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La nonviolenza e' in cammino. 1181
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1181
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 20 Jan 2006 01:00:10 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1181 del 20 gennaio 2006 Sommario di questo numero: 1. Nando dalla Chiesa: Verita' e' morta, generale dalla Chiesa 2. Luciano Minerva intervista Anna Nadotti 3. Luigia Sorrentino intervista Fernanda Pivano 4. Augusto Cavadi presenta "Agli estremi della filosofia" di Giuseppe Ferraro e Francesca Rigotti 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. NANDO DALLA CHIESA: VERITA' E' MORTA, GENERALE DALLA CHIESA [Ringraziamo gli amici di Italia Democratica (per contatti: italiademocratica at tiscali.it) per averci inviato il seguente articolo di Nando dalla Chiesa apparso sul quotidiano "l'Unita'" del 18 gennaio 2006. Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di straordinaria limpidezza morale. Tra le opere di Nando dalla Chiesa segnaliamo particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto, Mondadori; La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie, Einaudi; Il giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza (a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini & Castoldi; La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini perbene, Einaudi; La legge sono io, Filema; La guerra e la pace spiegate da mio figlio, Filema. Ha inoltre curato (organizzandoli in forma di autobiografia e raccordandoli con note di grande interesse) una raccolta di scritti del padre, Carlo Alberto dalla Chiesa, In nome del popolo italiano, Rizzoli. Opere su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in alcuni libri di carattere giornalistico di Pansa, Stajano, Bocca; si veda anche l'intervista contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli] Riposa in pace, generale dalla Chiesa. Non scrutare, se mai lo puoi, quel che accade in questo paese, che e' il tuo paese. Non scrutare nemmeno le memorie televisive, nemmeno quelle che dovrebbero consegnare il tuo esempio alle nuove generazioni. Nemmeno quelle che si nutrono delle dichiarazioni dei tuoi figli, dei tuoi amici o dei tuoi ufficiali di un tempo. C'e' sempre lo spazio per i veleni che ad altri martiri si eviterebbero. C'e' sempre la voglia di rivelazioni. Una voglia piu' forte del rispetto, non dico della pieta', che non e' cosa degli storici e tanto meno dei giornali. Non basta quel che hai fatto, detto, spiegato, sofferto. C'e' sempre pronto un Cossiga al quale si lascia dire che la nostra e' stata una famiglia di massoni. Tu, tuo padre, tuo fratello. E noi, figli, che non lo sapevamo. Fessi a non accorgerci, per decenni, che c'era una tradizione massonica in casa nostra, l'idea di uno Stato parallelo dietro un'educazione tutta rivolta a trasmettere il senso delle istituzioni, con la parola e con l'esempio, mai un trasferimento rifiutato, anche tre in un anno, mai accolte le sirene che promettevano tanti guadagni in piu' in questa o in quell'industria privata, mai un sacrificio scansato se c'era di mezzo lo Stato da servire. Fosse il banditismo in Sicilia, le indagini difficili, la vita da latitante, la famiglia trascinata in mezzo ai rischi. Tutte balle. L'ha avuta lui, Cossiga, l'ultima parola. Massoni, ha detto. Sulla base di nulla, di non si sa che cosa. Ma l'ha detto, come tante altre volte, ed e' stata la sua l'ultima parola, quella che rimarra' incisa nella mente del giovane che non sa nulla, del figlio di chi (ce ne sono, sai?) non ha voglia di raccontargli la tua vera storia, come quel ragazzo che a scuola fece trovare a tuo nipote Carlo Alberto una scritta accanto al suo nome: "nipote di massone". Ci sono, sai, questi esemplari umani, e d'altronde se non ci fossero forse avresti vissuto piu' a lungo. Massone. * E questo, questo fango la Rai, anzi Rai educational (pensa tu se fosse "diseducational"...), ossia il fior fiore del servizio pubblico, va a offrire come ghiotta anticipazione alla stampa quotidiana della trasmissione in tua memoria. Anzi, questo fango e altro ancora. Gia', perche' Cossiga mica qui si e' fermato. Macche'. Ha pure aggiunto che la lista della P2 aveva una pagina strappata in corrispondenza del tuo nome. Pensa che fessi, che grulli, quelle due toghe rosse e tonte, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, che non si accorsero di quella pagina mancante indagando su Castiglion Fibocchi. Pensa che dilettanti allo sbaraglio, che nulla videro e capirono e te la fecero scampare. E pensa com'e' ridotto questo paese, dove queste cose uno non le dice subito, e nemmeno dopo cinque anni, o mentre c'e' il processo, ma dopo un quarto di secolo, pur essendo stato presidente del Senato e presidente della Repubblica. Il tempo, gli anni passano. Ma il tempo non e' galantuomo come dicevi tu. Quante cose, su di te, sono state raccontate da chi aveva pubbliche funzioni solo dopo tanti anni, come quel maresciallo delle guardie carcerarie che ando' da Santoro in prima serata, accreditato li' come il tuo "braccio destro" e che dopo undici anni che nessuno sapeva chi fosse racconto' cose da non credere, ma che avevano un'efficacia straordinaria nel presentarti (senza contraddittorio, proprio come l'altra sera da Minoli) alla stregua di un mestatore. Cose smentite dal tuo diario, scritto, come si dice, "in velo d'ignoranza", ossia senza sapere che cosa sarebbe successo e che cosa si sarebbe insinuato su di te negli anni a venire. Ma il tuo diario di fronte ai "misteri" non fa fede, neanche se rende incompatibili date, orari e luoghi. Non c'e' nessuno che si faccia molti scrupoli quando ci sei di mezzo tu. Non se ne fecero nemmeno nella Commissione stragi, che invece di occuparsi di Brescia o di Bologna si occupava di te (!), ansiosa di trovare un mistero sempre piu' misterioso nella tua attivita' di nemico delle Brigate rosse. * No, non voglio e nessuno pretende che tu non sia sottoposto a critiche. Tutti sono discutibili, anche gli eroi. Sarebbe bello che pero' su di loro si avesse un po' piu' di pudore a raccontare il falso, a dire cose non provate. E a renderle verita' di fatto. E invece con te si segue esattamente questo procedimento: si parte dalla tesi suggestiva che forse hai compiuto questo o quel misfatto, poi non lo si riesce a dimostrare, e siccome non ci si riesce si finisce