[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1195
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1195
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 3 Feb 2006 01:16:01 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1195 del 3 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Cindy Sheehan: Cos'e' accaduto 2. Wanda Tommasi: Etty Hillesum, testimone e vittima della Shoah 3. Giovanna Boursier presenta "Volevo solo vivere" di Mimmo Calopresti 4. Simone Weil: Il fondamento 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: COS'E' ACCADUTO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente testimonianza di Cindy Sheehan sul suo arresto del 31 gennaio; ringraziamo Maria G. Di Rienzo anche per la seguente essenziale descrizione degli eventi: "Cindy Sheehan e' stata arrestata la sera del 31 gennaio, mentre si trovava nella galleria riservata al pubblico del Parlamento statunitense. A darle il biglietto d'ingresso e' stata la deputata californiana Lynn C. Woolsey. Circa trenta minuti prima che il presidente Bush iniziasse il suo discorso sullo stato dell'Unione Cindy ha attirato l'attenzione togliendosi la giacca e rivelando la maglietta nera su cui campeggiava il numero dei soldati americani morti in Iraq. Quello che segue e' il suo resoconto dei fatti, scritto il primo febbraio". Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] Come molti di voi probabilmente sapranno gia', ieri sera sono stata arrestata. Sono senza parole dalla rabbia per cio' che e' accaduto, e dal dolore per tutto quello che abbiamo perso nel nostro paese. Dato che polizia e stampa hanno mentito e distorto i fatti, ecco quello che e' veramente successo: durante il pomeriggio, a Washington, sono stata raggiunta dai membri del Congresso Lynn Woolsey, John Conyers, Ann Wright, Malik Rahim e John Cavanagh. Lynn mi ha portato il biglietto per presenziare al discorso sullo stato dell'Unione. Indossavo una maglietta con su scritto: "2.245 morti. Quanti altri, ancora?". Non mi sentivo a mio agio all'idea di andare in Parlamento. Sapevo che George Bush avrebbe detto cose che mi avrebbero ferita e infuriata e non volevo essere distruttiva, soprattutto per rispetto di Lynn che mi aveva dato il biglietto. In effetti, avevo consegnato il biglietto a John Bruhns, dei Veterani dell'Iraq contro la guerra. Tuttavia, l'ufficio di Lynn aveva gia' avvisato la stampa, e tutti sapevano che ci sarei andata, e cosi' mi sono fatta forza e sono andata al Parlamento con la metropolitana. Ho passato un primo controllo della sicurezza, ho atteso nella sala d'aspetto e ne ho passato un altro. Il mio biglietto diceva "quinta galleria, frontale, quarto sedile". La stessa persona che dopo pochi minuti mi avrebbe arrestata mi ha aiutata a trovare il mio posto. Mi ero appena seduta, ed ero accaldata dall'aver salito tre piani di scale, cosi' mi sono tolta la giacca. Mi sono girata verso destra per far uscire dalla manica il braccio sinistro e lo stesso ufficiale di cui sopra ha visto la mia maglietta e si e' messo ad urlare: "Dimostrante!". E' corso da me, mi ha trascinata rudemente fuori dalla galleria e tenendomi le mani dietro la schiena mi ha spinto verso le scale. Io ho detto qualcosa tipo: "Sto andando, occorre essere cosi' violenti?"... Quella persona mi ha portato di corsa agli ascensori, urlando a chiunque di togliersi di mezzo. Una volta dentro l'ascensore mi ha ammanettata e mi ha portata fuori verso un'auto della polizia. Mentre mi stava trascinando fuori qualcuno alle mie spalle ha detto: "Quella e' Cindy Sheehan". A quel punto l'ufficiale mi ha detto: "Stia attenta ai gradini, qui". Ed io ho risposto: "Non le e' importato di stare attento, mentre mi trascinava sugli altri gradini". E lui: "Ma quello era perche' lei stava protestando". Wow, mi hanno cacciata di forza dal Parlamento perche' stavo "protestando"! Nessuno mi ha detto che non potevo indossare quella maglietta nel palazzo del Congresso. Nessuno mi ha chiesto di toglierla o di rimettermi la giacca. Se mi avessero chiesto una di queste cose l'avrei fatta, ed avrei lamentato la soppressione della mia liberta' di parola e ne avrei scritto piu' tardi. Sono stata immediatamente e rozzamente (ho i lividi che lo provano) trascinata via e arrestata per "condotta illegale". Dopo che i miei effetti personali sono stati inventariati e mi sono state prese le impronte digitali, un gentile sergente entro' nella stanza, guardo' la mia maglietta e disse: "E cosa sono 2.245? Io sono appena tornato dall'Iraq". Gli ho detto che mio figlio c'era morto. Sono questi i casi in cui l'enormita' della mia perdita mi abbatte: ho perso mio figlio, ho perso i miei diritti relativi al primo emendamento, ho perso il paese che amo. Dov'e' finita l'America? Ho cominciato a piangere dal dolore. Per cosa e' morto Casey? Per cosa sono morti gli altri 2.244 giovani americani? Perche' decine di migliaia di loro restano in Iraq? Per questo? Non posso neppure indossare una maglietta con su il numero dei soldati che