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La nonviolenza e' in cammino. 1164
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1164
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 3 Jan 2006 00:13:02 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1164 del 3 gennaio 2006 Sommario di questo numero: 1. Nanni Salio: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. Specchio e utensile 3. "Addio alle armi". Un appello 4. Vittorio Arrigoni: Sette giorni 5. Luisa Morgantini: Da Gaza 6. Giampaolo Calchi Novati: Colonialismo ex post 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. NANNI SALIO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: info at cssr-pas.org) per questo intervento. Giovanni (Nanni) Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore nella facolta' di Fisica dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della cultura nonviolenta in Italia; e' il fondatore e presidente del Centro studi "Domenico Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed emeroteca specializzate su pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824 - 011549005, fax: 0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, sito: www.cssr-pas.org). Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione riveduta, Perugia 1983; Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago, Scienza e guerra: i fisici contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Ipri (introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la pace, vol. I. Le ragioni e il futuro, vol. II. Gli attori principali, vol. III. Una prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991; con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G. Martignetti, S. Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001] Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... c'e' bisogno di continuita', che questa rivista ci offre da oltre quarant'anni c'e' bisogno di unita' nel variegato arcipelago del movimento per la pace c'e' bisogno di fiducia e produzione di senso per la nostra esistenza c'e' bisogno di coinvolgere i giovani con messaggi chiari e semplici c'e' bisogno di dialogo, studio, ricerca e autoformazione c'e' bisogno di armonia, speranza, ironia, bellezza c'e' bisogno di amore, tenerezza, dolcezza, leggerezza c'e' bisogno di amicizia, solidarieta', forza interiore c'e' bisogno di coltivare consapevolezza, compassionevolezza, compresenza c'e' bisogno di nonviolenza attiva e tutto questo lo trovi in "Azione nonviolenta" ... grazie all'impegno costante di Mao, Angela, Paolo, Flavia, Sergio, Maria, Massimiliano, Daniele, e di tutti noi che collaboriamo e li sosteniamo. 2. STRUMENTI DI LAVORO. SPECCHIO E UTENSILE "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. DOCUMENTI. "ADDIO ALLE ARMI". UN APPELLO [Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo il seguente appello "Addio alle armi. L'Italia ripudi la guerra e la pace entri in parlamento" promosso dalla Casa per la pace di Milano e dal nodo di Milano della rete Lilliput. L'appello e' disponibile anche nel sito www.retelilliput.org] Mancano pochi mesi alle elezioni politiche dell'aprile 2006 e crediamo sia fondamentale richiamare l'attenzione di elettori e candidati su una politica di ripudio della guerra e costruzione della pace. L'iniziativa "Addio alle armi" si propone come punto di partenza per dare inizio a un percorso che auspichiamo non si concluda alla fine della campagna elettorale. Il nostro tentativo vuole essere quello di valorizzare e rilanciare alcuni temi e proposte gia' presenti nelle esperienze e nelle campagne del movimento pacifista al fine di promuovere una comunicazione e una collaborazione costanti tra tutti coloro (cittadini, persone impegnate nei movimenti e nelle associazioni, parlamentari, ecc.) che ritengono necessario sviluppare una politica per la pace. L'appello che segue comprende dieci proposte che riteniamo importanti anche se non esauriscono tutti i problemi da affrontare e tutte le strategie che si dovrebbero mettere in atto. Siamo consapevoli di questo limite e per questo abbiamo previsto di raccogliere sul sito, che attiveremo in gennaio, anche altre proposte che saranno visibili a tutti gli elettori e candidati. Chiediamo a tutti i gruppi, associazioni, reti del movimento pacifista di diventare co-promotori dell'iniziativa inviando, entro il 15 gennaio, una mail al seguente indirizzo: addioallearmi at lilliputmilano.org (specificare nell'oggetto: "adesione"). I nominativi dei co-promotori compariranno sul sito che sara' creato nel mese di gennaio. Casa per la pace di Milano Nodo Lilliput Milano * Addio alle armi. L'Italia ripudi la guerra e la pace entri in Parlamento. In questi anni lo scenario internazionale si e' evoluto. La guerra invece di essere lasciata fuori dalla storia e' al centro della politica estera fra Stati; la struttura dell'apparato industriale-bellico diventa riferimento per il modello di difesa nazionale ed internazionale adottato dalle strutture politiche. Proponiamo ai candidati che si presentano per l'elezione al Parlamento Italiano una dichiarazione d'intenti che segua il dettato costituzionale del ripudio della guerra (art. 11) e che li porti a lavorare nel Parlamento per una politica di pace. Lo Stato italiano deve dotarsi di strutture non armate per essere in grado di rispondere ai conflitti. Sappiamo che la guerra non nasce dal nulla ma e' il prodotto di decisioni e apparati che spesso superano la volonta' pacifista dell'opinione pubblica e diventano necessita' di una classe politica che non ha alternative. Dalle scelte nate e cresciute nel movimento pacifista italiano vi segnaliamo alcune iniziative da sostenere per poter arrivare, se non ad un ripudio della guerra esteso e generalizzato - come da noi atteso e richiesto - almeno ad una riduzione della violenza e dell'arbitrio che la guerra impone ai territori e alle popolazioni del pianeta. * A. Per ripudiare la guerra 1. Ritiro immediato delle truppe dall'Iraq Il pretesto addotto per scatenare la guerra in Iraq - la presenza di armi di distruzione di massa - si e' rivelato menzognero. La guerra ha causato fino ad oggi circa 30.000 vittime civili tra gli Iracheni e piu' di 2.000 tra i militari delle forze d'occupazione. Il conflitto, lungi dal portare nel paese la democrazia, ha scatenato un susseguirsi ininterrotto di attentati terroristici che ogni giorno mietono vittime tra la popolazione. La partecipazione dell'Italia all'occupazione militare deve finire subito per lasciar posto all'azione di organismi internazionali neutrali, come chiede la maggior parte degli italiani. 2. Controllo e regolamentazione del commercio delle armi Le armi leggere causano cinquecentomila morti ogni anno (1 al minuto) e sono le armi piu' diffusamente impiegate nelle guerre contemporanee, tanto che il segretario generale dell'Onu Kofi Annan le ha definite "Armi di distruzione di massa". Nel giugno del 2006 si riunira' la seconda conferenza dell'Onu sui traffici illeciti di armi leggere: la campagna internazionale Controlarms chiede che in quell'occasione sia approvato un trattato che regolamenti il commercio delle armi. Chiediamo che altri politici italiani sostengano il trattato internazionale, sottoscrivendo la mozione gia' presentata a questo scopo da 101 parlamentari. 3. Smilitarizzazione del territorio italiano Sul nostro territorio sono presenti numerose basi Nato e Usa; queste basi sono depositi di armamenti nucleari (50 testate nucleari ad Aviano, 40 a Ghedi Torre), che costituiscono una minaccia per l'ambiente e per la salute delle popolazioni circostanti, nonche' una violazione del trattato di non proliferazione nucleare sottoscritto dallo stato italiano nel 1975. Chiediamo l'immediata sospensione dei lavori di ampliamento laddove previsti; auspichiamo anzi la chiusura di tutte le basi, come sta avvenendo per l'Isola della Maddalena, la loro riconversione in strutture civili e di pubblica utilita' e il risanamento dei territori smilitarizzati. 4. Riduzione delle spese militari Le spese militari italiane nel 2004 ammontavano a 27,8 miliardi di dollari (fonte: Sipri). Con questo dato l'Italia si e' piazzata al settimo posto nella graduatoria mondiale. La spesa militare pro-capite in Italia (478 dollari) e' superiore a quella di altre nazioni del G8, tra cui Giappone (332 dollari) e Germania (411). Tanti soldi vengono spesi per l'economia della guerra e sempre meno soldi vengono investiti per costruire la pace. Per esempio, una parte di questi soldi potrebbe essere impiegata per sviluppare un concetto di difesa alternativo al modello armato, e per finanziare la cooperazione internazionale (alla quale vengono destinate sempre meno risorse). Chiediamo pertanto una riduzione significativa delle spese militari a partire gia' dalla prossima finanziaria. 5. Controllo delle banche che sostengono l'esportazione di armi italiane La legge che regolamenta in Italia il commercio delle armi (legge 185/90) prevede una relazione annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri al Parlamento sulle esportazioni di armi. Questa relazione rende conto anche delle operazioni svolte dagli Istituti di credito in appoggio al commercio delle armi italiane. Chiediamo che venga mantenuta questa trasparenza, minacciata dalle dichiarazioni contenute nella Relazione 2005. I cittadini hanno il diritto di sapere quali sono le banche che impiegano i loro risparmi per alimentare il commercio delle armi. * B. Per portare la pace in parlamento 6. Per la difesa civile non armata e nonviolenta La storia ci offre una serie di esempi di lotte nonviolente e non armate efficaci anche se a volte poco note, dalle lotte per i diritti civili di Martin Luther King alla rivoluzione filippina del febbraio 1986; dall'India di Gandhi agli episodi di resistenza nonviolenta al nazismo nel nord-Europa. In Italia, la legge sull'obiezione di coscienza (legge 230/98) ha posto le basi per sviluppare la ricerca e la sperimentazione nell'ambito della difesa civile non armata e nonviolenta, come alternativa all'uso delle armi per adempiere l'obbligo di difesa della patria previsto dall'art. 52 della Costituzione. Chiediamo che sia data a tutti i cittadini la possibilita' di finanziare la difesa civile non armata e nonviolenta anziche' quella armata attraverso una precisa opzione fiscale. 7. Riconversione dell'industria bellica L'Italia e' tra i primi dieci esportatori di armi nel mondo. L'esportazione delle armi italiane e' diretta anche verso paesi in guerra o responsabili di violazioni dei diritti umani (Cina, Algeria, Colombia, Congo, Indonesia, Pakistan, Russia). Fermare la produzione di armi senza chiudere le fabbriche e' possibile attraverso un processo di riconversione, come dimostra l'esempio della Valsella Meccanotecnica di Chiari, che dal 1997 non fabbrica piu' mine anti-uomo, ma prototipi di veicoli ecologici. La stessa Lombardia, dove si concentra la piu' alta percentuale di industrie armiere italiane, si e' dotata nel 1994 di una legge per la riconversione dell'industria bellica. Purtroppo fino ad oggi e' mancata la volonta' politica di applicare questa legge. Chiediamo che anche su scala nazionale sia approvata una legge per promuovere la riconversione dell'industria bellica. 8. Pace per Israele e Palestina La coesistenza pacifica dei popoli israeliano e palestinese dovrebbe basarsi su relazioni fondate su giustizia ed equita'. Le fondamenta della pace devono essere costruite sul terreno delle societa' civili sostenendo le reti di cittadini impegnati, in ciascuna delle parti, per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. Chiediamo che vengano attivate e sostenute relazioni stabili con esponenti e organizzazioni delle societa' civili israeliana e palestinese che da tempo lavorano per la difesa dei diritti delle popolazioni locali (diritto alla casa, al lavoro, alla salute, all'istruzione, all'obiezione di coscienza). Chiediamo che si appoggi la campagna europea in corso "La violenza non e' una soluzione"; la campagna chiede l'invio nell'area di una forza internazionale civile nonviolenta che lavori con gli operatori di pace locali per dare visibilita' alle loro azioni, rafforzare il dialogo, osservare il rispetto dei diritti umani. 9. Corpi Civili di Pace I Corpi Civili di Pace sono gruppi organizzati di volontari che intervengono in situazioni di conflitto con azioni nonviolente, che comprendono attivita' di prevenzione, monitoraggio, mediazione, interposizione e riconciliazione fra le parti. Chiediamo la formazione e il sostegno di corpi di pace collegati al servizio volontario europeo, adeguatamente preparati e addestrati, impiegabili nelle aree di conflitto o di tensione violenta. Chiediamo inoltre che venga agevolata la partecipazione di tutti i cittadini alle missioni dei Corpi Civili di Pace, per esempio concedendo ai volontari l'aspettativa dal lavoro. 10. Sviluppo della ricerca per la pace Le risorse attualmente destinate alla costruzione della pace dallo stato italiano sono pressoche' nulle. Riteniamo importante sostenere e sviluppare gli organismi che promuovono la diffusione di una cultura di pace. Proponiamo ad esempio che siano sostenuti gli enti locali per la pace, che siano potenziate le facolta' o cattedre universitarie che lavorano sui temi della pace e della gestione nonviolenta dei conflitti, che si crei un istituto di ricerca per la pace promosso dalle istituzioni pubbliche. 4. TESTIMONIANZE. VITTORIO ARRIGONI: SETTE GIORNI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 dicembre 2005. Vittorio Arrigoni e' un pacifista italiano impegnato in iniziative umanitarie di solidarieta' e in difesa dei diritti umani; fermato all'aeroporto di Tel Aviv, e' rimasto una settimana in stato di detenzione, subendo gravi maltrattamenti; e' ora tornato in Italia] Sono ancora intorpidito, tornato da qualche ora in Italia, stamane [il 29 dicembre - ndr] risvegliandomi a casa, nella mia famiglia, ho tratto un sospiro di sollievo. Ma permane lo sconforto per non trovarmi laddove avrei dovuto essere. Avevo tutte le buone intenzioni e le ragioni, e il diritto di oltrepassare il confine israeliano, invitato ad una conferenza internazionale sulla nonviolenza. Avevo raccolto dei soldi per un orfanotrofio di Tulkarem, cui rimango affezionato, e alcune famiglie con cui ho condiviso in passato lutti, disgrazie e speranze, mi aspettano ormai da due anni. Sono stati giorni difficili, di tremendi sacrifici, specie dopo che sono stato messo in una cella in isolamento con una telecamera fissata sulla mia branda, 24 ore al giorno, sottoposto a privazioni fisiche e intimidazioni psicologiche. * Pestaggio all'aeroporto Il pestaggio mercoledi' 21. Nonostante avessimo piu' volte comunicato al capo del centro di detenzione in cui siamo stati rinchiusi, la nostra ferma intenzione di non lasciare Israele prima di apparire dinanzi alla corte, e che un avvocato stava lavorando per far si' che cio' avvenisse in tempi brevi (cosa che poi puntualmente e' accaduta) il pomeriggio di mercoledi' poliziotti con fare molto aggressivo si sono presentanti nella cella per portare via Michael e rispedirlo in Inghilterra. Michael allora si e' accucciato nel centro della stanza, rifiutandosi di collaborare, richiedendo piu' volte - e io con lui - di contattare il nostro avvocato. A questo punto i poliziotti ci hanno urlato che erano autorizzati a portarlo via con la violenza. Io so che Michael, sulla cinquantina, ha problemi alle ossa delle gambe, per cui ero molto preoccupato non si facesse male. Nel momento in cui i poliziotti provavano ad afferrarlo, mi sono interposto fra lui e loro, richiedendo a gran voce il mio diritto di contattare il consolato italiano. La risposta di un poliziotto e' stato una ginocchiata ai testicoli. Hanno cercato allora, ammanettandomi un polso, di trascinarvi via dalla stanza ed io con tutte le mie forze, in maniera non violenta, ho cercato di impedirglielo, aggrappandomi agli angoli del muro, ai piedi del letto. Hanno cominciato a colpirmi duramente, con calci e pugni, soprattutto sulla schiena. Una volta riusciti a trascinarmi nel corridoio, la violenza da parte dei poliziotti e' aumentata (Michael mi dira' in seguito che erano sette a "occuparsi" di me) Nonostante il mio fisico atletico sono cardiopatico (seguo una terapia che prevede l'assunzione di 2 pillole al giorno). * Punti di sutura strappati coi denti Schiacciato a terra e malmenato da diversi poliziotti, ho iniziato ad avere problemi di respirazione, gridavo di lasciarmi, ma loro non demordevano. Quando infine ho avvertito una fitta al cuore, la mia preoccupazione si e' fatta panico. Sono riuscito ad allungarmi e ad afferrare un vetro dal pavimento, una cornice di un quadro che nel frattempo cadendo era andata in frantumi. Essendo una persona non violenta, piuttosto che muovere violenza verso qualcuno sono disposto a infliggermela a me stesso. Allora ho iniziato a tagliarmi, prima il viso, poi un braccio, infine la mano, pensando che la vista del sangue placasse la ferocia dei mie aguzzini. E cosi' infatti, dopo alcuni minuti, i poliziotti hanno mollato la presa, mi hanno permesso di prendere la mia medicina per il cuore e un'ambulanza mi ha condotto in ospedale, dove accertamenti concluderanno poi che la fitta non e' il cuore ma uno strappo al muscolo pettorale dovuto ai maltrattamenti subiti. Mi hanno ricucito anche alcuni tagli sulla mano, ma in maniera rozza, senza disinfettare le ferite, tanto che il giorno dopo si sarebbero infettati. Ma quando ho mostrato la mano ai poliziotti dall'oblo' della mia cella, questi mi hanno risposto che loro non erano dottori, che mi arrangiassi. Coi denti sono stato costretto allora a rimuovere da solo i punti di sutura. Per tutto il tempo prima, durante, e dopo l'"incidente" ho continuamente richiesto di esercitare il mio diritto a contattare il mio avvocato e il consolato italiano, inutilmente. "Adesso non e' possibile", la risposta ai miei continui appelli. Di ritorno dall'ospedale, a cui sono stato condotto incatenato braccia e gambe a una barella neanche fossi un pericoloso criminale, un poliziotto mi ha detto che potevo telefonare al mio console, si', ma una volta arrivato in Italia! I medicinali per curare la mia cardiopatia mi sono stati requisiti dalla polizia e mai piu' restituiti. Per due giorni ho subito privazioni di cibo, e nella mia cella e' stato spento il riscaldamento. Non ho potuto ne' lavarmi ne' cambiarmi i vestiti incrostati di sangue. Sino a quando il console italiano, avvertito dal mio avvocato a suo volta avvisato da uno dei miei compagni reclusi che hanno assistito alla scena, non e' arrivato al centro di detenzione a ristabilire i miei diritti. Sono grato per tutto l'operato del console Andrea de Felip a mio favore, nel difendere i diritti di un cittadino italiano non incriminato per nulla. * Una sentenza gia' scritta Durante un interrogatorio nel quale insistentemente mi si chiedeva perche' avessi preso le difese di una persona che non e' un mio amico, che conosco solo da pochi giorni, la mia risposta e' stata piu' volte "per umanita', per senso di umanita'". Insistevano a non capire. Sono seguiti giorni difficili di isolamento sino a martedi' 27, quando ci siamo presentati dinanzi alla corte israeliana. Ma la sentenza era gia' scritta, storia vecchia. Ho avuto sentore di tutto questo il giorno prima, quando nella mia cella, ho ricevuto la visita, sgradita visita, di un uomo in borghese che con fare arrogante ha iniziato a tempestarmi di domande. Alla mia richiesta di identificazione, l'uomo dopo qualche tentennamento si e' definito un membro dei servizi (intelligence). E ha concluso il suo interrogatorio chiedendomi se realmente mi illudevo che l'indomani il giudice avrebbe potuto emettere una sentenza a nostro favore. Le motivazioni con cui il giudice ci ha rifiutato un visto per entrare in Israele rasentano il ridicolo. Dalla sentenza del giudice infatti si desume che dall'Italia siano giunte informazioni riguardo a un mio coinvolgimento attivo in una rete internazionale radicale vicino agli anarchici. Premesso che abbracciare un'ideologia anarchica non mi risulta essere di per se' un crimine, non ho mai avuto a che fare nella mia vita con movimenti anarchici. Vivo un vita tranquilla, sono una persona piuttosto solitaria che trascorre le ore libere dal lavoro con gli amici, o accompagnandomi a un buon libro. Non svolgo alcuna attivita' politica qui in Italia, se si esclude la gestione di un blog in cui cerco di riflettere sui temi della cronaca quotidiana. Una volta all'anno parto per partecipare a progetti umanitari fuori dall'Italia in cui presto il mio lavoro volontario. Sono stato in Europa dell'Est e in Africa, a costruire orfanotrofi, ostelli per senza tetto, ristrutturare ambulatori, centri comunitari. In Palestina aderisco ai progetti dell'International Solidarity Movement (Ism), perche' li ritengo al momento i migliori per lo stato di urgenza dovuta all'occupazione israeliana, ma mi sento libero anche in futuro di partecipare ad altri progetti con altre organizzazioni. * Osservatore per i diritti umani Tutto cio' mi fa pensare alla vera utilita' svolta dai servizi di intelligence nei vari paesi, a quella mano oscura di cosi' arguti da non riuscire a sventare clamorosi attentati, tutti intenti a redigere dossier palesemente inventati per donare una parvenza di giustificazione che dia il via a questa o quella guerra. Gli stessi servizi, che dall'Italia hanno passato informazioni totalmente false a Israele riguardo alla mia persona. Il giudice ha anche sentenziato che in passato io e i miei compagni avremmo partecipato a manifestazioni violente nella West Bank. Anche questo e' falso, alle uniche manifestazioni in Palestina contro il muro dell'apartheid a cui ho assistito, la mia presenza era in loco solo come osservatore di diritti umani, e in questi casi ho dovuto denunciare che le violenze giungevano dai soldati israeliani armati, piuttosto che da civili palestinesi disarmati. Nonostante l'esito negativo della sentenza emessa dalla corte, continueremo a percorrere ogni via legale e lecita per cercare di spezzare questa catena di apartheid, questa continua illecita e illegale discriminazione promossa da Israele verso attivisti pacifisti e operatori umanitari. Israele deve capire che la presenza di internazionali in Palestina, che lavorano per la pace, non e' una minaccia, ma appunto un incentivo al processo di pace fra palestinesi e israeliani. Che da una conferenza internazionale sulla nonviolenza Israele ha tutto da guadagnare, allorche' la resistenza palestinese decidesse di adottare strategie gandhiane. Non e' isolando la Palestina che Israele costruisce la sua sicurezza. Israele deve capire che la presenza di cittadini italiani, inglesi, spagnoli o americani in Palestina funge da deterrente alle continue violazioni dei diritti umani da parte dell'esercito israeliano, e da cio' ne trae beneficio Israele stesso, perche' violenza genera sempre violenza, e una Palestina libera dall'occupazione militare sarebbe la migliore garanzia di sicurezza per i cittadini isrealiani. Mentre alcuni media, rappresentano una visione del conflitto in cui Sharon e il suo governo avrebbero bruscamente virato per una politica di pace, noi che in Palestina ci mettiamo costantemente piede, sappiamo che il muro dell'apartheid continua a essere costruito, che la terra palestinese viene continuamente confiscata, che alle colonie evacuate da Gaza e' corrisposta una maggiore espansione coloniale nella West Bank, che l'occupazione militare e' causa di miseria e morte a tutte le ore nella vita di ogni palestinese. La criminalizzazione della pace deve essere impedita. Per questo non abdichiamo, continueremo a cercare di varcare i confini israeliani con il nostro messaggio pacifista, e in questi giorni altri volontari si stanno muovendo, pronti a partire, ben consci che i giorni di prigionia a cui siamo esposti non sono nulla in confronto alle atroci sofferenze che i detenuti palestinesi subiscono nelle carceri israeliane illegali sparse su territorio palestinese. * L'immobilita' del governo italiano Dopo questi giorni per me cosi' provanti, raccolgo cio' che di positivo se ne e' tratto. Perche' se sia qui in Italia, che in Australia, che in Inghilterra, questo problema e' stato risollevato, se qualche coscienza e' stata risvegliata, se l'ingiusta giustizia israeliana si e' trovata imbarazzata nel dichiarare colpevoli dei pacifisti innocenti, il nostro "sacrificio" non e' stato per niente vano. Soprattutto, se uomini politici, senatori e parlamentari attualmente all'opposizione, si sono interessati al mio caso, cio' e' di buon auspicio per possibile nuove azioni qualora ci sia un passaggio di potere al governo. Perche' cio' che mi ha piu' sconsolato, piu' delle umiliazioni e delle intimidazioni nel mio periodo di detenzione, e' stata proprio l'immobilita' dell'attuale governo nei confronti di un suo cittadino ingiustamente incarcerato. Dovessi trovarmi in futuro in una situazione simile, voglio sperare di poter essere assistito da un governo meno interessato a interessi strategico-militari e piu' coinvolto nella lotta per il rispetto dei diritti umani. 5. TESTIMONIANZE. LUISA MORGANTINI: DA GAZA [Riceviamo e diffondiamo questa testimonianza di Luisa Morgantini. Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int), parlamentare europea, presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004] Ciao, stiamo tutti bene, provati dall'esperienza del sequestro di Alessandro, ma ancor piu' provati da quello che abbiamo visto in questi giorni a Hebron, Betlemme, Gerusalemme, Kalandia. La crescita infernale del muro, i nuovi avamposti colonici tra Betlemme e Hebron. Ma Gaza ci ha provato per la difficile situazione interna. Siamo andati a Gaza perche' ho chiesto all'Unrwa di coordinare la nostra entrata con gli ufficiali israeliani del check point di Eretz. Siamo stati al campo profughi di Jabalia dove abbiamo avuto una ventata di speranza per il lavoro straordinario nel campo dell'educazione dei ragazzi e ragazze dei campi, e poi a visitare gli uffici dell'Unrwa preposto dalle Nazioni Unite all'assistenza ai profughi. La sera di capodanno l'abbiamo trascorsa al Marna House, delizioso albergo con giardino nel pieno centro di Gaza, lo avevo scelto perche' l'albergo e' situato al centro e quindi piu' sicuro. Ma sopratutto l'avevo scelto, a parte il prezzo abbordabile da un gruppo come il nostro, perche' durante la prima Intifadah era l'unico albergo aperto a Gaza ed era gestito da due donne fantastiche, Malika e Yala; adesso sono molto anziane e sono il nipote con la moglie che gestiscono ristorante e albergo. Serata tranquilla, bevuto anche spumante, malgrado il divieto vigente a Gaza. La mattina quando ci siamo svegliati abbiamo saputo che uomini armati avevano invaso il Club delle Nazioni Unite dove vendevano alcool e messo due piccole bombe fuori. Non so davvero se questa sia la vera ragione. Siamo partiti per Khan Yunis dove ci aspettavano Nahida e Tahani Abu Dakka, abbiamo potuto vedere ben poco, abbiamo fatto un'interessante e vivace riunione con candidati e sostenitori (tra loro molti giovani) della lista chiamata della Terza Via, capeggiata da Salam Fayyad e Hanan Ashrawi. * All'uscita del palazzo mentre alcuni era gia' sul nostro autobus, Alessandro, Raffaella e altri si sono attardati aspettando che io terminassi di salutare i nostri ospiti, a quel punto e' arrivata una jeep, sono scesi di furia alcuni uomini armati e mascherati che con i loro fucili hanno cominciato a sparare in aria. Uno di loro si e' precipato verso Alessandro che era quello piu' a portata di mano e lo ha ficcato di forza dentro la jeep. Non abbiamo perso la calma, siamo risaliti e per fortuna alcuni palestinesi hanno riconosciuto a chi apparteneva il gruppo che aveva sequestrato Alessandro. Sono cominciate trattative frenetiche, nel frattempo si era sparsa la voce che Alessandro faceva parte del gruppo di Luisa Morgantini e piovevano telefonate da tutti, ministri, polizia, e poi le amiche e gli amici di molte di noi. C'e' stata molta solidarieta' e da parte di tutti. Tutti tendevano a tranquillizzarci e il generale palestinese ha promesso che ce lo avrebbe riportato. Volevano trasferirci nel posto di sicurezza di polizia, ma ho rifiutato dicendo che mi sentivo piu' sicura in quel palazzo al settimo piano, perche' era proprio tra vari poliziotti che c'erano gli scontri. I rapitori sono di un gruppo conosciuto a Khan Yunis, alcuni di loro pare facciano parte delle forze di sicurezza di Dahlan, o almeno cosi' si vocifera. A parte la criminalita' comune, alcuni sostengono che in realta' si vuole da parte di vecchi centri di potere non permettere le elezioni, e che le faide rigurdano lotte interne a Fatah. * In realta' oggi a Gaza il problema della sicurezza dei cittadini e' fondamentale, tutti hanno paura dei piu' forti e di quelli armati che dettano legge, crescono anche le faide familiari, le vendette, i furti. Sicuramente 38 anni di occupazione militare hanno pesato, ma ovviamente le scelte che si fanno dipendono dai singoli o dai movimenti. Ripeto, anche dopo questa esperienza, quello che dico sempre: la maggiore responsabilita' ricade sulla comunita' internazionale e sui nostri governi che non sanno imporre al governo israeliano il rispetto del diritto internazionale. Malgrado le promesse non ci sono investimenti a Gaza, non c'e' liberta di movimento a parte la possibilita', comunque controllata, di uscita da Gaza. Le merci ancora non passano da Karni crossing e i pomodori dei contadini rimangono invenduti, cosi' come le altre merci. Soprattutto continua la costruzione del muro e la crescita degli insediamenti. Naturalmente continuano anche i razzi che cercano di colpire dal nord di Gaza la cittadina di Sderot in Israele. Un'altra forma suicida perche' la risposta di Israele sono i bombardamenti sui villagi di Beitlahia e Beit Hannuon, lo abbiamo sentito ieri sera mentre stavamo andandocene alle nove di sera da Gaza, rimbombi fortissimi e pensavamo a quante case ancora venivano schiacciate o quante strade distrutte e quanti palestinesi potevano essere uccisi. Tra le persone che abbiamo incontrato tutti considerano sbagliato tirare rockets su Israele, ma molti hanno paura di esprimersi nella situazione di violenza interna che si e' creata e lamentano, giustamente, una mancanza di direzione dell'autorita' palestinese. * Alessandro sta bene, e' un po' spaventato ma abbiamo convenuto che nella conferenza-stampa avremmo detto quello che pensiamo, e cioe' che queste azioni di criminalita' servono gli interessi di chi non vuole la pace e la stabilita per il popolo palestinese, ma che non saranno per noi un impedimento a continuare a pensare e ad agire per la fine dell'occupazione militare israeliana e per una soluzione che veda due popoli e due stati coesistere in sicurezza, con Gerusalemme capitale condivisa. Dura da crederci, ma andiamo avanti. Oggi il gruppo continua, Teresa e Alessandro si prendono una giornata insieme mentre il nostro gruppo andra' al Kibbutz Metzer, e poi a vedere l'orrore del muro di Qalkilia e alla fine a Jaffa. Grazie a tutte quelle e quelli che hanno mandato sms o telefonato. La vostra vicinanza e' importante, le donne in nero che sono nel gruppo stanno bene e si mescolano con i giovani, era una cosa che mi premeva molto. * Ad ogni buon conto ieri e' stata dura, sopratutto quando siamo arrivati a Eretz e ci hanno detto che il check point era chiuso. Telefonate frenetiche anche con il nostro consolato e poi alla fine siamo passati. Quando, sollevati, stavamo per passare dalla parte israeliana, in attesa che si aprisse il cancello c'era una anziana donna palestinese che accompagnava il marito, ultraottantenne e invalido su una sedia a rotelle, all`ospedale Maqassed. I soldati non volevano far passare la sedia a rotelle e il vecchio non poteva camminare e comunque gli sarebbe servita la carrozzella anche dall'altra parte. Ho detto a tutti che non saremmo passati senza che passassero anche loro, tutti d'accordo e la rabbia di tutti cresceva. Altre telefonate frenetiche, per fortuna avevo il telefono di un ufficiale israeliano, l`ho chiamato e messo la cosa tutta su un piano umanitario, che ero sicura che lui non lo sapesse, se pero' poteva fare qualcosa... Attese e attese, mentre la voce del soldato dall'altoparlante urlava che dovevamo entrare dalla linea uno, ed io a dire: "no, guarda questo vecchio potrebbe essere tuo nonno, noi non ci muoviamo fino a quando non entrano loro". Insomma, non vi dico tutto, dopo tante attese e telefonate alla fine arriva l'ordine che il vecchio con la sedia a rotelle poteva entrare. E' stato un momento di commozione per noi tutte e tutti. La signora anziana mi ha abbracciata, ed io mi sono sentita male perche` ancora una volta un suo diritto doveva essere implorato ed era stato accolto solo perche' qualcuno si trovava li'. Ma comunque e' stato utile, naturalmente i soldati hanno voluto cancellare dalle macchine fotografiche le foto che avevamo fatto alla coppia palestinese, ma siamo riusciti a salvarne qualcuna. Quando sono arrivata dall'altra parte e` venuto l`ufficiale responsabile in quel momento ad Eretz spiegandomi che non era colpa loro, ma dei palestinesi, perche' quando avevano chiesto il permesso di transito per il signore anziano non avevano specificato il bisogno della sedia a rotelle e fare passare una sedia a rotelle poneva problemi di sicurezza. In quel caso comunque piu' che le mie parole il mio sguardo lo ha zittito. Finito l'iter siamo usciti, il fedele Mike ci stava aspettando felice di quello che era successo con la coppia di anziani, li aveva visti e la donna gli aveva raccontato tutto, ma non finisce qui. * Mike mi dice: "Luisa, adesso pero' c'e' un altro problema", e mi indica una donna con tre ragazzi, uno di loro talassemico, non li vogliono fare entrare perche' il check point e' chiuso, se non entrano dovranno passare la notte all'addiaccio. Confesso, per un attimo mi sono detta no, non ce la faccio a tornare indietro e ricominciare a discutere con i soldati, gli ufficiali. Poi l'ho fatto, sempre con il tono implorante dei casi umanitari. Non so perche' ma ha funzionato, ero terrorizzata dall'idea di dover restare altre ore ad attendere, e sopratutto di fallire. Ho dato ai bambini il cioccolato e il torrone che avevo portato e che dopo il sequestro non avevo fatto a tempo a dare al bambino di Lama Hourani. E li ho abbracciati e baciati anche per mostrare ai soldati israeliani dove stavamo. * Insomma, il nostro impegno per una pace giusta in Palestina e Israele e' sempre piu' urgente e necessario. Un abbraccio, Luisa Morgantini 6. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI: COLONIALISMO EX POST [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 dicembre 2005. Giampaolo Calchi Novati, nato nel 1935, docente universitario, e' tra i massimi esperti italiani delle questioni del sud del mondo. Tra le opere di Giampaolo Calchi Novati: Neutralismo e guerra fredda (1963); L'Africa nera non e' indipendente (1964); Le rivoluzioni nell'Africa nera (1967); La rivoluzione algerina (1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979); La decolonizzazione (1983); Dopo l'apartheid (a cura di, 1986); L'Africa (1987); Nord/Sud (1987); Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno d'Africa nella storia e nella politica (1994); Dalla parte dei leoni (1995); Storia dell'Algeria indipendente (1998); Il canale della discordia (1998)] L'Occidente esporta democrazia. Lo si dice senza alcuna ironia. Almeno una faccia della sua storia e' li' a dimostrarlo. Una volta sbollita la follia neo-con anche l'Impero, pur mantenendo verosimilmente comportamenti "imperiali", potrebbe far buon viso a cattiva politica salvando le forme. L'ordine e la stabilita', cioe' gli obiettivi che stanno a cuore di qualsiasi grande potenza in via prioritaria, non si servono necessariamente con la guerra elevata a pratica corrente. I fondamentalisti passano e restano i valori che l'Occidente ha estratto dalle esperienze sue e di altre civilta' costruendo modelli che sono stati emulati e impiegati anche fuori dell'area di pertinenza originale. Si potrebbe spiegare cosi' - con la fierezza e l'autocompiacimento - l'idea del parlamento francese di approvare in febbraio e ribadire in novembre una legge che prescrive a educatori e autori di libri di storia di esaltare il colonialismo dando il giusto rilievo al ruolo "positivo" di chi ha esportato la grandeur nei territori oltremare. La disposizione e' cosi' assurda che rischia di riconciliarci con la destra di casa nostra. Le deplorazioni levate in Francia da esponenti di tutte le correnti di pensiero sono ovvie, persino obbligate, ma al fondo superflue. E non per le banalita' del "politicamente corretto". Quella legge si discredita da sola. Il colonialismo e' stato dominio e violenza. Apertamente o tacitamente, ogni colonialismo ha coltivato il razzismo perche' non avrebbe potuto giustificare altrimenti la differenza di status fra i colonizzatori bianchi e i colonizzati di colore. E' impossibile far passare il discorso, o la retorica, sui diritti umani e al tempo stesso difendere una societa' gerarchizzata e totalitaria come quella creata dal colonialismo. Ci sono evidentemente motivi superiori dietro a un simile exploit. L'era della globalizzazione vede un'inquietante coincidenza fra il massimo dell'interazione e il massimo del divario. I detentori del potere si rendono conto che lo status quo e' precario e insostenibile con i mezzi ordinari. Non si parla dei soliti poveri del Terzo mondo: i miliardi di persone che vivono con un dollaro al giorno. Ci sono mondi, nazioni, comunita' sociali, culturali o religiose che non godono - neppure i loro dirigenti e le loro avanguardie - ne' di diritti ne' di protezione. Anche i loro simboli sono violati impunemente. Essi appartengono al campo della guerra. La politica (non si dice la pace) e' riservata agli altri (o meglio a noi): una politica che si vorrebbe privare sempre piu' di razionalita', fatta non di diritti ma di imposizioni a senso unico. Discende da qui la rivalutazione del colonialismo. * Si sa che la cultura liberale non ha mai garantito parita' di trattamento ai paesi illiberali. Da Kant a John Rawls, sono solamente i paesi "repubblicani" - che per il teorico della pace perpetua erano poi i paesi democratici, liberali o ben orientati (il linguaggio corrente direbbe "moderati") - a far parte di diritto della comunita' internazionale. Nel mondo extra-europeo molti stati hanno oggettivamente regimi illiberali. C'e' spazio per il fanatismo, rivendicazioni identitarie e spinte eversive. L'ultima difesa per loro e' la sovranita', il prodotto meno controverso della decolonizzazione. Accreditando il colonialismo, i paesi gia' coloniali sprofondano in una condizione grigia. La loro vulnerabilita' alle interferenze di chi e' alla ricerca ossessiva di risorse economiche e strategiche per la propria "sicurezza" diventa assoluta. Sul colonialismo sopravvivono del resto molti equivoci. Soprattutto in Italia la scuola, la stampa, ma anche la cultura dotta, non si sono mai veramente misurate con il colonialismo. L'Italia non ha conosciuto direttamente la decolonizzazione: le sue colonie sono state perse per cause belliche e ad opera della diplomazia internazionale. Non c'e' stato quel faccia a faccia fra colonizzatori e colonizzati che altrove, anche se oggi molti se ne sono dimenticati, ha dato origine nelle stesse metropoli a prese di coscienza di portata rivoluzionaria. Fra il clima di connivenza con il colonialismo che si respirava nella Parigi descritta nei Mandarini da Simone de Beauvoir e il Manifesto dei 121 intellettuali contro la guerra d'Algeria trascorse solo una dozzina d'anni ma la svolta sembrava irreversibile. E invece nel 2005, anno in cui si e' celebrato il cinquantesimo anniversario di Bandung, la conferenza che porto' alla ribalta della politica mondiale i paesi afro-asiatici appena liberatisi dal colonialismo, si offende con un artificio revisionistico non tanto la verita' quanto la storia. Paradossalmente, e' come se il molto contestato Fukuyama avesse visto giusto. Non ha senso, infatti, a meno di non constatare la fine della storia, sconfessare uno dei punti piu' alti di quella occidentale: l'anticolonialismo. Proprio nella Francia della famigerata legge 23 febbraio 2005, all'Assemblea nazionale si e' ritenuto di votare nel non lontano 1999, sia pure con una maggioranza socialista, una legge per riconoscere che in Algeria fra il '54 e il '62 si e' combattuta una "guerra" (fino allora negli atti pubblici si parlava di "avvenimenti"), e il sindaco di Parigi, di nuovo un socialista, ha fatto cementare su un ponte sulla Senna una targa che ricorda gli algerini gettati nel fiume dalla polizia durante le manifestazioni a favore del Fln nell'ottobre 1961. Perversamente, la legge sul colonialismo ha l'ardire di sottolineare che i meriti della politica coloniale della Francia sono stati particolarmente esimi nel Nord Africa, e dunque in Algeria. * Il colonialismo, e' vero, ha educato le elites dei paesi arabi, asiatici e africani in funzione del dominio occidentale modificando per sempre la vicenda umana e istituzionale di interi continenti. Una simile acculturazione non e' stata senza prezzi, anche prescindendo qui dagli orrori da "libro nero" che l'hanno accompagnata. La tesi che liquidava lo Stato postcoloniale con le categorie del neocolonialismo e della dipendenza si e' rivelata semplicistica e sbagliata. La questione dello sviluppo non si esaurisce nelle relazioni con i circuiti finanziari e commerciali su scala mondiale. Lo Stato africano contemporaneo, pur integrato com'e' nell'economia capitalista, e' la costruzione di gruppi che controllano le opportunita' prodotte da meccanismi diversi nel cuore stesso delle societa' tradizionali con un grande risalto per l'informalita'. Benche' il colonialismo e, per ragioni opposte e speculari, la decolonizzazione abbiano fatto di tutto per polarizzare l'attenzione sui tratti venuti dall'esterno, se appena si scende sotto la soglia dell'ufficialita' la politica africana moderna puo' essere spiegata solo in riferimento alle tradizioni. La cultura originale subisce mutazioni e contraffazioni per effetto della modernizzazione, ma riaffiora di continuo in fenomeni come la sovranita' diffusa propria degli Stati "deboli", il senso di appartenenza a livello di clan, classi d'eta' o genere e, con contraccolpi che possono essere anche dirompenti, i revivalismi etnici. Se le istituzioni che comunicano con l'esterno rappresentano il "regno dell'importato" - ed e' questa la dimensione piu' visibile - il comportamento dell'individuo nella societa' e nella vasta area dell'informale rappresenta piuttosto il "regno dell'indigeno". Una realta' cosi' complessa fa fatica ad adattarsi all'omologazione neo-imperiale. Non e' con un di piu' di colonizzazione - la fantomatica ricolonizzazione evocata nei talk-show - che si puo' porre rimedio alle emergenze della periferia ex-coloniale. La crisi, anch'essa oggettiva, risale al modo in cui si e' svolto il processo di transizione alla modernita'. La conseguenza piu' persistente della colonizzazione e' stata la contaminazione di ideologie e traiettorie fino alla dissociazione di storie che tutte, poco importa il grado di sviluppo o consapevolezza, avevano propri codici e proprie dinamiche. Non e' solo una questione di identita' minacciate come e' piu' facile riconoscere anche da parte dei neo-reazionari alla Alain Finkielkraut. Stando a quanto trasmesso attraverso il colonialismo, il mondo politico e intellettuale che ha ascendenze coloniali e' turbato dal dubbio che la propria storia sia inutile per le scadenze di progresso e democrazia. Ci sono problemi di continuita' e di trasparenza nei confronti dei gruppi dirigenti, legittimi o illegittimi, e specialmente dei ceti sociali meno toccati dagli apporti occidentalizzanti. Non per niente si deve alla minore rottura con il passato se i protettorati, che hanno preservato in parte le istituzioni precoloniali, nella fattispecie Marocco e Tunisia, sono approdati alla forma di stato della tradizione occidentale con minori lacerazioni rispetto, per esempio, ai tormenti dell'Algeria, parte integrante della Francia e acquisita, in linea di principio, alla pienezza di diritto. * La decolonizzazione e' uno dei grandi eventi del '900. E' d'accordo anche Hobsbawm, secondo il quale comunque l'indipendenza delle colonie non ha scalfito l'egemonia del capitalismo e dell'Europa-Occidente. Forse lo storico del "secolo breve" sottovaluta le trasformazioni delle due parti a seguito della decolonizzazione e, prima, del colonialismo. Certo e' che la tecnologia, i capitali, la disponibilita' della forza-lavoro non erano alla portata dei paesi di nuova indipendenza. Si doveva aspettare la globalizzazione per negare in toto il significato dell'emancipazione dei popoli "altri" con una regressione al pre-Hobson piu' ancora che al pre-Marx. Un negazionismo su cui nessun giudice, reale o virtuale, sara' chiamato a vigilare o intervenire. I presidenti Usa ripetono che gli standard di vita del popolo americano non sono negoziabili. La notizia e' che in tema di privilegi anche l'Europa vuole fare la sua parte. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1164 del 3 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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