con il dire che non si sa, che c'e' un mistero. Che ne dici, generale? L'altra sera, per ricordarti come si deve, hanno anche detto che non e' certo se le carte di Moro sono arrivate integre dalle tue mani a quelle del governo, a cui le portasti personalmente. Si', la solita storia. E dunque te lo chiedo anch'io, stavolta. Lascia perdere la tua etica di soldato e dimmi: te le sei tenute tu le carte di Moro? Ma che volevi farne? Tenerle nascoste al governo a cui dovevi in quel momento tutto il tuo potere e il tuo prestigio? Metterti in condizione di farti licenziare da quel tonto di Andreotti, che non si sarebbe mai accorto (questo pensavi, vero?) delle pagine sottratte? Io che ti ho conosciuto bene non so spiegarmi che senso e che utilita' avesse per te tenertele. E nemmeno come avresti potuto in un'ora decidere che cosa tenerti, visto che quel che e' venuto comunque fuori mica era acqua di rose, sarebbe bastato in un paese civile a far dimettere a vita tre o quattro ministri. * No, non ti hanno trattato male l'altra sera, quanto alla vita privata. Molte immagini tenere. Forse a noi figli sarebbe piaciuto di piu' che, raccontando la tua lettera-testamento, invece di parlare della divisione dei pochi gioielli di mamma, di quella divisione che avevi stabilito pensando anche alla futura nipotina, si parlasse del tuo ultimo desiderio: vogliatevi sempre bene come ve ne volete oggi. Ma sono ubbie da figli, che giustamente possono anche apparire urtanti o sdolcinate o a un estraneo. Forse potevano evitarti quel riferimento alla patta dei pantaloni ancora aperta in prefettura mentre rientravi solo dalla toilette. Bocca, certo, poteva lasciarselo scappare quel dettaglio, ma io, per un martire delle istituzioni forse quell'immagine non l'avrei data in tivu', nemmeno, come si dice in questi casi, per renderlo "piu' umano". * Ho dentro una grande amarezza, generale. L'altro giorno in Commissione antimafia ho dovuto citare quel che avevi detto tu in quella sede, trentacinque anni fa, quando ci andasti con il colonnello Russo con le vostre antidiluviane planimetrie delle famiglie e degli affari (e degli appoggi elettorali) mafiosi. Vuoi sapere che ho fatto? Ho preso i resoconti verbali di allora e li ho letti durante il mio intervento. Ho fatto risuonare li' le tue parole perche' troppa, troppo grande mi sembrava l'offesa di trovare scritto, un terzo di secolo dopo, che la mafia non sposta i voti, che quella che tu indicavi per iscritto al presidente del Consiglio dei ministri dell'82 come "la famiglia politica piu' inquinata del luogo" in realta' non ha avuto troppe responsabilita', nemmeno morali. Ho riletto anche il passo del '70 in cui facevi per la prima volta il nome di Ciancimino. E ho raccontato di quando la Commissione volle "rielaborare" (usarono questo verbo) il rapporto mandato dalla Legione Carabinieri di Palermo, quello in cui parlavi di Lima e di Gioia, che da quella "rielaborazione" vennero fatti sparire. * Ti ho visto e seguito per tanto tempo. Abbiamo anche discusso e litigato e quindi so che hai avuto atteggiamenti discutibili. Ed e' giusto che altri lo dicano, se lo pensano, magari con quel di piu' di pieta' che si dovrebbe in questi casi. Ma una cosa so per certo: le cose false, le insinuazioni gratuite, se fanno trasmissioni su altri martiri della Repubblica non le rimestano. Eppure anche su molti di loro, in vita, sono state dette cattiverie e sono stati propalati dubbi. Con te si fa diversamente. Perche' c'e' chi in fondo non ti amava quando combattevi il terrorismo, e malvolentieri rinuncia del tutto a quel che penso' di te, l'uomo della grande repressione. E c'e' poi chi non ti ha amato quando ti sei messo in testa quella pazza idea di tagliare la testa della piovra. Messi insieme fanno buona parte dell'establishment di oggi, un po' di istituzioni, un po' di professioni, un po' di informazione. Per questo mi chiedo quel che mai ci si vorrebbe chiedere quando si e' nella mia condizione, per questo mi pongo l'interrogativo che raschia nel profondo ogni familiare: se ne sia valsa la pena. Tu risponderesti, come diceva anche Falcone, che il problema non e' mai se ne valga la pena, ma se sia il proprio dovere. Lo so benissimo. Ma io lo stesso mi guardo intorno e per la prima volta provo un senso di sgomento davanti a questa grande, sfumata, gelatinosa e resistente entita' sociale che non ti meritava. * Percio' non scrutare, se puoi, questo paese. Non sentire queste parole che ti consegno sperando che qualcuno te le sappia filtrare con amore. Dormi nel gelo di Parma, tra l'ultimo biglietto di una scolaresca e il fiore appassito di un tuo anziano carabiniere. Riposa in pace, generale. 2. RIFLESSIONE. LUCIANO MINERVA INTERVISTA ANNA NADOTTI [Dal sito www.rainews24.it riprendiamo la seguente intervista (il testo, in quanto trascrizione - non rivista - di una conversazione registrata, presenta talvolta qualche oscurita' e la possibilita' di fraintendimenti: ne tenga conto chi legge). Luciano Minerva e' giornalista televisivo. Su Anna Nadotti dalla medesima fonte, "Rai news 24", riprendiamo anche la seguente scheda: "Anna Nadotti si definisce lettrice, traduttrice e consulente editoriale. Ma queste tre funzioni, o passioni, non bastano a dire chi e'. Nella sua vita e nella sua formazione hanno inciso il cinema, il jazz, la poesia e le arti figurative, soprattutto la pittura, e contribuiscono non poco alla sua attivita' di traduttrice. La sua passione per l'India l'ha portata a scandagliare con attenzione la letteratura contemporanea per proporre agli editori italiani autori e testi. Tra le sue traduzioni, tutte dall'inglese, quelle dei libri di Amitav Ghosh, di Anita Desai, di Satyajit Ray, Nayantara Sahgal e Vikram Chandra. Ha curato la scelta e la traduzione dei racconti di Mahasweta Devi. Sue anche le traduzioni dei testi della scrittrice inglese Antonia S. Byatt, delle introduzioni ai libri della Bibbia della Piccola Biblioteca Einaudi e di alcuni testi per ragazzi. Fa parte della redazione del mensile 'L'Indice' e collabora con il quotidiano 'Il manifesto', la Scuola Holden e l'Aiace di Torino, la Libera Universita' delle Donne di Milano e la rivista letteraria indiana 'Biblio'. Opere di Anna Nadotti: Oltre alle traduzioni Anna Nadotti e' autrice di: "Andate e ritorni dall'India (traduttrice per caso)", in S. Bassi, S. Bertacco, R. Bonicelli (a cura di), In That