[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Nonviolenza. Femminile plurale. 42
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 42
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 15 Dec 2005 08:40:38 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 42 del 15 dicembre 2005 In questo numero: 1. Francesca Cutarelli intervista Naila Ayyesh Zaqout 2. Sharon LaFraniere: Bambine 3. Paola Mancinelli: Franz Rosenzweig e la questione dell'essere (parte terza) 4. Letture: Maria Laura Lanzillo, Il multiculturalismo 1. ESPERIENZE. FRANCESCA CUTARELLI INTERVISTA NAILA AYYESH ZAQOUT [Da Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente intervista a Naila Ayyesh Zaqout, a cura di Francesca Cutarelli. Francesca Cutarelli e' una giornalista di "Europa news". Naila Ayyesh Zakout, palestinese di gaza, fa parte della "Commissione Internazionale di donne per una pace giusta e sostenibile in Palestina e Israele" ( International Women Commission, in signa Iwc), della Icw fanno parte donne palestinesi, israeliane e internazionali ed e' la prima commissione che si forma sulla base della risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Luisa Morgantini, parlamentare europea, presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004] - Naila Ayyesh Zakout: Voglio subito dire che questa e' la prima volta che esco da Gaza attraverso il confine di Rafah senza vedere i soldati israeliani e passare attraverso il loro controllo. Non potete immaginare il sollievo. Prima era cosi' difficile andare da Gaza a Rafah attraversando i check point. Ci volevano molte ore e dopo una lunga attesa spesso c'era il rischio di non passare lo stesso, quando in realta' e' solo un'ora di viaggio. * - Francesca Cutarelli: Quindi oggi e' meglio di ieri? - Naila Ayyesh Zakout: Va certamente meglio, ma la situazione, si sa, rimane drammatica. Per partecipare alla prsentazione dell'Iwc, l'International Women's Commission, alle istituzioni europee io stessa ho impiegato due giorni per arrivare a Bruxelles da Gaza, due ore solo per passare il confine a Rafah. Ora la gente da una parte e' felice di potersi muovere dal nord al sud di Gaza, ma dall'altra rimane infelice perche' la liberta' di movimento e' comunque limitata. Lo stesso confine di Rafah e' aperto solo 4 ore al giorno - dalle 12 alle 16. I controlli sono in mano ad egiziani, europei e palestinesi. I palestinesi in particolare lavorano in modo molto professionale perche' sentono la responsabilita' di quello che stanno facendo e quanto e' costato. Ma la frontiera per le merci e' ancora in mano israeliana, malgrado gli accordi fatti, e soprattutto la costruzione del porto per il quale anche se c'e' un accordo richiedera' molto tempo prima di poterne usufruire, mentre per l'aeroporto e' ancora tutto in alto mare. * - Francesca Cutarelli: Com'e' la situazione delle altre frontiere di Gaza? - Naila Ayyesh Zakout: Non facile. A Eretz, nel nord di Gaza, ancora oggi nessuno puo' passare senza il permesso israeliano. Un malato ha difficolta' ad arrivare agli ospedali di Gerusalemme se non ha i permessi. Qualche volta li ottiene, ma deve aspettare molto tempo. Lo stesso problema lo hanno gli universitari che vogliono continuare i loro studi e andare all'universita' nella West Bank, molti di loro sono a Ramallah e non possono nenache tornare a casa; per non parlare poi dei lavoratori: fino a 5 anni fa erano 100.000 le persone che ogni giorno si recavano in Israele per lavorare ed aspettavano ore per ottenere un permesso dagli israeliani. Oggi Israele concede solo circa 5.000 permessi per lavoro con la promessa di aumentarli di numero, ma anche questi sono sottoposti agli umori dei soldati al check point. Quindi a rimetterci sono i malati, i lavoratori, gli studenti e le donne, come al solito. * - Francesca Cutarelli: Lei ha definito Gaza una prigione a cielo aperto. Puo' farci qualche esempio? - Naila Ayyesh Zakout: Si'. Gaza e' come una prigione a cielo aperto. Cosi' ci sentiamo di vivere, in una prigione a cielo aperto. Non ci sono aeroporti, non c'e' liberta' di movimento. Gli israeliani non ci sono, ma di fatto controllano tutto: spostamenti, commercio, tutto. Ad esempio, la mia famiglia e' a Ramallah e se succede qualcosa non ho la possibilita' di andare a trovarla. E quando vogliono, dicendo che lo fanno in risposta ad attacchi di alcuni estremisti palestinesi, bombardano o fanno esplodere le bombe del suono, potete chiederlo a Luisa Morgantini che e' stata con noi a Gaza. Anche incontrarsi come donne e attiviste non e' stato facile, anzi molto spesso impossibile, Khan Yunis al sud era tagliata fuori dai check point dal nord della striscia di Gaza. Come membro dell'Iwc ritengo che questi due giorni di incontri con le Istituzioni europee sono stati una grande opportunita' non solo per conoscere i rappresentanti delle Istituzioni, ma anche per incontrare le altre donne palestinesi e israeliane, visto che in Palestina e' ancora problematico. * - Francesca Cutarelli: Quindi e' soddisfatta del lancio ufficiale dell'Iwc, l'International Women's Commission, qui a Bruxelles? - Naila Ayyesh Zakout: Questi due giorni di incontri, per me, sono stati molto fruttuosi, perche' ci siamo proposte come interlocutrici per una giusta e duratura pace tra israeliani e palestinesi. E' stata una grande opportunita'. Un segnale importante. Il nostro sentimento, pero', e' che l'Europa puo' fare di piu'. Gaza non e' la soluzione conclusiva. Noi, donne palestinesi, israeliane e internazionali, chiediamo una soluzione basata su due Stati riconosciuti ed autonomi, la fine della costruzione del muro a Gerusalemme e la fine reale dell'occupazione israeliana. Il presidente del Parlamento Europeo Josep Borrell ci ha ricevuto non fugacemente e si e' dimostrato molto interessato alle nostre testimonianze. Ci dispiace che non sia stato possibile, malgrado fosse in agenda, incontrare l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Javier Solana che ha disdetto all'ultimo momento e preferito incontrare il Segretario di stato americano Condoleeza Rice, ma e' stato utile avere il sostegno della commissaria Benita Ferraro Waldner e dei gruppi politici del parlamento europeo, anche se gli incontri