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La nonviolenza e' in cammino. 1165
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1165
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 4 Jan 2006 00:05:45 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1165 del 4 gennaio 2006 Sommario di questo numero: 1. Paolo Predieri: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. La nonviolenza mese dopo mese 3. Il "Cos in rete" di gennaio 4. Il 14 gennaio per la liberta' del vivere e del convivere 5. Alexandra Poolos: Storia di Anna 6. Barbara Spinelli: Se questa e' vera democrazia 7. Donatella Di Cesare: Del tempo 8. Riedizioni: Daniel Defoe, Romanzi 9. Ristampe: Thomas Mann, Romanzi brevi 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. PAOLO PREDIERI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Paolo Predieri (per contatti: paoloanto.pred at lillinet.org) per questo intervento. Paolo Predieri e' musicista, musicologo, amico della nonviolenza tra i piu' noti, una delle figure di riferimento dell'impegno nonviolento in Italia] Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' da tanti anni e' un appuntamento atteso e ritrovato con gioia e gratitudine, mese per mese, anno per anno. Perche' e' il frutto della passione e del lavoro generoso di tanti amici, alcuni conosciuti personalmente, altri solo (ma non e' poco!) per quanto fanno e scrivono. Perche' e' testimonianza e dimostrazione di una storia piccola per certi versi, ma grande per altri, iniziata da persone come Aldo Capitini e Pietro Pinna che hanno raccolto la fiammella della nonviolenza, l'hanno tenuta accesa e viva e l'hanno passata ad altre che oggi continuano a trasmetterla a beneficio di tutte e tutti. 2. STRUMENTI DI LAVORO. LA NONVIOLENZA MESE DOPO MESE "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI GENNAIO [Dall'"Associazione nazionale amici di Aldo Capitini" (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo] Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di gennaio 2006 del C.O.S. in rete, nel sito: www.cosinrete.it Nello spirito del Cos (Centro di orientamento sociale) di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo, tra cui: Premi Aldo Capitini; La prima guerra nonviolenta; I miti della nonviolenza; La donna del soldato; La Chiesa dei poveri; La Chiesa e i ricchi; Ci sono arrivati; Usa e Cina: pericolo mondiale; E a Gandhi perche' no?; La serendipity dei generali; Il potere in Shakespeare; Caino a Roma; Parigi-Milano; Le competenze di pace; Gli scienziati razzisti; Cattolici e Israele; ecc., piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S. in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi a: capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del Cos: http://cos.splinder.com Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in: www.aldocapitini.it 4. APPELLI. IL 14 GENNAIO PER LA LIBERTA' DEL VIVERE E DEL CONVIVERE [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo] Il prossimo quattordici gennaio segnera' una data importante nell'agenda pubblica dell'Italia: sara' una giornata dedicata, come e' stato votato in una assemblea di duemila donne, alla costruzione di un "ponte di liberta'" tra Roma e Milano, ma sara' anche il giorno della convivenza tra soggetti politici affini. Due manifestazioni importanti: una a Milano delle donne che lanciano il loro rifiuto nei confronti delle manipolazioni regressive sulla loro vita e sulla loro sessualita'. Un'altra a Roma dove si svolgera' la manifestazione nazionale per la richiesta dei Pacs, i patti di unione civile, che sono possibili in quasi tutti i paesi europei e occidentali, ma che in Italia trovano l'enorme ostacolo dell'asservimento della politica istituzionale alle gerarchie ecclesiastiche. Lo stesso asservimento che intende rimettere le donne sotto tutela, con la modifica della operativita' dei consultori. Entrambi le manifestazioni appartengono dunque alla nuova frontiera della "politica del vivere" contro la quale si stanno esercitando antichi poteri forti. Per questo occorre reagire in modo nuovo con molta fantasia evitando le vecchie formule della politica istituzionale che spesso si e' dimostrata inadeguata a risolvere la complessita' dei problemi. Per lo stesso motivo il fatto che entrambe le manifestazioni per caso siano state convocate nella stessa data puo' essere considerata una grande opportunita' per costruire una giornata dedicata a quella liberta' del vivere e del convivere che in Italia appare costantemente sotto attacco. La liberta' delle donne nello spazio pubblico e' spesso stata oggetto di aggressione nel corso degli ultimi mesi di questo anno: dalla triste vicenda della "valanga azzurra" contro la rappresentanza femminile nella politica istituzionale, alle pericolose e strumentali iniziative sulla legge 194 e sul diritto di scelta di maternita'. Allo stesso modo il "grande operatore biopolitico", costituito dal clero e dall'associazionismo confessionale, dopo la pseudo-vittoria della legge sulla procreazione assistita, tenta di schiacciare ogni possibile nuova forma di convivenza tra persone, al di fuori della famiglia patriarcale. E' quindi