Village of Open Doors. Le nuove letterature crocevia della cultura moderna, Cafoscarina, Venezia 2002; "Fuori canone. Letterature, cinema, video nell'India contemporanea: una mappa impossibile", in Emanuela Casti e Mario Corona (a cura di), Luoghi e identita'. Geografie e letterature a confronto, Bergamo University Press - Edizioni Sestante, Bergamo 2004; "Sognando Beckham", in AA. VV., Donne sullo schermo, Aiace-Celid, Torino 2003; "Il punto di vista di Jo: uno sguardo sbieco su se stesse e il mondo", in AA. VV., Ragazze e ragazzi nel cinema contemporaneo, Aiace, Torino 2004"] Il nome di Anna Nadotti viene regolarmente associato all'India, anzi alla conoscenza italiana della cultura indiana. Tra le nostre interviste abbiamo ritenuto opportuno dare parola e voce a chi ha un ruolo diverso da quello della scrittrice. Anna Nadotti potrebbe essere forse meglio definita, oltre che come traduttrice, come "mediatrice culturale", ossia una di quelle persone a cui dobbiamo la possibilita' di leggere nella nostra lingua delle opere gia' vagliate e selezionate tra un materiale particolarmente vasto. L'abbiamo incontrata nella sua citta', alla Fiera del Libro di Torino. * - Luciano Minerva: Come e' cominciato questo rapporto con l'India e la scrittura dell'India? - Anna Nadotti: E' cominciato attraverso il cinema, in particolare il cinema di Satyajit Ray, regista che io trovo straordinario. Curiosamente la mia attivita' di traduttrice e' cominciata un po' per caso a meta' della vita; e' cominciata proprio con la traduzione dei racconti di Satyajit Ray che vennero pubblicati da Einaudi e si intitolano la notte dell'indaco, bellissimi racconti tra cinema e narrazione per ragazzi. Da quel momento io ho tradotto alcuni grandi autori indiani, Amitav Ghosh, Anita Desai, piu' recentemente ho curato le edizioni italiane di Mahasweta Devi, e ho scritto molte cose su di loro. L'India e' diventato un luogo dove periodicamente io ritorno anche perche' oltre ad aver bisogno di conoscerla bene, l'India e' quasi inconoscibile per quanto uno ci torni e abbia anche delle buone guide, nel senso che le guide sono per me in primo luogo i miei autori (dico "i miei" tra virgolette perche' ovviamente non mi appartengono), e alcune persone che nel corso degli anni ho incontrato in India a volte per intervistarli. E' stato il caso di alcuni scrittori che allora non erano ancora tradotti in Italia, e di due editrici indiane, due donne che hanno fondato case editrici molto importanti, una a Calcutta, una a Delhi, con cui ci siamo incontrate e nel tempo siamo diventate amiche. Poi ho cominciato ad andare alla Book Fair di Delhi, biennale molto interessante, e si sono intensificate relazioni che stanno tra il lavoro e uno straordinario interesse culturale che non riesco mai ad esaurire. * - Luciano Minerva: Tutto questo pero' senza conoscere le lingue indiane che sono moltissime, quindi attraverso una lingua di mediazione che e' l'inglese. In cosa consiste questo lavoro di doppia mediazione: come si fa intanto a valutare il passaggio dalle lingue indiane all'inglese e poi come si fa a ritradurre e a recuperare parte di quelle cose che si perdono? - Anna Nadotti: Questo e' sicuramente un problema e io a un certo punto avevo deciso di cominciare a studiare non sapevo se il bengali o l'hindi. Qualche parola del bengali la conosco e mi sembra un po' anche di capirlo ma e' una presunzione. Proprio gli editori indiani fanno un gran lavoro di traduzione verso l'inglese di libri, sia saggi, che romanzi, che poesie che loro ritengono importanti, perche' l'inglese in qualche modo e' insieme all'hindi, la lingua unificante, tanto che considerano l'inglese la sedicesima o diciassettesima lingua indiana. Questo mi consente di leggere in inglese molti autori. E poi queste amiche mi consigliano a volte libri che sono in traduzione e mi suggeriscono un'attenzione particolare verso determinati autori o autrici che altrimenti sarebbe difficile raggiungere. Perche' il problema in occidente e' che i grandi autori indiani che qui sono conosciuti hanno degli agenti inglesi o americani. Mentre c'e' il subcontinente indiano, considerando l'India e il Pakistan, che ha una ricchezza di produzione culturale in senso molto lato, letteratura, cinema, poesia, arti visive, di cui qui arrivano molte cose ma non tutte. Anche del cinema adesso si parla di piu', non solo di Bollywood, ma anche del cinema sperimentale: ci sono festival benemeriti come quello di Locarno, o il festival cinema ambiente di Torino, che due anni fa ha fatto un'enorme retrospettiva, ci sono registi e documentaristi molto interessanti. Andando periodicamente ogni 15-18 mesi per un periodo di lavoro in India, riesco a seguire abbastanza quello che succede. Io credo che si debba cercare di mantenere la traduzione dall'inglese all'italiano per quello che e' comunque un suono della lingua e una presenza di parole delle varie lingue perche' sono tante, l'hindi, il punjabi, il tamil, il bengali, il malajalam, che e' la lingua che si parla in Kerala, che e' una lingua dolcissima, mantenere tutte le parole delle lingue indiane che questi autori mantengono nell'inglese e lasciarcele, in modo da creare questa specie di armonia di suoni che spezza l'inglese, lo addolcisce e gli da' una musicalita' diversa. L'inglese e' una lingua straordinaria, ma loro la stanno molto felicemente "meticciando", come si usa dire: ne alterano proprio il meccanismo pause-silenzi, che nelle loro lingue e' molto segnato. Aggiungerei poi, come dice un'autrice che ho tradotto e che secondo me e' una straordinaria pensatrice, che "l'inglese e' una delle nostre lingue", e - pure dispiaciuta di non conoscere bene almeno una delle lingue indiane - penso di non essere troppo irrispettosa. * - Luciano Minerva: L'India e' al centro di una grande attenzione dell'occidente. Una tensione cominciata negli anni '60-'70 e che via via si e' trasformata. Come racconterebbe le trasformazioni di questo interesse per l'India e dell'immagine dell'India che ci torna in occidente? - Anna Nadotti: A parte i movimenti dei giovani che sono andati verso l'India tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, e che Anita Desai ha raccontato con grande ironia nel suo libro Viaggio a Itaca, c'e' stato un interesse crescente verso l'India, che e' diventato un paese di riferimento anche da un punto di vista economico. La cosa che