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La nonviolenza e' in cammino. 1151
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1151
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 21 Dec 2005 00:37:43 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1151 del 21 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'"... 2. Un luogo d'incontro 3. Maria G. Di Rienzo: Voci da un forum della Bbc 4. Enrico Peyretti: Alcune note di commento al messaggio di Benedetto XVI per la giornata della pace 5. Ali Rashid: Mai piu' genocidi 6. Guido Viale: La Tav Torino-Lione e' un progetto che fa male all'ambiente, all'economia, alla democrazia 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. LIDIA MENAPACE: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Alle molte ragioni permanenti ne aggiungo quest'anno una che mi pare importantissima: Mao Valpiana ha tenuto sulla questione della Tav e del movimento antitav in val di Susa una posizione ferma ed esemplare: non e' facile, quando gli eventi sono vicini, se ne ha tuttavia notizia non adeguata, il movimento e' in formazione e appartiene agli abitanti della valle che gli hanno dato vita, ma intorno al movimento dei valligiani subito si concentra lo sciacallaggio di chi vive appunto mettendo se stesso davanti a tutto. Lo ha fatto il ministro degli Interni cercando di fare confusione invece che chiarezza; lo hanno fatto quelli che piombano su qualsiasi cosa si muove senza alcun rispetto per chi vi e' coinvolto e resta li' anche dopo che i visitatori non invitati se ne sono andati piu' o meno ingloriosamente. Penso vada dato atto ad "Azione nonviolenta" di essere tra i soggetti che al movimento antiTav hanno dato un sostegno ragionato e rispettoso. Cosi' si deve fare. 2. STRUMENTI DI LAVORO. UN LUOGO D'INCONTRO "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: VOCI DA UN FORUM DELLA BBC [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Nel corso di un progetto della Bbc chiamato "Chi dirige il tuo mondo?", svoltosi negli scorsi mesi di ottobre e novembre, uno dei forum si e' occupato dello stato dei diritti umani delle donne. Interlocutrice per le questioni poste e' stata Mary Robinson, l'ex presidente dell'Irlanda, Alto commissario Onu per i diritti umani, ed ora direttrice di "Ethical globalization initiative", ovvero "Iniziativa per una globalizzazione etica". In guisa di meditazioni natalizie, vi offro di seguito un saggio delle domande poste a Mary Robinson. Credo si tratti di istanze da cui ciascuna e ciascuno di noi dovrebbe lasciarsi interrogare. * In Sudafrica, nel periodo di un solo anno, secondo i dati della polizia ci sono stati 55.000 stupri di donne e bambini. Ancora piu' orribile e' sapere che se ne stimano altre migliaia non denunciati. Sebbene l'intera societa' stia cominciando ad apprezzare le donne e le bambine, la loro vita e' ancora molto a buon mercato, e muoiono di battiture domestiche. Questo continuera' fino a che le donne non avranno pieno diritto all'istruzione ed alla liberta' di parola, fino a che non troveranno le loro proprie voci. (Gail, Pietermaritzburg, Sudafrica). * Non pensi che sarebbe il caso di cominciare a boicottare attivamente le nazioni che soggiogano le donne attraverso sistemi legali discriminatori o la segregazione? O la produzione di petrolio di paesi come l'Arabia Saudita e' piu' importante dei diritti umani di base? Perche' va bene obiettare alle diseguaglianze sul terreno etnico, ma quando si arriva al genere indugiamo in una sorta di relativismo morale o farfugliamo di "differenze culturali"? Nessuno osa piu' rivendicare il razzismo come pietra miliare di una data cultura, percio' perche' permettiamo il contrario quando si tratta di sessismo? (Fhiona Alsop, Bristol, Gran Bretagna). * Le donne africane sono probabilmente quelle che stanno peggio. Fanno tutto. La poligamia e' diffusa in Africa. E gli uomini non si sposano per amore, ma per acquisire forza lavoro. Se hai cinque mogli buon per te, ci sono cinque lavoratrici nei tuoi campi. Le donne svolgono l'80% delle attivita' agricole, in Africa. Poi cucinano e mettono il cibo sul tavolo, puliscono per i loro mariti e figli, e non hanno nessun diritto proveniente da tutte le loro responsabilita'. Sono le serve dei loro patriarcali mariti. Io la chiamo schiavitu'. (Khalil Djalal, Ottawa, Canada). * I diritti delle donne sono enormemente migliorati, in Turchia. Le giovani stanno entrando nelle professioni e nelle carriere. Ci sono fondi governativi per le ragazze che vivono in zone povere, e che permettono loro di usufruire di una migliore istruzione. Questo, nel lungo periodo, significhera' migliori salari. Credo sia vitale per ogni nazione preoccuparsi dell'istruzione delle donne. Gli sforzi che noi stiamo facendo ci rendono orgogliose. Ho speranza nel futuro. (Esra Karatash Alpay, Istanbul, Turchia). * Di recente mio figlio ha passato tre giorni in un villaggio di una remota zona costiera del Kenya. E' rimasto sbalordito da quel che ha visto. Gli uomini del villaggio fanno a stento qualche lavoro leggero. Passano il tempo a dar la caccia alle ragazze e a bere mnazi (una specie di birra derivata dal latte di cocco), mentre le donne si incaricano di guadagnare, di dar da mangiare all'intera famiglia e di istruire i bambini. Quando e come queste donne senza istruzione impareranno di avere dei diritti umani? (M. Bashir