George Bush e le sue politiche arroganti e ignoranti hanno ucciso. Indossavo la maglietta per mantenere una posizione. La stampa sapeva dove sarei andata, ed io sapevo che qualcuno mi avrebbe intervistata ed io avrei avuto addosso la maglietta. Se l'avessi portata per interrompere l'audizione, mi sarei tolta la giacca all'inizio del discorso di Bush. Se avessi avuto un'idea di cosa succede alle persone che indossano indumenti che i neocons trovano disdicevoli forse l'avrei messa lo stesso, ma l'idea non ce l'avevo. Alcuni avvocati stanno preparando una denuncia contro il governo per cio' che mi e' accaduto. La firmero'. E' tempo di riprenderci le nostre liberta' ed il nostro paese. Non voglio vivere in un paese che proibisce alle persone (abbiano esse o no pagato il prezzo estremo per il paese stesso) di indossare, dire, scrivere o telefonare commenti negativi sul governo. Percio' rivoglio indietro la mia liberta' e i miei diritti. Non intendo piu' permettere a Bush e compagnia di portare ancora via qualcosa a me, o a voi. Sono molto grata alle circa duecento persone che sono venute alla prigione in cui ero rinchiusa a dimostrarmi il loro sostegno. Abbiamo cosi' tanto potenziale per le cose buone. C'e' cosi' tanto di buono in cosi' tante persone. Quattro ore dopo il mio arresto sono stata rilasciata. Di nuovo, sono arrabbiata ed ammaccata, e cio' al momento mi rende difficile pensare in modo sensato. Continuate a lottare. Vi prometto che io lo faro'. 2. RIFLESSIONE. WANDA TOMMASI: ETTY HILLESUM, TESTIMONE E VITTIMA DELLA SHOAH [Dalla rivista telematica "Per amore del mondo", fascicolo dell'inverno 2005-2006, nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo il seguente testo, datato 5 febbraio 2003. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004. Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002] Per parlare di Etty Hillesum (Middelburg, Paesi Bassi 1914 - Auschwitz 1943), e del tipo di testimonianza che questa autrice ci ha lasciato della Shoah, vorrei partire dalla tormentata vicenda editoriale che ha portato alla pubblicazione dei suoi scritti, il Diario (1) e le Lettere (2). Il ritardo con cui questi testi sono stati pubblicati, a circa quarant'anni di distanza dalla fine della Shoah, all'inizio degli anni ottanta, quando essi hanno conosciuto una straordinaria fortuna in molti paesi, e' gia' di per se stesso significativo (3). Mentre altre narrazioni della Shoah, pubblicate all'indomani della seconda guerra mondiale, decrivono un mostro, il nazismo, che e' altro da noi, Etty Hillesum ci fornisce un quadro piu' inquietante, ci invita a rintracciare le radici del male anche dentro di noi: "Il marciume che c'e' negli altri c'e' anche in noi, continuavo a predicare: e non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo nessun'altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo piu' che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza prima aver fatto la nostra parte dentro di noi. E' l'unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove" (4). Questo e' piu' inquietante, perche' costringe a riflettere sui meccanismi che possono indurre uomini apparentemente "normali" a commettere il male: in questo senso, si tratta di un male che riguarda anche noi, oggi, in ogni rifiuto e incomprensione dell'altro. Con Etty Hillesum, il male non e' qualcosa di lontano e di mostruoso, ma qualcosa di vicino, che puo' nascere anche dentro di noi: con lei, ci addoloriamo per il male compiuto dai nazisti - un male di cui lei stessa e' stata vittima -, ma ci addoloriamo anche per qualcosa che ci riguarda direttamente. Si puo' comprendere facilmente come un punto di vista cosi' inquietante come quello di Etty Hillesum fosse inaccettabile, per molti, quando la lotta sostenuta contro il nazismo era ancora recente, vicina, bruciante. E' comprensibile che altre narrazioni piu' nette della Shoah, che tracciano una linea di demarcazione ben precisa fra bene e male, fra buoni e cattivi, abbiano avuto piu' fortuna, all'indomani della guerra, del Diario di Etty Hillesum: penso, ad esempio, al Diario di Anna Frank, in cui Anna descrive un mostro, il nazismo, che e' altro da noi (5). * Un'acuta pensatrice politica, che ha molto riflettuto, da ebrea, sulla Shoah, Hannah Arendt, ha fornito, in un primo tempo, poco dopo la fine della guerra, un'immagine della barbarie nazista come "male radicale", assoluto, imperdonabile: ne Le origini del totalitarismo, del 1951, la Arendt analizza il nazismo - e lo stalinismo - "dall'esterno" (6). Ma la stessa Arendt, riflettendo di nuovo sulla Shoah a piu' di dieci anni di distanza dal suo lavoro sul totalitarismo, in occasione del processo Eichmann (ne La banalita' del male, del 1963), ha indagato la genesi del male "dall'interno", a partire dall'apparente "normalita'" di un uomo come Eichmann, e ha messo in guardia contro la "banalita' del male", che puo' sorgere ovunque si rinunci al pensare da se', al dialogo con l'altro e alla responsabilita' personale (7). Ora, la cosa