e' cambiata, ma non abbastanza, e' che si e' dismesso, abbandonato l'atteggiamento esotista, sull'India dei colori, dei sapori, degli odori: ma queste cose ci sono in tantissimi luoghi: io torno da Napoli ed e' piena di odori, colori, sapori. E anche il Piemonte non e' da meno. Bisognerebbe invece pensare che e' un mondo diverso, che va conosciuto il piu' possibile dall'interno, e che sono altre lingue, altri linguaggi, altre forme, e noi siamo "altro" rispetto a loro. Perche' il problema dell'occidente in genere e' che noi consideriamo gli altri "altro", ma noi non pensiamo mai che noi siamo "altro" rispetto a loro. Questa posizione mi piace molto e mi sento "altro" con tutta la fragilita' e la limitatezza del mio "essere un altro". Sei come in bilico, precaria. Faccio soltanto un nome, quello di Oni Baba che e' un grandissimo studioso indiano, e Gaia Krispeeva, che e' una teorica della lingua: loro fanno un discorso chiarissimo: bisogna avere uno sguardo possibilmente a trecentosessanta gradi, ma almeno a centottanta, e immaginarsi come persone che ruotano, guardano e sono guardate. Naturalmente questo non vale solo per l'India ma per tutto, per qualunque luogo. Altrimenti il rischio che vedo, anche nel mio lavoro, sia come consulente editoriale sia quando scrivo delle recensioni, e' quello di non immaginarti come una parte, una piccola parte parziale. L'occidente tende a fare questo, lo fa purtroppo anche in termini molto bellicosi a volte, ma anche nella produzione culturale bisogna avere questo senso della propria fragile parzialita' di sguardo, che e' anche di comportamento e di azione. E' una specie di alimento: se uno e' disposto a guardare e a lasciarsi guardare, succede. Certo l'India e' un mondo talmente complesso e articolato che le sollecitazioni e le suggestioni sono infinite. Io considero un privilegio il fatto di poter guardare in parte attraverso gli occhi degli autori e le loro descrizioni. Per esempio sono andata a cercare un certo luogo a Calcutta, dopo averlo descritto in una traduzione. In qualche modo volevo verificare se corrispondeva alla scrittura e mi sono resa conto di averlo immaginato bene. E questo e' un tentativo che faccio ogni volta. Questo nel lavoro di traduzione aiuta moltissimo, perche' la scelta di un aggettivo puo' essere determinante in una frase, magari ci sono sette aggettivi che vanno bene per rendere quell'aggettivo, e la conoscenza diretta ti aiuta nella scelta. * - Luciano Minerva: L'India ha anche un altro rapporto con l'occidente, in modo particolare con l'informatica. Gli informatici indiani sono alla base dei successi della Silicon Valley. Che rapporto c'e' tra la scienza e letteratura indiana? Esiste la stessa separazione che c'e' da noi? - Anna Nadotti: Forse un po' diversa, perche' la tradizione scientifica indiana e' antica e robustissima in campo matematico. Nella citta' di Bangalore c'e' una delle piu' importanti facolta' di ingegneria informatica e la citta' si e' trasformata negli ultimi dieci anni non solo raddoppiando i suoi abitanti ma perche' e' il luogo di produzione di tutto questo personale specializzato, che mantiene un forte rapporto con l'India, perche' studiano li' e magari poi vanno a fare il master o il PhD negli Stati Uniti, in Germania, in Inghilterra, lavorano fuori un po' di anni e poi rientrano. Questo, secondo me, cambia anche l'atmosfera delle citta' perche' e' una immigrazione non definitiva e di ceti medi che poi trasformano le citta' in un certo modo: ad esempio e' una citta' piena di gallerie d'arte. Ed e' una citta' che mantiene un legame forte con quelli che si chiamano "non residents indians", che sono persone che vivono altrove ma mantengono la residenza nel loro paese. Un'altra cosa interessante e' la creazione, nei villaggi di quella zona, di centri di collegamento Internet mobili: ci sono dei piccoli furgoncini che permettono persino al villaggio piu' sperduto di fare delle connessioni, con questa loro straordinaria capacita' di mettersi in collegamento con gli emigrati indiani sparsi dappertutto. E da qualunque parte dell'India ci si puo' collegare senza ricorrere al cellulare, puoi parlare con qualunque luogo del mondo e secondo me questa e' la continuazione del sincretismo indiano, che mescola le lingue, le religioni, le economie. La storia dell'India e' storia di transiti, di spostamenti verso est e verso ovest e viceversa, e all'interno dell'India. C'e' una curiosita' verso gli altri che si materializza anche nel mettersi in connessione con il cavo. Questo sta cambiando delle cose sul piano della stratificazione sociale. Ci sono questi 200-220 milioni di indiani che sono una sorta di middle class. Sono anche quella che viene chiamata Shining India, che secondo me e' soltanto un aspetto dell'India, e questo ad esempio Sonia Gandhi nella sua campagna elettorale l'ha ben chiarito: "saro' il primo ministro di tutta l'India e non soltanto della Shining India", pur riconoscendo a questa parte della popolazione indiana un ruolo importante nella trasformazione economica. Pero' c'e' anche un grande movimento dei ceti medi oltre che della popolazione dei villaggi sulle questioni ambientali e questo mi pare importante perche' e' un segnale di apertura intellettuale e culturale, e un tentativo di mettere insieme la natura e le scienze. E poi c'e' una capacita' narrativa che secondo me e' anche legata alla grandissima tradizione orale e teatrale indiana, per cui non si racconta piu' soltanto il Mahabarata e il Ramayana, ma c'e' una straordinaria capacita' di raccontare, con gli aneddoti, i dettagli, i giochi di parole, e li' secondo me si mettono insieme moltissime cose. Personaggi che hanno a che vedere con la scienza sono molto presenti nella letteratura anche del vecchio Rao e in tanti scrittori anche dell'inizio del secolo scorso. * - Luciano Minerva: Ci sono alcuni scrittori e scrittrici che sono una specie di pendolo tra India e Stati Uniti, come Amitav Ghosh, Anita Desai, Bapsi Sidhwa. Che cosa ci da' questo pendolo come scrittura, e' una scrittura che possiamo chiamare indiana o indiano-americana o come altro? - Anna Nadotti: Loro tendenzialmente si considerano soprattutto dei cittadini del mondo, cosa che vale ormai per molte persone. Sono indiani che piu' o meno a lungo, piu' o meno temporaneamente, a volte per vicende personali, a volte per scelta, si spostano, e nelle loro opere