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La nonviolenza e' in cammino. 1194
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1194
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 2 Feb 2006 00:19:55 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1194 del 2 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Renzo ricorda Coretta Scott King 2. Maria Luisa Boccia ricorda Nadia Gallico Spano 3. Cindy Sheehan: Matriottismo 4. Lea Melandri: Il contagio vitale di questo femminismo 5. Francesca M. Corrao: Un sentiero di lettura nel mondo arabo 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. LUTTI. MARIA G. DI RIENZO RICORDA CORETTA SCOTT KING [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Coretta Scott King e' nata il 17 aprile 1927 a Marion, in Alabama, dove trascorse la sua infanzia; durante gli studi musicali al New England Conservatory of Music di Boston incontro' Martin Luther King: s si sposarono nel 1953, ed ebbero quattro figli. Negli anni Cinquanta e Sessanta, Coretta partecipo' con il marito al movimento per i diritti civili; in particolare, grazie alla sua educazione musicale, prese parte ai ''concerti per la liberta'", appuntamenti di poesia, canto e conferenze legate al movimento per i diritti civili; nel 1962 fu delegata del "Women's Strike for Peace" alla Conferenza sul disarmo di Ginevra. Dopo l'assassinio del marito, nel 1968, Coretta Scott King continuo' la lotta per i diritti civili, per la pace e la dignita' umana: gia' alcuni giorni dopo l'omicidio di Martin Luther King, guido' la marcia dei lavoratori del servizio sanitario a Memphis sostituendo il marito, e successivamente nello stesso mese tenne a New York il discorso alla manifestazione contro la guerra del Vietnam. Per tutta la vita ha diffuso la filosofia della nonviolenza attraverso il "Martin Luther King Jr. Center for Nonviolent Social Change", costruito ad Atlanta, a pochi passi dalla chiesa del reverendo King. Negli anni successivi promosse e prese parte a numerose iniziative contro la poverta', per il disarmo, contro il razzismo e la discriminazione. Lo scorso anno aveva subito un ictus, che l'aveva lasciata semiparalizzata e priva della parola. E' deceduta il 30 gennaio 2006] Coretta Scott King, settantottenne, vedova di Martin Luther King Jr., e' morta la notte di lunedi' 30 gennaio. Dall'agosto del 2005, quando aveva avuto un infarto, la sua salute era cagionevole. Cresciuta in una famiglia povera di contadini dell'Alabama, era riuscita a frequentare il Conservatorio di Boston, pagandosi gli studi con il lavoro di domestica, e fu a Boston che nel 1952 incontro' il giovane studente di filosofia che sarebbe divenuto suo marito l'anno successivo. Al loro primo appuntamento Martin le disse: "Le quattro cose che cerco in una moglie sono carattere, personalita', intelligenza e bellezza. E tu lei hai tutte". "Martin, per molti aspetti, aveva delle idee piuttosto tradizionali sulle donne", racconto' Coretta al "New York Times Magazine" nel 1982, "Mi diceva: non ho scelta, devo farlo, ma tu non sei stata chiamata a farlo. Ed io rispondevo: Com'e' che non capisci? Sai bene che ho la stessa urgenza di agire che hai tu". Pure, il dottor King la descrisse sempre come una compagna nella sua missione per il cambiamento nonviolento, non semplicemente come una moglie comprensiva: "Mi piacerebbe dire, per soddisfare il mio ego maschile, che l'ho guidata lungo il sentiero", dichiaro' in un'intervista del 1967, "Ma devo invece dire che l'abbiamo percorso insieme, perche' quando l'ho conosciuta era coinvolta e attiva quanto lo e' ora". In effetti, gia' prima del matrimonio Coretta aveva messo in chiaro che come donna intendeva continuare ad appartenere a se stessa. Il padre di Martin, il reverendo King senior, rimase di stucco quando lei gli chiese di omettere dalla cerimonia nuziale (che lui avrebbe officiato) il voto di obbedienza della moglie al marito. Il reverendo era riluttante, ma dovette cedere. E quando nozze e festeggiamenti furono terminati, il novello sposo cadde addormentato in automobile, e fu sua moglie a mettersi al volante e a portare entrambi a casa. L'assassinio del marito nel 1968 la lascio' con quattro bambini da allevare: Yolanda (nata nel 1955), Martin (1957), Dexter (1961) e Bernice (1963). Considerato anche che la cultura del movimento per i diritti civili era in gran parte dominata dagli uomini, Coretta non prese in esso il posto di guida che era stato del marito. Tuttavia continuo' a lottare, a tenere concerti per la pace, a raccogliere fondi per la sua gente, a cercare la verita' sulla morte di Martin. Riusci' a far istituire dal governo statunitense la ricorrenza nazionale in onore del marito, e creo' il "Centro per il cambiamento sociale nonviolento" ad Atlanta, dove il Martin Luther King e' sepolto. Se dapprima poteva apparire come la vestale del messaggio di Martin, Coretta molto presto indico' autonomamente e con linguaggio proprio le cause per cui intendeva impegnarsi. Gia' il 19 giugno del 1968, in un comizio pubblico, ella parlo' non solo della visione del marito, ma della propria, che si allargava dal problema della discrimnazione razziale alla piu' vasta istanza dei diritti umani a livello internazionale. Nel suo intervento chiamo' le donne americane ad "unirsi e a