sono stati brevi. Abbiamo avuto modo di passare il messaggio che dicevo sopra e soprattutto di far capire ai rappresentati europei di non accontentarsi di aver aperto per qualche ora Rafah. La Palestina non e' solo Gaza, e' anche la Cisgiordania dove si continua ad espandere le colonie israeliane e a costruire il muro. Anche se ci saranno le elezioni in Palestina e Israele, non bisogna fermarsi, Sharon continua con la politica del fatto compiuto, e quando saranno passate le elezioni restera' ben poco territorio palestinese. * - Francesca Cutarelli: L'Europa quindi puo' fare di piu'? - Naila Ayyesh Zakout: L'Europa puo' e deve fare di piu', lo abbiamo detto a tutti quelli che abbiamo incontrato, l'Europa ha piu' potere di quello che pensa di avere. A volte pero' pensa che basta darci aiuti economici, e noi dobbiamo davero ringraziare l'Europa per questo, ma la soluzione e' politica. Se Mahomud Abbas non riuscira' a dimostrare con i fatti che si puo' cambiare la situazione economica e politica della popolazione palestinese, a guadagnarci, gia' alla prossime elezioni, sara' Hamas che distribuisce cibo e soldi ai piu' poveri, riuscendo cosi ad ottenere il consenso della gente. Abbiamo posto l'urgenza della ripresa dei negoziati, di rifiutare l'unilatelarismo di Sharon, e di finirla con l'occupazione militare. Per quel che riguarda la nostra Commissione, abbiamo chiesto ed avuto risposte positive, per esempio che l'Iwc, la prima commissione di donne nata dalla risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, venga considerata un interlocutore quando le delegazioni dell'Unione Europea si recano in Palestina e Israele, e sia incontrata alla stregua dei ministri. Sara' un passo per prendere parte ad ogni tavolo negoziale per una pace giusta e duratura tra Israele e Palestina. * - Francesca Cutarelli: Quali i passi futuri dell'Iwc? - Naila Ayyesh Zakout: Dovremo impegnarci molto per conquistare le menti e i cuori delle altre donne palestinesi, israelian' e internazionali. Abbiamo lanciato la nostra Commissione a Gerusalemme, poi siamo venute in Europa, a fine febbraio ci presenteremo a Washington e a New York, all'amministrazione Usa e alle Nazioni Unite. Dovremo poi incontrarci tra noi per definire un programma di lavoro. Siamo tante, 20 palestinesi, 20 israeliane e 20 internazionali di opinioni politiche trasversali cosi' come di diverse estrazioni sociali; siamo femministe, attiviste, parlamentari, perfino ministre. E' questa la sfida, diverse ma insieme per risolvere i conflitti senza guerre e violenze, e per avere voce e potere nei negoziati. Ma vorrei dire che la gran parte della possibilita' che abbiamo avuto per il lancio dell'Iwc e' dovuto alla presenza e sopratutto al lavoro di Luisa Morgantini al Parlamento Europeo. Ancora di piu' abbiamo verificato cio' che gia' sapevamo di lei in tutti questi anni in cui e' stata con noi in Palestina e in Israele. Noi diciamo sempre che e' un bulldozer, ma Luisa si arrabbia e dice che l'immagine del bulldozer la fa rabbrividire perche' pensa subito alle case demolite, agli alberi sradicati o al bulldozer che ha ucciso Rachel Corrie a Gaza, ma noi vogliamo dire invece che non si ferma mai e la sua energia si trasmette anche a noi. * La delegazione a Bruxelles era composta da Haifa Abu Ghazaleh, Luisa Morgantini, Osnat Lubrani, Simone Susskind, Naomi Chazan, Anat Saragusti, Aida Touma Sliman, Zaheera Kamal, Samia Bamieh, Romy Shapira, Leila Chahid, Antigoni Karali-Dimitriadi, Naila Zaqout, Jacqueline Hunt. 2. MONDO. SHARON LAFRANIERE: BAMBINE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione in seguente articolo di Sharon LaFraniere apparso sul "New York Times" del 27 novembre 2005. Sharon LaFraniere e' una notissima giornalista] Chikutu, Malawi. I problemi di Mapendo Simbeye cominciarono presto lo scorso anno, quando le colline spoglie sul confine a nord fra la Tanzania ed il Malawi non risposero ai suoi tentativi di coltivarle. Percio', per dar da mangiare alla moglie ed ai cinque figli, racconta, ando' dal suo vicino Anderson Kalabo, e gli chiese un prestito. Il signor Kalabo gli diede 2.000 kwacha (circa 16 dollari). La famiglia avrebbe mangiato. Ma ora sorgeva un altro problema: come poteva il signor Simbeye, agricoltore senza un soldo, ripagare il debito? La risposta puo' apparire sconcertante, ma nell'Africa subsahariana rurale e patriarcale si tratta di un'usanza comune. Il signor Simbeye mando' la propria figlia undicenne, Mwaka, un bimba timida che frequentava il primo anno di scuola, a casa del vicino, dove la bambina divenne la serva della prima moglie del signor Kalabo e, come essa stessa racconta, la sua nuova compagna di letto. Ora dodicenne, Mwaka dice che i suoi genitori non le avevano spiegato che sarebbe diventata la seconda moglie del vicino. "Mi dissero che avrei dovuto cacciare gli uccelli dal campo di riso", mormora con gli occhi fissi a terra, "Non sapevo niente del matrimonio". Mwaka fuggi'. Sei mesi dopo la fuga, i genitori la ripresero in casa. * Numerose bambine come Mwaka sono costrette a fare un salto dall'infanzia al matrimonio su ordine dei loro padri, e molto spesso quest'ordine arriva anni prima che esse raggiungano la puberta'. Le conseguenze di tali matrimoni forzati sono strazianti: un'adolescenza non vissuta, frequenza scolastica interrotta per sempre, gravidanze precoci e parti difficili, eta' adulta condannata alla sottomissione. La lista include il rischio di contagio da Hiv, ad un'eta' in cui le ragazzine non comprendono cosa l'aids comporti. Sempre di piu' educatori, insegnanti, personale sanitario ed anche legislatori cercano di scoraggiare o proibire tali matrimoni. In Etiopia, per esempio, dove le statistiche mostrano che un terzo delle ragazze si sposano sotto i 15 anni, un'azione e' stata intrapresa l'aprile scorso. 