migliori si trova una fortissima componente di conoscenza del loro paese. Pero' la loro scrittura e' davvero un tentativo di trovare dei ponti raccontando storie di due mondi che vengono in contatto. Sono anche dei pensatori dell'oggi. Bapsi Sidhwa vive a Londra, ma va e viene dagli Stati Uniti, mentre Ghosh sta stabilmente a Calcutta quattro mesi all'anno, pur vivendo a New York. L'ultimo suo libro ad esempio e' completamente indiano, si svolge nel golfo del Bengala ed e completamente bengali. Ma questa e' la tendenza di molti scrittori non solo indiani, a mettere insieme i pezzi. Sono profondamente convinta che "all is connect" come diceva Foster e, come dice Antonia S. Byatt - che e' l'altro mio versante, quello elisabettiano -, e' uno dei nostri compiti civili, e anche culturale. * - Luciano Minerva: In questi ultimi anni c'e' invece una lettura italiana dell'India, penso a Terzani, Cederna. Che altro occhio e' quello? - Anna Nadotti: Io posso soltanto dire che per Terzani avevo una venerazione, l'ho incontrato lassu', l'ho sempre incontrato in India, l'ho anche cercato perche' gli volevo chiedere delle cose e ricordo una conversazione straordinarie nella sua casa di Delhi. Terzani secondo me e' stato uno straordinario conoscitore dell'India, dell'Afghanistan, di tutta l'Asia, come ha dimostrato anche il modo in cui si era impegnato anche politicamente, quando gia' era molto malato, con le Lettere contro la guerra. Secondo me ha osservato il resto del mondo con un occhio straordinario. Cederna e' di un'altra generazione e ha forse anche degli altri obiettivi. Credo che oggi dall'Italia guardiamo a questo paese forse con occhio piu' attento e anche piu' disincantato, meno esotico (e questa secondo me era davvero la cosa piu' insopportabile). Da questo punto di vista Terzani e' stato davvero un anticipatore, fin dalle sue corrispondenze dal Vietnam. Secondo me lui non ha mai ceduto alla tentazione di fare colore, ha cercato di fare racconto, memoria, storia, e questo credo sia il nostro compito. Anche come letterata io ritengo che si debba garantire, nel tradurre e nel proporre dei libri, una memoria complessiva, una storia da raccontare. 3. RIFLESSIONE. LUIGIA SORRENTINO INTERVISTA FERNANDA PIVANO [Dal sito www.rainews24.it riprendiamo la seguente intervista di Luigia Sorrentino a Fernanda Pivano. Luigia Sorrentino e' giornalista e scrittrice. Tra le opere di Luigia Sorrentino: C'e' un padre, Manni, 2003. Fernanda Pivano, intellettuale italiana impegnata nei movimenti per i diritti civili, studiosa della cultura americana e personalmente intensamente partecipe delle piu' rilevanti esperienze di impegno civile, artistiche, letterarie e culturali nordamericane novecentesche (e particolarmente di quelle legate alla cultura ed alla militanza democratica e radicale, pacifista ed antirazzista, di opposizione e di contestazione, ed agli stili di vita alternativi). Tra le opere di Fernanda Pivano: oltre a numerose e giustamente celebri traduzioni (tra cui la classica versione dell'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters; la stupenda raccolta di poesie di Allen Ginsberg, Jukebox all'idrogeno; la fondamentale antologia Poesia degli ultimi americani), ha pubblicato tra altri volumi le raccolte di saggi: La balena bianca e altri miti, 1961; America rosso e nera, 1964; Le belle ragazze, 1965; L'altra America negli anni Sessanta, 1971; "Pianeta Fresco", 1967; Beat hippie yippie, 1972, Mostri degli anni Venti, 1976, C'era una volta il beat, 1976, Hemingway, 1985. Sempre dal sito di "Rai news 24" riprendiamo la seguente scheda: "Ferdinanda Pivano e' una figura di rilievo nella scena culturale italiana soprattutto per il suo contributo alla divulgazione della letteratura americana in Italia. Ha iniziato l'attivita' letteraria sotto la guida di Cesare Pavese nel 1943 con la traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters. Da allora ha tradotto molti romanzieri americani (fra gli altri Faulkner, Hemingway, Fitzgerald, Anderson, Gertrude Stein) e a quasi tutte le traduzioni ha preposto lunghi saggi bio-socio-critici. Come talent scout editoriale ha suggerito la pubblicazione degli scrittori contemporanei piu' significativi d'America, da quelli citati degli Anni Venti e a quelli del dissenso nero (come Richard Wright) ai protagonisti del dissenso nonviolento degli anni Sessanta (quali Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, Corso) agli autori ora giovanissimi quali Leavitt, McInerney, Ellis (per il quale ha scritto un lungo saggio che costituisce una breve storia del minimalismo letterario americano). Si e' presto affermata come saggista confermando in Italia un metodo critico basato sulla testimonianza diretta, sulla storia del costume e sull'indagine storico-sociale degli scrittori e dei fenomeni letterari. Opere di Fernanda Pivano: La balena bianca e altri miti, Mondadori, 1961, Il Saggiatore, 1995; America rossa e nera, Vallecchi, 1964; Beat hippie yippie, Arcana, 1972, Bompiani, 2004; Mostri degli anni Venti, Formichiere, 1976, Rizzoli, 1976; C'era una volta un Beat, Arcana 1976, Frassinelli, 2003; L'altra America negli anni Sessanta, Officina- Formichiere, 1971, 1993; Intervista a Bukowski, Sugar, 1982; Biografia di Hemingway, Rusconi, 1985; Cos'e' piu' la virtu', Rusconi, 1986; La mia kasbah, Rusconi, 1988, Marsilio, 1998; La balena bianca e altri miti, Il Saggiatore, 1995; Altri amici, Mondadori, 1996; Amici scrittori, Mondadori, 1996; Hemingway, Rusconi, 1996, Bompiani 2001; Dov'e' piu' la virtu', Marsilio, 1997; Viaggio americano, Bompiani, 1997; Album americano. Dalla generazione perduta agli scrittori della realta' virtuale, Frassinelli, 1997; I miei quadrifogli, Frassinelli, 2000; Dopo Hemingway. Libri, arte ed emozioni d'America, Pironti, 2000; Una favola, Pagine d'arte, 2001; Un po' di emozioni, Fandango, 2002; Mostri degli anni Venti, La Tartaruga, 2002; De Andre' il corsaro, con C. G. Romana e M. Serra, Interlinea, 2002; The beat goes on, Mondadori, 2004"] Fernanda Pivano, nome tutelare della Beat Generation in Italia, ha iniziato la sua attivita' letteraria sotto la guida di Cesare Pavese, nel 1943, con la traduzione dell'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters. Successivamente, ha tradotto molti altri romanzieri americani (Faulkner, Hemingway, Fitzgerald, Anderson, Gertrude Stein...), corredando quasi tutte le sue