formare un solido blocco di potere femminile per combattere i tre grandi mali del razzismo, della poverta' e della guerra". Entro' nel piu' noto gruppo femminista del paese, il "Now" (Organizzazione nazionale per le donne), e ne divenne una delle leader. Durante gli anni il Centro di Atlanta e' stato oggetto di parecchie controversie, e non sempre all'altezza della sua missione; dibattuto e' stato anche il sostegno che la famiglia King diede al (presunto) assassino di Martin, James Earl Ray, dapprima reo confesso e poi dichiaratosi innocente, che mori' nel 1998 prima di ottenere un nuovo processo. Queste polemiche non impedirono tuttavia che Coretta rimanesse sino all'ultimo molto amata, la figura simbolo di una donna che investita dalla tragedia non se ne lascia sconfiggere. Per tutta la vita ripete' che il sogno nonviolento di Martin Luther King era anche il sogno di Coretta Scott King: "Ad un certo punto, sulla via, ci siamo incontrati". 2. LUTTI. MARIA LUISA BOCCIA RICORDA NADIA GALLICO SPANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2006. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002. Nadia Gallico Spano, nata a Tunisi nel 1916, antifascista, partigiana, dirigente del Pci, tra le figure storiche del movimento operaio e del mmovimento delle donne, prese parte alla Costituente e fu parlamentare. E' deceduta nel gennaio 2006. Da un articolo di Maria R. Calderoni apparso sul quotidiano "Liberazione" del 21 gennaio 2006 riprendiamo i seguenti passi: "Una combattente in prima persona. Nata a Tunisi, subisce con la famiglia la durissima repressione organizzata da Petain contro la Resistenza. Nel 1944 rientrata in Italia, milita nelle file del Pci clandestino. Sara' una delle 21 donne che partecipano all'Assemblea Costituente. Nella preparazione della Carta Costituzionale si occupa prevalentemente di questioni della famiglia (si batte contro il matrimomio "indissolubile") e sara' lei a celebrare, in seno alla Costituente, il primo 8 Marzo della Liberazione. Col marito, Velio Spano - anche lui dirigente di primo piano del Pci, uno dei primi direttori dell''Unita'' - svolge la sua intensa attivita' politica soprattutto in Sardegna. E' deputato per dieci anni, dal '48 al '58, nella prima e nella seconda legislatura. Appena giunta a Napoli, nel marzo 1944, a lei Togliatti affida la grande responsabilita' del lavoro tra le donne, con il compito di gettare le basi di una organizzazione femminile di massa e di fondare un giornale. Nacque l'Udi, e nacque pure il suo giornale, 'Noi donne', la testata - racconta lei stessa nella sua ultima intervista di pochi mesi fa - che era nata in Francia negli anni Trenta tra le emigrate del Comitato internazionale contro il fascismo e la guerra. 'Insieme a Rosetta Longo, Marisa Rodano, Rita Montagnana, Giuliana Nenni, avviammo in Italia un grande lavoro tra le donne', racconta sempre nella stessa intervista. Non ha mai smesso di combattere, fino agli ultimi mesi. E' una delle personalita' che firma l'appello contro la riabilitazione dei repubblichini di Salo'. "Si puo' anche capire che i giovani che andarono con la Repubblica di Salo' furono ingannati o vittime di ragioni morali o patriottiche, ma dopo 60 anni un giudizio storico va dato e non possiamo dimenticare o sottovalutare che c'e' stata la Resistenza". E sottolineava che il valore piu' grande di oggi e' la partecipazione... Soltanto alcuni giorni fa e' uscita in libreria la sua autobiografia: 'Mabruk'". Riportiamo di seguito anche il messaggio di cordoglio del Presidente della Repubblica: "Partecipo con intensita' di sentimenti al dolore per la scomparsa dell'onorevole Nadia Gallico Spano. Giovane combattente per la liberta' nella Resistenza, e' stata protagonista e testimone del processo di rifondazione dello Stato e della nascita della Repubblica. Animata da profonda passione civile, ha offerto la sua straordinaria esperienza di vita per l'affermazione di nuovi diritti e liberta' per le donne e per il consolidamento nella societa' dei valori di giustizia e di solidarieta'. Giunga alla famiglia l'espressione del mio commosso e partecipe cordoglio"] Mabruk, benedetto, e' l'augurio di letizia e speranza con il quale ci ha salutato Nadia Gallico Spano, un'inguaribile ottimista, comunista. Ha scelto il titolo piu' appropriato per i suoi ricordi, freschi di stampa, dei quali parlero' alle lettrici e ai lettori del "Manifesto", appena si sara' un po' acquietato il dolore della perdita. Sandro Portelli nella prefazione parla di memorie di "un'inviata del demonio", cosi' era bollata una donna che nel dopoguerra "praticava la pericolosa arte di pensare con la sua testa", e quei pensieri osava dirli in pubblico, nelle piazze di citta' e paesi, come nell'aula solenne dell'Assemblea costituente. Di recente, guardando un programma televisivo, ora non ricordo quale, sui movimenti politici delle donne, mi e' apparso il suo volto sottile, nel quale spiccavano gli occhi azzurrissimi, intensi, e in poche parole ha espresso il senso e il valore di quella che e' stata non la sola, ma forse la piu' importante attivita' politica; credo per lei, di certo per tutte noi donne italiane. Ha detto che nella Costituzione furono allora poste le fondamenta per tutte le successive conquiste di cittadinanza delle donne. E' un'eredita' e