Bharadia, Mombasa, Kenya). * Io sono cresciuta in India, e sono testimone del lavoro che il movimento per i diritti delle donne svolge e ha svolto nel paese. Ora molte donne sono ingegnere e mediche, e arrivano ai piu' alti gradi dell'istruzione. Tuttavia, un profondo pregiudizio di genere condiziona ancora il loro ruolo nella societa'. Ci si aspetta da loro che giunte ad una certa eta' si occupino delle faccende domestiche, e che se devono lavorare sia solo in determinate professioni. Queste convinzioni sono cosi' radicate da impedire alle donne di esprimere veramente se stesse. Come si puo' mettere in questione la continuita' di tale paradigma? (Monika Kochhar, New York, Usa). * Se c'e' una schiena della societa', e' fatta di donne. Perche' i politici non vogliono saperne delle istanze femminili? Si suppone che nel XXI secolo siamo tutti abbastanza illuminati da poter riconoscere che le donne sono state trattate assai ingiustamente, nel mondo, per secoli e secoli. Le donne non devono piu' venire discriminate. Si deve dar riconoscimento ai loro talenti, ed eguali opportunita' nella vita. (Pancha Chandra, Bruxelles, Belgio). * I ruoli e le posizioni delle donne stanno certamente cambiando, ma a mio avviso non abbastanza. La mia domanda e' questa: come attivista per i diritti delle donne in Africa, a me e' del tutto ovvio che l'eguaglianza di genere si riflette in uno sviluppo economico e sociale migliore, e allora perche' cosi' poco dei fondi di aiuto allo sviluppo viene impiegato per raggiungere l'eguaglianza? E perche' e' cosi' difficile persuadere i leader e i donatori dell'importanza che le donne abbiano diritti? (Stella Maranga, Nairobi, Kenya). * La discriminazione sul lavoro e' ancora forte, e lo sciovinismo tra gli uomini un tratto dominante. Nel mio paese, ad esempio, i diritti delle donne non vengono riconosciuti anche perche' le donne, in special modo quelle delle classi sociali piu' basse, non sanno neppure di averli. Abbiamo un'ottima legge contro la violenza su donne e bambini, che dovrebbe proteggere da ogni forma di abuso e discriminazione. Ma sfortunatamente nel mio paese le leggi sono buone solo sulla carta, e il loro spirito non si vede applicato. (Ruby Go, Cebu, Filippine). * I diritti umani delle donne sono un obiettivo che l'Onu non sta raggiungendo. Gli stati, i media, la pubblicita', l'attitudine machista distruggono costantemente le speranze di eguaglianza. Un solo giorno in Gran Bretagna e' sufficiente per vedere che le donne sono trattate ovunque come merce. Noi lamentiamo la mancanza di diritti umani per le donne nel mondo arabo, e facciamo bene a farlo, ma non dovremmo dimenticare la nostra, di oppressione. Credo sia venuto il momento di lottare, e di lottare duramente, qui dove siamo. (Jennifer Hynes, Plymouth, Gran Bretagna). * Come risultato dell'invasione occidentale, le donne irachene hanno meno liberta' e diritti, meno lavoro ed opportunita', ed il regime dittatoriale si e' mutato in una democrazia distorta. Cosa facciamo per questo? (Lynn, Bucks, Gran Bretagna). 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ALCUNE NOTE DI COMMENTO AL MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI PER LA GIORNATA DELLA PACE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Il testo del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata della pace del primo gennaio 2006, "Nella verita', la pace", puo' essere letto nel n. 1149 di questo foglio. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Vorrei provare a leggere questo documento dal punto di vista non solo dei credenti in Cristo, ma di ogni cercatore di pace aperto alla profonda collaborazione spirituale, nella buona volonta'. * Il papa "conferma ancora una volta la ferma volonta' della Santa Sede di continuare a servire la causa della pace" e spiega la scelta del proprio nome anche con riferimento a Benedetto XV, che condanno' la guerra e si impegno' per la pace (n. 2). Egli ripete dieci volte l'espressione, che trovo bella, "verita' della pace" (dal Concilio, Gaudium et Spes, n. 77). Il titolo del messaggio, "Nella verita', la pace", e il suo tema principale e' che la pace si puo' instaurare se gli uomini attuano l'ordine e la giustizia voluti da Dio per la societa' umana (ibidem, n. 78). Ma la pace e' una verita' anche perche' corrisponde, come scriveva Giovanni Paolo II, "ad un anelito e ad una speranza che vivono in noi indistruttibili" (n. 3 e 6). Mi pare di capire che la "verita' della pace" non e' solo, per papa Benedetto, quella illuminata dalla rivelazione divina (n. 3), ma e' anche quella che godiamo e ammiriamo quando la nostra vita umana si svolge in relazioni buone, giuste, rispettose, solidali, cioe' quando la nostra vita insieme e' autentica, corrisponde al nostro anelito migliore, dunque e' vera. Anche se il Messaggio non cita mai (se non implicitamente al n. 4) - e questo dispiace - l'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, il piu' alto e avanzato documento ufficiale cattolico sulla pace, si puo' vedere nell'idea di "verita' della pace" la possibile desiderata convergenza dei credenti e di tutti "gli uomini di buona volonta'" nel costruire relazioni di pace, che rendono vera, buona, felice il piu' possibile, la nostra vita. * Nell'ordine di idee detto, il papa richiama la definizione agostiniana di pace come "tranquillitas ordinis", cioe' "quella situazione che