traduzioni con lunghi saggi critici. Come talent scout editoriale ha suggerito la pubblicazione degli scrittori contemporanei piu' significativi d'America, da quelli citati degli Anni Venti e a quelli del dissenso nero, (come Richard Wright), ai protagonisti del dissenso nonviolento degli anni Sessanta, (quali Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, Corso), agli autori ora giovanissimi quali Leavitt, McInerney, Ellis, (per quest'ultimo ha scritto un lungo saggio che costituisce una breve storia del minimalismo letterario americano). Si e' presto affermata come saggista confermando in Italia un metodo critico basato sulla testimonianza diretta, sulla storia del costume e sull'indagine storico-sociale degli scrittori e dei fenomeni letterari. * - Luigia Sorrentino: All'inizio degli anni '40, in piena epoca fascista, Cesare Pavese le propose la traduzione dell'Antologia di Spoon River. Un libro considerato scandaloso per quei tempi, che divenne, con la pubblicazione, un grande successo editoriale. Che cosa la convinse, in particolare, di quel libro? - Fernanda Pivano: Cesare Pavese mi consegno' l'Antologia di Spoon River subito dopo essere ritornato dal confino dove era stato inviato per attivita' antifascista: sembrava un fantasma. A proposito: non e' vero che gli intellettuali andavano in vacanza al confino [In riferimento e' alla seconda parte dell'intervista che il presidente del governo italiano Silvio Berlusconi concesse alla "Voce di Rimini" e al settimanale inglese "The Spectator", che fu pubblicata l'11 settembre del 2003, in cui Berlusconi affermava: "Mussolini non ha mai ammazzato nessuno. Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino" - nota di L. S.]. Per un anno e mezzo Pavese aveva mangiato solo pane, ringraziando Iddio, quando ce l'aveva il pane! E dal momento che gli avevano tolto anche i diritti civili, quando torno' in Italia non poteva piu' insegnare nelle scuole pubbliche, e allora mi disse: "Perche' non provi a guadagnarti da vivere con questo libro?". Mi sembrava un affare spericolato tradurre Spoon River... gli risposi che non ero capace, ma lui insisteva - come era Pavese, che insisteva sempre - e allora io dissi: "Va bene". Presi in mano il libro, lo aprii a caso, come si fa in questi casi, e la prima poesia che mi capito' sotto gli occhi fu Francis Turner: "Io non potevo ne' correre ne' giocare / quando ero ragazzo. / Quando fui uomo potei solo sorseggiare dalla coppa, / non bere - / perche' la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato. / Eppure giaccio qui / consolato da un segreto che solo Mary conosce: / c'e' un giardino di acacie, /di catalpe, e di pergole dolci di viti - / la' in quel pomeriggio di giugno / al fianco di Mary - / mentre la baciavo con l'anima sulle labbra / l'anima d'improvviso mi fuggi' via". Signori e signore, e' facile dire che sono stata una bella cretina se mi sono innamorata di questa poesia. Puo' darsi che fossi una bella cretina. Bella magari e' vero! Cretina non ne sono sicura... Fu una specie di sfida con la vita: a me piaceva tanto quell'uomo che si fece volar via l'anima per baciare una ragazza. * - Luigia Sorrentino: Fra i poeti della Beat Generation che ha conosciuto e frequentato negli Stati Uniti - William Burroughs, Allan Ginsberg, Jack Kerouac, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso - chi ha amato di piu'? - Fernanda Pivano: Kerouac. Era un grosso genio, ha inventato tutto. Io una volta gli ho detto: "Ma perche' sei cosi' disperato? Che cosa vorresti? Cos'e' che vuoi per non essere piu' cosi' disperato?", "Voglio che Dio mi mostri il suo volto" mi rispose lui. Il mio primo incontro con Kerouac e' stato a San Francisco. Avevano fatto un reading alla galleria Six e c'era questo gruppo di poeti che adesso sembra l'uovo di colombo ma che allora non ci si pensava... c'era Ginsberg, che ha letto per la prima volta l'Urlo. Ed era stato una specie di glorioso trionfo questo Urlo, era l'inizio di una storia che ha cambiato il mondo. * - Luigia Sorrentino: On the Road, di Jack Kerouac. Perche' le era piaciuto tanto? - Fernanda Pivano: Era il libro della liberta'. E i giovani amano la liberta'. Se non ci fosse la liberta' nessuna ragazza nemmeno oggi potrebbe baciare liberamente il proprio fidanzato. Prima questo non si poteva fare. E invece, secondo Kerouac, se avevi voglia di baciare il tuo fidanzato dovevi poterlo baciare. Dopo aver letto On the Road preparai un giudizio editoriale per la Mondadori e per poco non mi licenziarono. Scrissi: "Credo di poter prevedere che questo libro sara' l'annuncio di una nuova generazione". Non era mica male come idea, pero' i nostri consulenti - per carita'... bravissimi, i nostri consulenti! - non ne volevano sapere di pubblicare questo libro. E allora, io continuavo a leggere On the Road. Mio padre mi diceva che io avevo disonorato il nome della famiglia perche' nelle vetrine c'era scritto il mio nome grande grande. Sa, il nome della mia famiglia era un affare grosso. E allora mio padre per punirmi mi disse di mangiare in camera, da sola. Tutti i giorni mi mandava il vassoio con la cameriera perche' non mi era piu' consentito di mangiare a tavola con loro. * - Luigia Sorrentino: Qual era, invece, il suo rapporto con Ernest Hemingway, lo scrittore che piu' ha inciso sulla sua formazione letteraria? - Fernanda Pivano: Nel '44 avevo tradotto Addio alle armi e per questo ero stata in prigione. Lui mi considerava la sua Giovanna d'Arco e io mi consideravo la sua Giovanna d'Arco. * - Luigia Sorrentino: Il suo primo incontro con Hemingway. Come avvenne? - Fernanda Pivano: E' stato molto romantico! Lui era appena arrivato in Italia e mi mando' una cartolina da Cortina. Io ho pensato che fosse uno scherzo. E allora lui mi ha mandato una seconda cartolina dicendomi: "se non vuoi venire tu a salutare me verro' io a salutare te". Io mi trovavo a Torino e allora quando ho capito che era davvero lui che mi scriveva, sono salita sul trenino delle Dolomiti e, dopo un viaggio estenuante, sono arrivata all'albergo Concordia dove alloggiava Hemingway. Mi sono messa sulla porta. Lui era li' in fondo alla sala e a me pareva di sognare... ha capito che ero io perche' ero tutta sporca di fuliggine... Allora si e' alzato dalla tavola - a lui piacevano le tavolate con almeno venti persone, diceva che era cosi' perche' aveva visto tanta gente morire di