un debito che riconosco verso di lei e tutte le donne della Costituente. Nadia Gallico Spano entra a Montecitorio per la prima seduta dell'Assemblea - "con il mio bel vestito azzurro" -, a fianco del marito Velio; ha trent'anni, e' madre di due figlie, Paola e Chiara, e ha gia' vissuto un'intensa e drammatica vicenda politica. In Tunisia, dove e' nata e vive, ha preso parte alla Resistenza; dopo la liberazione di Tunisi nel '44 e' in Italia, prima a Napoli e poi a Roma, impegnata attivamente nel Pci, nell'Udi e a "Noi donne". Poi c'e' la scoperta della Sardegna, terra di Velio, che Nadia fara' sua, politicamente e affettivamente. Perche' Nadia, come molti e molte dirigenti del Pci e' allo stesso tempo, abitante del mondo e capace di mettere radici nei luoghi. Soprattutto nell'esperienza tra le donne, ma in generale nel lavoro politico del Pci, partito di massa, con e tra uomini e donne nel territorio e nei luoghi della vita sociale, Nadia portava di suo una speciale, fortissima capacita' e sapienza nel tessere relazioni. E' stata molto amata e rispettata per questo da persone vicine o lontane alle sue scelte politiche. Ed e' questa preziosa qualita' politica che Nadia ha esercitato, da madre della Costituzione, negli incontri con i giovani, per "educare alla Costituzione", per mantenere viva la memoria delle origini della nostra democrazia, e, soprattutto, per continuare a far scaturire da quel progetto di vita collettiva e di politica il futuro. 3. RIFLESSIONE. CINDY SHEEHAN: MATRIOTTISMO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] Sebbene mi piacerebbe prendermi il merito di aver inventato la parola "matriottismo", e' stata un'altra donna a fornirmi questo concetto in una sua lettera. Ero cosi' affascinata da tale parola che ho riflettuto su un possibile sistema di idee dietro di essa, su un nuovo paradigma per una vera e duratura pace nel mondo. Prima che io mi immerga nel concetto, esploriamo insieme la parola "patriottismo". I dizionari lo definiscono come "amore per il paese e volonta' di sacrificarsi per esso". Questo quando tutti sappiamo che "patriottismo" negli Usa significa: sfruttare l'amore altrui per il paese mandando gli altri e i loro figli a sacrificarsi fuori di esso, a beneficio del bilancio della mia banca. Sono stati scritti volumi e volumi sul patriottismo, sulle sue definizioni, sul suo sostegno, sulla sfida all'intero concetto, eccetera. Io penso che la nozione di patriottismo sia stata malvagiamente sfruttata, e usata per guidare la nostra nazione in dozzine di guerre disastrose ed inutili. L'idea di patriottismo ha virtualmente spazzato via intere generazioni dei nostri preziosi giovani, ed ha permesso ai nostri leader nazionali di commettere omicidi di massa su una scala che non ha precedenti. Il vile sputo contenuto nella frase "se non sei con noi, sei contro di noi" e' in pratica l'epitome del patriottismo senza freni. Dopo la tragedia dell'11 settembre, stavamo appena mettendo le piume di una societa' "matriottica", quando i nostri governanti saltarono sul treno di una inappropriata e mistificata vendetta, per mandare i nostri giovani a morire e uccidere in due paesi che non erano una minaccia per gli Stati Uniti o per il nostro modo di vivere. I neocons hanno sfruttato il patriottismo per raggiungere i loro scopi: imperialismo e saccheggio. Questo tipo di patriottismo comincia quando andiamo all'asilo e ci viene insegnata la "Promessa solenne di lealta'" (un impegno di obbedienza al governo da parte dei cittadini - ndt). Trascende ogni ragionevolezza quando ci viene insegnato l'inno nazionale "Star Spangled Banner", che e' un inno alla guerra. Nelle lezioni di storia si sorvola sul genocidio dei nativi americani, mentre ci si narra la diffusione dell'imperialismo americano sul nostro continente, sebbene ad esso non venga dato nome sino al 1840, quando fu esposta la dottrina del "Destino manifesto" per giustificare la conquista e la "civilizzazione" dei territori messicani e delle popolazioni native. La dichiarazione del "Destino manifesto" diceva di voler espandere "i confini della liberta'" sul continente americano, con la presunzione che noi si avesse un avallo speciale per questo da parte di Dio. Vi suona familiare? Attraverso tutto il nostro percorso scolastico, i nostri cervelli vengono lavati fino a farci credere che in qualche modo i nostri leader hanno sempre ragione, e che certamente hanno a cuore i nostri migliori interessi quando agitano la bandiera e ci convincono ad odiare i nostri simili, esseri umani che si frappongono tra essi e gli immensi profitti della guerra. Come disse Samuel Johnson, il patriottismo e' "l'ultimo rifugio dei mascalzoni". * Il "matriottismo" si situa all'opposto, non per distruggere, ma per portare assieme lo yin e lo yang, e gettar fuori di bilancia il militarismo connesso al patriottismo. Non tutte le persone sono madri, ma c'e' una verita' universale che nessuno puo' contestare, per quanto ci si metta (e credetemi, alcuni lo faranno), e cioe' che tutti hanno una madre. Le madri danno la vita e, se il bimbo e' fortunato, le madri nutrono la vita. Se un uomo ha avuto una madre che ha nutrito la vita, allora ha gia' una base di "matriottismo". Un matriota maschio o femmina ama il suo paese, ma non al punto di dire "sto con il mio paese che abbia ragione o abbia torto". Un/una matriota sa che il suo paese puo' fare un mucchio di cose buone, anche quando il governo non e' coinvolto in esse. Per esempio, non conosco cittadini di altre nazioni che a livello personale siano generosi quanto gli americani. Tuttavia, il matriota sa che il suo paese e' in torto nell'aver ucciso migliaia e migliaia di innocenti esseri umani, e deve risponderne. Un vero matriota non lancera' mai una bomba atomica, o bombe al fosforo bianco, radendo al suolo citta' e villaggi, e non controllera' aeroplani a migliaia di chilometri di distanza per uccidere uomini, donne e bimbi innocenti. E la cosa piu' importante, la chiave per smettere di uccidere e risolvere i problemi, e' che una matriota non mandera' mai, in qualunque caso, suo figlio o il figlio di un'altra madre a combattere guerre insensate. Eppure lottera' lei stessa, per proteggere suo figlio o sua figlia dal male. Le ed i matrioti combattono le loro battaglie quando devono, ma non fanno uso di violenza per risolvere i conflitti. I patrioti si nascondono vigliaccamente dietro la bandiera e a cuor leggero mandano a morire la gioventu' per riempire i loro conti in banca. Le donne vennero a sciami a Camp Casey in agosto, per mettere mano alla faccenda e lavorare per la pace, e donne da tutti gli stati americani e da tutto il mondo mi hanno invitata a far loro visita ed a parlare in favore di una vera e duratura pace. Gli uomini che riescono a toccare il proprio "matriottismo" dentro se stessi sono egualmente importanti nello scopo di sradicare la guerra. * Che siate un matriota maschio o femmina, sappiate che l'organizzazione Code Pink, sostenuta da Gold Star Families for Peace, sta chiedendo un Giorno internazionale di pace per il prossimo 8 marzo. Un giorno richiesto, organizzato, sostenuto dalle donne. Donne ed uomini con tendenze "matriottiche" possono avere maggiori informazioni al sito www.womensaynotowar.org E' bene venuto il tempo che noi matrioti ci si raduni per chiedere a voce altissima la fine dell'immorale carneficina in Iraq. C'e' una cosa che so, nel profondo del mio cuore. A mio figlio Casey, che era stato uno scout ed un vero "patriota americano", la sua idea di patriottismo non ha fatto del bene. Non potro' mai perdonarmi di non aver tentato con piu' forza di contrastare il falso patriottismo in cui e' cresciuto. So anche che le donne che non hanno voce, come le madri irachene che stanno lottando per sopravvivere in un paese inutilmente devastato, contano su donne come noi che possono usare le proprie voci per mettere fine alla dottrina idiota di George Bush sulle guerre preventive di aggressione, basate sulla giustificazione "Penso che quel paese potrebbe diventare pericoloso per me e i miei amici". La guerra finira' per sempre quando noi matrioti e matriote si alzeremo e diremo: "No, non daro' mio figlio al falso patriottismo della macchina della guerra, perche' mastichi la mia stessa carne ed il mio stesso sangue al fine di sputare fuori profitti osceni". "Non e' orgoglio amare il proprio paese, si deve essere orgogliosi di amare il mondo intero. La terra e' un unico paese, e la cittadinanza di questo paese e' l'umanita'" Baha'u'llah. Il "matriottismo" e' soprattutto un impegno verso la verita' e verso la celebrazione della dignita' di ogni vita. 4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL CONTAGIO VITALE DI QUESTO FEMMINISMO [Dal quotidiano "Liberazione" del 18 gennaio 2006. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Che differenza c'e' tra la politica istituzionale e un movimento come quello che si e' materializzato per le strade e in piazza Duomo a Milano il 14 gennaio? Forse e' la domanda che sorge spontanea e che fa da sottofondo a ogni sussulto di partecipazione diretta, "dal basso", come si diceva una volta. Ma e' anche, purtroppo, quella che si eclissa per prima, una volta chiuso il sipario sulle grandi manifestazioni, se non si e' in grado di collocare l'emergenza in un contesto piu' generale di contenuti e di iniziative politiche capaci di durare nel tempo e di estendersi localmente, per contagio. Di "uscite dal silenzio" se ne sono viste molte nel nostro paese, non si puo' certo dire che la societa' italiana viva in un indifferente acquietamento consumistico e televisivo. Ma sappiamo anche quanto sia facile, per un movimento non organizzato, rientrare nell'ombra, eclissarsi dentro tortuosi percorsi carsici aspettando la prossima occasione per rivedere l'orizzonte. La spinta ad accomunare corpi, pensieri, voci, a farsi forti di una larga condivisione di affetti, e di idee, non nasce mai dal nulla, anche se l'affollatissimo corteo di sabato scorso ha fatto gridare: miracolo a Milano! Tra chi ha temuto di veder ricomparire il fantasma della "rivolta femminile" degli anni '70, mal digerita allora e ancora piu' indigesta dopo che se ne e' sperata e decretata la morte, e chi ha voluto a tutti i costi credere che si trattasse dell'iniziativa di una "nuova generazione", c'e' la realta' di oltre vent'anni di impegno da parte di singole, gruppi, associazioni di donne che dal femminismo hanno tratto non solo cambiamenti personali, ma un'idea diversa della cultura e della politica, a partire dalla messa a tema del rapporto tra i sessi. Questa realta', il 14 gennaio era largamente rappresentata: donne sorprese che un vento nuovo, improvviso, le avesse fatte rincontrare nelle assemblee cittadine della vigilia, o addirittura sul treno che le portava a Milano, felici di trovarsi a fianco di persone conosciute negli anni in cui era abituale vedersi in grandi convegni nazionali, vacanze, viaggi, e poi cadute nella dimenticanza insieme alla tensione politica, che allora animava la speranza di possibili cambiamenti. Ma anche incredule nel constatare di minuto in minuto che una massa enorme, variamente composita di donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambini, non identificabili sotto particolari sigle di appartenenza, stava prendendo il posto dei cortei inconfondibili della generazione femminista separatista degli anni '70. Non e' un caso che nessun giornale abbia scritto a lettere cubitali, secondo un cliche' mai tramontato e di sicuro effetto: "le streghe sono tornate". Al contrario. Il femminismo, richiamato da quasi tutti gli articoli di cronaca e di commento alla manifestazione, e' stato visto per la prima volta come forza civile capace di interpretare sentimenti diffusi di insofferenza per il clima di restaurazione religiosa, deciso ad opporsi, in modo composto e determinato, alla violazione delle liberta' piu' elementari riguardanti i corpi, le persone, le relazioni piu' intime. * Che questa "uscita", cosi' vistosamente condivisa, di problematiche venute alla coscienza negli anni '70 abbia avuto al centro la questione dell'aborto, visto non piu', o non soltanto, come "dramma" o "colpa" femminile, e' doppiamente interessante. Non servono dotte ricerche antropologiche o psicanalitiche per sapere che le gravidanze indesiderate attraversano millenni di controllo, sfruttamento, violenza sul corpo femminile, che, se proprio si vuole parlare di genocidio, protratto e passato sotto silenzio, le prime vittime sono le donne, morte per parto, per aborti, stupri, omicidi da parte di padri, mariti, amanti. Solo Giuliano Ferrara, con cinismo e misoginia profonda, puo' accostare, come ha fatto a piu' riprese a "Otto e mezzo", gli aborti selettivi a danno del sesso femminile in India e Cina alla decisione di una donna di non dar corso a una maternita' che non ha scelto o che puo' compromettere la sua salute fisica e mentale. Significa colpevolizzare le donne in nome della stessa violenza che hanno subito, assimilare la responsabilita' di culture e regimi patriarcali a una scelta personale che, pur nella sua valenza contraddittoria, risponde a una affermazione incontestabile di liberta': liberta', prima di tutto, da quella legge di natura, la capacita' di generare la vita, su cui gli uomini hanno creduto di poter fissare il destino storico dell'altro sesso, cancellandone non solo la sessualita' ma anche il legittimo desiderio di esistere nella pienezza di manifestazioni intellettuali, morali, relazionali. * E' vero, nessun politico dei due schieramenti ha detto finora di voler abolire la legge 194. Ingenuita', ipocrisia, astuzia di giocolieri passata per mediazione politica? Mettiamoci d'accordo, ha detto lunedi sera a "Porta a Porta" Piero Fassino, si tratta di questioni "antropologiche" delicate, non e' impossibile arrivare a scelte condivise tra chi e' contro l'aborto e chi non lo e'. Gianfranco Fini, seduto davanti a lui, giustamente annuiva. Tra uomini non dovrebbe essere effettivamente difficile trovare un'intesa su un terreno che gia' li accomuna nel pregiudizio antico che vuole la donna essenzialmente madre, "madre anche quando e' vergine", come scriveva Paolo Mantegazza. La Chiesa ne sa qualcosa. L'unica parola d'ordine passata tra i rappresentanti della politica istituzionale e' stata finora la difesa o la promozione della maternita'. Che la destra cattolica integralista lo faccia portando i suoi angeli protettori o dissuasori nei consultori, e la sinistra con le politiche famigliari, i bonus per le madri o per i nuovi nati, la logica di fondo non cambia. La responsabilita' maschile, nella vicenda che ha al centro la relazione piu' universale e piu' intima tra i sessi, all'incrocio tra natura e storia, tra amore e violenza, non puo' di certo sfuggire a chi abbia un minimo di cognizione di se', un'attenzione sia pure fuggevole alle vite reali. Ma la difesa della maschera della neutralita' sembra effettivamente che sia l'ultima sponda del privilegio maschile, almeno di quello che si affaccia dalla scena istituzionale. Non cosi' dal versante della societa', ridotta a spettatrice di una politica sempre piu' separata, mossa da competizione, personalismi, ostilita' manifesta e orizzonti ridottissimi. La forte presenza di uomini alla manifestazione di Milano, indetta da un'assemblea di donne, e con i contenuti inequivocabili ereditati dalla storia del femminismo, ha dentro indirettamente alcune acquisizioni nuove, importanti: l'immaginario legato all'aborto - il corpo femminile onnipotente dispensatore di vita e di morte - si va decantando; gli uomini cominciano a riconoscersi parte in causa, non certo secondaria, nel mantenere la "naturalita'" del destino femminile; la centralita' politica - di ogni tema politico - del rapporto uomo-donna non e' piu' l'ossessione di poche irriducibili "vestali" del femminismo. Cio' nonostante, da questa ottica i politici ancora non vedono, non sentono, non parlano, e alcuni, ostinatamente, continuano a cercare fantasmatici "organizzatori". Si spera che siano le donne, tornate da Milano commosse e determinate a non tornare nell'ombra, a fare comparire nei programmi elettorali la piu' clamorosa rimozione della storia. 5. LIBRI. FRANCESCA M. CORRAO: UN SENTIERO DI LETTURA NEL MONDO ARABO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 gennaio 2006. Francesca Maria Corrao e' docente di lingua e letteratura araba all'Istituto Universitario Orientale di Napoli, acuta saggista e fine traduttrice. Tra le opere di Francesca Maria Corrao: Giufa' il furbo, lo sciocco, il saggio, Mondadori, Milano 1991; (diretta da), Antologia della poesia araba, E-ducation.it - Gruppo editoriale L'Espresso, Firenze-Roma 2004] Negli ultimi dieci anni il Cairo ha cambiato aspetto. Oggi la citta' appare molto piu' pulita, un nuovo parco pieno di palme collega la storica moschea universita' di Al-Azhar con la cittadella, e la celebre rocca militare da cui Muhammad Ali guido' la rivolta per liberare l'Egitto dalla presenza francese, e' stata restaurata. Come un grande fiume ogni sera la gente si affolla per le strade e lungo le vie illuminate donne di tutte le eta' vanno in giro a bordo di automobili lussuose o di semplici utilitarie. Questo e' il segnale di un grande cambiamento: sino a non molti anni fa le donne che andavano a cena fuori o al cinema senza essere accompagnate da padri, mariti o fratelli, erano poche, e sicuramente "estremiste". Adesso un numero crescente di donne lavora, e ha quindi conquistato l'indipendenza economica e di conseguenza un certo margine di liberta'. A differenza di prima puo' accadere che una professionista, se non ha trovato un compagno adeguato, scelga di vivere da sola: questo tuttavia avviene solo nei quartieri piu' "progrediti", dove le donne non corrono il rischio di essere stigmatizzate dalla comunita' del vicinato, come accadrebbe nelle periferie, in cui le tradizioni arcaiche si sposano con i rigurgiti misogini degli integralisti, in barba a ogni dichiarazione di uguaglianza espressa nel Corano. Questa ricchezza di posizioni, pero', tende a non essere percepita in occidente, dove si parla del mondo arabo senza sfumature, e quasi solo per metterne in evidenza il volto deteriore. * Per capire la complessa eredita' culturale dell'Egitto moderno puo' essere utile leggere un libro di qualche decennio fa, da poco pubblicato anche in Italia, Diario di un procuratore di campagna di Tawfiq al Hakim (Edizioni Nottetempo). L'opera apre infatti uno spiraglio su un mondo lontano e ci permette di sbirciare dietro i veli della vita di provincia. Attraverso l'ironico racconto di un procuratore di una piccola citta' sul delta scopriamo una societa' chiusa ancora assorta nelle tradizioni antiche. L'autore racconta le indagini svolte per svelare gli assassini di un uomo apparentemente innocuo; a turbare la scena - come spesso nelle storie egiziane - appare, per scomparire presto, una splendida ragazza, e intorno alla sua figura si accendono mille enigmi e fantasie. Lo svolgimento delle ricerche rivela tante piccole scene, descritte con esilarante sagacia, di un mondo diviso tra la rigidita' dei funzionari, inefficienti e corrotti, e la schiacciante prepotenza dei signorotti locali, sullo sfondo della misera vita dei contadini che si trascinano da una millenaria poverta' verso un sistema moderno ma sempre piu' repressivo. Ma il romanzo e' anche una occasione per denunciare l'insofferenza dell'autore per un lavoro cui e' costretto per necessita' mentre la sua mente da letterato lo porterebbe altrove, a Parigi in un ambiente artistico e trasgressivo che meglio risponde alla sua indole. Ironico e poco clemente, lo scrittore descrive i faticosi tentativi di un Egitto che stenta a imitare il mondo occidentale. * Da quando al-Hakim scrisse il suo Diario, pero', molte cose sono cambiate. Oggi le universita' hanno aperto i battenti in tante zone che prima sembravano culturalmente ed economicamente ferme ai primi anni del Novecento. La citta' di Minya, per esempio, e' diventata un importante centro di affari e di ricerche avanzate. Il cuore della resistenza fondamentalista non ha cambiato sede ma volto. Si muove verso una svolta democratica? E' difficile a dirsi, anche se proprio la maggiore presenza delle donne potrebbe fare molto per cambiare l'atmosfera generale. Per il momento, pero', la situazione si presenta controversa: se all'universita' le studentesse sono la maggioranza assoluta, non si puo' fare a meno di notare che siano quasi tutte velate: un velo tuttavia, che sembra rappresentare - piu' che una dichiarazione di castita' - quasi un vezzo, un modo di dichiararsi diverse dalla cultura occidentale. In giro infatti non si vedono burqa' o chador, ma fazzoletti decorati con ogni tipo di ninnolo e gioiello e magari indossati sopra un paio di jeans accuratamente sdruciti. * Su queste contraddizioni che segnano la situazione femminile nel mondo arabo esistono oggi diversi testi, dalla recentissima antologia Parola di donna, corpo di donna (curata da Valentina Colombo per gli Oscar Mondadori) all'ultimo libro della marocchina Fatema Mernissi, Karawan. Dal deserto al web (Giunti), che racconta attraverso numerose testimonianze l'aiuto che la tecnologia, se utilizzata saggiamente, puo' fornire anche nelle localita' piu' sperdute. La coraggiosa scrittrice, come tante altre intellettuali attive anche in Medio Oriente, ha creato una Ong per aiutare le donne a vendere i loro prodotti mettendoli direttamente online, nella convinzione che la vera sfida oggi consista nell'emancipare le donne dall'ignoranza e dalla sudditanza economica. * Da decenni, del resto, le organizzazioni non governative si moltiplicano in tutto il territorio. Tra le pioniere fu, di nuovo in Egitto, la scrittrice e medico Nawal al-Saadawi (autrice fra l'altro di Firdaus. Storia di una donna egiziana, edito nel 2001 ancora da Giunti) che organizzo' una struttura per molti versi simile ai nostri consultori per insegnare alle donne analfabete le piu' elementari cure sanitarie. Ostacolata in ogni modo, prima dal governo e poi dai fondamentalisti, la scrittrice fu nel 2001 accusata di aver affermato che il pellegrinaggio alla Mecca era un costume pagano. In realta' al-Saadawi aveva voluto sottolineare l'atteggiamento di apertura dell'Islam ricordando che la religione sin dagli inizi aveva saputo accogliere usi e culture preesistenti che bene si accordavano con la nuova fede, ma un giudice del tribunale shara'itico accuso' prontamente la scrittrice del reato di apostasia condannandola a divorziare dal marito (un musulmano non puo' essere coniugato con un'apostata). Solo la pronta reazione di alcuni intellettuali egiziani e una valanga di e-mail da ogni parte del mondo sono riuscite a convincere il presidente Mubarak a intervenire salvando la scrittrice dalle grinfie dei calunniatori. * Che le donne siano le rappresentanti di questi nuovi fermenti del mondo arabo e' dimostrato anche dalla loro presenza attiva a incontri e convegni internazionali, come quello su "Intellettuali e potere" che si e' tenuto alla fine del 2005 presso l'universita' del Cairo. Sono state numerose le studiose che hanno presentato analisi fondate su una conoscenza seria dei testi critici occidentali e orientali, sulla base del presupposto che, come dice il poeta marocchino Muhammad Bennis, l'apertura verso le altre culture e' in primo luogo una questione di ospitalita', di accoglienza. Voce di spicco nell'incontro e' stato, fra gli altri, il poeta palestinese Murid al-Barghuti (autore di Ho visto Ramallah, uscito nel 2005 per Illisso edizioni), che ha ricordato gli intellettuali arabi costretti al silenzio in patria o alla fuga all'estero, dove rimangono spesso chiusi dietro un muro di indifferenza, e che ha messo in evidenza come il problema della liberta' e del potere non riguarda solo "gli altri" ma ogni essere umano, richiamando alla presa di coscienza individuale e alla necessita' di sviluppare un forte senso di responsabilita'. Un comportamento esemplare in questo senso viene dal testo autobiografico di Suad Amiry - Sharon e mia suocera, edito nel 2003 da Feltrinelli - che racconta la sua esperienza di affermata architetta rientrata da Londra in Palestina per contribuire alla crescita della nuova Autorita' palestinese. Nell'esilarante resoconto della sua vita quotidiana da' prova di come, da donna comune, e' costretta a trovare soluzioni geniali per sopravvivere nell'inferno quotidiano, schiacciata tra le esigenze della suocera e le ordinanze di Sharon. Il materiale non manca, tanto che nel 2005 Amiry ha pubblicato un altro libro (Se questa e' vita. Vivere a Ramallah in tempo di occupazione, Feltrinelli). Ma queste testimonianze di ordinaria follia si trovano in gran numero anche in Domani andra' peggio. Lettere da Palestina e Israele, 2001-2005 (Fusi Orari, pp. 240, euro 15), la raccolta di articoli di Amira Haas, una coraggiosa giornalista israeliana che si batte per la difesa del buon senso, al duro prezzo di essere invisa a molti. * Incontrare l'altro e' un'impresa difficile e dolorosa, scriveva Arnold Toynbee, e questa amara verita' e' ben nota agli arabi da oltre due secoli. Colonizzati prima e successivamente devastati da guerre fratricide sapientemente alimentate da interessi stranieri. Molti intellettuali ne parlano con amarezza, alcuni con ironia, altri invece si nutrono di questo orrore per sublimarlo in opere tra il surreale e il metafisico: fra questi, saggi critici (Adonis, La musica della balena azzurra, Guanda; Fatema Mernissi, Islam e democrazia, Giunti), poesie (Adonis, In onore del chiaro e dello scuro, Archivi del Novecento) e anche bei romanzi, come quello della libanese Hoda Barakat, L'uomo che arava le acque (Ponte alle grazie), dove si narra con straordinaria sensibilita' lo smarrimento dell'uomo e il disintegrarsi dell'essenza della cultura materiale in Medio Oriente sotto i colpi di mortaio della guerra civile libanese. * Tuttavia non ci si rassegna e le attivita' culturali - mostre, festival, film, concerti, opere teatrali, dibattiti, presentazioni di libri - a Beirut come al Cairo si sono moltiplicate rispetto a pochi anni fa, grazie anche alle scelte di politici contestati. Un esempio viene dal pittore Farouk Husni, ministro della cultura egiziano da oltre un decennio, che continua ad aprire spazi culturali anche agli artisti dell'opposizione, senza badare troppo alle polemiche. Obiettivo di Husni e' di dimostrare che le attivita' governative non emarginano gli intellettuali scomodi, accogliendo in questo senso l'invito piu' volte reiterato del Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz: anche nelle piu' recenti interviste in occasione del suo anniversario, il piu' amato scrittore arabo non ha perso infatti la sua grinta e ha incoraggiato i giovani a darsi da fare per frenare l'avanzata oscurantista. * In questa direzione del resto vengono organizzate iniziative dedicate ai fautori di una cultura aperta e moderna. Prossimamente e' previsto un omaggio a Muhammad 'Afifi Matar, poeta filosofo scomodo, vittima spesso dei suoi modi "passionari". A settanta anni il Consiglio superiore della cultura riconosce finalmente i meriti di questo amante di Empedocle e cancella cosi' il ricordo dei giorni di carcere negli anni Novanta (si era dichiarato contrario all'intervento militare dell'Egitto in Iraq, ed era "scivolato" sul pugno di un poliziotto rompendosi il naso). Anche allora il tam tam degli intellettuali arabi e occidentali, dentro e fuori dall'Egitto, lo hanno salvato dal carcere; ha vinto la solidarieta' e cosi' anche il diritto alla liberta' di opinione. * Fra le altre figure della cultura egiziana, il cui valore viene adesso riconosciuto spicca anche il nome del poeta 'Abd al-Mu'ti al-Higazi che, rientrato da un decennio dall'esilio volontario in Francia, cura oggi una rubrica sul piu' diffuso giornale egiziano, "al-Ahram"; e da li' parla liberamente dei fatti del giorno senza risparmiare i suoi strali all'amico di un tempo, il ministro della cultura per l'appunto. Ad al-Higazi il Consiglio superiore della cultura ha recentemente dedicato una giornata di studi convocando i massimi esperti di poesia a parlare della sua produzione. A guidare i lavori Gabir Asfour, il grande critico letterario prestato all'amministrazione pubblica per gestire un'operazione culturale faraonica: lanciare la cultura araba nel mondo e tradurre migliaia di libri dalle lingue occidentali in arabo ogni anno. Tra i presenti la vera responsabile del progetto, la dinamica e colta Shuhra Muhammad al-'Alim; che ama scherzosamente dire di se' che e' piu' brava di Shehrazad perche' e' riuscita a dare alle stampe mille e un libro in un anno invece che in tre come la celebre eroina dei racconti orientali. * Attualmente Shuhra Muhammad al-'Alim sta promuovendo la traduzione di racconti italiani in collaborazione con la facolta' di lingue dell'universita' di 'Ayn Shams e il ministero degli affari esteri. Un'altra iniziativa in questo senso e' stata promossa dal poeta Hasan Teleb che, assieme ai docenti di italiano dell'universita' di Helwan, sta traducendo un'antologia dei poeti italiani del Novecento. Il problema e' l'assenza di coordinamento tra gli intellettuali italiani e quelli arabi. Ancora oggi, sebbene fioriscano meritevoli iniziative in cui gli intellettuali arabi sono invitati a partecipare a incontri e scambi in Italia, si riscontra che troppo spesso i nomi sono sempre gli stessi oppure non sono significativi; e lo stesso accade in Oriente. Si tratta di un vecchio problema: gia' all'inizio del secolo scorso al Cairo la poetessa Mayyi Ziyada traduceva poeti italiani assolutamente ignoti, e lo stesso facevano negli anni Cinquanta a Beirut i redattori della rivista "Shi'r" che pubblicavano accanto ai testi di Montale (che, come poi Mahfuz, ha avuto la fortuna di ricevere il Nobel) i versi di illustri sconosciuti. Senza sparare a zero sul passato, sarebbe auspicabile che oggi, nei paesi di lingua araba, come in Italia, non si ripetessero gli stessi errori. * Postilla Tra i libri delle pioniere del nuovo Egitto va sicuramente ricordato "Firdaus. Storia di una donna egiziana" di Nawal al-Saadawi, edito da Giunti-Astrea nel 2001 (pp. 128, euro 8,50). Tra i volumi citati nell'articolo segnaliamo inoltre: di Tawfiq al Hakim "Diario di un procuratore di campagna" (Edizioni Nottetempo, pp. 213, euro 13,50); l'antologia "Parola di donna, corpo di donna" curata da Valentina Colombo per gli Oscar Mondadori (pp. 310, euro 8,40). Dell'autrice marocchina Fatema Mernissi Giunti-Astrea ha pubblicato nel 2004 "Karawan. Dal deserto al web" (pp. 256, euro 10,80) e, nel 2002, "Islam e democrazia. La paura della modernita'" (euro 12). Del poeta palestinese Murid al-Barghuti, Illisso ha tradotto "Ho visto Ramallah" (pp. 184, euro 13). Feltrinelli, nel 2003, ha mandato in libreria "Sharon e mia suocera" di Suad Amiry, affermata architetta rientrata da Londra in Palestina, e nel 2005 "Se questa e' vita" (pp. 135, euro 8,50). "Domani andra' peggio. Lettere da Palestina e Israele 2001-2005" (Fusi Orari, pp. 240, euro 15) e' invece la raccolta degli appassionati e coraggiosi articoli della giornalista israeliana Amira Haas. Guanda ha tradotto nel 2005 "La musica della balena azzurra. La cultura araba, l'Islam, l'Occidente" (pp. 201, euro 14) di Adonis, considerato tra i maggiori poeti contempornaei di lingua araba. E, dello stesso autore, gli Archivi del Novecento "In onore del chiaro e dello scuro" (pp. 97, euro 12). E' uscito nel 2003 per Ponte alle Grazie il romanzo della libanese Hoda Barakat, "L'uomo che arava le acque" (pp. 184, euro 12). 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1194 del 2 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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