permette, in definitiva, di rispettare e realizzare appieno la verita' dell'uomo" (n. 4). Il fascino tradizionale di questa definizione merita tuttavia di essere completato con la visione contemporanea della realta', che e' piu' dinamica e meno statica. Cosi', la cultura di pace odierna vede la pace non soltanto come una situazione raggiunta, o ristabilita, da non turbare, e solo da conservare in tranquillita'. La nostra cultura di pace assume in pieno la realta' della differenza, del pluralismo, del mutamento, del conflitto, che e' un carattere inevitabile e promotore della storia umana e non e' necessariamente violento. Gandhi (che e' stato definito anche un "Galileo rinnovatore della scienza del conflitto") diceva che il conflitto e' "un'occasione di verita'", di allargamento di visuale e di esperienza. In questa concezione, la pace e' essenzialmente la capacita' di gestire i conflitti della vita in modo costruttivo invece che distruttivo, violento. Dissociare il significato di conflitto dal significato di guerra e di violenza e' una conquista euristica della nostra cultura di pace. L'ordine umano di pace non e' mai "tranquillo", anche nel senso che l'emergere di nuove aspirazioni di giustizia e dignita' possono scoprirvi aspetti prima celati di violenza strutturale o culturale, e dunque possono turbarlo per ristabilirlo a livelli piu' avanzati di giustizia e di verita' umana. * E' molto vero che la menzogna e' la prima violenza contro la pace e la giustizia (n. 5). Benedetto XVI ricorda qui gli "aberranti sistemi ideologici e politici" del Novecento, ma anche "le menzogne del nostro tempo, che fanno da cornice a minacciosi scenari di morte in non poche regioni del mondo". Sembra chiaro qui un prudente riferimento alla piu' visibile e vantata delle guerre in corso, quella degli Usa all'Iraq, falsamente giustificata come prevenzione di altri mali, mediante consapevoli e potenti menzogne. * "Tutti gli uomini appartengono ad un'unica e medesima famiglia. L'esaltazione esasperata delle proprie differenze contrasta con questa verita' di fondo" (n. 6). La coscienza del nostro comune destino, storico e trascendente, permette di valorizzare le differenze storiche e culturali, senza contrapporle ma coordinandole. "Sono queste semplici verita' a rendere possibile la pace; esse diventano facilmente comprensibili ascoltando il proprio cuore con purezza di intenzioni". Di fronte a nazionalismi, a esclusivismi culturali di vario genere, ad angustie etniche e localistiche, a pretese di superiorita' superbe e inique, questa saggia esortazione insegna e aiuta la pace. * Si sa che nel Concilio Vaticano II una condanna piu' radicale della guerra - come quella contenuta nella Pacem in terris - e anche della semplice detenzione di armamenti nucleari, fu impedita dal disaccordo dei vescovi statunitensi, mentre il loro paese era impegnato nella guerra del Vietnam. Nel n. 7 del suo messaggio, papa Ratzinger richiama e sostiene il diritto internazionale umanitario come mitigazione delle sofferenze devastanti che la guerra infligge, specialmente ai civili. Qui ci saremmo aspettati dichiarazioni piu' profetiche, non solo interne alla ragionevolezza possibile nella situazione data. Se il bando della guerra, che e' scritto nei patti del diritto internazionale nuovo, non e' oggi rispettato, ma sfacciatamente violato, una voce non diplomatica, ma di speranza e impegno profetico, come deve essere la voce cristiana, avrebbe dovuto piu' fortemente condannare le plateali violazioni in atto, e piu' caldamente incoraggiare sulla via del ripudio, e non solo della mitigazione, del male della guerra, che e' omicidio e strage usati come strumento di potenza. * Il Papa esprime nel n. 8 gratitudine per quanti si impegnano nell'applicazione del diritto internazionale umanitario. Non cita per nulla le tante eroiche iniziative private che, nell'assenza colpevole degli stati, svolgono presenza solidale, intervento mediatore preventivo e successivo, insieme e in mezzo ai popoli vittime delle guerre; iniziative di generosi volontari che con enorme coraggio e rischio operano assolutamente senza armi, con forme nonviolente attive, che gli stati e le politiche non sanno ancora neppure pensare. E invece il papa cita subito solamente le presenze militari, che si pretendono pacifiche con le armi in mano, e spesso anche le usano crudamente, come abbiamo saputo e visto e udito, anche da parte dei militari italiani in Iraq (video di Rainews 24 sulla battaglia dei ponti a Nassirya). Non si giudicano le intenzioni personali, ma la errata concezione delle politiche (evidentemente rispondenti ad altri fini) che fanno credere di poter costruire la pace coi mezzi della guerra, e intanto se non altro fiancheggiano chi la guerra la promuove cinicamente. Possibile che il papa non conosca i veri volontari di vera pace - ecco la "verita' della pace"! - molti dei quali sono cattolici, che sono attivi, anche a rischio della vita, da alcuni di loro esposta e sacrificata per amore delle vittime, dentro il fuoco della guerra? Possibile?! Male, se non li conosce! Peggio, se ne tace! Male se sceglie consiglieri reticenti o disinformati sulle cose piu' importanti! E invece ripete un elogio dei soldati, e dei cappellani militari che non mettono in crisi ma confortano le loro coscienze. Possibile che un papa debba sentirsi cosi' legato dentro un sistema