fame -, e' venuto verso di me con le braccia aperte e mi ha fatto uno hug, lui li chiamava hug questi abbracci senza ritorno, come si diceva una volta. Era tanto carino. Sono stata una gran cretina a non andare a letto con lui. Avrei dovuto andarci, eccome. Io ero una signora vittoriana e le signore vittoriane mica potevano fare l'amore con tutti... * - Luigia Sorrentino: Che ricordi ha di Fabrizio De Andre'? - Fernanda Pivano: La voce di De Andre' sembrava la voce degli dei. Era di una bellezza struggente. Era straordinario. Di Fabrizio ce n'e' stato uno solo nella storia. Ha voluto fare un disco dall'Antologia di Spoon River, ma ha scritto questa canzone - La canzone di Piero - che da sola era piu' bella dell'Antologia di Spoon River... * - Luigia Sorrentino: Quando ha visto per l'ultima volta De Andre'? - Fernanda Pivano: Il giorno prima che lui morisse. * - Luigia Sorrentino: Che cosa le disse? - Fernanda Pivano: Non me lo faccia dire. Lui era davvero un uomo che pensava solo agli altri. Era il contatto con l'aldila'. Gli altri erano Dio. * - Luigia Sorrentino: Anche per lei e' cosi'? - Fernanda Pivano: Be', lui era un anarchico e noi avevamo sempre questo sogno anarchico, perche' anarchia vuol dire liberta'. * - Luigia Sorrentino: Tornerebbe oggi a vivere, come in passato, negli Stati Uniti? - Fernanda Pivano: Nell'America democratica si', in quella totalitaria no. * - Luigia Sorrentino: Cos'e' cambiato da allora? - Fernanda Pivano: Tutti i miei amici stanno andando via da New York, perche' la nostra America non e' piu' quella di una volta. La nostra America era quella dei Roosevelt, quella che si basava sul concetto di democrazia. Oggi vi e' una cosiddetta democrazia, pero' e' una democrazia guerrafondaia, una contraddizione in termini. * - Luigia Sorrentino: Secondo lei, quale sara' il futuro dell'occidente? - Fernanda Pivano: Diventare un buon suddito della Cina. * - Luigia Sorrentino: Qual e' il suo sogno? - Fernanda Pivano: "Voglio che Dio mi mostri il suo volto"... Io dico sempre "quasi forse". Il mio motto e' "quasi forse". 4. LIBRI. AUGUSTO CAVADI PRESENTA "AGLI ESTREMI DELLA FILOSOFIA" DI GIUSEPPE FERRARO E FRANCESCA RIGOTTI [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti:acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questa recensione. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa). Su Remo Bodei dal sito www.emsf.rai.it riprendiamo la seguente scheda: "Remo Bodei e' nato a Cagliari il 3 agosto 1938. Dopo la laurea all'Universita' di Pisa e il diploma di perfezionamento, ottiene borse di studio per le universita' di Tubinga e di Friburgo, dove segue le lezioni di Ernst Bloch e Eugen Fink, e per l'universita' di Heidelberg, dove segue le lezioni di Karl Loewith e di Dieter Henrich. Dal 1969 insegna storia della filosofia alla Scuola normale superiore e, dal 1971, all'Universita' di Pisa. Dopo aver ottenuto una borsa Humboldt presso la Ruhr-Universitaet di Bochum (1977-1979), diviene Visiting Professor presso il King's College di Cambridge, U. K. (1980) e successivamente presso la Ottawa University (1983). Insegna, a piu' riprese, presso la New York University e, recentemente, presso l'universita' di California a Los Angeles (dal 1992). Attualmente ricopre la cattedra di storia della filosofia presso l'Universita' di Pisa e ha insegnato anche presso la Scuola normale superiore della stessa citta'. Gli interessi filosofici di Remo Bodei si sono inizialmente focalizzati sulla filosofia classica tedesca, sull'idealismo, sulla cultura e l'estetica del Goethezeit e del tardo Ottocento; in seguito si sono spostati sul pensiero utopistico dell'Ottocento e del Novecento e sulla filosofia politica contemporanea. Nell'ultima decade le sue indagini si sono estese al mondo greco e romano, ad Agostino e alla storia del concetto di individualita' e di passione. Piu' recentemente ha orientato la sua ricerca sul tema del desiderio, cioe' sulla funzione delle passioni volte al conseguimento di migliori condizioni di vita. Opere di Remo Bodei: Oltre a numerosi articoli (oltre 220: su Pirandello, Gramsci, Weber, Foucault, ecc.), a traduzioni ed edizioni di testi (Hegel, Rosenkranz, Bloch, Rosenzweig, Adorno, Kracauer, Todorov, Blumemberg), Remo Bodei ha pubblicato i seguenti volumi: Sistema ed epoca in Hegel, Bologna, 1975; con F. Cassano, Hegel e Weber. Egemonia e legittimazione, Bari, 1977; Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch, Napoli 1979, 1983 (nuova edizione); Scomposizioni. Forme dell'individuo moderno, Torino, 1987; Holderlin: la filosofia y lo tragico, Madrid, 1990; Ordo amoris. Conflitti terreni e felicita' celeste, Bologna 1991; Geometria delle passioni. Paura, speranza e felicita': filosofia e uso politico, Milano, 1991; Le forme del bello, Bologna, l995; Le prix de la liberte', Paris, l995; Se la storia ha un senso, Bergamo, l997; La filosofia nel Novecento, Roma, l997". Francesca Rigotti (Milano 1951) dopo aver insegnato presso la facolta' di Scienze politiche dell'Universita' di Goettingen, e' attualmente docente di dottrine e istituzioni politiche presso la facolta' di Scienze della comunicazione dell'Universita' di Lugano; ha pubblicato diverse monografie dedicate alla metaforologia filosofico-politica e all'etica; suoi saggi sono comparsi in numerose riviste italiane e straniere; svolge attivita' di consulenza editoriale e di recensione libraria, soprattutto per il quotidiano "Il Sole - 24 Ore". Tra le opere di Francesca Rigotti: L'onore degli onesti, Feltrinelli, Milano; La verita' retorica, Feltrinelli, Milano. Su Giuseppe Ferraro dal sito www.festivaletteratura.it riprendiamo la seguente scheda: "Giuseppe Ferraro e' docente di filosofia presso il dipartimento di filosofia "A. Aliotta" dell'Universita' di Napoli Federico II, e al Philosophisches Seminar della Ludwigs Universitaet di Freiburg in Germania. E' autore di studi di fenomenolgia, leopardiani e nietzscheiani; ha pubblicato tra l'altro La verita' dell'Europa, La filosofia spiegata ai bambini e Filosofia in carcere, di questi ultimi l'uno e' espressione di un'esperienza didattica svolta in un paesino "a rischio" della provincia di Caserta e l'altro di uníesperienza di didattica dei sentimenti tenuto tra i ragazzi del carcere minorile di Nisida. E' attualmente impegnato anche a Roma, specificamente sull'educazione ai sentimenti. Opere di Giuseppe Ferraro: Amore