56 matrimoni di ragazzine tra i 12 e i 15 anni sono stati annullati, e contro circa meta' dei genitori e' stato avviato un procedimento legale per averle forzate. Ma dal Ghana al Kenya allo Zambia, i matrimoni di bambine continuano: l'eta' media per il matrimonio in questi paesi e' fra le piu' basse del mondo e la percentuale di madri adolescenti la piu' alta in assoluto. "Si fanno un sacco di chiacchiere", commenta Seodi White, avvocata del Malawi e coordinatrice di un fondo di ricerca sulle donne, "Ma la verita' e' che la societa' si interessa ancora esclusivamente al figlio maschio, e vede la figlia femmina come un oggetto di scambio. Nel nord, bambine di dieci anni vengono date via per il guadagno della famiglia. Dopo di che diventano proprieta' dei mariti e sono prive di potere nei villaggi di costoro". In tale villaggi le bimbe vengono fatte sposare prima della puberta', a discrezione dei loro padri, a volte con uomini che possono avere anche cinquant'anni piu' di loro. Uness Nyambi, del villaggio di Wiliro, dice che stata promessa quando era ancora infante, di modo che i suoi genitori potessero finanziare suo fratello che doveva scegliersi una sposa. Oggi ha 17 anni, due figli il cui maggiore ne ha circa cinque, e un marito di 70 anni. "E' solo per via di questi due bambini che non posso lasciarlo", dice. Beatrice Kitamula, diciannovenne, fu costretta a sposare il benestante vicino cinque anni orsono, perche' suo padre era in debito di una mucca con un altro uomo. Oggi suo marito ha 63 anni. "Io sono stata la vittima per il sacrificio", dice Beatrice ingoiando le lacrime. Paragona la casa del marito ad un penitenziario. "Quando sei in prigione", mi spiega, "non hai diritti". Lyson Morenga, un vedovo, raccolse il denaro per risposarsi due anni fa dando via la figlia Rachel, di dodici anni, ad un conoscente cinquantenne, avendone in cambio un toro. Il signor Morenga consegno' il toro alla famiglia della nuova moglie, quale parziale pagamento. Paghera' il resto del prezzo, ha promesso, quando dara' via la sorella minore di Rachel. * I funzionari governativi del Malawi dicono che si stanno sforzando per proteggere le ragazzine come Rachel. In Parlamento si sta dibattendo una legge che portera' a 18 anni l'eta' minima per contrarre matrimonio. Le attiviste per i diritti delle donne danno il benvenuto a questa proposta, ma aggiungono che i suoi effetti saranno limitati, perche' moltissimi matrimoni non vengono stipulati secondo la legge civile, ma secondo i costumi tradizionali. Il governo ha formato circa 230 volontari, lo scorso anno, sui modi per proteggere i minori, in special modo le bambine. A cercare di intervenire ci sono anche i volontari della Commissione per i diritti umani del Malawi, i lavoratori cattolici e le unita' di polizia addestrate allo scopo. Nel villaggio di Iponga, Mbohesha Mbisa evito' di essere sposata per forza, a tredici anni, a suo zio, camminando per mezzo miglio sino alla locale stazione di polizia. Gli ufficiali persuasero suo padre ad abbandonare il progetto di farle rimpiazzare come moglie e madre la zia deceduta. "Ero molto spaventata", narra Mbohesha, che oggi frequenta le scuole medie, "Ma volevo proteggere me stessa". Pure, in questa regione la poverta' cresce, peggiorata dall'aids e dalla recente siccita', e cio' aumenta per le ragazzine il pericolo di essere sposate per forza. "La pratica e' qui da parecchio tempo, ma ora le cose stanno peggiorando, perche' c'e' disperazione", dice Penston Kilembe, direttore dei servizi sociali del Malawi, "In particolare, nelle comunita' che sono state colpite dalla carestia, le famiglie non ce la fanno a sostenersi economicamente, e vendono le loro bambine a case piu' ricche". "I risultati che avevamo ottenuto rispetto ai matrimoni precoci li abbiamo perduti", conferma Andrina Mchiela, prima segretaria al Ministero del Genere. Le attiviste per i diritti delle donne vorrebbero abolire il pagamento per il matrimonio, detto "lobolo", perche' sostengono che esso crea un incentivo per i genitori nel forzare le figlie a sposarsi. Nella sua forma piu' benigna, il lobolo e' un segno di apprezzamento dato dalla famiglia dello sposo a quella della sposa. Nella sua forma piu' maligna, trasforma le ragazze nell'equivalente umano del bestiame. Nella maggior parte del Malawi, le negoziazioni sul lobolo sono discussioni esclusivamente fra maschi, e vanno dalle rateizzazioni all'occasionale risarcimento per la moglie fuggita. * Jimmy Mwanyongo, quarantacinquenne capo del villaggio di Karonga, mi spiega il matrimonio di sua figlia Edah come una qualsiasi altra transazione commerciale. Molti anni fa, racconta seduto su un materasso di paglia, promise al vicino Simfukwe di curarsi di due mucche. Ma poi le vendette per pagare gli studi al suo figlio adottivo. Quando il vicino, nel 2002, resto' vedovo, il signor Mwanyongo si senti' in dovere di offrirgli la figlia. "Avevo venduto le due mucche. Non avevo scelta". La figlia Edah aveva 17 anni, e una bellezza in cui spiccavano gli occhi da cerbiatta. Pur avendo un figlio illegittimo, raccontano parenti e vicini, aveva uno stuolo di corteggiatori. Il signor Simfukwe aveva 63 anni, nove figli adulti ed uno stuolo di nipoti. Dice che considerava Edah un po' giovane, per lui: "Tuttavia, suo padre aveva deciso che sebbene fossi anziano, ero la persona giusta. Credo fosse un riconoscimento al mio carattere. Edah non e' stata forzata. Non le ho legato una corda attorno al collo per portarla via". Edah replica che suo padre ha fatta tutto tranne questo. Per nove mesi, racconta, si oppose alla decisione del padre e venne continuamente cacciata di casa. "Pensavo che sarei morta di dolore. Mio padre si rifiutava di lasciarmi mangiare, mi rincorreva per tutte le stanze. Diceva: Va' a trovarti un posto dove dormire! Va' da tuo marito! Se non vuoi andare la', ti frustero' sino a farti morire". La madre di Edah, Tabu Harawa, sostenne la figlia, ma senza risultato: "Gli dissi che era come se la stesse uccidendo. E' stata una vergogna. Se succede di nuovo, divorziero' da lui". Ora Edah ha vent'anni, una nuova bimba di 11 mesi ed e' consumata dalla paura del futuro. "Mio marito e' vecchio. Potrebbe morire presto. E' probabile che mi lascera' dopo che avro' avuto altri bambini. E dove andro' allora?". La sua vita, commenta, e' libera quanto quella dei buoi pregiati che suo padre aggioga all'aratro. "Sono una schiava". Alcuni vicini la compiangono. Altri la prendono in giro dicendo che ha sposato suo nonno. Tali reazioni sono un indizio che anche gli africani piu' tradizionalisti cominciano a non vedere di