cosi' criticabile? Diplomazia o profezia e' la sua vocazione? Un riconoscimento alle intenzioni soggettive dei militari (molto pagati, a differenza dei veri volontari di pace) puo' essere dato senza omettere la critica necessaria dell'uso di mezzi, l'occupazione militare con armi potenti, incompatibili con il fine dichiarato, la pace. * La denuncia e l'analisi del terrorismo, nei nn. 9 e 10 del Messaggio, ci sembra giusta e precisa. Rimane da chiedersi se la "disperazione nei confronti della vita e del futuro", indicata tra le cause di tanta violenza, e' solo un peccato personale contro la verita' e l'umanita', o non e' anche l'effetto nefasto di lunghe sistematiche violenze storiche e strutturali esercitate su popoli e culture con il colonialismo, con l'imperialismo, con il dominio economico e culturale - fenomeni nei quali bisogna vedere anche le responsabilita' delle religioni dei popoli dominanti - che hanno umiliato la dignita' e impedito progetti di vita in molti popoli e persone. Non e' solo la miseria materiale che puo' spingere alla disperazione violenta, ma l'impedimento a progettare liberamente un proprio futuro. Riconoscere queste cause lontane e profonde non e' affatto un disconoscere o diminuire le responsabilita' personali e collettive nella scelta ingiustificabile della violenza, ma e' un contributo piu' giusto e completo al lavoro profondo per superare la violenza anche nelle cause materiali e interiori che la favoriscono. * Nel n. 11 il papa esorta i cattolici ad annunciare e testimoniare il "Vangelo della pace" (espressione che ricorre due volte, tratta da Efesini 6, 15, non citata), "proclamando che il riconoscimento della piena verita' di Dio e' condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verita' della pace". Sono convinto che credere e confidare in Dio consolida la verita' della pace, sospinge e sostiene una persona nell'impegno per la pace. Se l'espressione citata venisse intesa nel senso che credere in Dio e' condizione previa e indispensabile per sentire e seguire l'impegno morale umano a costruire la pace, questa sarebbe una interpretazione che non mi sentirei di condividere, secondo il pensiero di buoni teologi che mi persuadono. Infatti, tanti che non credono in Dio sentono e seguono questo impegno, mentre tanti che credono in Dio rimettono del tutto a lui, invece di impegnarvisi, l'opera della pace, o addirittura si affidano a logiche di guerra, persino giustificandole nel nome di Dio. Il senso morale e' nativo e costitutivo della persona umana, vive e cresce se viene coltivato, e non deriva soltanto dalla fede esplicita. Credo che questa lo orienta e lo rafforza, ma non ne e' l'unico fondamento. "Dio, solo Dio, rende efficace ogni opera di bene e di pace", e' un'affermazione che io, come credente, condivido davvero, ma nel senso che in tutti, anche in chi non lo conosce, Dio opera fecondando e non mai sostituendo la liberta' di ciascuno; non la condivido pero' nel senso che, senza la fede esplicita in Dio, l'opera di bene e di pace non sarebbe efficace. Un chiarimento come questo mi sembra importante per la collaborazione sincera di credenti e non credenti nella costruzione della pace. La successiva affermazione del messaggio, che "la storia ha ampiamente dimostrato che fare guerra a Dio per estirparlo dal cuore degli uomini porta l'umanita', impaurita e impoverita, verso scelte che non hanno futuro", credo possa essere condivisa anche da chi non e' credente, se significa che una civilta' che comprima e sopprima l'anelito al bene e al vero - cio' che il credente riconosce nel Dio vivente, ma che ogni uomo onesto e sincero cerca - comprime e opprime l'umanita' di noi tutti. La "guerra a Dio" puo' essere guerra al vero e al bene, percio' all'umanita', ma a volte e' guerra a chi rappresenta e vive male, scandalosamente, la credenza in Dio. L'attacco alle false immagini di Dio ha prodotto nella storia anche possibilita' di cercare sue immagini piu' fedeli. * Dato un rapido sguardo, nei nn. 12 e 13, alla situazione mondiale, con alcuni segni positivi e altri negativi (nel quale quadro notiamo l'assenza di un cenno a novita' positive di giustizia in America Latina), il Messaggio si sofferma sulla denuncia della "funesta e del tutto fallace" fiducia nelle armi nucleari. "La verita' della pace richiede che tutti - sia i governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi nucleari, sia quelli che intendono procurarsele - invertano congiuntamente la rotta con scelte chiare e ferme, orientandosi verso un progressivo e concordato disarmo nucleare". Rispetto ai discorsi politici correnti, il papa dichiara con franchezza l'uguale responsabilita' degli stati nuclearisti, sia vecchi che nuovi, contro l'abituale atteggiamento dei primi di voler detenere il monopolio del ricatto atomico sul mondo, anche minacciando gravemente stati che vogliano entrare nella loro stessa nefasta logica. Ci chiediamo tuttavia se la libera parola profetica non potrebbe chiedere ai responsabili qualcosa di piu' coraggioso e piu' giusto del disarmo concordato e bilanciato, che, come si sa, si impantana e si arresta nella reciproca diffidenza. Abbiamo avuto, sul finire della Guerra fredda, iniziative autonome di parziale disarmo da parte di Gorbaciov, che, anticipando coraggiosamente l'antagonista, lo sfidavano a procedere in gara sulla via della pace, invertendo davvero la via della