La nonviolenza e' in cammino. 1151



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1151 del 21 dicembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'"...
2. Un luogo d'incontro
3. Maria G. Di Rienzo: Voci da un forum della Bbc
4. Enrico Peyretti: Alcune note di commento al messaggio di Benedetto XVI
per la giornata della pace
5. Ali Rashid: Mai piu' genocidi
6. Guido Viale: La Tav Torino-Lione e' un progetto che fa male all'ambiente,
all'economia, alla democrazia
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI DI LAVORO. LIDIA MENAPACE: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Alle molte ragioni permanenti ne aggiungo quest'anno una che mi pare
importantissima: Mao Valpiana ha tenuto sulla questione della Tav e del
movimento antitav in val di Susa una posizione ferma ed esemplare: non e'
facile, quando gli eventi sono vicini, se ne ha tuttavia notizia non
adeguata, il movimento e' in formazione e appartiene agli abitanti della
valle che gli hanno dato vita, ma intorno al movimento dei valligiani subito
si concentra lo sciacallaggio di chi vive appunto mettendo se stesso davanti
a tutto. Lo ha fatto il ministro degli Interni cercando di fare confusione
invece che chiarezza; lo hanno fatto quelli che piombano su qualsiasi cosa
si muove senza alcun rispetto per chi vi e' coinvolto e resta li' anche dopo
che i visitatori non invitati se ne sono andati piu' o meno ingloriosamente.
Penso vada dato atto ad "Azione nonviolenta" di essere tra i soggetti che al
movimento antiTav hanno dato un sostegno ragionato e rispettoso. Cosi' si
deve fare.

2. STRUMENTI DI LAVORO. UN LUOGO D'INCONTRO
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza.
La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n.
10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente
bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza
Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad
"Azione nonviolenta".

3. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: VOCI DA UN FORUM DELLA BBC
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

Nel corso di un progetto della Bbc chiamato "Chi dirige il tuo mondo?",
svoltosi negli scorsi mesi di ottobre e novembre, uno dei forum si e'
occupato dello stato dei diritti umani delle donne. Interlocutrice per le
questioni poste e' stata Mary Robinson, l'ex presidente dell'Irlanda, Alto
commissario Onu per i diritti umani, ed ora direttrice di "Ethical
globalization initiative", ovvero "Iniziativa per una globalizzazione
etica". In guisa di meditazioni natalizie, vi offro di seguito un saggio
delle domande poste a Mary Robinson. Credo si tratti di istanze da cui
ciascuna e ciascuno di noi dovrebbe lasciarsi interrogare.
*
In Sudafrica, nel periodo di un solo anno, secondo i dati della polizia ci
sono stati 55.000 stupri di donne e bambini. Ancora piu' orribile e' sapere
che se ne stimano altre migliaia non denunciati. Sebbene l'intera societa'
stia cominciando ad apprezzare le donne e le bambine, la loro vita e' ancora
molto a buon mercato, e muoiono di battiture domestiche. Questo continuera'
fino a che le donne non avranno pieno diritto all'istruzione ed alla
liberta' di parola, fino a che non troveranno le loro proprie voci. (Gail,
Pietermaritzburg, Sudafrica).
*
Non pensi che sarebbe il caso di cominciare a boicottare attivamente le
nazioni che soggiogano le donne attraverso sistemi legali discriminatori o
la segregazione? O la produzione di petrolio di paesi come l'Arabia Saudita
e' piu' importante dei diritti umani di base? Perche' va bene obiettare alle
diseguaglianze sul terreno etnico, ma quando si arriva al genere indugiamo
in una sorta di relativismo morale o farfugliamo di "differenze culturali"?
Nessuno osa piu' rivendicare il razzismo come pietra miliare di una data
cultura, percio' perche' permettiamo il contrario quando si tratta di
sessismo? (Fhiona Alsop, Bristol, Gran Bretagna).
*
Le donne africane sono probabilmente quelle che stanno peggio. Fanno tutto.
La poligamia e' diffusa in Africa. E gli uomini non si sposano per amore, ma
per acquisire forza lavoro. Se hai cinque mogli buon per te, ci sono cinque
lavoratrici nei tuoi campi. Le donne svolgono l'80% delle attivita'
agricole, in Africa. Poi cucinano e mettono il cibo sul tavolo, puliscono
per i loro mariti e figli, e non hanno nessun diritto proveniente da tutte
le loro responsabilita'. Sono le serve dei loro patriarcali mariti. Io la
chiamo schiavitu'. (Khalil Djalal, Ottawa, Canada).
*
I diritti delle donne sono enormemente migliorati, in Turchia. Le giovani
stanno entrando nelle professioni e nelle carriere. Ci sono fondi
governativi per le ragazze che vivono in zone povere, e che permettono loro
di usufruire di una migliore istruzione. Questo, nel lungo periodo,
significhera' migliori salari. Credo sia vitale per ogni nazione
preoccuparsi dell'istruzione delle donne. Gli sforzi che noi stiamo facendo
ci rendono orgogliose. Ho speranza nel futuro. (Esra Karatash Alpay,
Istanbul, Turchia).
*
Di recente mio figlio ha passato tre giorni in un villaggio di una remota
zona costiera del Kenya. E' rimasto sbalordito da quel che ha visto. Gli
uomini del villaggio fanno a stento qualche lavoro leggero. Passano il tempo
a dar la caccia alle ragazze e a bere mnazi (una specie di birra derivata
dal latte di cocco), mentre le donne si incaricano di guadagnare, di dar da
mangiare all'intera famiglia e di istruire i bambini. Quando e come queste
donne senza istruzione impareranno di avere dei diritti umani? (M. Bashir
Bharadia, Mombasa, Kenya).
*
Io sono cresciuta in India, e sono testimone del lavoro che il movimento per
i diritti delle donne svolge e ha svolto nel paese. Ora molte donne sono
ingegnere e mediche, e arrivano ai piu' alti gradi dell'istruzione.
Tuttavia, un profondo pregiudizio di genere condiziona ancora il loro ruolo
nella societa'. Ci si aspetta da loro che giunte ad una certa eta' si
occupino delle faccende domestiche, e che se devono lavorare sia solo in
determinate professioni. Queste convinzioni sono cosi' radicate da impedire
alle donne di esprimere veramente se stesse. Come si puo' mettere in
questione la continuita' di tale paradigma? (Monika Kochhar, New York, Usa).
*
Se c'e' una schiena della societa', e' fatta di donne. Perche' i politici
non vogliono saperne delle istanze femminili? Si suppone che nel XXI secolo
siamo tutti abbastanza illuminati da poter riconoscere che le donne sono
state trattate assai ingiustamente, nel mondo, per secoli e secoli. Le donne
non devono piu' venire discriminate. Si deve dar riconoscimento ai loro
talenti, ed eguali opportunita' nella vita. (Pancha Chandra, Bruxelles,
Belgio).
*
I ruoli e le posizioni delle donne stanno certamente cambiando, ma a mio
avviso non abbastanza. La mia domanda e' questa: come attivista per i
diritti delle donne in Africa, a me e' del tutto ovvio che l'eguaglianza di
genere si riflette in uno sviluppo economico e sociale migliore, e allora
perche' cosi' poco dei fondi di aiuto allo sviluppo viene impiegato per
raggiungere l'eguaglianza? E perche' e' cosi' difficile persuadere i leader
e i donatori dell'importanza che le donne abbiano diritti? (Stella Maranga,
Nairobi, Kenya).
*
La discriminazione sul lavoro e' ancora forte, e lo sciovinismo tra gli
uomini un tratto dominante. Nel mio paese, ad esempio, i diritti delle donne
non vengono riconosciuti anche perche' le donne, in special modo quelle
delle classi sociali piu' basse, non sanno neppure di averli. Abbiamo
un'ottima legge contro la violenza su donne e bambini, che dovrebbe
proteggere da ogni forma di abuso e discriminazione. Ma sfortunatamente nel
mio paese le leggi sono buone solo sulla carta, e il loro spirito non si
vede applicato. (Ruby Go, Cebu, Filippine).
*
I diritti umani delle donne sono un obiettivo che l'Onu non sta
raggiungendo. Gli stati, i media, la pubblicita', l'attitudine machista
distruggono costantemente le speranze di eguaglianza. Un solo giorno in Gran
Bretagna e' sufficiente per vedere che le donne sono trattate ovunque come
merce. Noi lamentiamo la mancanza di diritti umani per le donne nel mondo
arabo, e facciamo bene a farlo, ma non dovremmo dimenticare la nostra, di
oppressione. Credo sia venuto il momento di lottare, e di lottare duramente,
qui dove siamo. (Jennifer Hynes, Plymouth, Gran Bretagna).
*
Come risultato dell'invasione occidentale, le donne irachene hanno meno
liberta' e diritti, meno lavoro ed opportunita', ed il regime dittatoriale
si e' mutato in una democrazia distorta. Cosa facciamo per questo? (Lynn,
Bucks, Gran Bretagna).

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ALCUNE NOTE DI COMMENTO AL MESSAGGIO DI
BENEDETTO XVI PER LA GIORNATA DELLA PACE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Il testo del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata della
pace del primo gennaio 2006, "Nella verita', la pace", puo' essere letto nel
n. 1149 di questo foglio. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e
filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il
mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore
per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede
dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005;
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa
Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a
stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio
nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la
traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo
foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche
nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

Vorrei provare a leggere questo documento dal punto di vista non solo dei
credenti in Cristo, ma di ogni cercatore di pace aperto alla profonda
collaborazione spirituale, nella buona volonta'.
*
Il papa "conferma ancora una volta la ferma volonta' della Santa Sede di
continuare a servire la causa della pace" e spiega la scelta del proprio
nome anche con riferimento a Benedetto XV, che condanno' la guerra e si
impegno' per la pace (n. 2). Egli ripete dieci volte l'espressione, che
trovo bella, "verita' della pace" (dal Concilio, Gaudium et Spes, n. 77). Il
titolo del messaggio, "Nella verita', la pace", e il suo tema principale e'
che la pace si puo' instaurare se gli uomini attuano l'ordine e la giustizia
voluti da Dio per la societa' umana (ibidem, n. 78). Ma la pace e' una
verita' anche perche' corrisponde, come scriveva Giovanni Paolo II, "ad un
anelito e ad una speranza che vivono in noi indistruttibili" (n. 3 e 6). Mi
pare di capire che la "verita' della pace" non e' solo, per papa Benedetto,
quella illuminata dalla rivelazione divina (n. 3), ma e' anche quella che
godiamo e ammiriamo quando la nostra vita umana si svolge in relazioni
buone, giuste, rispettose, solidali, cioe' quando la nostra vita insieme e'
autentica, corrisponde al nostro anelito migliore, dunque e' vera. Anche se
il Messaggio non cita mai (se non implicitamente al n. 4) - e questo
dispiace - l'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, il piu' alto e
avanzato documento ufficiale cattolico sulla pace, si puo' vedere nell'idea
di "verita' della pace" la possibile desiderata convergenza dei credenti e
di tutti "gli uomini di buona volonta'" nel costruire relazioni di pace, che
rendono vera, buona, felice il piu' possibile, la nostra vita.
*
Nell'ordine di idee detto, il papa richiama la definizione agostiniana di
pace come "tranquillitas ordinis", cioe' "quella situazione che permette, in
definitiva, di rispettare e realizzare appieno la verita' dell'uomo" (n. 4).
Il fascino tradizionale di questa definizione merita tuttavia di essere
completato con la visione contemporanea della realta', che e' piu' dinamica
e meno statica. Cosi', la cultura di pace odierna vede la pace non soltanto
come una situazione raggiunta, o ristabilita, da non turbare, e solo da
conservare in tranquillita'. La nostra cultura di pace assume in pieno la
realta' della differenza, del pluralismo, del mutamento, del conflitto, che
e' un carattere inevitabile e promotore della storia umana e non e'
necessariamente violento. Gandhi (che e' stato definito anche un "Galileo
rinnovatore della scienza del conflitto") diceva che il conflitto e'
"un'occasione di verita'", di allargamento di visuale e di esperienza. In
questa concezione, la pace e' essenzialmente la capacita' di gestire i
conflitti della vita in modo costruttivo invece che distruttivo, violento.
Dissociare il significato di conflitto dal significato di guerra e di
violenza e' una conquista euristica della nostra cultura di pace. L'ordine
umano di pace non e' mai "tranquillo", anche nel senso che l'emergere di
nuove aspirazioni di giustizia e dignita' possono scoprirvi aspetti prima
celati di violenza strutturale o culturale, e dunque possono turbarlo per
ristabilirlo a livelli piu' avanzati di giustizia e di verita' umana.
*
E' molto vero che la menzogna e' la prima violenza contro la pace e la
giustizia (n. 5). Benedetto XVI ricorda qui gli "aberranti sistemi
ideologici e politici" del Novecento, ma anche "le menzogne del nostro
tempo, che fanno da cornice a minacciosi scenari di morte in non poche
regioni del mondo". Sembra chiaro qui un prudente riferimento alla piu'
visibile e vantata delle guerre in corso, quella degli Usa all'Iraq,
falsamente giustificata come prevenzione di altri mali, mediante consapevoli
e potenti menzogne.
*
"Tutti gli uomini appartengono ad un'unica e medesima famiglia.
L'esaltazione esasperata delle proprie differenze contrasta con questa
verita' di fondo" (n. 6). La coscienza del nostro comune destino, storico e
trascendente, permette di valorizzare le differenze storiche e culturali,
senza contrapporle ma coordinandole. "Sono queste semplici verita' a rendere
possibile la pace; esse diventano facilmente comprensibili ascoltando il
proprio cuore con purezza di intenzioni". Di fronte a nazionalismi, a
esclusivismi culturali di vario genere, ad angustie etniche e localistiche,
a pretese di superiorita' superbe e inique, questa saggia esortazione
insegna e aiuta la pace.
*
Si sa che nel Concilio Vaticano II una condanna piu' radicale della guerra -
come quella contenuta nella Pacem in terris -  e anche della semplice
detenzione di armamenti nucleari, fu impedita dal disaccordo dei vescovi
statunitensi, mentre il loro paese era impegnato nella guerra del Vietnam.
Nel n. 7 del suo messaggio, papa Ratzinger richiama e sostiene il diritto
internazionale umanitario come mitigazione delle sofferenze devastanti che
la guerra infligge, specialmente ai civili. Qui ci saremmo aspettati
dichiarazioni piu' profetiche, non solo interne alla ragionevolezza
possibile nella situazione data. Se il bando della guerra, che e' scritto
nei patti del diritto internazionale nuovo, non e' oggi rispettato, ma
sfacciatamente violato, una voce non diplomatica, ma di speranza e impegno
profetico, come deve essere la voce cristiana, avrebbe dovuto piu'
fortemente condannare le plateali violazioni in atto, e piu' caldamente
incoraggiare sulla via del ripudio, e non solo della mitigazione, del male
della guerra, che e' omicidio e strage usati come strumento di potenza.
*
Il Papa esprime nel n. 8 gratitudine per quanti si impegnano
nell'applicazione del diritto internazionale umanitario. Non cita per nulla
le tante eroiche iniziative private che, nell'assenza colpevole degli stati,
svolgono presenza solidale, intervento mediatore preventivo e successivo,
insieme e in mezzo ai popoli vittime delle guerre; iniziative di generosi
volontari che con enorme coraggio e rischio operano assolutamente senza
armi, con forme nonviolente attive, che gli stati e le politiche non sanno
ancora neppure pensare. E invece il papa cita subito solamente le presenze
militari, che si pretendono pacifiche con le armi in mano, e spesso anche le
usano crudamente, come abbiamo saputo e visto e udito, anche da parte dei
militari italiani in Iraq (video di Rainews 24 sulla battaglia dei ponti a
Nassirya). Non si giudicano le intenzioni personali, ma la errata concezione
delle politiche (evidentemente rispondenti ad altri fini) che fanno credere
di poter costruire la pace coi mezzi della guerra, e intanto se non altro
fiancheggiano chi la guerra la promuove cinicamente. Possibile che il papa
non conosca i veri volontari di vera pace - ecco la "verita' della pace"! -
molti dei quali sono cattolici, che sono attivi, anche a rischio della vita,
da alcuni di loro esposta e sacrificata per amore delle vittime, dentro il
fuoco della guerra? Possibile?! Male, se non li conosce! Peggio, se ne tace!
Male se sceglie consiglieri reticenti o disinformati sulle cose piu'
importanti! E invece ripete un elogio dei soldati, e dei cappellani militari
che non mettono in crisi ma confortano le loro coscienze. Possibile che un
papa debba sentirsi cosi' legato dentro un sistema cosi' criticabile?
Diplomazia o profezia e' la sua vocazione? Un riconoscimento alle intenzioni
soggettive dei militari (molto pagati, a differenza dei veri volontari di
pace) puo' essere dato senza omettere la critica necessaria dell'uso di
mezzi, l'occupazione militare con armi potenti, incompatibili con il fine
dichiarato, la pace.
*
La denuncia e l'analisi del terrorismo, nei nn. 9 e 10 del Messaggio, ci
sembra giusta e precisa. Rimane da chiedersi se la "disperazione nei
confronti della vita e del futuro", indicata tra le cause di tanta violenza,
e' solo un peccato personale contro la verita' e l'umanita', o non e' anche
l'effetto nefasto di lunghe sistematiche violenze storiche e strutturali
esercitate su popoli e culture con il colonialismo, con l'imperialismo, con
il dominio economico e culturale - fenomeni nei quali bisogna vedere anche
le responsabilita' delle religioni dei popoli dominanti - che hanno umiliato
la dignita' e impedito progetti di vita in molti popoli e persone. Non e'
solo la miseria materiale che puo' spingere alla disperazione violenta, ma
l'impedimento a progettare liberamente un proprio futuro. Riconoscere queste
cause lontane e profonde non e' affatto un disconoscere o diminuire le
responsabilita' personali e collettive nella scelta ingiustificabile della
violenza, ma e' un contributo piu' giusto e completo al lavoro profondo per
superare la violenza anche nelle cause materiali e interiori che la
favoriscono.
*
Nel n. 11 il papa esorta i cattolici ad annunciare e testimoniare il
"Vangelo della pace" (espressione che ricorre due volte, tratta da Efesini
6, 15, non citata), "proclamando che il riconoscimento della piena verita'
di Dio e' condizione previa e indispensabile per il consolidamento della
verita' della pace". Sono convinto che credere e confidare in Dio consolida
la verita' della pace, sospinge e sostiene una persona nell'impegno per la
pace. Se l'espressione citata venisse intesa nel senso che credere in Dio e'
condizione previa e indispensabile per sentire e seguire l'impegno morale
umano a costruire la pace, questa sarebbe una interpretazione che non mi
sentirei di condividere, secondo il pensiero di buoni teologi che mi
persuadono. Infatti, tanti che non credono in Dio sentono e seguono questo
impegno, mentre tanti che credono in Dio rimettono del tutto a lui, invece
di impegnarvisi, l'opera della pace, o addirittura si affidano a logiche di
guerra, persino giustificandole nel nome di Dio. Il senso morale e' nativo e
costitutivo della persona umana, vive e cresce se viene coltivato, e non
deriva soltanto dalla fede esplicita. Credo che questa lo orienta e lo
rafforza, ma non ne e' l'unico fondamento. "Dio, solo Dio, rende efficace
ogni opera di bene e di pace", e' un'affermazione che io, come credente,
condivido davvero, ma nel senso che in tutti, anche in chi non lo conosce,
Dio opera fecondando e non mai sostituendo la liberta' di ciascuno; non la
condivido pero' nel senso che, senza la fede esplicita in Dio, l'opera di
bene e di pace non sarebbe efficace. Un chiarimento come questo mi sembra
importante per la collaborazione sincera di credenti e non credenti nella
costruzione della pace. La successiva affermazione del messaggio, che "la
storia ha ampiamente dimostrato che fare guerra a Dio per estirparlo dal
cuore degli uomini porta l'umanita', impaurita e impoverita, verso scelte
che non hanno futuro", credo possa essere condivisa anche da chi non e'
credente, se significa che una civilta' che comprima e sopprima l'anelito al
bene e al vero - cio' che il credente riconosce nel Dio vivente, ma che ogni
uomo onesto e sincero cerca - comprime e opprime l'umanita' di noi tutti. La
"guerra a Dio" puo' essere guerra al vero e al bene, percio' all'umanita',
ma a volte e' guerra a chi rappresenta e vive male, scandalosamente, la
credenza in Dio. L'attacco alle false immagini di Dio ha prodotto nella
storia anche possibilita' di cercare sue immagini piu' fedeli.
*
Dato un rapido sguardo, nei nn. 12 e 13, alla situazione mondiale, con
alcuni segni positivi e altri negativi (nel quale quadro notiamo l'assenza
di un cenno a novita' positive di giustizia in America Latina), il Messaggio
si sofferma sulla denuncia della "funesta  e del tutto fallace" fiducia
nelle armi nucleari. "La verita' della pace richiede che tutti - sia i
governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi nucleari, sia
quelli che intendono procurarsele - invertano congiuntamente la rotta con
scelte chiare e ferme, orientandosi verso un progressivo e concordato
disarmo nucleare". Rispetto ai discorsi politici correnti, il papa dichiara
con franchezza l'uguale responsabilita' degli stati nuclearisti, sia vecchi
che nuovi, contro l'abituale atteggiamento dei primi di voler detenere il
monopolio del ricatto atomico sul mondo, anche minacciando gravemente stati
che vogliano entrare nella loro stessa nefasta logica. Ci chiediamo tuttavia
se la libera parola profetica non potrebbe chiedere ai responsabili qualcosa
di piu' coraggioso e piu' giusto del disarmo concordato e bilanciato, che,
come si sa, si impantana e si arresta nella reciproca diffidenza. Abbiamo
avuto, sul finire della Guerra fredda, iniziative autonome di parziale
disarmo da parte di Gorbaciov, che, anticipando coraggiosamente
l'antagonista, lo sfidavano a procedere in gara sulla via della pace,
invertendo davvero la via della distruzione (processo poi sciaguratamente
interrotto con la prima guerra del Golfo). Una Chiesa libera e profetica
potrebbe esortare lodare e  sostenere simili iniziative, ben piu' che
prudenze troppo calcolate.
*
Nel n. 14, il papa registra con preoccupazione e rammarico l'aumento delle
spese militari e del commercio delle armi, e insiste molto opportunamente
sul disarmo, tema oggi tragicamente assente dal dibattito politico, e vede
che gli organismi internazionali riguadagnerebbero in questo impegno
"quell'autorevolezza che e' indispensabile per rendere credibili ed incisive
le loro iniziative". Si vede con soddisfazione che qui non si tratta piu'
solamente del disarmo nucleare, ma del disarmo in generale. Speriamo tutti
noi cercatori della pace che la Chiesa cattolica, insieme a tutti i
cristiani e a tutte le tradizioni religiose e morali, sollevi sempre piu'
forte nell'umanita' la "vergogna per aver costruito le armi" (come diceva
Ernesto Balducci) e il coraggio sapiente delle relazioni disarmate, nella
gestione dei conflitti con "liberta' dalla violenza" (Gewaltfreiheit), con
la sola "forza della verita'" - il Satyagraha gandhiano - che costruisce
giustizia con i mezzi della giustizia e pace con i mezzi della pace, cioe'
davvero in modo vero ed efficace. Perche' devono dire queste cose i
cercatori di nonviolenza, considerati utopisti dai realisti tristi, e non lo
dicono sempre piu' chiaramente le religioni, che sono nel mondo per
annunciarvi e introdurvi novita' salvifiche, rendendosi piu' libere dal
rispetto dei potenti?
*
Nel n. 15 il papa indica la giustizia, anelata dai popoli poveri, come
frutto della auspicata civilta' del disarmo, e rinnova la fiducia e
l'incoraggiamento all'Onu a rinnovarsi in direzione di questi scopi. Quindi
impegna la Chiesa a proclamare dappertutto il "Vangelo della pace", a
servizio di quanti si dedicano a questo fine. Le affermazioni finali di
questo n. 15 ci riportano alle considerazioni proposte a proposito del n.
11.
*
Dell'esortazione finale, mi piace sottolineare l'invito ai credenti a
"fondare la pace sulla verita' di un'esistenza quotidiana ispirata al
comandamento dell'amore". Se e' vero che non basta, a istituire la pace,
neppure la generalita' di comportamenti personali buoni e giusti nelle
relazioni interpersonali quotidiane, perche' esistono e funzionano culture,
meccanismi collettivi e sistemi di guerra che ci coinvolgono e che vanno
smontati, e' pero' ben vero che base indispensabile di ogni politica di pace
e di una storia umana di pace e' la volonta' pacifica e la scelta
nonviolenta, sincera e continuamente rianimata, invocata dall'alto e dal
profondo, nel cuore delle persone.

5. RIFLESSIONE. ALI RASHID: MAI PIU' GENOCIDI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 dicembre 2005. Ali Rashid e' il primo
segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di
profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici,
economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di
questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E'
figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una
delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica
palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali
quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica]

Hamas ha vinto le elezioni amministrative in Palestina: anche a Nablus
roccaforte storica del pensiero laico, ha raccolto 12 su 15 dei seggi
comunali. Intanto i raid israeliani contro Gaza continuano e gli unici
ostacoli alle elezioni sono venuti dai posti di blocco israeliani.
Due giorni prima, la "guida della rivoluzione islamica" ayatollah Khameini
aveva invitato Hamas ad abbandonare l'illusione della via delle trattative
"con il nemico sionista" e della tregua, essendosi rivelate controproducenti
con l'unico risultato di consolidare l'occupazione israeliana e
l'affermazione della politica dei fatti compiuti che ha caratterizzato la
condotta di Israele durante i 56 anni della sua esistenza. Khamenei intende
dire che l'illusione dell'efficacia delle trattative ha nei fatti messo in
discussione la legittimita' della lotta del popolo palestinese contro
l'occupazione militare per la propria liberta'. Contemporaneamente il
presidente iraniano Ahmadinejad e' tornato sulla questione della Shoah,
defindendola "un mito". Questo suo accanimento dovrebbe indurre tutti a
riflettere. Non si tratta piu' di una distrazione, ma temo che con questo
esprima una nuova strategia nel confronto, ormai mortale, che da lunghi anni
sconvolge il Medio Oriente, dove Israele e l'alleanza politico-militare
occidentale guidata dagli Stati Uniti l'hanno fatta da padrone assumendosene
cosi' la maggiore parte delle responsabilita'.

Ovviamente non condivido l'invito dell'ayatollah Khamenei ai palestinesi,
perche' trasformerebbe il mio popolo in carne di macello dentro un conflitto
regionale e mondiale piu' grande di noi. Spegnendo dunque quel miraggio di
speranza che abbiamo, obbligatoriamente, il compito di alimentare, per non
soccombere definitivamente all'aggressione spietata e violenta di Israele.
Che da una parte, nel tempo, ci sta distruggendo, e dall'altra parte ci
costringe a una risposta violenta che accelera e giustifica questa
distruzione e mina alla base la peculiare storia palestinese, incentrata
sull'inclusione e sulla convivenza.
Allo stesso tempo non posso pero' smentire la tesi della "guida della
rivoluzione islamica" sulla utilita' reale della strategia delle trattative
avvenute fino ad oggi, perche' la nostra esperienza con Israele negli ultimi
12 anni da' piu' ragione a lui che non a me. Al punto che posso soltanto
confortare le nostre tesi con la speranza ogni giorno mortificata dalla
politica israeliana, dalla guerra permanente della amministrazione americana
e dalla sordita' della comunita' internazionale.
*
Invece per le dichiarazioni sulla Shoah - non un mito, ma un genocidio del
quale e' responsabile l'Occidente, questo e' il punto - mi sento mortalmente
offeso proprio come palestinese che ha subito la Nakba (la cacciata). Di
fronte a drammi di queste dimensioni, ma anche infinitamente piu'
macroscopici dei nostri, bisogna innanzitutto inchinarsi, fermarsi e dire:
mai piu'. Perche' nessuna ragione di stato o impero puo' giustificare le
grida di dolore delle donne e degli uomini che ormai colmano il cielo e la
terra. Un grido di dolore che, per mancata risposta di verita' e colpevole
rimozione, rischia, per la morte della politica nel suo senso piu' alto, di
trasformarsi in grida di vendetta e tramutarsi alla fine in una vendetta
piu' sorda e spietata in quanto non supportata da mezzi tecnologici. Perche'
non si puo' rispondere a una negazione con un'altra negazione.
*
La scelta della guerra come mezzo per risolvere i complicati problemi del
Medio Oriente che Israele caldeggia ha dimostrato tutto il suo fallimento in
Iraq, e ora stanno "lavorando" per l'estensione di questa guerra alla Siria
e all'Iran.
Nella stessa direzione va la proposta di escludere l'Iran dai mondiali di
calcio, perche' l'attuale regressione della situazione iraniana e' proprio
il frutto dell'isolamento di Tehran. E produrrebbe un ulteriore isolamento,
basato sul criterio dell'indignazione selettiva e sul principio di due pesi
e due misure. Rafforzando il radicalismo che sta dilagando.
L'Iran si sente ed e' di fatto circondato dalle truppe americane e dai loro
alleati dall'Iraq e dall'Afghanistan, si vede negare un suo diritto sancito
dalla legalita' internazionale di sviluppare la tecnologia nucleare
dichiaratamente per uso civile con tutte le garanzie previste dagli
organismi internazionali, mentre a Israele, l'unico paese realmente in
possesso di testate atomiche nell'area mediorientale, e' permesso tutto nel
silenzio della comunita' internazionale e anzi con accordi - India, Stati
Uniti e paesi europei - di cooperazione firmati in questo periodo in questa
campo pericoloso.
*
La risposta non puo' che essere l'azzeramento di tutte le armi di
distruzione di massa che, fino a prova contraria, fino ad oggi sono state
usate esclusivamente dagli americani o per effetto di una licenza da loro
rilasciata a qualche alleato di circostanza o contro il nemico di turno.
*
Noi abbiamo ragione a sostenere che le trattative e la via politica, sulla
base di una legalita' internazionale che riconosce una pari dignita' a
tutti, rappresentano l'unica strada per rendere il pianeta ancora vivibile.
In Medio Oriente, lo si capiva da tempo, non servono altre guerre per
riportare stabilita', democrazia, liberta' e sicurezza per tutti, ma e'
decisivo ripartire dal processo di pace in Palestina obbligando Israele a
rispettare gli impegni derivanti dal diritto internazionale che puntualmente
in tutte le occasioni ha violato. L'accanimento contro la Palestina, contro
chi ci sostiene, da parte di molti politici (che magari in privato ci dicono
cose diverse da cio' che sostengono in pubblico, dando la colpa agli
americani) e' un accanimento contro la speranza di pace. E alla fine contro
la stessa Israele.

6. RIFLESSIONE. GUIDO VIALE: LA TAV TORINO-LIONE E' UN PROGETTO CHE FA MALE
ALL'AMBIENTE, ALL'ECONOMIA, ALLA DEMOCRAZIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 dicembre 2005. Guido Viale e' nato nel
1943, e' stato uno dei leader della protesta studentesca nel '68, lavora a
Milano, fa parte del Comitato tecnico-scientifico dell'Agenzia nazionale per
la protezione dell'ambiente (Anpa). Opere di Guido Viale: segnaliamo
particolarmente Un mondo usa e getta, Tutti in taxi, entrambi presso
Feltrinelli; e Governare i rifiuti, presso Bollati Boringhieri]

Il centro-sinistra si sta spaccando le ossa sulla Tav Torino-Lione prima
ancora di essere messo alla prova come maggioranza di un futuro governo. E'
quasi una beffa. La Tav Torino-Lione non si fara' mai. E' un'opera quattro
volte piu' costosa del famigerato ponte sullo stretto di Messina; quattro
volte piu' inutile quanto a volumi di traffico previsti (che anche
artatamente gonfiati a 20 milioni di tonnellate/anno non coprono che la
meta' della capacita' da installare); quattro volte tecnicamente piu'
incerta quanto alla sua effettiva fattibilita' tecnica: Il ponte rischia di
lasciare dietro di se' solo due giganteschi piloni in cemento armato mozzi,
con i ferri che spuntano dalle cime, come nei tanti edifici abusivi in
attesa di sopraelevazione costruiti nel Mezzogiorno, senza che in mezzo
venga steso nulla. Quanto alla Tav Torino-Lione, nessuno sa ancora che cosa
si trovera' sotto quelle montagne; si sa comunque che la principale societa'
di perforazione del mondo si e' ritirata dall'affare - verosimilmente per le
difficolta' incontrate - lasciando il suo posto alla Rocksoil del ministro
Lunardi, debitamente nascosta dietro una catena di subappalti.
*
Non ho competenze per valutare i rischi connessi alla presenza di amianto e
uranio nelle montagne da perforare; posso anche ammettere che esistano e si
possano attivare a costi abbordabili interventi di contenimento del rischio
(ma qui parlare di costi significa comunque mettere in gioco una montagna
quasi inimmaginabile di denaro). Ma per un'opera che promette di trasformare
un'intera valle - gia' dissestata da una viabilita' quasi esclusivamente di
transito (cioe' senza ricadute economiche o sociali di qualche peso) - in un
cantiere della durata programmata di oltre 13-15 anni, destinati
verosimilmente, sulla base di tutte le esperienze pregresse, a raddoppiare,
e per il quale si prevede di scaricare sul fondo valle diversi milioni di
tonnellate di detriti inquinati e inquinanti, una verifica seria sulle
alternative praticabili con interventi meno pesanti sarebbe stata doverosa.
Molti esperti, compreso il presidente delle Ferrovie dello Stato, fautore
del progetto, ci dicono che questa alternativa non solo e' praticabile, ma
e' gia' in parte in corso di realizzazione, e portera' in pochi anni la
capacita' di trasporto dell'attuale linea Torino-Lione vicino al livello del
traffico "previsto" tra venti anni per la Tav Torino-Lione. Ma questa
alternativa non e' stata inserita nella valutazione di impatto che ha dato
il benestare al nuovo progetto; valutazione peraltro mai portata a termine,
in violazione della normativa dell'Unione Europea, grazie all'esenzione
prevista dalla legge-obiettivo del ministro Lunardi. Ma chi ha detto che il
traffico effettivo di merci tra Torino e Lione tra venticinque anni (2030)
corrispondera' a quello programmato?
L'alta velocita' Torino-Lione e' stata pensata come linea di trasporto
passeggeri, e inclusa come tale nel Libro bianco della Commissione europea
su "Crescita, competitivita', occupazione", noto come Rapporto Delors, che
risale al 1994; solo successivamente e' stata estesa al trasporto merci come
tratta del corridoio 5, trasformandola in una cosiddetta "autostrada
ferroviaria": cioe' una tratta lungo la quale i tir in transito sullo stesso
itinerario dovrebbero essere caricati su vagoni (in uno scalo ancora da
definire, prossimo a Torino), per poi esserne scaricati una volta superata
la tratta alpina francese; o viceversa. Una soluzione che dal 2016 sara'
obbligatoria per tutti i tir in transito attraverso la Svizzera, indotta a
questa soluzione dal fatto che prima e dopo l'attraversamento del suo
territorio, cioe' in Francia, Germania e soprattutto in Italia, i tir che
effettuano trasporti anche di lunga percorrenza sono liberi di circolare
ovunque.
*
L'impossibilita' di adottare la stessa soluzione lungo l'attuale tratta
ferroviaria, anche rimodernata, e' la principale ragione addotta per
giustificare l'opera. Ma caricare i tir su una singola tratta, quando sono
liberi di scorrazzare nel resto del paese, non ha ovviamente lo stesso
significato che proibirne o limitarne il transito di lunga percorrenza su
tutto il territorio nazionale. E se limitazioni del genere fossero
introdotte anche in Italia, il concetto stesso di autostrada ferroviaria non
avrebbe piu' alcun senso.
Che cosa c'entri poi l'alta velocita' - che fa guadagnare al massimo due o
tre ore lungo il percorso, ma che ne impiega molte di piu' nelle operazioni
di carico e scarico dei tir con il trasporto pesante di merci, nessuno lo ha
ancora spiegato.
Ma anche il cosiddetto corridoio 5 Lisbona-Kiev e' puramente virtuale, non
molto diverso dalle linee tracciate con il pennarello da Berlusconi quando
illustrava a Bruno Vespa il suo programma.
Intanto, tutta la tratta del corridoio a est di Trieste, che potrebbe avere
un ruolo fondamentale nel rilancio del suo porto, non e' neppure in fase di
progettazione, per non parlare del suo finanziamento, non incluso in alcuna
previsione budgetaria dell'Unione Europea o dei paesi interessati.
*
In secondo luogo, non esiste alcun traffico di merci pesanti tra Lisbona e
Kiev o viceversa. Esiste un intenso traffico - in crescita - di merci
provenienti dall'estremo o dal medio Oriente, che sbarcano e sbarcheranno
sempre piu' nei porti del Mediterraneo: Barcellona, Marsiglia, Genova,
Ravenna e Trieste; ma anche, dopo il trasbordo, Livorno, Napoli, Gioia
Tauro, Atene, Bari, ecc. Queste merci poi prendono la via del nord e del
centro Europa, o dell'Europa dell'est, risparmiandosi cosi', fino a che
l'effetto serra non avra' sciolto completamente i ghiacci dell'Artico, la
circumnavigazione dell'Europa per arrivare a Le Havre, Rotteram e Amburgo. E
viceversa. I "corridoi" che servono questo traffico sono gia' tutti in
funzione (Tarvisio, Brennero, Gottardo, Sempione) o di prossima apertura
(Loetchberg) e in via di potenziamento; il che contribuira' non poco a
ridurre ulteriormente il traffico in transito tra Torino e Lione. Basta
comunque guardare una cartina geografica per capire che la Torino-Lione non
e' che il piu' periferico degli itinerari nord-sud; tanto e' vero che per
raggiungere Lione il collegamento virtuale tra Lisbona e Kiev deve compiere
una vistosissima deviazione verso nord.
*
In terzo luogo, per trasformare la Tav Torino-Lione in un'"autostrada
ferroviaria" occorre che i tir e i loro autisti siano disposti a salirci
sopra (a pagamento). Per questo la presidente della Regione Piemonte,
schierata a favore del progetto, continua a chiedere "garanzie": il che vuol
dire rendere la cosa obbligatoria. Ma finche' non si riforma il trasporto
autostradale - oggi in mano a decine di migliaia di padroncini, italiani e
sempre piu' est-europei, peraltro tutti in subappalto, attraverso una catena
spesso assai lunga, dei grandi operatori multinazionali della logistica,
quasi tutti stranieri - inducendoli ad associarsi per ottimizzare carichi,
percorsi, consegne e veicoli, sara' ben difficile per governi, di destra e
di sinistra, costringere i tir a salire su un vagone. Tanto piu' che quei
governi, finora, non sono stati capaci nemmeno di abolire gli sconti sulle
accise del combustibile, perche' questi operatori sono in grado di bloccare
immediatamente, per protesta, tutti i valichi interni e internazionali del
paese.
*
In quarto luogo, la riforma del trasporto nasce di qui: non accoppiando
treni e tir lungo i valichi, o navi e tir nel trasporto marittimo, facendo
salire gli uni sugli altri, raddoppiando cosi' vettori e costi; ma
promuovendo una vera intermodalita', che permetta di disaccoppiare le
motrici dai rimorchi (o dai container che trasportano); di caricare sui
treni e sulle navi soltanto questi ultimi, e di farli riagganciare, alla
stazione di arrivo, da altre motrici: operazione molto semplice dal punto di
vista tecnico; complicatissima in termini economici e organizzativi. Perche'
presuppone strutture consortili, anche internazionali, che oggi non ci sono,
ma che potrebbero essere l'unico argine contro il supersfruttamento dei
"padroncini" da parte delle multinazionali del trasporto.
Questo ci riporta al concetto di "corridoio", che non e' solo ne'
soprattutto un tracciato ferroviario o stradale (o entrambi), bensi' un
sistema logistico di cui i tracciati, debitamente attrezzati, potenziati e
messi in sicurezza, non sono che una componente. Ci vogliono poi operatori
logistici in grado di valorizzare le opportunita' offerte
dall'intermodalita', interporti per lo scambio intermodale tra i diversi
vettori e tra il trasporto di lunga percorrenza e quello di prossimita'; e
centri logistici per le rotture e le ricomposizioni dei carichi (comprese
molte operazioni di assemblaggio e disassemblaggio di componenti, che e'
assai opportuno effettuare in questi centri).
Mentre quello che si sa e' che la Tav Torino-Lione saltera' l'efficiente
interporto torinese di Orbassano, per costruirne (forse) uno ancora tutto da
progettare e finanziare vicino a Chivasso; che per l'utilizzo
dell'"autostrada ferroviaria" non e' prevista alcuna garanzia; che le
alternative offerte dal Sempione e dal Loetchberg sottrarranno altro
traffico alla Torino-Lione, i cui costi comunque non verranno mai coperti
dall'introito tariffario, tanto e' vero che per quest'opera, a differenza
che per il ponte sullo stretto, l'operazione del project-financing non e'
stata neppure tentata.
*
Infatti - quinto - quest'opera non e' finanziata, se non con un contributo
dell'Unione Europea - destinato a svanire, se si prolungheranno i rinvii
dell'apertura dei cantieri, o se non verranno stanziati fondi adeguati per
le tratte francese e italiana: quest'ultima per un importo previsto di 6,5
miliardi, interporti esclusi, destinato probabilmente a raddoppiare. Con i
chiari di luna che il prossimo governo si trovera' ad affrontare - qualunque
sia la futura maggioranza - questa sara' sicuramente la prima grande opera a
cadere sotto la mannaia degli indispensabili tagli.
*
In sesto luogo, previsioni cosi' a lungo termine (venticinque anni al 2030)
dovrebbero prendere in considerazione scenari piu' elastici, e non una
proiezione lineare dell'attuale trend dei traffici. E' in corso un processo
di "dematerializzazionea" dell'economia che avra' come principale
conseguenza la riduzione - in peso e in volume - dei beni scambiati. E' in
corso, nonostante i molti processi di delocalizzazione, un ripensamento
sull'opportunita' di sguarnire completamente i territori delle loro
capacita' manifatturiere e soprattutto agroalimentari, il che portera' a un
ridimensionamento dei volumi trasportati in molti comparti merceologici. E'
in corso un processo di recupero e valorizzazione degli scarti e dei
materiali ricavati dai beni dismessi che fara' sempre piu' delle citta' una
fonte locale di materie prime per l'industria. E' in corso un drastico
aumento del prezzo del petrolio - e anche un processo di progressivo
esaurimento delle sue disponibilita' - che si ripercuotera' inevitabilmente
sui costi di trasporto e sulle sue convenienze, rivalutando le produzioni di
prossimita'. Dove mai si e' tenuto conto, anche solo in via ipotetica, di
tutto cio' nel progettare la Tav Torino-Lione?
*
Per concludere, l'opera non e' stata discussa ne' tantomeno negoziata con le
popolazioni della Val di Susa ne' dai precedenti governi nazionali, ne' da
quelli regionali. Adesso, mentre il ministero dell'interno e' passato alle
maniere forti, si cerca di correre ai ripari per conquistare il "consenso"
delle popolazioni coinvolte. Ma quale consenso? Si e' forse disposti a
mettere in discussione il tracciato, o la validita' dell'intervento? Oppure
si tratta solo di far digerire la pillola alle sue recalcitranti vittime.
Ma quale cultura della negoziazione ambientale e' mai questa? I negoziati
ambientali bisogna farli prima di definire gli interventi, presentando
diverse alternative (compresa quella di non fare niente) e prospettando
costi e benefici di ogni opzione, eventualmente rinforzati con interventi di
mitigazione del danno o di incentivazione o penalizzazione delle diverse
situazioni. Fatto a posteriori, quando un ministro dichiara che comunque
l'opera si fara', difenderla e' solo un suicidio.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1151 del 21 dicembre 2005

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