buon occhio il matrimonio fra ragazzine e uomini anziani per, come dice la madre di Edah, "il bene delle mucche". * Mwaka Simbeye, la ragazzina del villaggio di Chikutu, e' stata bene accolta al suo ritorno nella casa dei genitori. Ora frequenta la seconda classe elementare ed e' ancora abbastanza piccola per lasciarsi incantare da un semplice gioco a testa o croce. Il suo corpo e' ancora quello di una bimba. Dal signor Kalabo, dice in un sussurro che si ode a stento, "Dovevo fare tutti i lavori di casa. Lavare i piatti, pulire, prendere l'acqua, raccogliere la legna. Quando la prima moglie non c'era dovevo cucinare". Suo padre, Mapendo Simbeye, che ha ripagato il debito di 16 dollari, dice che l'ha ripresa con se' quando ha saputo che la polizia avrebbe potuto arrestarlo. Aggiunge che l'ha stimata poco: "Mia figlia vale di piu' di 2.000 kwacha. L'ho fatto per ignoranza. Cinque figli, niente soldi, niente cibo. Percio' ho pensato di vendere mia figlia a Kalabo. Non sapevo di star abusando di lei". La madre di Mwaka, Tighezge Simkonda, e' una versione piu' anziana della figlia, e non e' meno timida. "Mi sono opposta", dice in un mormorio, dando occhiate nervose al marito che chiacchiera poco distante, "Gli ho detto: mia figlia e' molto giovane. Ma il controllo lo ha l'uomo. Le figlie sono di proprieta' dell'uomo". 3. RIFLESSIONE. PAOLA MANCINELLI: FRANZ ROSENZWEIG E LA QUESTIONE DELL'ESSERE (PARTE TERZA) [Ringraziamo Paola Mancinelli (mancinellipaola at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente saggio su "Rosenzweig e la questione dell'essere: pensare l'inizio in una terra altra" che anticipa alcuni temi del suo volume di prossima pubblicazione su Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere con Franz Rosenzweig. Paola Mancinelli, nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, dottore di ricerca in filosofia teoretica e docente di scuola superiore, saggista e poetessa, si e' occupata tra l'altro del rapporto fra mistica e filosofia e la violenza del sacro in Rene' Girard, del pensiero di Rosenzweig e dell'influenza dell'ebraismo nel rinnovamento dell'ontologia; collabora alle riviste "Filosofia e teologia" e "Quaderni di scienze religiose" ed alla rivista telematica di filosofia "Dialeghestai". Fra le opere di Paola Mancinelli: Vibrazioni, Pentarco, Torino 1985; Come memoria di latente nascita, Edizioni del Leone, Venezia, 1989; Oltre Babele, Edizioni del Leone, Venezia, 1991; Cristianesimo senza sacrificio. Filosofia e teologia in Rene' Girard, Cittadella, Assisi 2001; Homo revelatus, homo absconditus, di alcune tracce kierkegaardiane in Rene' Girard, in AA. VV., "Nota Bene, Quaderni di studi kierkegaardiani", Citta' Nuova, Roma 2002; La metafisica del silenzio, Stamperia dell'Arancio, Grottammare, 2003; Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere con Franz Rosenzweig (di prossima pubblicazione). Franz Rosenzweig, filosofo illustre, nato a Kassel nel 1886, muore nel 1929 a Francoforte; con Martin Buber ha realizzato la traduzione tedesca della Bibbia ebraica. Opere di Franz Rosenzweig: Hegel e lo stato (1920), Il Mulino, Bologna 1976; La stella della redenzione (1921), Marietti, Casale Monferrato 1981 (il suo capolavoro, come e' noto); Il nuovo pensiero (1925), Arsenale, Venezia 1983. Opere su Franz Rosenzweig: segnaliamo almeno i saggi di Scholem, Levinas, Cacciari; un'agile sintesi introduttiva (con una perspicua bibliografia) e' quella di Giovanni Fornero nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, IV volume, secondo tomo, Utet, Torino 1994, poi vol. IX, Tea, Milano 1996 (ivi alle pp. 3-19)] Haya: parola ed evento dell'altro: motivi da Es. 3, 14 La tradizione biblica ha in se' un locus, che si e' mostrato sempre fertile oggetto di un contendere ermeneutico, via via invocato a sostegno di un'interpretazione metafisica che deponeva a favore di Dio come Ipsum esse subsistens, di cui celebre e' l'elaborazione della metafisica dell'Esodo nella filosofia medievale, nonche' a confutazione di una lettura ontoteologica, sulla base del discriminante fra il Dio divino ed il Dio causa sui. Preziosi, a riguardo, anche gli studi di Martin Buber, traduttore insieme a Rosenzweig della Bibbia in tedesco, o quelli di Ernst Bloch nel suo Das Prinzip Hoffnung. Rosenzweig stesso, avvalendosi delle sue conoscenze filologiche, si attesta su queste posizioni di contestazione rispetto ad una sorta di lettura platonizzante che verrebbe ad inficiare l'esatto significato del passo dell'Esodo. Procederemo, pertanto, citando innanzi tutto il testo in questione e facendo riferimento alla controversia interpretativa che ne ha caratterizzato la ricezione. Di seguito accosteremo lo stesso passaggio attraverso commenti e saggi del nostro autore, cercando di evidenziare ancora meglio il ruolo portante di un'interpretazione grammaticale del nuovo pensiero, nonche' quello altrettanto incidente che l'esperienza di fede esercita su di esso. Il passo e' tratto da Es. 3, 14-15, nella traduzione italiana a cura della Cei, corredata di note e commenti tratti dalla Bible de Jerusalem. "Dio disse a Mose': 'Io sono colui che sono!'. Poi disse: 'Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi'. Dio aggiunse: 'Dirai agli Israeliti: il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo e' il mio nome per sempre, questo e' il titolo con cui saro' ricordato di generazione in generazione'". La controversia ermeneutica sta nella rivelazione del nome di Dio, Io sono colui che sono; essa diviene tanto piu' forte se si legge questa espressione ebraica ehjeh asher ehjeh alla luce del tetragramma Jhwh. L'infinito d'ehjeh, e' haya, che significa essere, ma anche divenire, e non implica mai un presupposto ontologico-metafisico atto a definire un'essenza, anche se il concetto di essere, inteso nel modo di una presenza relazionale, appartiene alla lingua ebraica. L'incontro fra filosofia greca e mondo biblico ha di fatto contribuito alla denominazione di Dio come essere; prova ne sia la traduzione dei Settanta, che traduce il celebre passo di Es. 3,14 con "ego eimi o on", determinando quella che e' stata definita da Gilson una metafisica dell'Esodo. Questa traduzione permette ai medievali di