differenza mondo. Un'educazione sentimentale, con Marino Simona, Filema, 1994; Il poeta e la filosofia. Filosofia morale e religione in Giacomo Leopardi, Filema, 1996; La verita' dell'Europa e l'idea di comunita'. La lezione di Edmund Husserl, Filema, 1998; Filosofia in carcere. Incontri con i minori di Nisida, Filema, 2001; La scuola dei sentimenti. Dall'alfabetizzazione delle emozioni all'educazione affettiva, Filema, 2003; Tipologie di lavoro flessibile, Giappichelli, 2004; Il rapporto di lavoro, Giappichelli, 2004; Pellegrino dell'amicizia, Lossografica, 2004; Palpiti del cuore, Accademia Barbanera, 2005; Cristo e' l'altare, Ocd, 2005"] Galeotto fu il premio di filosofia "Viaggio a Siracusa" e chi lo consegno'. Infatti la cerimonia di consegna del premio, nel 2002, da parte del copresidente di giuria Remo Bodei, costitui' l'occasione d'incontro fra Francesca Rigotti (docente all'universita' di Lugano) e Giuseppe Ferraro (docente all'universita' di Napoli). "La donna del lago" e "l'uomo del mare" - come li qualifica scherzosamente Bodei - avvertirono d'essere accomunati dalla convinzione che la filosofia, se proprio non vuole spegnersi per asfissia nei recinti accademici, deve avere il coraggio di abitare spazi inediti, luoghi marginali. Nel 2004, non certo casualmente, vengono invitati a dialogare fra loro nell'ambito del Festivaletteratura di Mantova. Un coraggioso editore della citta' resta affascinato dalla conversazione e decide cosi' di pubblicarla, non senza averla impreziosita con una Introduzione proprio di Remo Bodei, col titolo intrigante Agli estremi della filosofia (Tre Lune Edizioni, Mantova 2005, pp. 59, euro 10). Ma in che senso Francesca e Pino praticano filosofia "estrema"? Proprio nell'accezione etimologia del superlativo di "estero", di "esterno". L'autrice settentrionale de La filosofia in cucina e l'autore meridionale di Filosofia in carcere pensano, e danno da pensare, extra-moenia: fuori dalle mura ancestrali. Lo spiega efficacemente la stessa Rigotti: "Nel caso di Pino, la sua peculiarita' e' quella di aver portato la filosofia in luoghi desueti rispetto a dove la si fa oggi: nelle aule delle scuole e delle universita', e poi pero' - e questa e' una novita' degli ultimi anni - anche nei caffe' e negli studi filosofici, o al Festival di Modena. Pino Ferraro ha portato la filosofia fuori le mura: nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nei luoghi di confine, nei luoghi, appunto, estremi. Perche', come ha scritto in uno dei suoi libri, se 'il sapere della filosofia e' delle questioni ultime, sul senso e sul perche' del mondo, sulla morale, sulla liberta', la guerra e la morte', e' la' che bisogna portare la filosofia, la' dove la vita e' offesa e la liberta' manca. Quanto a me, la mia collocazione agli 'estremi' e' data dall'aver cercato di far filosofia intorno a soggetti non tradizionalmente filosofici. Mi sono soffermata infatti su soggetti minori, negli ultimi tempi, dopo aver scritto libri piu' tradizionalmente accademici e che parlavano di cose importanti e grandi. Ora invece scrivo filosoficamente di fili, fornelli, pentole, brocche, scope e simili" (p. 22). Dislocazioni di questo tipo possono indurre in parecchi equivoci. Nel caso di Ferraro, che la filosofia venga utilizzata come una sorta di terapia povera o di alternativa laica alla vecchia assistenza spirituale dei fraticelli. Ma, leggendo il libretto, si hanno tutti gli elementi per evitare fraintendimenti del genere. "Penso - afferma egli in sede di autopresentazione - che la filosofia sia un bisogno sociale che aspetta ogni volta di diventare un diritto, quello, per ognuno, di chiedersi delle proprie condizioni e dei propri progetti di vita" (p. 59). Coscienza politica, dunque: ma non solo. Consapevolezza epistemologica, anche: "Con quei ragazzi in carcere ricordo che parlavo di cio' che non avevano: della liberta', della fuga, della vita, del tempo. Tutto quanto mancava loro in quel momento. Ma solo di cio' che manca si puo' parlare per capire che non c'e'. A un certo punto ho cominciato a pensare che il filosofo e' chi dice quel che manca in quel che c'e' e, dicendolo, lo fa vedere al modo come si puo' vedere l'invisibile. Dice dell'essere che non e' in quel che c'e', o perche' manca o perche' vi e' nascosto" (p. 34). Nel caso della Rigotti, invece, la cattiva interpretazione della sua rivalutazione filosofica della "casalinghitudine" (come si esprimeva Clara Sereni) potrebbe consistere nell'intenderla come supporto all'ideologia della donna - angelo del focolare, secondo cui (per riprendere le parole dell'allora cardinale Ratzinger) il "genio" della donna starebbe nel suo "ruolo insostituibile in tutti gli aspetti della vita familiare e sociale che coinvolgono le relazioni umane e la cura dell'altro". Ma in proposito la filosofa e' estremamente - per restare nell'ambito terminologico privilegiato dai due autori - chiara: "No, questa non e' la mia lunghezza d'onda. Non credo a geni, essenze, nature e ruoli, sostituibili o 'insostituibili', tanto meno se a spiegarmi il genio della donna e' un uomo. Se parlo della casa e' perche' a me come ad altre donne e' capitato di starci perche' siamo state messe li' per ideologia e storia, non per natura, perche' a noi ci hanno relegate all'interno (secondo il paradigma greco, Odisseo per mare, Penelope a casa a tessere), dentro la casa, per amore o per forza, e stando dentro ho conosciuto l'interno e ho voluto parlare dell'interno, dell'intra, anche se attraverso l'esterno, l'extra, cioe' l'approccio filosofico, arrivando cosi' all'estremo di una filosofia della quotidianita', espressione che e' quasi un ossimoro" (p. 45). Gia', quasi una contraddizione in termini. Perche' se e' vero che la filosofia e' trascendimento, o trasgressione, rispetto ai dati quotidiani, e' anche vero che non si puo' andare oltre una dimensione se non la si e' percepita e attraversata. E' - come suggerisce Bodei a p. 14 - quanto ritengono "grandi filosofi", che "pure si elevano ad altezza stratosferiche", come quel Plotino che ha lasciato scritto: "Andiamo con stupore verso l'inconsueto, mentre avremmo ben ragione di stupirci ancora delle nostre comuni esperienze" (Enneadi, IV, 4, 37). 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1181 del 20 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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