giusto e importante riprendere a manifestare per riappropriarci delle parole politiche che mancano nel dibattito contemporaneo sulla difesa della vita. Da anni infatti il movimento delle donne e quello femminista condividono la difficile battaglia per forme nuove di esistenza e di cura attraverso i Pacs. Adesso l'associazionismo gay, lesbico e trans e il fronte laico hanno la possibilita' di mostrare la loro attenzione alla liberta' delle donne. Insieme possiamo costruire una alternativa politica alla centrifuga mediatica che ci inonda e toglie spessore alla nostra esperienza umana, impedendoci un dialogo approfondito sul salto di civilta' ormai necessario per tutta l'umanita'. Quel ponte tra Milano e Roma e' dunque una dimostrazione di come l'autonoma determinazione delle donne possa incontrare persone altrettanto consapevoli e capaci di nominare il proprio sapere sessuato, quindi cosciente del limite e non universale, per costruire nuove forme di convivenza e un diverso concetto di liberta': quella dell'essere e non dell'avere. Spendiamo dunque il 14 gennaio per un sogno nuovo che esprima tutta la ricchezza del possibile contemporaneo: la giornata della liberta' del vivere e del convivere. * Prime firmatarie: Bianca Pomeranzi, Maria Rosa Cutrufelli, Edda Billi, Lea Melandri, Elettra Deiana, Angela Azzaro, Carla Cotti, Stefania Vulterini, Maria Luisa Boccia, Imma Barbarossa, Lidia Menapace, Elena Del Grosso, Daniela Dioguardi, Titti De Simone. 5. MONDO. ALEXANDRA POOLOS: STORIA DI ANNA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Alexandra Poolos. Alexandra Poolos e' corrispondente di "We News", ha lavorato per Radio Free Europe, il "Wall Street Journal" e "Newsday"; insegna alla facolta' di giornalismo della Columbia University] Anna Politkovskaya era esausta, l'ultima domenica notte di dicembre. Madre di due figli, ed una delle piu' scomode giornaliste del suo paese, e' assai conosciuta per i suoi reportage della guerra in Cecenia. Quella sera era rimasta fuori al freddo, a Mosca, assieme ad altri dimostranti che protestavano per la scomparsa delle liberta' democratiche in Russia. La manifestazione, che cadeva nell'anniversario della battaglia di Mosca durante la seconda guerra mondiale, ha contato migliaia di partecipanti. Politkovskaya, tuttavia, era depressa dalla certezza che la maggior parte dei russi non avrebbero neppure saputo che la dimostrazione aveva avuto luogo. "E' proibito dar copertura giornalistica a tali attivita'. Non abbiamo televisioni indipendenti, solo canali di stato. Abbiamo una radio indipendente, e due giornali, ma assolutamente non sufficienti per un paese grande come il nostro". Ma protestare al gelo per la democrazia non e' nulla di nuovo, per lei, la cui carriera giornalistica e' un esempio di coraggio e tenacia. A causa del suo lavoro per il bisettimanale indipendente "Novaya Gazeta", ha dovuto affrontare intimidazioni, minacce di morte, e persino un tentativo di avvelenamento. * Politkovskaya ha narrato i conflitti in Cecenia stando sul posto, viaggiando in remote e pericolose zone del sud caucasico, per narrare come la guerra devasti le vite dei comuni cittadini. Ha dovuto affrontare soldati russi e ribelli ceceni. Recentemente, a New York, ha ricevuto un premio internazionale per il suo lavoro: il Civil Courage Prize, che onora coloro che lottano contro l'ingiustizia mettendosi a grave rischio personale. Nel 2002 aveva ricevuto il riconoscimento per il coraggio nel giornalismo dall'International Women's Media Foundation. Anna Politkovskaya non crede, pero', che "coraggio" sia la parola giusta per il suo lavoro: "Lo chiamerei piuttosto dovere. Sono sicura di voler fare qualcosa per le altre persone usando il giornalismo, ecco tutto". Anna dice anche che essere una donna giornalista, oggi in Russia, significa vedere le cose in maniera molto differente dall'usuale, soprattutto in materia di guerra. Spesso, racconta, i giornalisti di sesso maschile si lasciano affascinare dal contesto: "Le armi a loro piacciono, gli piace vederle. Ma le giornaliste, ed io fra esse, pensano per tutto il tempo che e' terribile vedere armi e sentire i rumori della guerra, guardarla, avvertirne l'odore". La sua tenacia nel dare copertura alla seconda guerra cecena, che ebbe inizio nel 1999 ed e' tuttora in corso, dice Anna, ha messo fine al suo matrimonio nel medesimo anno. Suo marito ha lasciato la loro casa, dicendo che non poteva piu' sopportare la preoccupazione e la solitudine che gli derivavano dai lunghi viaggi di lei. Ma Anna crede che la fedelta' al proprio essere giornalista e madre non si limiti allo scrivere articoli sulle atrocita' testimoniate: e' stata spesso negoziatrice durante crisi e assedi, e ha lavorato duramente per fornire cibo, alloggio e giustizia a coloro che ne erano stati privati. "Devi scrivere di loro, questo e' certo, ma in secondo luogo devi fare qualcosa di piu'. Se non hanno cibo, se non hanno acqua, devi aiutarli a trovarli". * Anna Politkovskaya e' figlia di due diplomatici dell'Onu, ed e' nata a New York nel 1958. Tutte le scuole le ha pero' frequentate in Unione Sovietica, laureandosi infine in giornalismo alla prestigiosa Universita' di Mosca. Ha lavorato per giornali di stato, ma ha preferito quasi subito la stampa indipendente, dove ha iniziato ad offrire rendiconti non camuffati di cio' che stava accadendo in Cecenia ed e' diventata una dei pochissimi giornalisti che continuano ad occuparsi della regione. Anna racconta che i problemi per una donna giornalista in Russia sono numerosi: parla di costanti discriminazioni e molestie, e dice che e' praticamente impossibile che una donna arrivi a cariche dirigenziali. Di recente, il suo lavoro le e' quasi costato la vita. Lo scorso anno, mentre agiva come negoziatrice durante la crisi della scuola presa in ostaggio a Beslan, qualcuno le ha messo del veleno nella tazza del te'. Sebbene Anna dica che non si puo' essere sicuri al cento per cento che fosse lei il bersaglio, i suoi sospetti cadono sui servizi segreti russi. La situazione, aggiunge, sta per peggiorare grazie al trattamento che il governo di Vladimir Putin infligge alle istituzioni democratiche. Nel mese di dicembre 2005, tanto per fare un esempio, Putin ha presentato un disegno di legge che chiuderebbe tutte le sedi di ong straniere in Russia. Nonostante l'aumento dei rischi, Anna sostiene che si puo' solo andare avanti, con quella che chiama "la teoria russa delle piccole faccende". "In Russia si dice che quando non puoi cambiare l'intero mondo, allora devi fare delle cose piccole che pero' vadano ad aiutare le persone. Il giornalismo russo ha ora la possibilita' di aiutare le persone nella loro vita quotidiana e quando la loro vita quotidiana e' squassata dalla catastrofe. Io ho deciso che e' una bella teoria, e che per me funziona". * Per maggiori informazioni gli articoli sulla Cecenia di Anna Politkovskaya sono raggiungibili alla pagina web: www.tjetjenien.dk/baggrund/politkovskaya.html 6. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: SE QUESTA E' VERA DEMOCRAZIA [Dal quotidiano "La stampa" del 31 dicembre 2005. Barbara Spinelli e' una prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001, 2004; una selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del quotidiano (www.lastampa.it)] Pensare piu' profondamente la democrazia che abitiamo, riflettere su come vogliamo costruirla o modificarla, correggerla o riesumarla, estenderla nel mondo con la forza della legge o la legge della forza: forse e' questo il compito piu' importante che dovremo affrontare nel tempo che abbiamo davanti, a cominciare dall'anno nuovo. Abbiamo sufficiente esperienza per iniziare simili meditazioni, disponiamo di un numero sufficiente di fatti che aiutano a capire. Alle nostre spalle abbiamo ormai quattro anni di guerre, condotte per diffondere nel mondo la democrazia, e quattro anni non sono pochi per chi voglia andare oltre le ideologie, oltre le retoriche, e provare ad abitare uno spazio in cui le parole, almeno approssimativamente, coincidono con la realta'. E' stato giusto rispondere al massacro dell'11 settembre 2001 con una campagna militare intesa a esportare la democrazia in Paesi retti da despoti come Afghanistan e Iraq? E quali sono gli ingredienti esatti, della democrazia che si immagina d'esportare o d'aver gia' esportato? E per concludere: in che modo questi anni di militarizzazione della diplomazia e della politica hanno trasformato le democrazie che abitiamo, e l'idea che ci facciamo di esse? E' da quest'ultimo interrogativo che bisogna a mio parere cominciare, perche' in qualche modo esso comprende tutti gli altri. Molti indizi confermano che le democrazie hanno subito torsioni sostanziali e gravi, a seguito della guerra iniziata nel 2001 contro il terrorismo internazionale. La paura e' divenuta la ragion d'essere del potere, prima negli Stati Uniti poi in altri Paesi occidentali, e il suo uso disinvolto ha fatto cadere una serie di divieti che nella nostra civilta' sono essenziali, tanto da esser stati iscritti in precise convenzioni internazionali all'indomani di due guerre mondiali distruttive: divieto della tortura; divieto di uccidere, torturare o umiliare i prigionieri di guerra; divieto di controllare le esistenze private dei cittadini con la scusa di garantirne la sicurezza; divieto di abolire quel che a ciascun uomo (amico o nemico) e' dovuto da secoli: l'habeas corpus ("il tuo corpo ti appartiene") e cioe' il diritto a comparire davanti a un giudice per conoscere il motivo per cui si e' incriminati. Questi divieti sono i freni che la democrazia pone a se stessa, e l'amministrazione Bush li ha uno dopo l'altro aboliti, consapevolmente scegliendo di non farsi piu' scrupoli. Le convenzioni internazionali sono state ufficialmente denunciate e scavalcate, un'intera cultura basata sulla remora morale e' franata. Ne e' nato un apparente paradosso: ecco un gruppo dirigente che si professa liberale in economia - favorevole allo Stato minimo - ma che in realta' usa la paura e la guerra per rendere illimitato il potere presidenziale. Chi voglia conoscere il dramma aperto nelle coscienze americane dai poteri esorbitanti che Bush ha accumulato in quattro anni di guerra trovera' un dossier impressionante nel sito di Contropagina (www.contropagina.com): e' un vero e proprio Stato parallelo quello edificato dopo l'11 settembre, che controlla le telefonate e la posta elettronica dei cittadini statunitensi senz'alcun permesso giudiziario, che pratica sistematicamente la tortura dei prigionieri, che cattura sospetti di terrorismo in territorio europeo, che affida un gran numero di sospetti a Stati dove i diritti dell'uomo sono ignorati e gli interrogatori dei detenuti piu' cruenti. Stati che Washington mostra di prediligere, nonostante la retorica su liberta' e democrazia, e che nei fatti vengono incoraggiati a perseverare nel male. * Si dira' che quattro anni non bastano a smantellare democrazie e culture formatesi lungo secoli. La storia purtroppo dimostra che non e' vero: basta un nonnulla, per scivolare dalla civilta' nella barbarie. Un minuto prima che la Germania precipitasse nell'orrore di Hitler, veniva chiamata nazione di poeti e pensatori. Si dira' anche che il comandante in capo d'un paese in guerra ha il diritto di prendersi poteri eccezionali, come sostengono i magistrati David Rivkin e Lee Casey sul "New York Times". Ma di questa guerra non conosciamo ancora l'autentico obiettivo e di conseguenza neppure la conclusione: in una guerra senza fine, anche i diritti accampati dal potere esecutivo Usa, in patria e nel mondo, sono senza fine. Anche supponendo che l'obiettivo sia l'estensione della democrazia in Medio Oriente e Golfo Persico: di che democrazia parliamo, precisamente? Non rischiamo di screditarla radicalmente, nel momento in cui in casa le democrazie "si tolgono i guanti" (cosi' si espresse all'inizio del 2002 Cofer Black, ex direttore dell'unita' antiterrorismo nella Cia) e fuori casa - in paesi come l'Iraq - il progresso viene misurato dai numeri di elettori che vanno alle urne e di poliziotti indigeni addestrati dagli Usa? Non e' distorta e ridotta, una democrazia che si dice vittoriosa basandosi su questi soli ingredienti? Anche chi appoggio' la guerra, come Thomas Friedman, oggi dubita. Ancora non sappiamo - scrive - come e cosa hanno votato 11 milioni di iracheni, in dicembre: se per la separatezza e i privilegi della propria etnia o per una democrazia irachena. E' dai tempi degli accordi di Dayton sui Balcani, nel 1995, che non sappiamo piu' bene se democrazia sia un equilibrio di poteri che protegge i cittadini, o un potere spartito fra etnie e clan. Nel medio-lungo periodo puo' darsi che questi nodi saranno sciolti e che si vada davvero verso esperienze democratiche piu' diffuse. Ma nel breve termine (e per breve termine intendiamo gli anni che abbiamo alle spalle) son probabilmente piu' numerosi i fattori negativi dei positivi. Il potere delle democrazie che Washington vuole incarnare esce stremato dalla prova, e la sua forza e' vista al tempo stesso come minacciosa e impotente. Alcuni progressi son visibili in Iraq, Libano, Palestina, ma ancor piu' pesante e' la regressione in Iran, in Egitto dove si rafforzano i Fratelli Musulmani, in Palestina dove a gennaio la vittoria potrebbe andare ai fondamentalisti di Hamas, in Pakistan dove sembra che Musharraf, per paura degli islamisti, impedisca agli Usa d'arrestare Bin Laden. Oltre la guerra in Iraq l'America non puo' andare, la guerra stessa e' giudicata perdente, ed e' questa convinzione che ha spinto il presidente iraniano Ahmadinejad a dire impunemente quel che ha detto sulla distruzione d'Israele e sull'Olocausto inventato. Far cadere i nostri divieti esorta tutti i dittatori a fare lo stesso ed e' un'incitazione a delinquere, per i regimi che vorremmo moderare: anch'essi, se lo fa l'America, possono lasciar cadere ogni sorta di tabu' e insediarsi comodamente nella barbarie. * C'e' infine da chiedersi se la battaglia per diffondere la democrazia abbia rafforzato la sicurezza economica degli occidentali, e anche qui la risposta e' difficilmente positiva. Lanciare una guerra per dare una diversa stabilita' alla zona da cui viene gran parte del nostro petrolio ha reso ancor piu' fragili le sicurezze di ieri, e questo in un momento in cui i prezzi dell'energia salgono. Non solo: esser capaci di una guerra lunga e costosa per il petrolio ha dimostrato non la nostra autonomia, ma la nostra totale dipendenza dal greggio esterno. L'Iran sa che con il suo petrolio puo' ricattare l'Europa e tessere strettissimi rapporti con India e Cina, le due potenze in ascesa. La Russia sa le stesse cose, e la seduzione-corruzione di Schroeder e' tipica dei tempi che viviamo: per il petrolio siamo disposti a ogni cosa, bellicosa o compromissoria che sia. * Un ulteriore veleno della democrazia e' la menzogna, dentro la quale da anni viviamo ormai stabilmente: menzogne sulle armi e sul terrorismo sostenuto da Saddam, menzogne recentissime sulle torture e le intercettazioni illegali americane, che Bush nega perentoriamente di far praticare. Ulisse, nel Filottete di Sofocle, insegna a Neottolemo l'arte della menzogna: con essa si coprira' certo di vergogna, ma in cambio otterra' vittorie gloriose e in futuro tornera' l'ora in cui si potra' ricominciare a vivere secondo verita', nell'onore e nel pudore. Tutte le dittature ideologiche, tutti i messianesimi politici hanno teorizzato questo fine che giustifica i mezzi, questa preminenza dell'ideologia e delle parole sulla realta' e i fatti. Dice Odisseo: "Ormai, fatta l'esperienza, vedo bene che fra i mortali proprio la lingua, non certo le opere, e' alla guida di tutto". Ormai, fatta l'esperienza di quattro anni di guerre per la democrazia, sappiamo che le opere e i fatti possono crudelmente vendicarsi sulle retoriche, rendendo dubbi non solo i mezzi ma anche i fini che a parole vengono proposti. Non si puo' diffondere in questi modi la democrazia, senza che essa perda significato fuori e dentro le mura. Bush come comandante in capo ha forse diritto a poteri esorbitanti in casa sua, ma con questi poteri ottiene e dissuade in realta' sempre di meno. Per il momento sappiamo che si serve della guerra per gonfiare il proprio potere e del proprio potere per fare guerre, circolarmente avvitato su se stesso. E' sperabile che il circolo vizioso s'interrompa, nell'anno che viene. 7. RIFLESSIONE. DONATELLA DI CESARE: DEL TEMPO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 dicembre 2005. Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea; dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario. Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta' di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa' italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi, della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti volumi: Ermeneutica della finitezza, Guerini, Milano 2005; Wilhelm von Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999; Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma 1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo, Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova 2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari 1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache, hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB, 1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen 1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993; Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano 1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990"] Un anno e' finito, si e' concluso. Uno sguardo gettato al calendario, quello tascabile, quello del computer o quello che abbiamo interiorizzato nostro malgrado, ci presenta con spietatezza gli impegni cui non siamo riusciti a far fronte, le scadenze non rispettate, le occasioni mancate. Qualche data puo' essere rinviata all'anno appena cominciato. E il nuovo calendario comincia a infittirsi. Siamo gia' sempre in ritardo. Il tempo manca, e' consumato prima ancora che ci venga dato, inghiottito nella frammentazione programmata di mesi, settimane e giorni, annientato nelle linee sottili di una misurazione sempre piu' precisa in cui sembra non restare nessun margine di gioco. * L'accelerazione non e' un rimedio L'asfissia temporale, si sa, e' uno dei nostri mali. Non e' un male individuale, per quanto possa colpire alcuni piu' di altri. E tanto meno e' un male solo esistenziale. L'impressione vaga e generica della scarsita' di tempo si e' andata definendo in questi ultimi anni nella certezza di una sottrazione. Il tempo ci manca perche' non siamo noi a disporne liberamente. Da quando la modernita' occidentale, insieme alle altre risorse della produttivita', gestisce anche il tempo all'insegna della razionalita' tecnica, si fa piu' chiaro il nesso su cui ha attirato l'attenzione Walter Benjamin negli aforismi degli anni '20 intitolati Strada a senso unico: il nesso tra tempo e potere, mediato ovviamente dal denaro. Ha potere chi dispone di tempo, di quello proprio e di quello altrui. Industriali e magnati della finanza si spacciano come padroni del tempo, quelli che battono e scandiscono il ritmo sempre piu' accelerato. Tuttavia, alla vorticosa economia di tempo non sfugge nessuno, neppure quelli che si definiscono come manager, che pretendono - come indica il verbo inglese "to manage" - di dirigere, gestire, amministrare il tempo, di maneggiarlo, manovrarlo, domarlo. Implode qui finalmente l'analogia fra tempo e denaro. Il tempo non e' denaro. Se il denaro perduto puo' essere recuperato, non c'e' banca che dia in prestito il tempo. E l'accelerazione non e' un rimedio. Piu' che mai viene alla luce - come sottolinea Lothar Baier nel libro Non c'e' tempo! - il paradosso dell'accelerazione destinata a non raggiungere mai la propria meta: ogni guadagno di tempo richiede un nuovo investimento, aumenta il bisogno di tempo. Lo mostra ogni innovazione del computer dove si riflette perfettamente la logica, molto illogica, di un risparmio che finisce per dissipare il tempo. Pensata come un mezzo per battere il tempo, e per guidare la storia, l'accelerazione, complice dell'economia e della tecnica, si rivela fine a se stessa, una forza che non si lascia piu' manovrare. "Era come se non fosse stato un obiettivo qualsiasi a imporre la fretta del mondo, ma la fretta stessa fosse lo scopo" - scrive Karl Kraus nel 1909 in un saggio per la rivista "La fiaccola". E paragona il progresso a un portiere d'albergo andato in pensione: "i piedi erano di gran lunga piu' avanti, di certo la testa rimase indietro e il cuore si indeboli'". Quasi cento anni dopo, nel pamphlet L'incidente del futuro, il filosofo Paul Virilio sintetizza l'ideale illuministico del progresso totalitario: "Progredire corrisponderebbe ad Accelerare!". Dopo il secolo dei Lumi ci sarebbe il secolo della velocita' della luce e infine il nostro: quello della luce della velocita'. Qui l'accelerazione non si proietta piu' verso l'utopia, ma corre verso la "ucronia" del tempo umano. Travolti e sopraffatti dalla velocita' e dal suo progresso, di cui tuttavia godiamo, abbiamo la sensazione di non poter sostenere il ritmo e di finire per essere tagliati fuori. Inevitabilmente consideriamo con ostilita' il tempo, il nemico contro cui lottiamo quotidianamente. * Nell'era della flessibilita' Nell'ultimo giorno dell'anno, guardando impotenti le lancette dell'orologio che segnano le ore mancanti alla fine, cerchiamo con petardi e spumante di esorcizzare il mostro che da sempre ci angustia e ci opprime. Abbiamo paura del tempo e del suo potere; ci illudiamo di poterlo prima o poi sconfiggere. Sogniamo la atemporalita'. Ci sentiamo a nostro agio nell'atmosfera atemporale prodotta dal 24-hours-banking, dalla nuova civilta' delle ventiquattro ore, dove tutto e' sempre aperto e disponile, nulla si chiude e si conclude. Cosi' crediamo di vivere gia' nell'era della flessibilita' assoluta in accordo con il tempo universale. Las Vegas, nuova Mecca dell'occidente, e' il tempio di questa atemporalita' venduta in centri commerciali e casino' sui cui soffitti vengono proiettati artificialmente cieli mattutini o cieli notturni. L'obiettivo e' la perdita del senso del tempo che per alcuni produce disorientamento, per altri diventa una specie di cocaina. Ma non occorre andare fino a Las Vegas per godere dell'annullamento delle differenze temporali e per essere sollevati dal peso del rapporto con il tempo. Ovunque e' in atto un processo di sincronizzazione. E in molti casi e' evidentemente intenzionale. * All'ombra del calendario Al dono dell'ubiquita' il canale televisivo Cnn cerca di aggiungere quello dell'onnipresenza, bandendo fra l'altro dai suoi studi tutti gli orologi. Il fenomeno e' quello che il ricercatore americano James T. Fraser ha chiamato "ingrigimento del calendario". Sognando la atemporalita' ci consoliamo vivendo nell'ombra di un calendario che diventa sempre piu' grigio perche' si cancellano i limiti tra le ore, i giorni, le settimane, i mesi, le stagioni. La risposta al grigio di questo presente che domina con prepotenza sugli altri tempi, sul passato e sul futuro, si traduce in depressione. "Le forme del tempo ti si confondono, confluiscono l'una nell'altra, e quella che ti si svela come vera forma dell'essere e' un presente senza dimensioni" - cosi' Thomas Mann descrive la "malattia del tempo" nel suo romanzo La montagna incantata. "Malattia" del nostro tempo che non tollera il tempo, "malattia" che colpisce l'esperienza vissuta del tempo. Questo la distingue dalla "malinconia" o dalla "tristezza opprimente" che i tedeschi chiamavano e chiamano Schwermut. La depressione e' la "fatica di essere se'" - come suggerisce il titolo del famoso studio di Alain Ehrenberg. Chi e' depresso sembra non avere passato e non avere futuro; e' immerso in un presente da cui non riesce a liberarsi, tanto meno per formulare progetti. E il progetto - come ha insegnato Heidegger - e' la chiave dell'esistenza. Esistere e' progettarsi, proiettarsi oltre se'. Se il depresso non lo fa, non puo' farlo, se resta intorpidito nel suo andamento rallentato, e' perche' risponde al ritmo imperativo dell'accelerazione che fa mutare continuamente tutto sotto i suoi occhi, e' perche', seppure inconsapevolmente, con piu' sensibilita' degli altri, protesta contro questo ingrigimento sconcertante del tempo. Da quando il film della realta' esterna scorre ben piu' veloce dei nostri dialoghi, la depressione dilaga e, dato che quel film non e' molto piu' di un film, una finzione che pretende di essere una costrizione alla realta', la sofferenza aumenta in ragione della sua inutilita'. La "decelerazione" non e' certo un'alternativa. Chi la sostiene, come il critico letterario tedesco Sten Nadolny, non ne vede l'ambiguita'. Di fronte al ritmo incalzante la lentezza sembra la difesa piu' comoda e tranquillizzante; ma e' anche vero che lascia tutto cosi' com'e', che non cambia quella discordanza tra agire e comprendere che ciascuno sperimenta ogni giorno. La lentezza conserva. A ben guardare non e' che l'altra faccia della velocita': un modo di controllare il tempo. E a nulla servono neppure i piccoli boicottaggi o le rivolte private, di solito pagate a caro prezzo - come quella dell'agente di borsa che, allontanatosi un attimo per mangiare un taco in un bar, perde parecchie migliaia di dollari. D'altronde dobbiamo ammettere che poiche' non siamo quasi piu' abituati ad avere tempo quando ce l'abbiamo lo dissipiamo, cosi' come consumiamo le merci. "Terrorizzati dall'horror vacui - osserva Guenther Anders ne L'uomo e' antiquato - ci sentiamo obbligati a frazionare questo vacuum in un gran numero di attivita' che richiedono tempo, ovvero a saturare il vuoto con attivita' divoratrici di tempo". Ci sostengono in questa dissipazione nuovi siti web e nuovi canali - anche se ovviamente ne usciamo piu' informati. Ma quale forma ha assunto la nostra lotta contro il tempo nell'eta' della mondializzazione dove tutto si svolge secondo un ritmo e un battito sconosciuti forse in altre epoche? I risultati di questo processo accelerato sono gia' sotto i nostri occhi: la devastazione programmata della terra, la manipolazione politica e micropolitica del modo di pensare e di quello di vivere, lo smarrimento nell'ebbrezza tecnologica. * Nel regno della memoria illimitata Certo l'eta' della mondializzazione appare votata all'illimitato. In un mondo concentrato ed accentrato da una interdipendenza terrestre e da una universalita' cosmologica, l'illimitato spaziale e temporale sembra l'aspirazione ultima. Se la parte piu' lontana del mondo e' gia' quasi qui, fosse pure attraverso uno schermo, se il presente e' recepito e memorizzato, in una memoria illimitata, come passato di quel che e' gia' futuro, il sogno dell'onnipresenza, dell'onniscienza, dell'onnipotenza sembra a un passo. Piuttosto che dubitarne, avanziamo riserve nei confronti di quei limiti che restano ancora e che diventano tanto piu' insopportabili, tanto piu' incomprensibili. L'illusione dell'illimitato aumenta la delusione per il limite. La tecnica stessa - minaccia e chance insieme - dislocando e differendo da un limite all'altro, non fa che moltiplicare le zone d'urto. Presi in questo vortice, destinati all'illimitato, non possiamo piu' accettare di essere noi stessi un limite. L'incongruenza fra il tempo della nostra vita e il tempo del mondo ci sembra assurda. Davvero la nostra vita non sara' alla fine che un episodio nella vita del mondo? Non a caso Adolf Hitler, mai preoccupato per il futuro del suo regime, fu invece ossessionato dall'idea di far coincidere la durata della sua esistenza con la storia del mondo. "La sua unica esistenza - commenta Hans Blumenberg - pretendeva di essere qualcosa dopo la quale non avrebbe dovuto esserci null'altro". Questa pretesa narcisistica caratterizza, anche se tacitamente, la nuova prospettiva temporale che si impone nella seconda meta' del '900. Ma gia' nel saggio Malinconia di sinistra del 1930 Benjamin descriveva i nuovi idolatri di se', "agenti senza figli, venuti su dal nulla, che a differenza dei magnati della finanza non prendevano disposizioni per decenni e per la loro famiglia, ma solo per se stessi, e per un periodo di tempo che superava a malapena la stagione". E' forse questo allora il nostro male: non poter piu' oltrepassare l'orizzonte temporale in direzione del passato o del futuro, non poter pensare se non la propria vita individuale, e solo per una stagione, non riuscire piu' a immaginare qualcosa in comune con gli altri. * Questione di alta velocita' La politica non fa che riflettere questa economia del tempo. Il treno e' stato ed e' metafora del rapporto tra programma e velocita'. La costruzione di una ferrovia, e non l'apertura di un nuovo spazio aereo, ha fatto esplodere la protesta e sollevato la questione della "alta velocita'". Le prime ferrovie hanno rappresentato la transizione verso una nuova epoca: le rotaie superavano non solo fiumi e gole, ma anche l'abisso del tempo, e aprivano una via ben tracciata al progresso. L'immagine del "treno della storia", che avanza portando con se' le masse degli sfruttati e degli oppressi si e' profondamente radicata. Nonostante i dubbi su quel progresso, la locomotiva resta per noi tutti il simbolo della rivoluzione. Ma il simbolo e la rivoluzione dovrebbero essere reinterpretati. "Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse non e' cosi'. Forse le rivoluzioni sono il freno d'emergenza azionato dal genere umano in viaggio" - cosi' scrive Benjamin nel 1940. Oggi nel treno ad alta velocita' il freno d'emergenza non c'e' piu' e il suo posto e' stato preso dal sensore ottico dell'apertura automatica delle porte. Ma vale piu' che mai l'indicazione di Benjamin e quel gesto rivoluzionario di azionare il freno - al momento giusto, nella "Jetztzeit". La rivoluzione e' una fenditura nella storia, e' una interruzione nella continuita' del destino truccato da progresso, e' l'istante in cui il tempo si arresta e si apre un varco messianico. I colpi di stato hanno a che fare con il controllo del tempo - "un ultimo sguardo all'orologio... e il Cile fu irriconoscibile", ricorda lo storico Wolfgang Pohrt. All'opposto, le rivoluzioni riuscite irrompono al momento giusto e interrompono il tempo - nel 1830 a Parigi i rivoluzionari sparavano contro gli orologi delle torri. In una societa' che vive e costringe a vivere secondo il motto "il tempo e' denaro' e' sempre piu' ridotto lo spazio per il momento giusto. E il senso del tempo, che dovrebbe riconoscerlo, si esercita solo nella verifica ossessiva delle ore e dei minuti che passano. La nostra quotidiana esperienza del tempo e' quella del tempo di cui disponiamo, che abbiamo o crediamo di avere, e' quella del tempo vuoto che puo' essere colmato dall'affaccendamento o restare svuotato nella noia. Cosi' finiamo per dimenticare che questo tempo puo' essere interrotto da cio' che viene a suo tempo e scandisce un altro tempo che non si lascia calcolare ne' riempire. E' il tempo pieno che ferma il tempo del calcolo, che invita a indugiare, a intrattenersi, a partecipare, e' il tempo della festa che c'e' quando e' celebrata, e' la celebrazione stessa del tempo. Il che e' possibile solo quando si raccoglie una comunita', e la comunita' e' tale grazie alla festa - in un presente dove ricorre il passato e che resta aperto al varco di cio' che e' a venire. * L'agire inoperoso Al suo libro La comunita' che viene Giorgio Agamben ha aggiunto una postilla intitolata Tiqqun de la noche. La parola ebraica tiqqun significa riparazione, redenzione, e costituisce "cio' che e' in questione nel libro". Non e' il risultato di un'opera, ma al contrario l'inoperosita' e la de-creazione dello Shabbat, del sabato. Questa inoperosita', che non e' inerzia, ma un modo di agire dove e' importante il come e non il che, e' indicato come il paradigma della politica che viene e che si scandisce con un altro tempo, quello di una "specie particolare di vacanza sabbatica". * Scheda. Da leggere senza fretta Per un quadro sociologico complessivo sulla questione del tempo nel mondo contemporaneo si puo' leggere il volume di Lothar Baier, Non c'e' tempo! Diciotto tesi sull'accelerazione, Bollati Boringhieri, Torino 2004, che tuttavia e' deludente sotto il profilo filosofico. Resta invece un punto di riferimento indispensabile Walter Benjamin, in particolare con i seguenti saggi: Strada a senso unico, in Opere complete, a cura di E. Ganni, vol. 2, Scritti 1930-1931, Einaudi, Torino 2001; Malinconia di sinistra, in Opere complete cit., vol. 4. Scritti 1930-1931 cit.; Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997. Riscoperto solo da alcuni anni e' il filosofo Guenther Anders del quale vale la pena segnalare almeno L'uomo e' antiquato, vol. 2, Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2003. Poco tradotto in italiano e' purtroppo Karl Kraus. Affrontano temi strettamente connessi con la questione del tempo Giorgio Agamben, La comunita' che viene, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Alain Ehrenberg, La fatica di essere se stessi. Depressione e societa', Einaudi, Torino 1999; Paul Virilio, L'incidente del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002. 8. RIEDIZIONI. DANIEL DEFOE: ROMANZI Daniel Defoe, Romanzi, Gruppo editoriale L'Espresso, Milano 2005, pp. XXII + 1034, euro 12,90. Il volume contiene (riprendendo le traduzioni italiane edite da Garzanti) Robinson Crusoe, Moll Flanders e Lady Roxana. Lo sappiamo: e' un manigoldo, un voltagabbana, una spia, un razzista, una personaccia con cui non accetteremmo di condividere la stanza in una locanda. Ma bastano due paginette di colloquio tra Lady Roxana e il mercante olandese per rivelare sulla famiglia come struttura di dominio patriarcale cose che solo Casa di bambola e il femminismo, molti, molti anni dopo, sapranno dire di nuovo e meglio; e il decorso della vita di Moll Flanders e', al pari del diderotiano Nipote di Rameau o della Comedie humaine balzacchiana, uno dei capolavori dell'analisi sociologica del modo di produzione e dei rapporti di potere e di proprieta' - scilicet: delle relazioni sociali, dei rapporti di classe - cui noi stessi ancora siamo aggiogati; e sul colonialismo, il razzismo, lo schiavismo e l'autismo imperialista dell'occidente Robinson Crusoe ci dice molto di piu' di tutta la pubblicistica corrente del cosiddetto movimento altermondialista. Lo sappiamo: e' un manigoldo, un voltagabbana, una spia, un razzista, una personaccia con cui non accetteremmo di condividere la stanza in una locanda. Ma s'impara di piu' dalle sue arruffate pagine che dai paludati professori di tutte le professure che ancor oggi dalla cattedra e dallo scranno, dal seggio e dal palco, dalle pagine odorose di petrolio e dallo schermo luminoso di allucinazioni, pretendono parlarci della vita e della liberta', e sono sovente i complici primi degli aguzzini nostri e di tutti. Va da se', ma giova ripeterlo, che Defoe (o De Foe, a preferenza: il De al cognome paterno Foe se lo aggiunse da se', come ognun sa) in italiano merita di essere letto anche nella bella edizione in tre volumi a cura di Carlo Izzo per Sansoni, Firenze 1958 e successive ristampe, che raccoglie pressoche' tutta l'opera narrativa, una scelta limitata ma significativa della varia pubblicistica, e un assaggio dell'epistolario. 9. RISTAMPE. THOMAS MANN: ROMANZI BREVI Thomas Mann, Romanzi brevi, Mondadori, Milano 1977, 2005, diffuso in suppl. a vari periodici Mondadori, pp. LVI + 774, euro 12,90. A cura di Roberto Fertonani, alcuni dei capolavori di Mann: Tristano, Tonio Kroeger, La morte a Venezia, Cane e padrone, Disordine e dolore precoce, Mario e il mago, Le teste scambiate, La legge, L'inganno; tra i prestigiosi traduttori ci piace segnalare in particolare il nome augusto di Lavinia Mazzucchetti. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1165 del 4 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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