pervenire alla conclusione secondo la quale essere e' il nome di Dio, o meglio il suo autodenominarsi. Il problema che viene a crearsi, tuttavia, inerisce al fatto che la traduzione dei Settanta rinvierebbe all'immutabilita' in quanto essenza, e si muoverebbe dunque nell'orizzonte greco che pone l'inizio del sapere nella domanda cos'e'. Il versetto 14 del capitolo 3 del libro dell'Esodo, tuttavia, evidenzia un altro aspetto importante; Dio si rivela come "Io sono" a Mose' ma allo stesso tempo si presenta come il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, inverando, cosi', il senso dell'essere come evento storicamente accaduto e dantesi nella relazione. Il verbo haya, se pur tradotto con essere, non sottende dunque l'essere nel senso filosofico-metafisico della definizione dell'essenza, quanto invece nel senso di una presenza che e' sempre accanto all'uomo, dinanzi a cui si e' costituiti nella propria identita' responsoriale. Per questo il passo di Esodo 3, 14 non si pone in nessun senso come risposta alla domanda cos'e'. Da questo punto di vista si tende oggi a privilegiare la traduzione "Io sono quello che sono". C'e' pero' da tenere conto di un altro aspetto, altrettanto fondamentale; se Io-sono e' colui che accompagna e procede nella e con la storia dell'uomo, Dio e' colui che in ogni tempo, oggi, come nel futuro, cosi' come nel passato e' accanto all'uomo. Questa e' l'esperienza dell'esser-ci storico, che afferma la presenza del Dio dei padri, capace di chiamare, al vocativo, mio Dio. Vorremmo sostare dunque sul valore della temporalita' nella tradizione ebraica e sulla sua incidenza nel filosofico. A tal fine puo' esserci prezioso l'aiuto della filologia che ricostruisce il farsi del linguaggio in rapporto ad un universo significante. Il tetragramma Jhwh potrebbe, secondo una suggestiva ipotesi filologica, costituire la risultante di un acrostico, o sigla che si riferisce alle iniziali delle tre forme verbali dell'infinito haya, indicanti il presente (colui che sono), il futuro, (colui che saro'), il passato (colui che sono stato) (26). Questo e' quanto attesta altresi' la filologia veterotestamentaria che ravvisa nella radice verbale un indicatore temporale, sul quale distinguere tre livelli: quello copulativo, per cui e' possibile tradurre il tetragramma come io saro' con, quello esistenziale, che implica un'apertura ed un'attesa del futuro, ed infine un livello di transizione, che rende percettibile l'azione di Dio (27). Tenendo conto di cio', ci sembra pregnante la scelta di Martin Buber, il quale traduce il tetragramma e l'espressione rivelata di Dio "hejeh asher hejeh": Io saro' presente (accanto a te) cosi' come io saro' presente; traduzione accettata e condivisa da Rosenzweig. Egli motiva inoltre questa traduzione evidenziando che quel futuro del verbo essere non puo' venir compreso come il latino esse, quanto invece come adesse (28). Rosenzweig stesso sottolinea questo aspetto fondamentale in una lettera scritta a Martin Goldner nella quale osserva che: "Solo poiche' colui che ti si fa presente, ti si fara' sempre presente quando ne hai bisogno e lo invochi - io saro' presente - solo in virtu' di questo fatto egli e', poi, per la nostra riflessione, anche il sempre esistente, l'assoluto, l'eterno, as-solto dunque dalla mia necessita' e dal mio istante, ma soltanto da as-solvere, poiche' ogni futuro istante potrebbe stare al posto di quello attuale" (29). Ci sembra importante sottolineare la ricorrenza del verbo tedesco werden, che sottende non solo l'azione del divenire, quanto anche quella del farsi prossimo da parte di Dio, presente nell'invocazione e nella necessita' dell'uomo. Presente, certo, nella relazione, non nella presenza immutabile di una categoria sostanzialista, di una causa sui, dinanzi a cui non si puo' danzare o produrre musica; presente, quindi, nella testimonianza del suo oggi con l'uomo. Si deduce cosi' che il nome di Dio assume un valore teofanico e performativo (30). In effetti, la rivelazione del nome e' accompagnata dall'efficacia dell'azione divina che e' proprio dell'uomo sperimentare ed inverare nella vita. L'appellativo di eterno come esistente da sempre segue, dunque, questa esperienza che accade nella centralita' dell'esserci umano ed e' il prodotto di una riflessione che semplicemente ri-conosce. In termini filosofici si tratta del riconoscimento di un dass anteriore al pensiero e di un'alterita' manifestata nella sua interpellazione gratuita che rende libera la testimonianza, pur affidando ad essa il suo divenire presente. Cio' implica l'impossibilita' di ridurre il tetragramma ad una formula dogmatico-filosofica; il tetragramma JHWH e', infatti, un nome orientato all'azione. Possiamo altresi' concludere che esso e' un Botenspruch (31), il nome di un invio che necessita della memoria dell'uomo. Esso sottende altrettanto una presenza che si manifesta nella narrazione e nell'invocazione, nel dialogo, nella preghiera corale, siano esse coniugate al presente o al passato o al futuro, alla seconda o alla terza persona, eterna, certo, ma nella fedelta' alla parola, nel rinnovarsi della Rivelazione. E qui si gioca anche la sua trascendenza: essa, infatti, implica un appello proveniente da un'alterita' capace di relazione, ovvero di una relazione in ogni tempo, in ogni esperienza e momento della storia dell'uomo. L'esperienza della liberazione nella storicita' di Israele permette il riconoscimento di un'alleanza eterna quale atto costitutivo del mondo, che puo' fondarsi essenzialmente sul passato della creazione, come garanzia e promessa del futuro dell'uomo e di Dio. Rosenzweig sottolinea come il Dio che egli chiama dir Daseiende (colui che ti e' accanto), e' esperito ad un tempo come Immerseiende (Il sempre esistente). Il ricorso a questi termini ci pare sia assolutamente fedele alla radice ebraica del verbo haya, in quanto determinazione di una presenza, ma a questo riguardo non poche sono state le difficolta' ermeneutiche. Il nostro autore ne sottolinea alcune, specie in un saggio, compreso nei Kleinere Schriften, dal titolo Der Ewige, L'Eterno, nel quale polemizza con la traduzione di Mendelssohn. La traduzione mendelssohniana di Es. 3, 14 reciterebbe