straordinaria di Etty Hillesum e' che lei giunge a una visione matura come quella della "banalita' del male", e altrettanto inquietante, perche' ci invita a rintracciare le radici del male anche in noi stessi, e questo non molti anni dopo la fine della guerra, ma proprio durante le drammatiche vicende della Shoah: innaccettabile alla fine della guerra, quando si sentiva la necessita' di esorcizzare il "male radicale" rappresentato dal nazismo, il Diario di Etty Hillesum ha conosciuto una straordinaria fortuna a partire dagli anni ottanta. I motivi di tale fortuna tardiva sono, in primo luogo, l'interesse per la spiritualita' di Etty, radicata nell'ebraismo, ma aperta anche ad altre forme di religiosita', dal cristianesimo alle filosofie orientali - una spiritualita', la sua, che viene incontro a un confuso ma sincero bisogno religioso del nostro tempo -, e, in secondo luogo, l'attenzione rivolta ai testi della Hillesum da parte di una vasto pubblico di lettrici. Da quest'ultimo punto di vista, conta il fatto che Etty Hillesum e' una donna: io credo che, nel suo modo di opporsi a una realta' fatta di violenza e odio, si possa riconoscere il segno della sua differenza femminile. Il radicamento di Etty nella differenza femminile si puo' scorgere, in primo luogo, a mio avviso, nel suo modo di lottare contro il male a partire da se' e dalle proprie relazioni con gli altri. Partire da se' e' una modalita' di pensiero e di azione - una pratica - a cui ha dato nome e dignita' politica il movimento delle donne: Etty Hillesum, pur non collocandosi in un orizzonte femminista, parte spontaneamente da se' e dalle proprie relazioni per contrastare il male che le circostanze impongono drammaticamente alla sua attenzione. Etty Hillesum riflette sul proprio coinvolgimento nell'odio e rifiuta l'odio indifferenziato verso un'intera categoria di persone - i tedeschi -, perche', "se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest'unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di determinate tendenze, si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti, provare a capire, ma quell'odio indifferenziato e' la cosa peggiore che ci sia. E' una malattia dell'anima" (8). Etty rifiuta l'odio indifferenziato - e' questa la sua lotta personale contro il proprio "marciume" -, e all'odio oppone l'indignazione morale: non si tratta dunque di soccombere al male ne' di rassegnarsi, ma di puntare sulle proprie risorse umane ed esistenziali per contrastarne l'avanzata. A Tzvetan Todorov, che giudica la posizione della Hillesum ammirevole dal punto di vista morale, ma poco raccomandabile dal punto di vista politico, perche' insegnerebbe ad accettare il dolore ma non a combattere il male (9), si oppone chi, come Marco Deriu, riconduce l'atteggiamento della Hillesum a una forma di "resistenza esistenziale" (10): si tratta di una resistenza che non chiama in causa le risorse militari, economiche e tecnologiche nella lotta contro il male, ma che punta sulle proprie risorse interiori, spirituali e relazionali. * Nel caso di Etty Hillesum, sono convinta che ci sia qualcosa di esistenziale in gioco, ma non ritengo che si tratti di "resistenza": resistere significa infatti attestarsi su una posizione difensiva, mentre l'atteggiamento di Etty Hillesum si caratterizza per la sua propositivita' (11). Contro il male e l'odio, Etty non si limita a "resistere", ma propone e pratica l'amore e la compassione, due attitudini verso l'altro diametralmente opposte alla violenza, all'intolleranza e al razzismo, di cui i nazisti sono espressione: "A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bonta' che avremo conquistato in noi stessi" (12). "'Dopo la guerra, due correnti attraverseranno il mondo: una corrente di umanesimo e un'altra di odio'. Allora ho saputo di nuovo che avrei preso posizione contro quell'odio" (13). Etty Hillesum ha delineato chiaramente un conflitto simbolico fra odio, risentimento, vendetta, da una parte - sentimenti tutti centrati sull'io -, e amore e compassione, da un'altra parte - sentimenti che tolgono spazio all'io per far posto all'altro. Oltre ad esprimere nettamente questa sua posizione di fondo, che tuttavia pochi, nella cerchia delle sue amicizie, hanno compreso, vedendovi una rassegnazione e una passivita' pericolose, Etty Hillesum ha anche compiuto alcuni gesti concreti di "resistenza" al nazismo: pur non entrando personalmente nelle file della resistenza, Etty ha collaborato, di fatto, con essa, in quanto ha voluto che due delle sue lettere-reportage su Westerbork - il campo di smistamento in cui fu internata dal 1942 - fossero pubblicate dalla resistenza olandese proprio durante la Shoah, contribuendo a denunciarla e a documentarla. Un altro gesto, che ha un chiaro significato politico, e' quello con cui Etty si dimette dal Consiglio ebraico di Amsterdam, dopo avervi lavorato per soli quindici giorni: in tale circostanza, Etty pronuncia un duro giudizio politico su questo organismo, nato per aiutare gli ebrei ma divenuto uno strumento di selezione nelle mani dei nazisti (14); il suo giudizio anticipa di molti anni quello di Hannah Arendt sull'operato dei Consigli ebraici ne La banalita' del male. Anziche' imputare a Etty Hillesum una colpevole "passivita'" nel non volersi sottrarre all'internamento nel campo di Westerbork, si dovrebbero ammirare il suo senso di responsabilita' nel non volersi salvare al prezzo della vita di qualcun altro, e la scelta di non collaborare in alcun modo con i nazisti. Un'altra annotazione del Diario che puo' avere un significato politico e' quella che Etty fa a proposito delle umiliazioni che i nazisti infliggono agli ebrei nell'Olanda occupata, come il divieto di percorrere le strade per la campagna: "Per umiliare qualcuno si dev'essere in due: colui che umilia, e colui che e' umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioe' se la parte passiva e' immune da ogni umiliazione, questa evapora nell'aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei" (15). Etty doveva avere davvero una grande forza e sicurezza interiori per assumere, davanti a un nazista che la minacciava alla Gestapo, un atteggiamento di superiorita' tale da non farsi intaccare interiormente dall'umiliazione (16): e' questo un aspetto importante di quella "resistenza esistenziale" che Etty ha concretamente praticato a partire da se'. Tuttavia, complessivamente, la strada che Etty Hillesum sceglie non e' quella della resistenza, ma e' quella di un'autorita' femminile disarmata (17), la quale si oppone, simbolicamente e concretamente, con l'aiuto prestato agli altri nel campo di Westerbork, al culto virile delle armi e della guerra. * Alla fine, dopo aver lottato a lungo contro il proprio "marciume", contro l'odio indifferenziato, Etty accetta la compresenza di bene e male dentro di se', ma, per lottare contro il male, si aggancia a un livello - il Dio salvato dentro di se' -, in cui il bene non produce che bene. "Aiutare Dio" (18) e' la formula straordinaria trovata da questa giovane donna, che, di fronte al silenzio di Dio al cospetto di Auschwitz, impedisce che Dio l'abbandoni, perche' e' lei a non abbandonare Dio: Dio non e' responsabile, e' l'uomo a portare interamente la responsabilita' del male. Di fronte al male che dilaga, Etty si propone di aiutare Dio a non assentarsi del tutto dal cuore degli uomini: "aiutare Dio" significa per Etty concretamente aiutare il prossimo, la cui miseria e sofferenza custodiscono il divino. Dio abita proprio la', nella fragilita' umana esposta alla forza. Salvando Dio dentro di se' e contribuendo a disseppellirlo dal cuore di altri uomini induriti dalla sofferenza, Etty evita di lasciarsi andare alla disperazione di cui sono preda la maggior parte degli altri deportati; e' consapevole di portare un carico prezioso, qualcosa da consegnare alle generazioni future: Dio dentro di se', una scintilla divina consegnata interamente alla fragilita' della creatura. Prima di Hans Jonas, che si e' interrogato sul silenzio di Dio di fronte ad Auschwitz, Etty Hillesum ha rinunciato all'attributo dell'onnipotenza divina per salvare la bonta' di Dio (19): Dio non e' onnipotente, e' anzi impotente di fronte al dilagare di un male, la cui responsabilita' grava interamente sull'uomo. E all'uomo stesso e' affidato il compito di salvare Dio dentro di se', affinche' la distruzione non sia completa. Per il suo rifiuto dell'odio e per la sua capacita' di farsi carico della sofferenza del suo tempo, Etty Hillesum non e' forse da annoverare fra quei trentasei giusti che, secondo la tradizione ebraica, in ogni generazione, portano sulle loro spalle il dolore del mondo e intercedono a favore di un'umanita' altrimenti irrimediabilmente votata al male? (20) * La differenza femminile, in Etty Hillesum, si puo' riconoscere anche nella qualita' della sua narrazione della Shoah: fin dall'inizio del Diario, il suo sforzo e' quello di dire l'esperienza. E' uno sforzo che conosce un parziale scacco, dal momento che nell'esperienza vissuta c'e' sempre qualcosa di ineffabile, di indicibile: il miracolo quotidiano della presenza - quel viso, questo fiore, quell'atmosfera irripetibile - e' per Etty qualcosa di inafferrabile, cosi' vivo mentre lo vive e cosi' sfuggente quando si mette a scrivere. Lo stesso sforzo e lo stesso parziale scacco Etty Hillesum li sperimenta quando la vita le mette sotto gli occhi, nel campo di Westerbork, il libro vivente dell'esperienza: ancora una volta, si tratta di una dimensione esistenziale da decifrare e di cui rendere conto nella scrittura. Ma qui entra in gioco un aspetto della scrittura, che Etty non aveva mai affrontato prima: viene in primo piano la scrittura come testimonianza. Etty avrebbe voluto essere scrittrice, non testimone: inzia a scrivere il Diario, su suggerimento del suo psicoterapeuta e amante, Julius Spier, come forma di autoterapia, e come laboratorio di scrittura, con l'intenzione di diventare scrittrice. Ma le circostanze le affidano il compito di essere testimone, e lei accetta di assolverlo: "dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com'e' ora e non e' mai stata in passato - non in questa forma totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all'Europa intera. Dovra' pur sopravvivere qualcuno che lo possa fare" (21). Posta di fronte all'impegno della testimonianza, Etty si chiede quali forme di scrittura siano le piu' adatte a rendere conto dell'esperienza-limite della Shoah, e ne indica due: poesia e favola. La poesia implica una presa di distanza dall'immediato, dal carattere troppo bruciante del vissuto; gli spazi bianchi, gli intervalli di silenzio intorno ai versi indicano lo sforzo di trovare le poche parole essenziali, necessarie, che devono stagliarsi su uno sfondo di silenzio. L'esigenza della favola si fa sentire perche', dal momento che la realta' e' divenuta irreale a forza di orrore, occorre una narrazione non realistica per restituirle realta' e credibilita'. Inoltre, la fiaba ha la capacita' di rendere universale e comunicabile al di la' dei confini del tempo e dello spazio un evento contingente, come i maestri ebrei hanno sempre fatto (22); Etty si riallaccia cosi' idealmente alla tradizione dei racconti dei chassidim. Di fatto, tuttavia, Etty Hillesum non ha avuto il tempo di scrivere ne' poesie ne' fiabe sulla tragica realta' di Westerbork; ci ha lasciato pero' molte immagini poetiche, nelle sue lettere e nel suo Diario, come questa immagine di una baracca nel campo: "Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d'argento e d'eternita': come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio" (23). In immagini poetiche come questa, troviamo strettamente congiunte sventura e bellezza (24): la sventura fa sentire piu' acutamente la preziosita' delle cose belle, che lo sono tanto piu' quanto piu' sono esposte al rischio della distruzione. * La bellezza non elimina la sventura, ma fa sentire che, accanto alla sventura, c'e' altro, c'e' la carezza misericordiosa del bello: l'amore per la bellezza e' "amore per tutte le cose veramente preziose che la cattiva sorte puo' distruggere" (25). Cosi', nel campo, quando sembra che non abbia piu' niente da dare, Etty offre a Dio un'immagine: il profilo di una nuvola, il volo dei gabbiani, il giallo dei lupini. Anche a Westerbork, Etty Hillesum esprime comunque un indomabile attaccamento alla vita, che in lei fa tutt'uno con la compassione per l'esistenza umana minacciata dalla sofferenza e dalla morte. C'e' in lei amore per la singolarita', per ciascun singolo essere che incontra: nelle sue descrizioni di Westerbork, Etty cerca di salvare dall'oblio, con la sua scrittura, ogni singola persona, in brevi ritratti efficaci e incisivi, che ci restituiscono l'immagine di una ragazzina gobba, di una signora che teneva la sua casa cosi' pulita e che ora e' sopraffatta dal fango di Westerbork, di un ragazzo in pigiama celeste che si e' nascosto per paura prima della partenza del convoglio per Auschwitz, il martedi'. Ora, era proprio la singolarita' cio' che il totalitarismo nazista voleva distruggere ed eliminare, con la morte in serie nei campi, con la cancellazione della memoria, con la riduzione dei singoli al grado zero della specie umana. Etty Hillesum si oppone fermamente a questo appiattimento mortifero, sia registrando minuziosamente l'evoluzione della propria vita interiore nel Diario, sia ritraendo, nelle sue narrazioni di Westerbork, quante piu' persone possibile, ognuna con la propria storia e con la propria singolarita' irripetibile. Non e' un caso che una pensatrice politica come Hannah Arendt, proprio riflettendo sul totalitarismo e sull'amara esperienza dei campi, e per far si' che tutto questo non si ripeta, abbia elaborato l'idea dell'azione politica come un agire di concerto, fondato sulla pluralita' e sull'apporto della singolarita' di ciascuno (26). * Etty Hillesum non e' una pensatrice politica; avrebbe semmai potuto diventare una scrittrice di talento: con il suo talento per la scrittura, lei salva dall'oblio, dalla distruzione della memoria, voluta dai nazisti come corollario dei campi, quante piu' persone possibile, dedicando a ciascuna poche pennellate incisive. I suoi ritratti si caratterizzano per l'assenza di giudizio, perche' ciascuno si giudica da se', per qualche dettaglio rivelatore: cosi', un amaro sarcasmo tinge di nero il ritratto del comandante del campo, che alcuni dicono sia un gentleman, ma, che per essere un gentleman, ricopre un ufficio davvero singolare (27); una dolente indignazione caratterizza l'immagine degli uomini in uniforme verde che spingono gli ebrei sui convogli, al punto che e' ben difficile ritenere che valga anche per loro la concezione biblica secondo cui l'uomo sarebbe immagine di Dio (28); una pena tinta di amarezza colora i ritratti di quegli ebrei che, nella speranza di salvarsi, collaborano o sono servili (29); una partecipe compassione, infine, anima i ritratti di tutti gli altri abitanti del campo, che Etty salva dall'oblio, ad uno ad uno, sottolineando che ciascuno porta con se' qualcosa di unico e di irripetibile. * Tuttavia, la narrazione che Etty Hillesum ci ha lasciato di Westerbork e' parziale e selettiva: volutamente, Etty sceglie di non lasciare troppo spazio alle realta' piu' dure, non vuole fare la cronaca degli orrori. Altri hanno fornito, dello stesso campo di Westerbork, una descrizione piu' cruda: ad esempio, Philip Mechanicus, buon amico di Etty a Westerbork, fa una descrizione del campo piu' dura e oggettiva, in cui trovano posto i suicidi, le crudelta' e il sadismo dei nazisti, le epidemie di dissenteria, le pulci... (30) Di tutto questo, Etty ci ha lasciato un quadro piu' sfumato: possiamo apprezzare la delicatezza con cui vuole preservare dall'orrore i destinatari delle sue lettere, ma c'e' dell'altro. Lei stessa scrive che "non sono i fatti che contano nella vita, conta solo cio' che grazie ai fatti si diventa" (31). Con il suo impegno di continuare a pensare a cio' che sta capitando, di essere il "cuore pensante della baracca", contrastando l'atteggiamento di molti, che, di fronte all'orrore, si rifiutano di pensare, Etty Hillesum esprime l'esigenza che dai campi stessi nascano nuovi pensieri, nuove conoscenze, che "dovranno portar chiarezza oltre i recinti di filo spinato" (32). Proprio a partire dai campi, occorre trovare "un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi piu' profondi della propria miseria e disperazione" (33), un senso da consegnare alle generazioni future. Come Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante e teologo cristiano ucciso per essersi opposto al nazismo (34), Etty Hillesum riesce a vivere intensamente il presente e insieme a pensare al futuro, alle generazioni che verranno. Noi che la leggiamo oggi, a tanti anni di distanza, siamo colpiti dalla forza di questa giovane donna, che e' riuscita a conservare intatte, nel campo di Westerbork, la sua umanita' e la sua apertura al divino. Indubbiamente, Westerbork non e' Auschwitz: e' un campo di transito e non di sterminio, le comunicazioni con l'esterno sono ancora possibili, i pacchi di cibo inviati dagli amici attenuano la fame, e Etty, in un primo tempo, puo' tornare piu' volte ad Amsterdam per curarsi. Tuttavia, colpisce il fatto che la narrazione di questa giovane donna sia molto lontana da quella degradazione al di sotto della soglia dell'umano che altri testimoni dei campi hanno dovuto dolorosamente constatare. La convinzione che "le materie prime della vita sono dappertutto le stesse, che in ogni luogo di questa terra si puo' vivere la propria vita in modo ricco di significato o altrimenti morire" (35), spinge Etty ad affermare che vive a Westerbork proprio come quando stava ad Amsterdam (36). Nessuno dei sopravvissuti all'orrore di Auschwitz avrebbe potuto dire questo: confrontando la sua descrizione di Westerbork con quelle di altri testimoni dei campi, come Primo Levi (37) o Robert Antelme (38), si ha l'impressione di trovarsi davanti a una differenza abissale. Ci sono si' dei punti di contatto, come la percezione della bellezza - un canto di Dante, il movimento delle nuvole, le colline - come cio' che puo' far riaffiorare l'umanita' nonostante la degradazione, e la consapevolezza della fecondita' di un gesto di aiuto e di compassione, che puo' suscitarne altri. Ma, in generale, siamo davanti a una qualita' davvero diversa di testimonianza e di narrazione. E' mia convinzione che in questa diversita' giochi una parte non piccola la differenza femminile, l'essere donna di Etty Hillesum. Infatti anche altre autrici che, a differenza di Etty, sono sopravvissute ad Auschwitz e che ne hanno reso testimonianza, come Dora Klein (39) e Ruth Elias (40), hanno si' raccontato l'orrore, ma lo hanno in parte sfumato, forse per una sorta di pudore, lo hanno contenuto. * C'entra dunque l'essere donna di Etty Hillesum. L'essere donna aiuta Etty, innanzitutto, a ridurre la sensazione si impotenza da cui sono colpiti tutti i residenti del campo, perche' lei assume quei compiti di aiuto e di assistenza che sono tradizionalmente riservati alle donne. Anche in cio', tuttavia, la lucidita' del suo sguardo e la sua attitudine a essere un "cuore pensante" non vengono meno, perche' Etty si chiede talvolta se questo "aiutare" gli altri non sia, in definitiva, un aiutarli a morire. Inoltre, l'agire della differenza femminile si coglie bene, in Etty, nella sua estraneita' alle contrapposizioni maschili, siano esse quelle fra le diverse categorie di ebrei o quelle religiose, nazionali, razziali. C'e' in lei un'estraneita' femminile e a un mondo maschile fatto di contrapposizioni e di violenza. La sola "appartenenza" che Etty ha preso consapevolmente su di se' e' stata quella che le circostanze le hanno imposto, l'essere ebrea, ma anche questa lei l'ha interpretata in modo non esclusivo ne' escludente, ma anzi come apertura ad altre forme di spiritualita', dal cristianesimo all'islam alle filosofie orientali. Forse proprio nel custodire Dio dentro di se', come la parte piu' riposta di se stessa, come un carico prezioso da portare in salvo oltre la catastofe, sta il segreto per cui questa giovane donna e' riuscita a non farsi degradare in alcun modo dal campo. Etty scrive spesso di sentirsi fra le braccia della "nuda vita", ma, a ben guardare, la sua vita non e' mai cosi' "nuda" quanto quella di altri testimoni della Shoah, perche' al centro c'e' una fede in Dio che sostiene Etty fino alla fine: "L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, e' un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio" (41). Essendo riuscita a salvare un pezzetto di Dio dentro di se', Etty e' riuscita anche a preservare se stessa dalla degradazione, a non farsi intaccare interiormente dalla sventura subita: col suo eroismo femminile, ha davvero salvato Dio, lo ha portato oltre la catastrofe. * Note 1. Cfr. Etty Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J. G. Gaarlandt, tr. it. di C. Passanti, Adelphi, Milano 1985. 2. Cfr. Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, prefazione di J. G. Gaarlandt, tr. it. di C. Passanti, Adelphi, Milano 1990. L'edizione integrale degli scritti della Hillesum e' Etty. De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943, a cura di K. A. D. Smelik, Uitgeverij Balans, Amsterdam 1986, ora disponibile anche in traduzione inglese: cfr. Etty. The Letters and Diaries of Etty Hillesum 1941-1943, ed. by K. A. D. Smelik, tr. by A. J. Pomerans, W. B. Eerdemans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan 2002. 3. Sui motivi della tardiva fortuna degli scritti della Hillesum, cfr. Klaas Smelik, Una testimone in anticipo sui tempi, "Alfazeta" 60, La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n. 10-11, pp. 28-31. 4. Hillesum, Diario, cit., pp. 99-100. 5. Per un confronto fra il Diario di Etty Hillesum e quello di Anna Frank, cfr. l'intervista a Frediano Sessi, a cura di Marco Deriu, L'altro nell'io: Etty Hillesum ed il conflitto nell'essere, "Alfazeta" 60, La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n. 10-11, pp. 32-37. 6. Cfr. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, tr. it. di A. Guadagnin, Edizioni di Comunita', Milano 1996. 7. Cfr. Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, tr. it. di P. Bernardini, Milano 1995. 8. Hillesum, Diario, cit., pp. 29-30. 9. Cfr. Tzvetan Todorov, Di fronte all'estremo, tr. it. di E. Klersy Imberciadori, Garzanti, Milano 1992, pp. 211-222. 10. Cfr. Marco Deriu, La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, "Alfazeta" 60, La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n. 10-11, pp. 8-15. 11. Cfr. Andea Devoto, Propositivita' e assertivita' nel messaggio di Etty Hillesum, in AA. VV., L'esperienza dell'Altro. Studi su Etty Hillesum, Apeiron, Roma 1990, pp. 129-136. 12. Hillesum, Lettere, cit., p. 87. 13. Hillesum, Diario, cit., p. 207. 14. Cfr. ivi, p. 191: "Naturalmente, non si potra' mai piu' riparare al fatto che alcuni ebrei collaborino a far deportare tutti gli altri. Piu' tardi la storia dovra' pronunciarsi su questo punto". 15. Ivi, p. 126. 16. Cfr. ivi, pp. 101-102. 17. Cfr. Gemma Beretta, Etty Hillesum: la forza disarmata dell'autorita', "Alfazeta" 60, La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, VI (1996), n. 10-11, pp. 48-53. 18. Su questo tema nella Hillesum, cfr. Joseph Sievers, "Aiutare Dio". Riflessioni su vita e pensiero di Etty Hillesum, "Nuova Umanita'", XVII (1995), n. 3-4, pp. 113-127. 19. Cfr Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, tr. it. di C. Angelino e M. Vento, Il Melangolo, Genova 1993. 20. Cfr. Loet Swart, Etty Hillesum e la tradizione mistica, in AA. VV., L'esperienza dell'Altro, cit., pp. 169-184, in particolare pp. 179-180. 21. Hillesum, Diario, cit., pp. 162-163. 22. Cfr. Giacoma Limentani, Il linguaggio del corpo, in AA. VV., L'esperienza dell'Altro, cit., pp. 137-144, in particolare p. 144. 23. Hillesum, Diario, cit., p. 212. 24. Sulla narrazione di Westerbork di Etty Hillesum, cfr. il mio Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Messaggero, Padova 2002, pp. 109-128. 25. Cfr. Simone Weil, Forme dell'amore implicito di Dio, in Attesa di Dio, tr. it. di O. Nemi, Rusconi, Milano 1988, p. 138. 26. Cfr. Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, tr. it. di S. Finzi, intr. di A. Dal Lago, Bompiani, Milano 1989. 27. Cfr. Hillesum, Lettere, cit., p. 39. 28. Cfr. ivi, pp. 128-129. 29. Cfr. ivi, p. 138. 30. Sulla differenza fra la descrizione di Westerbork di Etty Hillesum e quella di Philip Mechanicus, cfr. Nadia Neri, Un'estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del Lager, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 110-114. 31. Hillesum, Lettere, cit., p. 25. 32. Ivi, p. 45. 33. Ibidem. 34. Cfr. Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, a cura di E. Bethge, tr. it. a cura di A. Gallas, Edizioni Paoline, Milano 1988. 35. Hillesum, Lettere, cit., p. 37. 36. Cfr. ivi, p. 147. 37. Cfr. Primo Levi, Se questo e' un uomo. La tregua, Einaudi, Torino 1989, e Id., I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1995. 38. Cfr. Robert Antelme, La specie umana, tr. it. di G. Vittorini, Einaudi, Torino 1969. 39. Cfr. Dora Klein, Vivere e sopravvivere. Diario 1936-1945, Mursia, Milano 2001. 40. Cfr. Ruth Elias, La speranza mi ha tenuto in vita, tr. it. di M. Margara, Giunti, Firenze 1993. Per uno studio della Shoah dal punto di vista della differenza femminile, cfr. Dalia Ofer e Leonore J. Weitzman (a cura di), Donne nell'Olocausto, tr. it. di D. Scaffei, introduzione di A. Bravo, Le Lettere, Firenze 2001. 41. Hillesum, Diario, cit., p. 169. 3. DOCUMENTARI. GIOVANNA BOURSIER PRESENTA "VOLEVO SOLO VIVERE" DI MIMMO CALOPRESTI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 gennaio 2006. Giovanna Boursier e' una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom, ed allo sterminio nazista. Mimmo Calopresti (Polistena, 1955), regista cinematografico italiano di forte impegno civile. Tra le opere di Mimmo Calopresti: La seconda volta (1995); La parola amore esiste (1998); Preferisco il rumore del mare (2000)] Trieste, settembre 1938: un'immensa folla gaudente radunata in piazza non solo ad ascoltare le farneticazioni razziali di Mussolini ma, soprattutto, ad applaudirle. "L'ebraismo mondiale - urla il duce - e' un nemico irriconciliabile" con tutte le conseguenze che queste parole comportarono per gli ebrei del nostro paese, le leggi razziali e l'internamento in Italia, prima, la deportazione nei lager, poi. Bene ha fatto, quindi, Mimmo Calopresti a cominciare con queste immagini rimosse dalla nostra storia (insieme a gran parte delle nostre responsabilita') il film-documentario "Volevo solo vivere" coprodotto da Steven Spielberg, Gage' Produzioni, Wildside Media e Rai Cinema e distribuito, da ieri, nelle sale. Perche' e' un documento basato su documenti, alcune tra le centinaia di videotestimonianze raccolte in Italia da Spielberg con la sua Shoah Foundation con lo scopo di videoregistrare la storia dei sopravvissuti alla Shoah e trasformarla in memoria inequivocabile mentre i testimoni diretti stanno scomparendo. Volti e voci che Calopresti ha montato magistralmente, con Massimo Fiocchi. Tanto che, dopo il duce a Trieste, si passa subito ai ricordi: "questa sono io da piccola, con la mia famiglia, tutti deportati e morti ad Auschwitz", dice una delle testimoni su una delle foto antiche che compaiono varie volte davanti alla telecamera, testimonianze di una vita tranquilla che stentava a capire cosa stava accadendo. Poi altri racconti: dal 25 luglio al 16 ottobre 1943, il rastrellamento del ghetto di Roma, fino alla precisa e tragica follia della deportazione nazifascista che il film riesce a restituirci trasformando la descrizione in coinvolgimento fino a fare entrare lo spettatore dentro Auschwitz. Senza utilizzare sotterfugi, infatti, Calopresti lascia parlare uomini e donne. Da Luciana Nissim, dopo la guerra psicanalista e forse anche per questo capace di raccontare la verita' del suo viaggio di giovane innamorata che non sapeva la destinazione di quel convoglio ma che inorridisce subito tra le urla dell'arrivo, alla perentorieta' di Giuliana Tedeschi che guarda i prigionieri all'ingresso e dice "non voglio ridurmi cosi'", alla semplicita' di Settimia Spizzichino, vittima degli esperimenti medici che la riducono cosi' piena di piaghe da farla fuggire specchiandosi perche' "non mi riconoscevo piu'". Poi Nedo Fiano, Andra Bucci, deportata a 4 anni e ancora oggi annichilita dalla morte del cugino nelle camere a gas, Arminio Wachsberger, interprete di Mengele. Sono storie che si addossano persino colpe - "forse sono stata cattiva?" dice Esterina Di Veroli per aver accettato un po' di pane "dai piu' anziani che avevano meno fame" - nella fatica di un racconto straziante. Come quello di Shlomo Venezia con il compito di portare i cadaveri dalle camere a gas ai forni, che ricorda quando vide suo cugino avviarsi alla morte e gli porto' ancora qualcosa da mangiare: "lui sapeva - dice - ma sulla porta mi sorrise". Cosi' ad ogni voce se ne aggiunge un'altra fino a comporre, lentamente e inesorabilmente, solo orrore. Che resta, nonostante la liberazione, quando Liliana Segre si ritrova vicino al comandante che per cambiarsi appoggia la pistola per terra e lei pensa di prenderla e sparargli. Poi, aggiunge, "non l'ho fatto, era la differenza tra me e lui e solo allora sono stata davvero una persona libera". Che, in tempi di revisionismi e riabilitazioni, non e' una piccola differenza. 4. MAESTRE. SIMONE WEIL: IL FONDAMENTO [Da Simone Weil, Quaderni. Volume terzo, Adelphi, Milano 1988, p. 261. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] La scienza greca era basata sulla pieta'. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1195 del 3 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 49
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1196
- Previous by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 49
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1196
- Indice: