questi i casi in
cui l'enormita' della mia perdita mi abbatte: ho perso mio figlio, ho perso
i miei diritti relativi al primo emendamento, ho perso il paese che amo.
Dov'e' finita l'America? Ho cominciato a piangere dal dolore.
Per cosa e' morto Casey? Per cosa sono morti gli altri 2.244 giovani
americani? Perche' decine di migliaia di loro restano in Iraq? Per questo?
Non posso neppure indossare una maglietta con su il numero dei soldati che
George Bush e le sue politiche arroganti e ignoranti hanno ucciso.
Indossavo la maglietta per mantenere una posizione. La stampa sapeva dove
sarei andata, ed io sapevo che qualcuno mi avrebbe intervistata ed io avrei
avuto addosso la maglietta. Se l'avessi portata per interrompere
l'audizione, mi sarei tolta la giacca all'inizio del discorso di Bush. Se
avessi avuto un'idea di cosa succede alle persone che indossano indumenti
che i neocons trovano disdicevoli forse l'avrei messa lo stesso, ma l'idea
non ce l'avevo.
Alcuni avvocati stanno preparando una denuncia contro il governo per cio'
che mi e' accaduto. La firmero'. E' tempo di riprenderci le nostre liberta'
ed il nostro paese. Non voglio vivere in un paese che proibisce alle persone
(abbiano esse o no pagato il prezzo estremo per il paese stesso) di
indossare, dire, scrivere o telefonare commenti negativi sul governo.
Percio' rivoglio indietro la mia liberta' e i miei diritti. Non intendo piu'
permettere a Bush e compagnia di portare ancora via qualcosa a me, o a voi.
Sono molto grata alle circa duecento persone che sono venute alla prigione
in cui ero rinchiusa a dimostrarmi il loro sostegno. Abbiamo cosi' tanto
potenziale per le cose buone. C'e' cosi' tanto di buono in cosi' tante
persone. Quattro ore dopo il mio arresto sono stata rilasciata. Di nuovo,
sono arrabbiata ed ammaccata, e cio' al momento mi rende difficile pensare
in modo sensato.
Continuate a lottare. Vi prometto che io lo faro'.

2. RIFLESSIONE. WANDA TOMMASI: ETTY HILLESUM, TESTIMONE E VITTIMA DELLA
SHOAH
[Dalla rivista telematica "Per amore del mondo", fascicolo dell'inverno
2005-2006, nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo il seguente testo,
datato 5 febbraio 2003.
Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima".
Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le
scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani,
Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano
1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori,
Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum.
L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del
deserto, Liguori, Napoli 2004.
Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel
1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo
valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua
meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la
riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985,
1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum:
AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di
"Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia
Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal
Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma
2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni
Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002]

Per parlare di Etty Hillesum (Middelburg, Paesi Bassi 1914 - Auschwitz
1943), e del tipo di testimonianza che questa autrice ci ha lasciato della
Shoah, vorrei partire dalla tormentata vicenda editoriale che ha portato
alla pubblicazione dei suoi scritti, il Diario (1) e le Lettere (2).
Il ritardo con cui questi testi sono stati pubblicati, a circa quarant'anni
di distanza dalla fine della Shoah, all'inizio degli anni ottanta, quando
essi hanno conosciuto una straordinaria fortuna in molti paesi, e' gia' di
per se stesso significativo (3). Mentre altre narrazioni della Shoah,
pubblicate all'indomani della seconda guerra mondiale, decrivono un mostro,
il nazismo, che e' altro da noi, Etty Hillesum ci fornisce un quadro piu'
inquietante, ci invita a rintracciare le radici del male anche dentro di
noi: "Il marciume che c'e' negli altri c'e' anche in noi, continuavo a
predicare: e non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo
nessun'altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il
nostro marciume. Non credo piu' che si possa migliorare qualcosa nel mondo
esterno senza prima aver fatto la nostra parte dentro di noi. E' l'unica
lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove" (4).
Questo e' piu' inquietante, perche' costringe a riflettere sui meccanismi
che possono indurre uomini apparentemente "normali" a commettere il male: in
questo senso, si tratta di un male che riguarda anche noi, oggi, in ogni
rifiuto e incomprensione dell'altro. Con Etty Hillesum, il male non e'
qualcosa di lontano e di mostruoso, ma qualcosa di vicino, che puo' nascere
anche dentro di noi: con lei, ci addoloriamo per il male compiuto dai
nazisti - un male di cui lei stessa e' stata vittima -, ma ci addoloriamo
anche per qualcosa che ci riguarda direttamente.
Si puo' comprendere facilmente come un punto di vista cosi' inquietante come
quello di Etty Hillesum fosse inaccettabile, per molti, quando la lotta
sostenuta contro il nazismo era ancora recente, vicina, bruciante. E'
comprensibile che altre narrazioni piu' nette della Shoah, che tracciano una
linea di demarcazione ben precisa fra bene e male, fra buoni e cattivi,
abbiano avuto piu' fortuna, all'indomani della guerra, del Diario di Etty
Hillesum: penso, ad esempio, al Diario di Anna Frank, in cui Anna descrive
un  mostro, il nazismo, che e' altro da noi (5).
*
Un'acuta pensatrice politica, che ha molto riflettuto, da ebrea, sulla
Shoah, Hannah Arendt, ha fornito, in un primo tempo, poco dopo la fine della
guerra, un'immagine della barbarie nazista come "male radicale", assoluto,
imperdonabile: ne Le origini del totalitarismo, del 1951, la Arendt analizza
il nazismo - e lo stalinismo - "dall'esterno" (6). Ma la stessa Arendt,
riflettendo di nuovo sulla Shoah a piu' di dieci anni di distanza dal suo
lavoro sul totalitarismo, in occasione del processo Eichmann (ne La
banalita' del male, del 1963), ha indagato la genesi del male
"dall'interno", a partire dall'apparente "normalita'" di un uomo come
Eichmann, e ha messo in guardia contro la "banalita' del male", che puo'
sorgere ovunque si rinunci al pensare da se', al dialogo con l'altro e alla
responsabilita' personale (7).
Ora, la cosa straordinaria di Etty Hillesum e' che lei giunge a una visione
matura come quella della "banalita' del male", e altrettanto inquietante,
perche' ci invita a rintracciare le radici del male anche in noi stessi, e
questo non molti anni dopo la fine della guerra, ma proprio durante le
drammatiche vicende della Shoah: innaccettabile alla fine della guerra,
quando si sentiva la necessita' di esorcizzare il "male radicale"
rappresentato dal nazismo, il Diario di Etty Hillesum ha conosciuto una
straordinaria fortuna a partire dagli anni ottanta.
I motivi di tale fortuna tardiva sono, in primo luogo, l'interesse per la
spiritualita' di Etty, radicata nell'ebraismo, ma aperta anche ad altre
forme di religiosita', dal cristianesimo alle filosofie orientali - una
spiritualita', la sua, che viene incontro a un confuso ma sincero bisogno
religioso del nostro tempo -, e, in secondo luogo, l'attenzione rivolta ai
testi della Hillesum da parte di una vasto pubblico di lettrici. Da
quest'ultimo punto di vista, conta il fatto che Etty Hillesum e' una donna:
io credo che, nel suo modo di opporsi a una realta' fatta di violenza e
odio, si possa riconoscere il segno della sua differenza femminile.
Il radicamento di Etty nella differenza femminile si puo' scorgere, in primo
luogo, a mio avviso, nel suo modo di lottare contro il male a partire da se'
e dalle proprie relazioni con gli altri. Partire da se' e' una modalita' di
pensiero e di azione - una pratica - a cui ha dato nome e dignita' politica
il movimento delle donne: Etty Hillesum, pur non collocandosi in un
orizzonte femminista, parte spontaneamente da se' e dalle proprie relazioni
per contrastare il male che le circostanze impongono drammaticamente alla
sua attenzione.
Etty Hillesum riflette sul proprio coinvolgimento nell'odio e rifiuta l'odio
indifferenziato verso un'intera categoria di persone - i tedeschi -,
perche', "se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest'unico
tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e
grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un
popolo intero. Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di
determinate tendenze, si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe
cose in certi momenti, provare a capire, ma quell'odio indifferenziato e' la
cosa peggiore che ci sia. E' una malattia dell'anima" (8). Etty rifiuta
l'odio indifferenziato - e' questa la sua lotta personale contro il proprio
"marciume" -, e all'odio oppone l'indignazione morale: non si tratta dunque
di soccombere al male ne' di rassegnarsi, ma di puntare sulle proprie
risorse umane ed esistenziali per contrastarne l'avanzata. A Tzvetan
Todorov, che giudica la posizione della Hillesum ammirevole dal punto di
vista morale, ma poco raccomandabile dal punto di vista politico, perche'
insegnerebbe ad accettare il dolore ma non a combattere il male (9), si
oppone chi, come Marco Deriu, riconduce l'atteggiamento della Hillesum a una
forma di "resistenza esistenziale" (10): si tratta di una resistenza che non
chiama in causa le risorse militari, economiche e tecnologiche nella lotta
contro il male, ma che punta sulle proprie risorse interiori, spirituali e
relazionali.
*
Nel caso di Etty Hillesum,  sono convinta che ci sia qualcosa di
esistenziale in gioco, ma non ritengo che si tratti di "resistenza":
resistere significa infatti attestarsi su una posizione difensiva, mentre
l'atteggiamento di Etty Hillesum si caratterizza per la sua propositivita'
(11). Contro il male e l'odio, Etty non si limita a "resistere", ma propone
e pratica l'amore e la compassione, due attitudini verso l'altro
diametralmente opposte alla violenza, all'intolleranza e al razzismo, di cui
i nazisti sono espressione: "A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre
un nuovo pezzetto di amore e di bonta' che avremo conquistato in noi stessi"
(12). "'Dopo la guerra, due correnti attraverseranno il mondo: una corrente
di umanesimo e un'altra di odio'. Allora ho saputo di nuovo che avrei preso
posizione contro quell'odio" (13).
Etty  Hillesum ha delineato chiaramente un conflitto simbolico fra odio,
risentimento, vendetta, da una parte - sentimenti tutti centrati sull'io -,
e amore e compassione, da un'altra parte - sentimenti che tolgono spazio
all'io per far posto all'altro.
Oltre ad esprimere nettamente questa sua posizione di fondo, che tuttavia
pochi, nella cerchia delle sue amicizie, hanno compreso, vedendovi una
rassegnazione e una passivita' pericolose, Etty Hillesum ha anche compiuto
alcuni gesti concreti di "resistenza" al nazismo: pur non entrando
personalmente nelle file della resistenza, Etty ha collaborato, di fatto,
con essa, in quanto ha voluto che due delle sue lettere-reportage su
Westerbork - il campo di smistamento in cui fu internata dal 1942 - fossero
pubblicate dalla resistenza olandese proprio durante la Shoah, contribuendo
a denunciarla e a documentarla.
Un altro gesto, che ha un chiaro significato politico, e' quello con cui
Etty si dimette dal  Consiglio ebraico di Amsterdam, dopo avervi lavorato
per soli quindici giorni: in tale circostanza, Etty pronuncia un duro
giudizio politico su questo organismo, nato per aiutare gli ebrei ma
divenuto uno strumento di selezione nelle mani dei nazisti (14); il suo
giudizio anticipa di molti anni quello di Hannah Arendt sull'operato dei
Consigli ebraici ne La banalita' del male. Anziche' imputare a Etty Hillesum
una colpevole "passivita'" nel non volersi sottrarre all'internamento nel
campo di Westerbork, si dovrebbero ammirare il suo senso di responsabilita'
nel non volersi salvare al prezzo della vita di qualcun altro, e la scelta
di non collaborare in alcun modo con i nazisti.
Un'altra annotazione del Diario che puo' avere un significato politico e'
quella che Etty fa a proposito delle umiliazioni che i nazisti infliggono
agli ebrei nell'Olanda occupata, come il divieto di percorrere le strade per
la campagna: "Per umiliare qualcuno si dev'essere in due: colui che umilia,
e colui che e' umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il
secondo, e cioe' se la parte passiva e' immune da ogni umiliazione, questa
evapora nell'aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che
interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e
oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei" (15). Etty doveva
avere davvero una grande forza e sicurezza interiori per assumere, davanti a
un nazista che la minacciava alla Gestapo, un atteggiamento di superiorita'
tale da non farsi intaccare interiormente dall'umiliazione (16): e' questo
un aspetto importante di quella "resistenza esistenziale" che Etty ha
concretamente praticato a partire da se'.
Tuttavia, complessivamente, la strada che Etty Hillesum sceglie non e'
quella della resistenza, ma e' quella di un'autorita' femminile disarmata
(17), la quale si oppone, simbolicamente e concretamente, con l'aiuto
prestato agli altri nel campo di Westerbork, al culto virile delle armi e
della guerra.
*
Alla fine, dopo aver lottato a lungo contro il proprio "marciume", contro
l'odio indifferenziato, Etty accetta la compresenza di bene e male dentro di
se', ma, per lottare contro il male, si aggancia a un livello - il Dio
salvato dentro di se' -, in cui il bene non produce che bene. "Aiutare Dio"
(18) e' la formula straordinaria trovata da questa giovane donna, che, di
fronte al silenzio di Dio al cospetto di Auschwitz, impedisce che Dio
l'abbandoni, perche' e' lei a non abbandonare Dio: Dio non e' responsabile,
e' l'uomo a portare interamente la responsabilita' del male. Di fronte al
male che dilaga, Etty si propone di aiutare Dio a non assentarsi del tutto
dal cuore degli uomini: "aiutare Dio" significa per Etty concretamente
aiutare il prossimo, la cui miseria e sofferenza custodiscono il divino. Dio
abita proprio la', nella fragilita' umana esposta alla forza. Salvando Dio
dentro di se' e contribuendo a disseppellirlo dal cuore di altri uomini
induriti dalla sofferenza, Etty evita di lasciarsi andare alla disperazione
di cui sono preda la maggior parte degli altri deportati; e' consapevole di
portare un carico prezioso, qualcosa da consegnare alle generazioni future:
Dio dentro di se', una scintilla divina consegnata interamente alla
fragilita' della creatura.
Prima di Hans Jonas, che si e' interrogato sul silenzio di Dio di fronte ad
Auschwitz, Etty Hillesum ha rinunciato all'attributo dell'onnipotenza divina
per salvare la bonta' di Dio (19): Dio non e' onnipotente, e' anzi impotente
di fronte al dilagare di un male, la cui responsabilita' grava interamente
sull'uomo. E all'uomo stesso e' affidato il compito di salvare Dio dentro di
se', affinche' la distruzione non sia completa.
Per il suo rifiuto dell'odio e per la sua capacita' di farsi carico della
sofferenza del suo tempo, Etty Hillesum non e' forse da annoverare fra quei
trentasei giusti che, secondo la tradizione ebraica, in ogni generazione,
portano sulle loro spalle il dolore del mondo e intercedono a favore di
un'umanita' altrimenti irrimediabilmente votata al male? (20)
*
La differenza femminile, in Etty Hillesum, si puo' riconoscere anche nella
qualita' della sua narrazione della Shoah: fin dall'inizio del Diario, il
suo sforzo e' quello di dire l'esperienza. E' uno sforzo che conosce un
parziale scacco, dal momento che nell'esperienza vissuta c'e' sempre
qualcosa di ineffabile, di indicibile: il miracolo quotidiano della
presenza - quel viso, questo fiore, quell'atmosfera irripetibile - e' per
Etty qualcosa di inafferrabile, cosi' vivo mentre lo vive e cosi' sfuggente
quando si mette a scrivere.
Lo stesso sforzo e lo stesso parziale scacco Etty Hillesum li sperimenta
quando la vita le mette sotto gli occhi, nel campo di Westerbork, il libro
vivente dell'esperienza: ancora una volta, si tratta di una dimensione
esistenziale da decifrare e di cui rendere conto nella scrittura. Ma qui
entra in gioco un aspetto della scrittura, che Etty non aveva mai affrontato
prima: viene in primo piano la  scrittura come testimonianza.
Etty avrebbe voluto essere scrittrice, non testimone: inzia a scrivere il
Diario, su suggerimento del suo psicoterapeuta e amante, Julius Spier, come
forma di autoterapia, e come laboratorio di scrittura, con l'intenzione di
diventare scrittrice. Ma le circostanze le affidano il compito di essere
testimone, e lei accetta di assolverlo: "dovrei impugnare questa sottile
penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero
essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di
storia com'e' ora e non e' mai stata in passato - non in questa forma
totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all'Europa intera. Dovra'
pur sopravvivere qualcuno che lo possa fare" (21).
Posta di fronte all'impegno della testimonianza, Etty si chiede quali forme
di scrittura siano le piu' adatte a rendere conto dell'esperienza-limite
della Shoah, e ne indica due: poesia e favola.
La poesia implica una presa di distanza dall'immediato, dal carattere troppo
bruciante del vissuto; gli spazi bianchi, gli intervalli di silenzio intorno
ai versi indicano lo sforzo di trovare le poche parole essenziali,
necessarie, che devono stagliarsi su uno sfondo di silenzio.
L'esigenza della favola si fa sentire perche', dal momento che la realta' e'
divenuta irreale a forza di orrore, occorre una narrazione non realistica
per restituirle realta' e credibilita'. Inoltre, la fiaba ha la capacita' di
rendere universale e comunicabile al di la' dei confini del tempo e dello
spazio un evento contingente, come i maestri ebrei hanno sempre fatto (22);
Etty si riallaccia cosi' idealmente alla tradizione dei racconti dei
chassidim.
Di fatto, tuttavia, Etty Hillesum non ha avuto il tempo di scrivere ne'
poesie ne' fiabe sulla tragica realta' di Westerbork; ci ha lasciato pero'
molte immagini poetiche, nelle sue lettere e nel suo Diario, come questa
immagine di una baracca nel campo: "Quella baracca talvolta al chiaro di
luna, fatta d'argento e d'eternita': come un giocattolino sfuggito alla mano
distratta di Dio" (23). In immagini poetiche come questa, troviamo
strettamente congiunte sventura e bellezza (24): la sventura fa sentire piu'
acutamente la preziosita' delle cose belle, che lo sono tanto piu' quanto
piu' sono esposte al rischio della distruzione.
*
La bellezza non elimina la sventura, ma fa sentire che, accanto alla
sventura, c'e' altro, c'e' la carezza misericordiosa del bello: l'amore per
la bellezza e' "amore per tutte le cose veramente preziose che la cattiva
sorte puo' distruggere" (25). Cosi', nel campo, quando sembra che non abbia
piu' niente da dare, Etty offre a Dio un'immagine: il profilo di una nuvola,
il volo dei gabbiani, il giallo dei lupini. Anche a Westerbork, Etty
Hillesum esprime comunque un indomabile attaccamento alla vita, che in lei
fa tutt'uno con la compassione per l'esistenza umana minacciata dalla
sofferenza e dalla morte.
C'e' in lei amore per la singolarita', per ciascun singolo essere che
incontra: nelle sue descrizioni di Westerbork, Etty cerca di salvare
dall'oblio, con la sua scrittura, ogni singola persona, in brevi ritratti
efficaci e incisivi, che ci restituiscono l'immagine di una ragazzina gobba,
di una signora che teneva la sua casa cosi' pulita e che ora e' sopraffatta
dal fango di Westerbork, di un ragazzo in pigiama celeste che si e' nascosto
per paura prima della partenza del convoglio per Auschwitz, il martedi'.
Ora, era proprio la singolarita' cio' che il totalitarismo nazista voleva
distruggere ed eliminare, con la morte in serie nei campi, con la
cancellazione della memoria, con la riduzione dei singoli al grado zero
della specie umana. Etty Hillesum si oppone fermamente a questo
appiattimento  mortifero, sia registrando minuziosamente l'evoluzione della
propria vita interiore nel Diario, sia ritraendo, nelle sue narrazioni di
Westerbork, quante piu' persone possibile, ognuna con la propria storia e
con la propria singolarita' irripetibile.
Non e' un caso che una pensatrice politica come Hannah Arendt, proprio
riflettendo sul totalitarismo e sull'amara esperienza dei campi, e per far
si' che tutto questo non si ripeta, abbia elaborato l'idea dell'azione
politica come un agire di concerto, fondato sulla pluralita' e sull'apporto
della singolarita' di ciascuno (26).
*
Etty Hillesum non e' una pensatrice politica; avrebbe semmai potuto
diventare una scrittrice di talento: con il suo talento per la scrittura,
lei salva dall'oblio, dalla distruzione della memoria, voluta dai nazisti
come corollario dei campi, quante piu' persone possibile, dedicando a
ciascuna poche pennellate incisive.
I suoi ritratti si caratterizzano per l'assenza di giudizio, perche'
ciascuno si giudica da se', per qualche dettaglio rivelatore: cosi', un
amaro sarcasmo tinge di nero il ritratto del comandante del campo, che
alcuni dicono sia un gentleman, ma, che per essere un gentleman, ricopre un
ufficio davvero singolare (27); una dolente indignazione caratterizza
l'immagine degli uomini in uniforme verde che spingono  gli ebrei sui
convogli, al punto che e' ben difficile ritenere che valga anche per loro la
concezione biblica secondo cui l'uomo sarebbe immagine di Dio (28); una pena
tinta di amarezza colora i ritratti di quegli ebrei che, nella speranza di
salvarsi, collaborano o sono servili (29); una partecipe compassione,
infine, anima i ritratti di tutti gli altri abitanti del campo, che Etty
salva dall'oblio, ad uno ad uno, sottolineando che ciascuno porta con se'
qualcosa di unico e di irripetibile.
*
Tuttavia, la narrazione che Etty Hillesum ci ha lasciato di Westerbork e'
parziale e selettiva: volutamente, Etty sceglie di non lasciare troppo
spazio alle realta' piu' dure, non vuole fare la cronaca degli orrori. Altri
hanno fornito, dello stesso campo di Westerbork, una descrizione piu' cruda:
ad esempio, Philip Mechanicus, buon amico di Etty a Westerbork, fa una
descrizione del campo piu' dura e oggettiva, in cui trovano posto i suicidi,
le crudelta' e il sadismo dei nazisti, le epidemie di dissenteria, le
pulci... (30)
Di tutto questo, Etty ci ha lasciato un quadro piu' sfumato: possiamo
apprezzare la delicatezza con cui vuole preservare dall'orrore i destinatari
delle sue lettere, ma c'e' dell'altro. Lei stessa scrive che "non sono i
fatti che contano nella vita, conta solo cio' che grazie ai fatti si
diventa" (31). Con il suo impegno di continuare a pensare a cio' che sta
capitando, di essere il "cuore pensante della baracca", contrastando
l'atteggiamento di molti, che, di fronte all'orrore, si rifiutano di
pensare, Etty Hillesum esprime l'esigenza che dai campi stessi nascano nuovi
pensieri, nuove conoscenze, che "dovranno portar chiarezza oltre i recinti
di filo spinato" (32). Proprio a partire dai campi, occorre trovare "un
nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi piu' profondi della propria
miseria e disperazione" (33), un senso da consegnare alle generazioni
future. Come Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante e teologo cristiano
ucciso per essersi opposto al nazismo (34), Etty Hillesum riesce a vivere
intensamente il presente e insieme a pensare al futuro, alle generazioni che
verranno.
Noi che la leggiamo oggi, a tanti anni di distanza, siamo colpiti dalla
forza di questa giovane donna, che e' riuscita a conservare intatte, nel
campo di Westerbork, la sua umanita' e la sua apertura al divino.
Indubbiamente, Westerbork non e' Auschwitz: e' un campo di transito e non di
sterminio, le comunicazioni con l'esterno sono ancora possibili, i pacchi di
cibo inviati dagli amici attenuano la fame, e Etty, in un primo tempo, puo'
tornare piu' volte ad Amsterdam per curarsi. Tuttavia, colpisce il fatto che
la narrazione di questa giovane donna sia molto lontana da quella
degradazione al di sotto della soglia dell'umano che altri testimoni dei
campi hanno dovuto dolorosamente constatare. La convinzione che "le materie
prime della vita sono dappertutto le stesse, che in ogni luogo di questa
terra si puo' vivere la propria vita in modo ricco di significato o
altrimenti morire" (35), spinge Etty ad affermare che vive a Westerbork
proprio come quando stava ad Amsterdam (36).
Nessuno dei sopravvissuti all'orrore di Auschwitz avrebbe potuto dire
questo: confrontando la sua descrizione di Westerbork con quelle di altri
testimoni dei campi, come Primo Levi (37) o Robert Antelme (38), si ha
l'impressione di trovarsi davanti a una differenza abissale. Ci sono si' dei
punti di contatto, come la percezione della bellezza - un canto di Dante, il
movimento delle nuvole, le colline - come cio' che puo' far riaffiorare
l'umanita' nonostante la degradazione, e la consapevolezza della fecondita'
di un gesto di aiuto e di compassione, che puo' suscitarne altri. Ma, in
generale, siamo davanti a una qualita' davvero diversa di testimonianza e di
narrazione. E' mia convinzione che in questa diversita' giochi una parte non
piccola la differenza femminile, l'essere donna di Etty Hillesum. Infatti
anche altre autrici che, a differenza di Etty, sono sopravvissute ad
Auschwitz e che ne hanno reso testimonianza, come Dora Klein (39) e Ruth
Elias (40), hanno si' raccontato l'orrore, ma lo hanno in parte sfumato,
forse per una sorta di pudore, lo hanno contenuto.
*
C'entra dunque l'essere donna di Etty Hillesum. L'essere donna aiuta Etty,
innanzitutto, a ridurre la sensazione si impotenza da cui sono colpiti tutti
i residenti del campo, perche' lei assume quei compiti di aiuto e di
assistenza che sono tradizionalmente riservati alle donne. Anche in cio',
tuttavia, la lucidita' del suo sguardo e la sua attitudine a essere un
"cuore pensante" non vengono meno, perche' Etty si chiede talvolta se questo
"aiutare" gli altri non sia, in definitiva, un aiutarli a morire.
Inoltre, l'agire della differenza femminile si coglie bene, in Etty, nella
sua estraneita' alle contrapposizioni maschili, siano esse quelle fra le
diverse categorie di ebrei o quelle religiose, nazionali, razziali. C'e' in
lei un'estraneita' femminile e a un mondo maschile fatto di contrapposizioni
e di violenza. La sola "appartenenza" che Etty ha preso consapevolmente su
di se' e' stata quella che le circostanze le hanno imposto, l'essere ebrea,
ma anche questa lei l'ha interpretata in modo non esclusivo ne' escludente,
ma anzi come apertura ad altre forme di spiritualita', dal cristianesimo
all'islam alle filosofie orientali.
Forse proprio nel custodire Dio dentro di se', come la parte piu' riposta di
se stessa, come un carico prezioso da portare in salvo oltre la catastofe,
sta il segreto per cui questa giovane donna e' riuscita a non farsi
degradare in alcun modo dal campo. Etty scrive spesso di sentirsi fra le
braccia della "nuda vita", ma, a ben guardare, la sua vita non e' mai cosi'
"nuda" quanto quella di altri testimoni della Shoah, perche' al centro c'e'
una fede in Dio che sostiene Etty fino alla fine: "L'unica cosa che possiamo
salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, e' un piccolo
pezzo di te in noi stessi, mio Dio" (41). Essendo riuscita a salvare un
pezzetto di Dio dentro di se', Etty e' riuscita anche a preservare se stessa
dalla degradazione, a non farsi intaccare interiormente dalla sventura
subita: col suo eroismo femminile, ha davvero salvato Dio, lo ha portato
oltre la catastrofe.
*
Note
1. Cfr. Etty Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J. G. Gaarlandt, tr. it.
di C. Passanti, Adelphi, Milano 1985.
2. Cfr. Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, prefazione di J. G. Gaarlandt, tr.
it. di C. Passanti, Adelphi, Milano 1990. L'edizione integrale  degli
scritti della Hillesum  e' Etty. De nagelaten geschriften van Etty Hillesum
1941-1943, a cura di K. A. D. Smelik, Uitgeverij Balans, Amsterdam 1986, ora
disponibile anche in traduzione inglese: cfr. Etty. The Letters  and Diaries
of Etty Hillesum 1941-1943, ed. by K. A. D. Smelik, tr. by A. J. Pomerans,
W. B. Eerdemans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan  2002.
3. Sui motivi della tardiva fortuna degli scritti della Hillesum, cfr. Klaas
Smelik, Una testimone in anticipo sui tempi, "Alfazeta" 60, La resistenza
esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n. 10-11, pp. 28-31.
4. Hillesum, Diario, cit., pp. 99-100.
5. Per un confronto fra il Diario di Etty Hillesum e quello di Anna Frank,
cfr.  l'intervista  a  Frediano Sessi, a cura di Marco Deriu, L'altro
nell'io: Etty Hillesum ed il conflitto nell'essere, "Alfazeta" 60, La
resistenza esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n. 10-11, pp. 32-37.
6. Cfr. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, tr. it. di A.
Guadagnin, Edizioni di Comunita', Milano 1996.
7. Cfr. Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a  Gerusalemme, tr.
it. di P. Bernardini, Milano 1995.
8. Hillesum, Diario, cit., pp. 29-30.
9. Cfr. Tzvetan Todorov, Di fronte all'estremo, tr. it. di E. Klersy
Imberciadori, Garzanti, Milano 1992, pp. 211-222.
10. Cfr. Marco Deriu, La resistenza  esistenziale di Etty Hillesum,
"Alfazeta"  60, La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n.
10-11, pp. 8-15.
11. Cfr. Andea Devoto, Propositivita' e assertivita' nel messaggio di Etty
Hillesum, in AA. VV., L'esperienza dell'Altro. Studi su Etty Hillesum,
Apeiron, Roma 1990, pp. 129-136.
12. Hillesum, Lettere,  cit., p. 87.
13. Hillesum, Diario, cit., p. 207.
14. Cfr. ivi, p. 191: "Naturalmente, non si potra' mai piu' riparare al
fatto che alcuni ebrei collaborino a far deportare tutti gli altri. Piu'
tardi la storia dovra' pronunciarsi su  questo punto".
15. Ivi, p. 126.
16. Cfr. ivi, pp. 101-102.
17. Cfr. Gemma Beretta, Etty Hillesum: la forza disarmata dell'autorita',
"Alfazeta" 60, La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n.
10-11, pp. 48-53.
18. Su questo tema nella Hillesum, cfr. Joseph Sievers, "Aiutare Dio".
Riflessioni su vita e pensiero di Etty Hillesum, "Nuova Umanita'", XVII
(1995), n. 3-4, pp. 113-127.
19. Cfr Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, tr.
it. di C. Angelino e M. Vento, Il Melangolo, Genova 1993.
20. Cfr. Loet Swart, Etty Hillesum e la tradizione mistica, in AA. VV.,
L'esperienza dell'Altro, cit., pp. 169-184, in particolare pp. 179-180.
21. Hillesum, Diario, cit., pp. 162-163.
22. Cfr. Giacoma Limentani, Il linguaggio del corpo, in AA. VV.,
L'esperienza dell'Altro, cit., pp. 137-144, in particolare  p. 144.
23. Hillesum, Diario, cit., p. 212.
24. Sulla narrazione di Westerbork di Etty Hillesum, cfr. il mio Etty
Hillesum. L'intelligenza del cuore, Messaggero, Padova 2002, pp. 109-128.
25. Cfr. Simone Weil, Forme dell'amore implicito di Dio, in Attesa di Dio,
tr. it. di O. Nemi, Rusconi, Milano 1988, p. 138.
26. Cfr. Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, tr. it. di S.
Finzi, intr. di A. Dal Lago, Bompiani, Milano 1989.
27. Cfr. Hillesum, Lettere, cit., p. 39.
28. Cfr. ivi, pp. 128-129.
29. Cfr. ivi, p. 138.
30. Sulla differenza fra la descrizione di Westerbork di Etty Hillesum e
quella di Philip Mechanicus, cfr. Nadia Neri, Un'estrema compassione. Etty
Hillesum testimone e vittima del Lager, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp.
110-114.
31. Hillesum, Lettere, cit., p. 25.
32. Ivi, p. 45.
33. Ibidem.
34. Cfr. Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal
carcere, a cura di E. Bethge, tr. it. a cura di A. Gallas, Edizioni Paoline,
Milano 1988.
35. Hillesum, Lettere, cit., p. 37.
36. Cfr. ivi, p. 147.
37. Cfr. Primo Levi, Se questo e' un uomo. La tregua, Einaudi, Torino 1989,
e Id., I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1995.
38. Cfr. Robert Antelme, La specie umana, tr. it. di G. Vittorini, Einaudi,
Torino 1969.
39. Cfr. Dora Klein, Vivere e sopravvivere. Diario 1936-1945, Mursia, Milano
2001.
40. Cfr. Ruth Elias, La speranza mi ha tenuto in vita, tr. it. di M.
Margara, Giunti, Firenze 1993. Per uno studio della Shoah dal punto di vista
della differenza femminile, cfr.  Dalia Ofer e Leonore J. Weitzman (a cura
di), Donne nell'Olocausto, tr. it. di D. Scaffei,  introduzione di A. Bravo,
Le Lettere, Firenze 2001.
41. Hillesum, Diario, cit., p. 169.

3. DOCUMENTARI. GIOVANNA BOURSIER PRESENTA "VOLEVO SOLO VIVERE" DI MIMMO
CALOPRESTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 gennaio 2006.
Giovanna Boursier e' una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed
importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom, ed allo sterminio
nazista.
Mimmo Calopresti (Polistena, 1955), regista cinematografico italiano di
forte impegno civile. Tra le opere di Mimmo Calopresti: La seconda volta
(1995); La parola amore esiste (1998); Preferisco il rumore del mare (2000)]

Trieste, settembre 1938: un'immensa folla gaudente radunata in piazza non
solo ad ascoltare le farneticazioni razziali di Mussolini ma, soprattutto,
ad applaudirle. "L'ebraismo mondiale - urla il duce - e' un nemico
irriconciliabile" con tutte le conseguenze che queste parole comportarono
per gli ebrei del nostro paese, le leggi razziali e l'internamento in
Italia, prima, la deportazione nei lager, poi.
Bene ha fatto, quindi, Mimmo Calopresti a cominciare con queste immagini
rimosse dalla nostra storia (insieme a gran parte delle nostre
responsabilita') il film-documentario "Volevo solo vivere" coprodotto da
Steven Spielberg, Gage' Produzioni, Wildside Media e Rai Cinema e
distribuito, da ieri, nelle sale. Perche' e' un documento basato su
documenti, alcune tra le centinaia di videotestimonianze raccolte in Italia
da Spielberg con la sua Shoah Foundation con lo scopo di videoregistrare la
storia dei sopravvissuti alla Shoah e trasformarla in memoria inequivocabile
mentre i testimoni diretti stanno scomparendo. Volti e voci che Calopresti
ha montato magistralmente, con Massimo Fiocchi.
Tanto che, dopo il duce a Trieste, si passa subito ai ricordi: "questa sono
io da piccola, con la mia famiglia, tutti deportati e morti ad Auschwitz",
dice una delle testimoni su una delle foto antiche che compaiono varie volte
davanti alla telecamera, testimonianze di una vita tranquilla che stentava a
capire cosa stava accadendo.
Poi altri racconti: dal 25 luglio al 16 ottobre 1943, il rastrellamento del
ghetto di Roma, fino alla precisa e tragica follia della deportazione
nazifascista che il film riesce a restituirci trasformando la descrizione in
coinvolgimento fino a fare entrare lo spettatore dentro Auschwitz.
Senza utilizzare sotterfugi, infatti, Calopresti lascia parlare uomini e
donne. Da Luciana Nissim, dopo la guerra psicanalista e forse anche per
questo capace di raccontare la verita' del suo viaggio di giovane innamorata
che non sapeva la destinazione di quel convoglio ma che inorridisce subito
tra le urla dell'arrivo, alla perentorieta' di Giuliana Tedeschi che guarda
i prigionieri all'ingresso e dice "non voglio ridurmi cosi'", alla
semplicita' di Settimia Spizzichino, vittima degli esperimenti medici che la
riducono cosi' piena di piaghe da farla fuggire specchiandosi perche' "non
mi riconoscevo piu'". Poi Nedo Fiano, Andra Bucci, deportata a 4 anni e
ancora oggi annichilita dalla morte del cugino nelle camere a gas, Arminio
Wachsberger, interprete di Mengele. Sono storie che si addossano persino
colpe - "forse sono stata cattiva?" dice Esterina Di Veroli per aver
accettato un po' di pane "dai piu' anziani che avevano meno fame" - nella
fatica di un racconto straziante. Come quello di Shlomo Venezia con il
compito di portare i cadaveri dalle camere a gas ai forni, che ricorda
quando vide suo cugino avviarsi alla morte e gli porto' ancora qualcosa da
mangiare: "lui sapeva - dice - ma sulla porta mi sorrise".
Cosi' ad ogni voce se ne aggiunge un'altra fino a comporre, lentamente e
inesorabilmente, solo orrore. Che resta, nonostante la liberazione, quando
Liliana Segre si ritrova vicino al comandante che per cambiarsi appoggia la
pistola per terra e lei pensa di prenderla e sparargli. Poi, aggiunge, "non
l'ho fatto, era la differenza tra me e lui e solo allora sono stata davvero
una persona libera". Che, in tempi di revisionismi e riabilitazioni, non e'
una piccola differenza.

4. MAESTRE. SIMONE WEIL: IL FONDAMENTO
[Da Simone Weil, Quaderni. Volume terzo, Adelphi, Milano 1988, p. 261.
Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

La scienza greca era basata sulla pieta'.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1195 del 3 febbraio 2006

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