pertanto: "Dio parlo' a Mose': 'Io sono l'essere che e' eterno'. Egli disse infatti: 'Cosi' devi parlare ai figli di Israele: L'essere eterno che si chiama io sono eterno mi ha mandato a voi'" (32). La traduzione "l'eterno" dovrebbe, all'avviso di Rosenzweig, esprimere questa esperienza originaria del Dio che e' presente in ogni tempo accanto all'uomo, e dunque della sua esistenza perenne e necessaria. Qui, tuttavia, si darebbe un passaggio filosofico che coniugherebbe la tradizione ebraica con un'istanza piu' razionalistica- classicistica, che risente dell'influenza di Maimonide. Un passaggio problematico, che sottende ancora un'accezione metafisica con la quale Mendelssohn si accosta alla tradizione midrashica. In effetti, sottolinea Rosenzweig riprendendo una citazione di Mendelssohn da Giobbe: "In un Midrash si dice: Il Santo, benedetto sia, disse a Mose'. Di' loro: 'Io sono colui che era e ora sono il medesimo, e saro' il medesimo nel futuro'. E inoltre i nostri maestri, la loro memoria sia benedizione, dicono: 'Io saro' con loro in questa afflizione, poiche' io saro' con loro nella schiavitu' anche sotto tutti gli altri regni. Con cio' intendono dire quanto segue: 'Poiche' nel creatore il tempo passato e quello futuro sono del tutto un presente, poiche' presso di Lui non esiste alcun mutamento o dipendenza e dei suoi giorni non vi e' trascorrere, percio' in Lui tutti i tempi vengono chiamati con un nome che comprende il passato, il presente e il futuro. Mediante questo nome accenna alla necessita' dell'esistenza e nel contempo alla provvidenza che dura ininterrottamente" (33). E' evidente qui un'interpretazione di tipo ontologico, da cui procede una sorta di conseguenza filosofica che soggiace alla rivelazione del Nome, la quale si pone, da questo punto di vista, sotto il segno della necessita' dell'esistenza come fondamento del mondo. Questa opzione deriverebbe dall'esigenza di coniugare l'istanza del Dio sempre presente accanto a, con quella della necessita' dell'esistenza; ma essa si rivela cosi' come altamente ambigua. Sembra quasi che vi si voglia ravvisare una sorta di prova ontologica, facendo venir meno quella differenza da Rosenzweig indicata come assolutamente essenziale, fra l'indogermanico Sein e l'ebraico haya. Riteniamo opportuno, quindi, ricorrere nuovamente ad un passaggio particolarmente pregnante del nostro, che, dopo aver preso in esame un altro commentario, in cui non e' estranea l'influenza della Guida degli smarriti di Maimonide, e che spiega la rivelazione del Nome di Es. 3, 14, asserisce: "Da questo commentario scaturisce innanzi tutto il fatto sorprendente che questa decisione a favore del nome di Dio astratto, 'filosofico', che e' stata cosi' gravida di conseguenze per l'ebraismo moderno, sia stata in Mendelssohn spesso appesa ad un filo. L'Essere 'eternamente necessario' e 'L'Essere provvidente', entrambi sentiti nel nome, il primo dai filosofi della religione classici, il secondo dalla tradizione autenticamente popolare - Onkelos, Talmud, Raschi - presi in se stessi hanno per lui il medesimo valore, l'uno e l'altro sono significati pensati dal testo. Nella sua decisione e' incluso un frammento di quella fede del XVIII secolo, per noi ormai non piu' praticabile (dopo lo 'spaccatutto', come proprio Mendelssohn ha definito Kant), nella possibilita' di una teologia razionale, per la quale - in flagrante contraddizione con l'esperienza della storia della filosofia - 'dall'Essere necessariamente esistente' deriverebbe per deduttivita' logica il 'provvidente'" (34). Questo passaggio ci appare molto importante, in quanto mette in luce quale forzatura ermeneutica deriverebbe dal ravvisare nella pericope di Es. 3, 14 un'istanza di teologia razionale, che legittimerebbe una deduzione razionalistica di Dio, dando come necessaria la connessione fra provvidente ed esistente, e racchiudendo nella fissita' dell'essere l'istanza di una presenza, quella divina appunto, che implica al contrario il divenire e la relazione dialogica, il percorso storico e la temporalita', e si presenta all'uomo in quanto Alterita' loquente e liberta' del comandamento. Ci sembra inoltre significativa la presa di distanza rosenzweighiana da questo tipo di interpretazione; una presa di distanza che non puo' non implicare una rilettura kantiana ed un punto di contatto con la critica ontoteologica. Ritorna infatti, qui, l'istanza secondo la quale la tradizione ed il retaggio dell'ebraismo contribuiscono ad illuminare criticamente la filosofia, apportandovi significativi sviluppi. L'unita' fra essere eterno ed essere necessario, che risente del retaggio aristotelico e razionalista, non dice della vera essenza dell'ebraismo che si riconosce nella Bibbia, e che e' costituita dalla Rivelazione del Nome e dal significato che questo nome assume. Alla luce di cio' comprendiamo per quale motivo il verbo haya si discosti da ogni ist-frage, attestandosi al contrario sulla linea di un evento dell'Altro, invocato al vocativo, nel dialogo e nella preghiera che celebra la memoria rinnovata del suo rivelarsi, narrato nella terza persona, nel racconto della creazione, e riconosciuto nel passaggio dal Tu all'Egli nella sua identita' di Dio creatore e Dio presente a me. Sulla base di cio' potremo certamente concludere che si tratta non tanto di sostantivo secondo il genere e la specie, ma di un'alterita' agente, rivelata gia' ab initio come relazione. Da questo punto di vista, ascoltiamo ancora una volta Franz Rosenzweig: "E proprio questo farsi tutt'uno e' cio' che, con il levarsi della sua fiamma dal roveto ardente a partire dall'annuncio 'Io sono qui', forgia mediante il nome di Dio, l'intera Bibbia in un'unica unita', compiendo ovunque l'identificazione del Dio della creazione con il Dio presente a me, a te, a ognuno. Identificazione questa il cui fuoco arde piu' che mai acceso nei passi in cui il nome di Dio e la parola Dio cozzano l'uno contro l'altra come nel capitolo del paradiso in Genesi, oppure nella proclamazione dell'unita' dello shemah Israel" (35). Il nominar-si di Dio in un movimento che, dal vocativo tende all'accusativo di un'azione relazionale originaria, intesa nel senso di fatto dell'amore, esclude ogni forma