distruzione (processo poi sciaguratamente interrotto con la prima guerra del Golfo). Una Chiesa libera e profetica potrebbe esortare lodare e sostenere simili iniziative, ben piu' che prudenze troppo calcolate. * Nel n. 14, il papa registra con preoccupazione e rammarico l'aumento delle spese militari e del commercio delle armi, e insiste molto opportunamente sul disarmo, tema oggi tragicamente assente dal dibattito politico, e vede che gli organismi internazionali riguadagnerebbero in questo impegno "quell'autorevolezza che e' indispensabile per rendere credibili ed incisive le loro iniziative". Si vede con soddisfazione che qui non si tratta piu' solamente del disarmo nucleare, ma del disarmo in generale. Speriamo tutti noi cercatori della pace che la Chiesa cattolica, insieme a tutti i cristiani e a tutte le tradizioni religiose e morali, sollevi sempre piu' forte nell'umanita' la "vergogna per aver costruito le armi" (come diceva Ernesto Balducci) e il coraggio sapiente delle relazioni disarmate, nella gestione dei conflitti con "liberta' dalla violenza" (Gewaltfreiheit), con la sola "forza della verita'" - il Satyagraha gandhiano - che costruisce giustizia con i mezzi della giustizia e pace con i mezzi della pace, cioe' davvero in modo vero ed efficace. Perche' devono dire queste cose i cercatori di nonviolenza, considerati utopisti dai realisti tristi, e non lo dicono sempre piu' chiaramente le religioni, che sono nel mondo per annunciarvi e introdurvi novita' salvifiche, rendendosi piu' libere dal rispetto dei potenti? * Nel n. 15 il papa indica la giustizia, anelata dai popoli poveri, come frutto della auspicata civilta' del disarmo, e rinnova la fiducia e l'incoraggiamento all'Onu a rinnovarsi in direzione di questi scopi. Quindi impegna la Chiesa a proclamare dappertutto il "Vangelo della pace", a servizio di quanti si dedicano a questo fine. Le affermazioni finali di questo n. 15 ci riportano alle considerazioni proposte a proposito del n. 11. * Dell'esortazione finale, mi piace sottolineare l'invito ai credenti a "fondare la pace sulla verita' di un'esistenza quotidiana ispirata al comandamento dell'amore". Se e' vero che non basta, a istituire la pace, neppure la generalita' di comportamenti personali buoni e giusti nelle relazioni interpersonali quotidiane, perche' esistono e funzionano culture, meccanismi collettivi e sistemi di guerra che ci coinvolgono e che vanno smontati, e' pero' ben vero che base indispensabile di ogni politica di pace e di una storia umana di pace e' la volonta' pacifica e la scelta nonviolenta, sincera e continuamente rianimata, invocata dall'alto e dal profondo, nel cuore delle persone. 5. RIFLESSIONE. ALI RASHID: MAI PIU' GENOCIDI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 dicembre 2005. Ali Rashid e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Hamas ha vinto le elezioni amministrative in Palestina: anche a Nablus roccaforte storica del pensiero laico, ha raccolto 12 su 15 dei seggi comunali. Intanto i raid israeliani contro Gaza continuano e gli unici ostacoli alle elezioni sono venuti dai posti di blocco israeliani. Due giorni prima, la "guida della rivoluzione islamica" ayatollah Khameini aveva invitato Hamas ad abbandonare l'illusione della via delle trattative "con il nemico sionista" e della tregua, essendosi rivelate controproducenti con l'unico risultato di consolidare l'occupazione israeliana e l'affermazione della politica dei fatti compiuti che ha caratterizzato la condotta di Israele durante i 56 anni della sua esistenza. Khamenei intende dire che l'illusione dell'efficacia delle trattative ha nei fatti messo in discussione la legittimita' della lotta del popolo palestinese contro l'occupazione militare per la propria liberta'. Contemporaneamente il presidente iraniano Ahmadinejad e' tornato sulla questione della Shoah, defindendola "un mito". Questo suo accanimento dovrebbe indurre tutti a riflettere. Non si tratta piu' di una distrazione, ma temo che con questo esprima una nuova strategia nel confronto, ormai mortale, che da lunghi anni sconvolge il Medio Oriente, dove Israele e l'alleanza politico-militare occidentale guidata dagli Stati Uniti l'hanno fatta da padrone assumendosene cosi' la maggiore parte delle responsabilita'. Ovviamente non condivido l'invito dell'ayatollah Khamenei ai palestinesi, perche' trasformerebbe il mio popolo in carne di macello dentro un conflitto regionale e mondiale piu' grande di noi. Spegnendo dunque quel miraggio di speranza che abbiamo, obbligatoriamente, il compito di alimentare, per non soccombere definitivamente all'aggressione spietata e violenta di Israele. Che da una parte, nel tempo, ci sta distruggendo, e dall'altra parte ci costringe a una risposta violenta che accelera e giustifica questa distruzione e mina alla base la peculiare storia palestinese, incentrata sull'inclusione e sulla convivenza. Allo stesso tempo non posso pero' smentire la tesi della "guida della rivoluzione islamica" sulla utilita' reale della strategia delle trattative avvenute fino ad oggi, perche' la nostra esperienza con Israele negli ultimi 12 anni da' piu' ragione a lui che non a me. Al punto che posso soltanto confortare le nostre tesi con la speranza ogni giorno mortificata dalla politica israeliana, dalla guerra permanente della amministrazione americana e dalla sordita' della comunita' internazionale. * Invece per le dichiarazioni sulla Shoah - non un mito, ma un genocidio del quale e' responsabile l'Occidente, questo e' il punto - mi sento mortalmente offeso proprio come palestinese che ha subito la Nakba (la cacciata). Di fronte a drammi di queste dimensioni, ma anche infinitamente piu' macroscopici dei nostri, bisogna innanzitutto inchinarsi, fermarsi e dire: mai piu'. Perche' nessuna ragione di stato o impero puo' giustificare le grida di dolore delle donne e degli uomini che ormai colmano il cielo e la terra. Un grido di dolore che, per mancata risposta di verita' e colpevole rimozione, rischia, per la morte della politica nel suo senso piu' alto, di trasformarsi in grida di vendetta e tramutarsi alla fine in una vendetta piu' sorda e spietata in quanto non supportata da mezzi tecnologici. Perche' non si puo' rispondere a una negazione con un'altra negazione. * La scelta della guerra come mezzo per risolvere i complicati problemi del Medio Oriente che Israele caldeggia ha dimostrato tutto il suo fallimento in Iraq, e ora stanno "lavorando" per l'estensione di questa guerra alla Siria e all'Iran. Nella stessa direzione va la proposta di escludere l'Iran dai mondiali di calcio, perche' l'attuale regressione della situazione iraniana e' proprio il frutto dell'isolamento di Tehran. E produrrebbe un ulteriore isolamento, basato sul criterio dell'indignazione selettiva e sul principio di due pesi e due misure. Rafforzando il radicalismo che sta dilagando. L'Iran si sente ed e' di fatto circondato dalle truppe americane e dai loro alleati dall'Iraq e dall'Afghanistan, si vede negare un suo diritto sancito dalla legalita' internazionale di sviluppare la tecnologia nucleare dichiaratamente per uso civile con tutte le garanzie previste dagli organismi internazionali, mentre a Israele, l'unico paese realmente in possesso di testate atomiche nell'area mediorientale, e' permesso tutto nel silenzio della comunita' internazionale e anzi con accordi - India, Stati Uniti e paesi europei - di cooperazione firmati in questo periodo in questa campo pericoloso. * La risposta non puo' che essere l'azzeramento di tutte le armi di distruzione di massa che, fino a prova contraria, fino ad oggi sono state usate esclusivamente dagli americani o per effetto di una licenza da loro rilasciata a qualche alleato di circostanza o contro il nemico di turno. * Noi abbiamo ragione a sostenere che le trattative e la via politica, sulla base di una legalita' internazionale che riconosce una pari dignita' a tutti, rappresentano l'unica strada per rendere il pianeta ancora vivibile. In Medio Oriente, lo si capiva da tempo, non servono altre guerre per riportare stabilita', democrazia, liberta' e sicurezza per tutti, ma e' decisivo ripartire dal processo di pace in Palestina obbligando Israele a rispettare gli impegni derivanti dal diritto internazionale che puntualmente in tutte le occasioni ha violato. L'accanimento contro la Palestina, contro chi ci sostiene, da parte di molti politici (che magari in privato ci dicono cose diverse da cio' che sostengono in pubblico, dando la colpa agli americani) e' un accanimento contro la speranza di pace. E alla fine contro la stessa Israele. 6. RIFLESSIONE. GUIDO VIALE: LA TAV TORINO-LIONE E' UN PROGETTO CHE FA MALE ALL'AMBIENTE, ALL'ECONOMIA, ALLA DEMOCRAZIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 dicembre 2005. Guido Viale e' nato nel 1943, e' stato uno dei leader della protesta studentesca nel '68, lavora a Milano, fa parte del Comitato tecnico-scientifico dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (Anpa). Opere di Guido Viale: segnaliamo particolarmente Un mondo usa e getta, Tutti in taxi, entrambi presso Feltrinelli; e Governare i rifiuti, presso Bollati Boringhieri] Il centro-sinistra si sta spaccando le ossa sulla Tav Torino-Lione prima ancora di essere messo alla prova come maggioranza di un futuro governo. E' quasi una beffa. La Tav Torino-Lione non si fara' mai. E' un'opera quattro volte piu' costosa del famigerato ponte sullo stretto di Messina; quattro volte piu' inutile quanto a volumi di traffico previsti (che anche artatamente gonfiati a 20 milioni di tonnellate/anno non coprono che la meta' della capacita' da installare); quattro volte tecnicamente piu' incerta quanto alla sua effettiva fattibilita' tecnica: Il ponte rischia di lasciare dietro di se' solo due giganteschi piloni in cemento armato mozzi, con i ferri che spuntano dalle cime, come nei tanti edifici abusivi in attesa di sopraelevazione costruiti nel Mezzogiorno, senza che in mezzo venga steso nulla. Quanto alla Tav Torino-Lione, nessuno sa ancora che cosa si trovera' sotto quelle montagne; si sa comunque che la principale societa' di perforazione del mondo si e' ritirata dall'affare - verosimilmente per le difficolta' incontrate - lasciando il suo posto alla Rocksoil del ministro Lunardi, debitamente nascosta dietro una catena di subappalti. * Non ho competenze per valutare i rischi connessi alla presenza di amianto e uranio nelle montagne da perforare; posso anche ammettere che esistano e si possano attivare a costi abbordabili interventi di contenimento del rischio (ma qui parlare di costi significa comunque mettere in gioco una montagna quasi inimmaginabile di denaro). Ma per un'opera che promette di trasformare un'intera valle - gia' dissestata da una viabilita' quasi esclusivamente di transito (cioe' senza ricadute economiche o sociali di qualche peso) - in un cantiere della durata programmata di oltre 13-15 anni, destinati verosimilmente, sulla base di tutte le esperienze pregresse, a raddoppiare, e per il quale si prevede di scaricare sul fondo valle diversi milioni di tonnellate di detriti inquinati e inquinanti, una verifica seria sulle alternative praticabili con interventi meno pesanti sarebbe stata doverosa. Molti esperti, compreso il presidente delle Ferrovie dello Stato, fautore del progetto, ci dicono che questa alternativa non solo e' praticabile, ma e' gia' in parte in corso di realizzazione, e portera' in pochi anni la capacita' di trasporto dell'attuale linea Torino-Lione vicino al livello del traffico "previsto" tra venti anni per la Tav Torino-Lione. Ma questa alternativa non e' stata inserita nella valutazione di impatto che ha dato il benestare al nuovo progetto; valutazione peraltro mai portata a termine, in violazione della normativa dell'Unione Europea, grazie all'esenzione prevista dalla legge-obiettivo del ministro Lunardi. Ma chi ha detto che il traffico effettivo di merci tra Torino e Lione tra venticinque anni (2030) corrispondera' a quello programmato? L'alta velocita' Torino-Lione e' stata pensata come linea di trasporto passeggeri, e inclusa come tale nel Libro bianco della Commissione europea su "Crescita, competitivita', occupazione", noto come Rapporto Delors, che risale al 1994; solo successivamente e' stata estesa al trasporto merci come tratta del corridoio 5, trasformandola in una cosiddetta "autostrada ferroviaria": cioe' una tratta lungo la quale i tir in transito sullo stesso itinerario dovrebbero essere caricati su vagoni (in uno scalo ancora da definire, prossimo a Torino), per poi esserne scaricati una volta superata la tratta alpina francese; o viceversa. Una soluzione che dal 2016 sara' obbligatoria per tutti i tir in transito attraverso la Svizzera, indotta a questa soluzione dal fatto che prima e dopo l'attraversamento del suo territorio, cioe' in Francia, Germania e soprattutto in Italia, i tir che effettuano trasporti anche di lunga percorrenza sono liberi di circolare ovunque. * L'impossibilita' di adottare la stessa soluzione lungo l'attuale tratta ferroviaria, anche rimodernata, e' la principale ragione addotta per giustificare l'opera. Ma caricare i tir su una singola tratta, quando sono liberi di scorrazzare nel resto del paese, non ha ovviamente lo stesso significato che proibirne o limitarne il transito di lunga percorrenza su tutto il territorio nazionale. E se limitazioni del genere fossero introdotte anche in Italia, il concetto stesso di autostrada ferroviaria non avrebbe piu' alcun senso. Che cosa c'entri poi l'alta velocita' - che fa guadagnare al massimo due o tre ore lungo il percorso, ma che ne impiega molte di piu' nelle operazioni di carico e scarico dei tir con il trasporto pesante di merci, nessuno lo ha ancora spiegato. Ma anche il cosiddetto corridoio 5 Lisbona-Kiev e' puramente virtuale, non molto diverso dalle linee tracciate con il pennarello da Berlusconi quando illustrava a Bruno Vespa il suo programma. Intanto, tutta la tratta del corridoio a est di Trieste, che potrebbe avere un ruolo fondamentale nel rilancio del suo porto, non e' neppure in fase di progettazione, per non parlare del suo finanziamento, non incluso in alcuna previsione budgetaria dell'Unione Europea o dei paesi interessati. * In secondo luogo, non esiste alcun traffico di merci pesanti tra Lisbona e Kiev o viceversa. Esiste un intenso traffico - in crescita - di merci provenienti dall'estremo o dal medio Oriente, che sbarcano e sbarcheranno sempre piu' nei porti del Mediterraneo: Barcellona, Marsiglia, Genova, Ravenna e Trieste; ma anche, dopo il trasbordo, Livorno, Napoli, Gioia Tauro, Atene, Bari, ecc. Queste merci poi prendono la via del nord e del centro Europa, o dell'Europa dell'est, risparmiandosi cosi', fino a che l'effetto serra non avra' sciolto completamente i ghiacci dell'Artico, la circumnavigazione dell'Europa per arrivare a Le Havre, Rotteram e Amburgo. E viceversa. I "corridoi" che servono questo traffico sono gia' tutti in funzione (Tarvisio, Brennero, Gottardo, Sempione) o di prossima apertura (Loetchberg) e in via di potenziamento; il che contribuira' non poco a ridurre ulteriormente il traffico in transito tra Torino e Lione. Basta comunque guardare una cartina geografica per capire che la Torino-Lione non e' che il piu' periferico degli itinerari nord-sud; tanto e' vero che per raggiungere Lione il collegamento virtuale tra Lisbona e Kiev deve compiere una vistosissima deviazione verso nord. * In terzo luogo, per trasformare la Tav Torino-Lione in un'"autostrada ferroviaria" occorre che i tir e i loro autisti siano disposti a salirci sopra (a pagamento). Per questo la presidente della Regione Piemonte, schierata a favore del progetto, continua a chiedere "garanzie": il che vuol dire rendere la cosa obbligatoria. Ma finche' non si riforma il trasporto autostradale - oggi in mano a decine di migliaia di padroncini, italiani e sempre piu' est-europei, peraltro tutti in subappalto, attraverso una catena spesso assai lunga, dei grandi operatori multinazionali della logistica, quasi tutti stranieri - inducendoli ad associarsi per ottimizzare carichi, percorsi, consegne e veicoli, sara' ben difficile per governi, di destra e di sinistra, costringere i tir a salire su un vagone. Tanto piu' che quei governi, finora, non sono stati capaci nemmeno di abolire gli sconti sulle accise del combustibile, perche' questi operatori sono in grado di bloccare immediatamente, per protesta, tutti i valichi interni e internazionali del paese. * In quarto luogo, la riforma del trasporto nasce di qui: non accoppiando treni e tir lungo i valichi, o navi e tir nel trasporto marittimo, facendo salire gli uni sugli altri, raddoppiando cosi' vettori e costi; ma promuovendo una vera intermodalita', che permetta di disaccoppiare le motrici dai rimorchi (o dai container che trasportano); di caricare sui treni e sulle navi soltanto questi ultimi, e di farli riagganciare, alla stazione di arrivo, da altre motrici: operazione molto semplice dal punto di vista tecnico; complicatissima in termini economici e organizzativi. Perche' presuppone strutture consortili, anche internazionali, che oggi non ci sono, ma che potrebbero essere l'unico argine contro il supersfruttamento dei "padroncini" da parte delle multinazionali del trasporto. Questo ci riporta al concetto di "corridoio", che non e' solo ne' soprattutto un tracciato ferroviario o stradale (o entrambi), bensi' un sistema logistico di cui i tracciati, debitamente attrezzati, potenziati e messi in sicurezza, non sono che una componente. Ci vogliono poi operatori logistici in grado di valorizzare le opportunita' offerte dall'intermodalita', interporti per lo scambio intermodale tra i diversi vettori e tra il trasporto di lunga percorrenza e quello di prossimita'; e centri logistici per le rotture e le ricomposizioni dei carichi (comprese molte operazioni di assemblaggio e disassemblaggio di componenti, che e' assai opportuno effettuare in questi centri). Mentre quello che si sa e' che la Tav Torino-Lione saltera' l'efficiente interporto torinese di Orbassano, per costruirne (forse) uno ancora tutto da progettare e finanziare vicino a Chivasso; che per l'utilizzo dell'"autostrada ferroviaria" non e' prevista alcuna garanzia; che le alternative offerte dal Sempione e dal Loetchberg sottrarranno altro traffico alla Torino-Lione, i cui costi comunque non verranno mai coperti dall'introito tariffario, tanto e' vero che per quest'opera, a differenza che per il ponte sullo stretto, l'operazione del project-financing non e' stata neppure tentata. * Infatti - quinto - quest'opera non e' finanziata, se non con un contributo dell'Unione Europea - destinato a svanire, se si prolungheranno i rinvii dell'apertura dei cantieri, o se non verranno stanziati fondi adeguati per le tratte francese e italiana: quest'ultima per un importo previsto di 6,5 miliardi, interporti esclusi, destinato probabilmente a raddoppiare. Con i chiari di luna che il prossimo governo si trovera' ad affrontare - qualunque sia la futura maggioranza - questa sara' sicuramente la prima grande opera a cadere sotto la mannaia degli indispensabili tagli. * In sesto luogo, previsioni cosi' a lungo termine (venticinque anni al 2030) dovrebbero prendere in considerazione scenari piu' elastici, e non una proiezione lineare dell'attuale trend dei traffici. E' in corso un processo di "dematerializzazionea" dell'economia che avra' come principale conseguenza la riduzione - in peso e in volume - dei beni scambiati. E' in corso, nonostante i molti processi di delocalizzazione, un ripensamento sull'opportunita' di sguarnire completamente i territori delle loro capacita' manifatturiere e soprattutto agroalimentari, il che portera' a un ridimensionamento dei volumi trasportati in molti comparti merceologici. E' in corso un processo di recupero e valorizzazione degli scarti e dei materiali ricavati dai beni dismessi che fara' sempre piu' delle citta' una fonte locale di materie prime per l'industria. E' in corso un drastico aumento del prezzo del petrolio - e anche un processo di progressivo esaurimento delle sue disponibilita' - che si ripercuotera' inevitabilmente sui costi di trasporto e sulle sue convenienze, rivalutando le produzioni di prossimita'. Dove mai si e' tenuto conto, anche solo in via ipotetica, di tutto cio' nel progettare la Tav Torino-Lione? * Per concludere, l'opera non e' stata discussa ne' tantomeno negoziata con le popolazioni della Val di Susa ne' dai precedenti governi nazionali, ne' da quelli regionali. Adesso, mentre il ministero dell'interno e' passato alle maniere forti, si cerca di correre ai ripari per conquistare il "consenso" delle popolazioni coinvolte. Ma quale consenso? Si e' forse disposti a mettere in discussione il tracciato, o la validita' dell'intervento? Oppure si tratta solo di far digerire la pillola alle sue recalcitranti vittime. Ma quale cultura della negoziazione ambientale e' mai questa? I negoziati ambientali bisogna farli prima di definire gli interventi, presentando diverse alternative (compresa quella di non fare niente) e prospettando costi e benefici di ogni opzione, eventualmente rinforzati con interventi di mitigazione del danno o di incentivazione o penalizzazione delle diverse situazioni. Fatto a posteriori, quando un ministro dichiara che comunque l'opera si fara', difenderla e' solo un suicidio. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1151 del 21 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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