di oggettivismo che possa, in ultima analisi, convergere in una teologia del Summum Ens; al contrario essa sottende una sorta di theo-logica basata sul dono della parola come dono di senso e vocazione in virtu' dell'apertura in-fondata ed autofondantesi della rilevazione, tale che si configuri in essa l'ordine e l'orientamento della realta'. Dunque la rivelazione e' la struttura trascendentale a partire da cui l'essere accade come Erhellung, chiarificazione di senso, avente un'incidenza esistenziale nell'esser-ci umano ed esigente altresi' un inveramento fattuale nell'ordine della relazione che configura l'ad-venire costante della redenzione. La Seinsfrage, ovvero quella che abbiamo posto come questione dell'essere, in Rosenzweig si connette col termine entro cui la stessa linguisticita' assurge a Begegnung, incontro, nonche' allo stesso metodo della filosofia rosenzweighiana. * L'altrimenti essere e l'escatologia sempre realizzata La ricognizione della Seinsfrage nell'opera di Rosenzweig ci ha condotti a comprendere l'importanza delle categorie del tempo e della storicita' nella formulazione di una nuova riflessione filosofica che vede nell'esperire e nell'accadere l'istanza di un pensiero ins Leben, orientato e centrato sulla vita. D'altro canto, in quanto luogo dialogico del riconoscimento dell'eventuarsi della Rivelazione come interpellazione dell'altro, il pensiero stesso si attesta non solo sull'esperire e sull'accadere, quanto anche sull'orizzonte del supplicare, riconoscendo, cosi', come la Rivelazione richiami la redenzione, e come - in ultima analisi - questa sia essenzialmente un dono dell'altro con cui l'uomo puo' e deve cooperare, nella liberta' e nel dovere della supplica. Possiamo cosi' comprendere perche' il senso multiforme dell'essere si attesti sull'azione e su di un tempo che accade in modo diacronico. Porre l'attenzione su questa sorta di diacronia ci sembra necessario per meglio individuare quella correlazione fra temporalita' ed essere, rintracciabile nella Stella. Concetto cardine per questo rischiaramento del senso e' proprio quello della creaturalita', per cui la fatticita' dell'uomo invera un evento che si rinnova nell'attimo sempre compiuto della decisione per il comandamento e nel volgersi al prossimo, nonche' nel costituirsi del noi della comunita' orante, ove si attesta la radice dell'eternita' piantata da Dio in mezzo al Suo popolo. "L'eternita' dell'uomo e' piantata nel terreno della creazione. La creazione sarebbe l'"e" tra i due istanti della vita dell'uomo separati davanti a Dio e tuttavia nell'uomo riuniti: quello dell'essere amato e quello dell'amare. Il primo, che gli viene da Dio, il secondo, che si rivolge al mondo, come potrebbero valere per lui come un solo amore, come potrebbe essere consapevole di amare Dio amando il prossimo, se non perche' egli nel piu' profondo e fin dal principio sa che il prossimo e' creatura di Dio e il suo amore del prossimo e' amore per le creature?" (36). Dio e prossimo, nonche' Dio e mondo fondano l'esperienza della creaturalita' intesa come evento dell'Amore che accade nell'istante in cui Dio e uomo si riconoscono come l'Io ed il Tu del dialogo, ma necessita di inverarsi nel riconoscimento del Noi e del mondo, sottratto dal pervicace silenzio dell'illud, proprio dal noi comunitario. Se fra Dio e l'uomo, o meglio fra Dio e l'anima amante/amata si da' il tempo eterno di un dialogo che si rinnova, fra l'uomo, il prossimo ed il mondo si esplica questa stessa eternita', in virtu' della quale Dio si fa presente come memoria e promessa. L'esser-ci della creatura ed il suo aprirsi nel linguaggio al tempo del mondo e del prossimo anticipa l'eternita' attuata di Dio e la redenzione come pienezza di essere totalmente realizzato. Temporalita' ed escatologia non si fronteggiano od oppongono: si danno accadendo nel kairos del linguaggio, si danno, soprattutto, come chiavi di comprensione dell'essere nella centralita' dell'esser-ci, inteso non come mera gettatezza quanto invece come testimonianza e risposta ad un dono dell'altro.In questo senso ci sembrano preziose le osservazioni di Franz Rosenzweig nella Cellula originaria de la Stella della Redenzione: "L'Altissimo invece di esigere la nostra donazione totale, si da' Egli stesso a noi; invece di innalzarci alla sua altezza discende fino a noi, e, ancora, invece di prometterci come ricompensa il nostro se' ("diventa cio' che sei") ci promette profeticamente l'esodo dal se' (Entselbstigung), prossimita' di Dio come beatitudine. Dunque l'uomo cui Dio si affida, verso cui Egli, che e' nobile e umile insieme, si china, mentre fa spazio a Dio dentro di se' riceve tutto cio' che si e' donato totalmente a Dio e anche se stesso, l'uomo. Nel mondo ogni dono di se' culmina in Dio in quanto Egli e' idea delle idee, e Dio, donandosi ora a sua volta all'uomo nella rivelazione, gli porta come dote tutta la dedizione del mondo" (37). L'interpellazione e l'appello dell'alterita' divina si fanno evento della stessa deposizione di Dio nel suo dono all'uomo e permettono all'uomo di spogliarsi del suo se' nella dedizione al mondo che - anticipando la redenzione - attesta l'eternita' piantata come seme al centro della creatura. Dunque l'opera dell'uomo nel mondo e l'amore del prossimo sottendono, nella testimonianza sempre nuova della rivelazione, l'anticipazione dell'eschaton, gia' presente nello stesso rivelarsi di Dio come esser-ci accanto all'uomo. E' importante, tuttavia, sostare sul senso della deposizione di Dio che e' specularmene connesso alla dedizione dell'uomo, dopo il suo esodo da se'. Nell'esodo duplice di Dio e dell'uomo, che segna l'evento della rivelazione, e che sancisce il kairos della redenzione, e' possibile cogliere il senso dell'accadere dell'essere nel tempo dell'esserci come prossimita' all'appello dell'altro, per mezzo di cui si rinnova il potere della dedizione al mondo. Si darebbe, altresi' una sorta di deontologizzazione del linguaggio, che recupera non solo la dimensione speculativa, nel senso humboldtiano ed espressivistico (38), ma traccia anche l'orizzonte di una nuova ermeneutica dell'essere, finalmente liberato dalle catture di una comprensione meramente fenomenico-coscienziale (39). Una tale ermeneutica permetterebbe davvero di ripensare l'essenza dell'essere a partire dalla categoria della donazione che emerge chiaramente nel testo rosenzweighiano. Ben lo evidenzia anche Bernhard Casper, nel momento in cui osserva: "L'essenza dell'essere nella tradizione del pensiero occidentale e' stata compresa sempre come essere vero, ossia illuminato per la ragione ordinatrice del mondo, e come esser-buono, da affermare, per la volonta' di dominio del mondo. Ma la radice del senso della realta' non si trova, ancor prima che questa si mostri nella correlazione fra ragione e volonta', nel fatto che l'essere si esplica come dono?" (40). Il rapporto fra essere e dono lascia aperto un orizzonte altro, che - a partire dall'evento biblico della Rivelazione del nome di Dio - permette di riformulare la questione in termini di un pensiero della gratuita'. L'esplicarsi dell'essere come dono risulta una chiave ermeneutica del tutto inedita per affrontare il testo di Rosenzweig. Esso emerge con chiarezza a partire dall'evento della rivelazione che implica ad un tempo il dono del linguaggio in quanto evento che accade tra me e l'altro, e la possibilita' del mondo redento, gia' donata nello stesso discendere di Dio. La stessa comprensione biblica dell'essere lascia intravedere la possibilita' di formulare un'ontologia dell'evento, che costituisce peraltro l'assoluta novita' nell'ambito della stessa ontologia contemporanea. A tale proposito, l'interpretazione casperiana merita una particolare attenzione. Se e' vero che, da un lato egli legge Rosenzweig ben consapevole dei contributi heideggeriani sia di Essere e tempo che di Tempo ed essere, egli pero' sottolinea come la comprensione biblica della rivelazione possa rendere ragione di un'esperienza piu' originaria di quella dell'essere in quanto presenza, essa concerne appunto il pensiero dell'essere in quanto evento accaduto sulla scorta di cui interpretare la realta'. L'evento accaduto e' la rivelazione biblica, ma questa istanza fondamentale permette una trascrizione filosofica del senso dell'essere come dono e gli conferisce le coordinate ermeneutiche: quelle del tempo e quelle del linguaggio. Esse non si riducono mai a mero dominio di chi parla, ne' a suo mero strumento, rinviano bensi' ad una verita' che esige inveramento, che e' azione di Dio e dell'uomo nella dedizione al mondo. In quanto l'essere, nel suo senso biblico, sottende l'evento accaduto che ha avuto origine nella rivelazione, esso fonda una comprensione piu' originaria rispetto a quella della semplice presenza. In base ad essa si puo' parlare autenticamente di Dio. Tale presupposto implica, pero', che l'essere si attesti nuovamente come evento, non piu' solo accaduto, ma in grado di accadere sempre nuovamente nella relazione con l'altro. Nello zwischen di questa relazione si ridisegna pero' anche la figura di un tempo diacronico, nel quale e' anticipata l'irruzione dell'eschaton come dono dell'essere sempre indisponibile, il cui accesso e' aperto solo mediante l'uomo di cui ne va dell'essere (41). Ancora una volta, dunque, e' la rivelazione, con la sua capacita' di origine, a determinare la possibilita' di un pensiero filosofico nel quale, grazie all'apporto critico della teologia, l'essere possa attestarsi, ben oltre la condizione di gettatezza, come futuro aperto e inveramento della verita'. * Note 26. Dobbiamo questa interessante osservazione filologico-ermeneutica al prof. Carmine Di Sante, teologo ed esperto di ebraismo, cui esprimiamo i nostri ringraziamenti. 27. A. LaCoque, P. Ricoeur, Penser la Bible, Seuil, Paris 1998, p. 313. Quest'opera ci sembra preziosa per comprendere i rapporti fra mondo ebraico-biblico e riflessione filosofica. 28. Rimandiamo su questo al prezioso studio di M. Buber, La fede dei profeti, cit., p. 134. 29. Rosenzweig, GSI/2, p. 1161. Il testo tedesco recita come segue: "Nur weil dieser dir gegenwaertig Werdende dir immer gegenwaertig, wenn du ihn brauchst und rufst- ich werde dasein-, nur deshalb ist es dann unserm Nachdenken, Nachdenken, freilich auch der Immerseiende, der Absolute, der Ewige, losgehst dann von meiner Beduerftigkeit und meinem Augenblick, aber doch nur loszuloesen, weil jeder zukuenftige Augenblick eines jeden an der Stelle dieses meines jetzigen stehen koennte". 30. A. LaCoque, P. Ricoeur, Penser..., cit., p. 315. 31. Ivi, p. 314. 32. Rosenzweig, Die Schrift..., trad. it. cit, La Scrittura, p. 101. 33. Ivi, p. 102. 34. Ivi, p. 103. 35. Ivi, p. 109. 36. SR, 288-289, 278. 37. Rosenzweig, Urzelle..., trad. it. di G. Bonola, Cellula originaria..., cit., p. 251. 38. Per questo rimandiamo all'opera di A. E. Bauer, cit. 39. Su questi temi, rispettivamente del linguaggio, dell'essere, del tempo e del soggetto decentrato sarebbe interessante fare un confronto con Levinas, cosa che non e' possibile in questa sede. 40. Casper, Das Ereignis des Betens, Alber, Freiburg 1998, p. 27. Il testo tedesco recita come segue:"Das Wesen von Sein ist in der ueberlieferung des abendlaendischen Denkens durchgaengig als Wahr-sein, Gelichtetsein fuer die weltordnende Vernunft und als Gut-sein, Bejahbarsein fuer den weltbewaeltigenden Willen verstanden worden. Aber liegt die Wurzel des Sinnes der Wirklichkeit, noch bevor diese sich in der Korrelation zu Vernunft und Willen zeigt, nicht darin, dass Sein sich als Gabe erschliesst?". 41. Casper, La sfida di Franz Rosenzweig al pensiero cristiano, in "Filosofia e Teologia", cit., p. 248. (Parte terza - segue) 4. LETTURE. MARIA LAURA LANZILLO: IL MULTICULTURALISMO Maria Laura Lanzillo, Il multiculturalismo, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. X + 154, euro 10. Nella bella collana della "Biblioteca essenziale", un'accurata monografia introduttiva su un tema oggetto di un vivacissimo dibattito, ed ineludibile. L'autrice insegna storia delle dottrine politiche all'Universita' di Bologna (sede di Forli'). ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 42 del 15 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1145
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1146
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1145
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1146
- Indice: