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La nonviolenza e' in cammino. 1144
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1144
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 14 Dec 2005 01:08:27 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1144 del 14 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: L'attivismo in quindici parole 2. Cindy Sheehan: L'arresto di Brian Haw 3. Giuliana Sgrena: Black out 4. Marinella Correggia: L'azione nonviolenta dei Christian Peacemakers 5. Enrico Peyretti: Un omicidio 6. Luisa Morgantini: Un omicidio 7. Giovanna Providenti: Donne costruttrici di pace e convivenza 8. Letture: AA. VV., Norberto Bobbio tra diritto e politica 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: L'ATTIVISMO IN QUINDICI PAROLE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Un giornalista: "Riuscirebbe a spiegarmi questa cosa dell'attivismo in poche parole?" Non sapeva a cosa sarebbe andato incontro... * Azione: antidoto alla paura ed alla disperazione. L'azione da' ossigeno all'anima. Cambiamento di sistema: quella cosa, creata da azioni collettive, per cui ci si prende cura di ogni piccolo o piccola che nasce, e non solo di pochi privilegiati. Cerchio, circolo: il nostro gruppo, all'interno del quale ci trattiamo con amore e rispetto. Il nostro lavoro e' allargarlo sino a che finisca per comprendere il mondo. Concetto chiave: e' la bellezza. Incontriamo un altro essere vivente e la vediamo risplendere. Osserviamo un albero ed essa si irradia dai rami. Ci avviciniamo ad un ruscello e l'acqua la canta per noi. Creativita': una buona parte del nostro attivismo. Comprende adesivi, bandiere, striscioni, cartelli, canzoni e risate. Democrazia: quello che facciamo (non quello che abbiamo). Entusiasmo: il condimento di ogni buon piatto preparato dall'attivismo ("Passami un po' di brio, il progetto e' insipido"). Famiglia globale: quando riconosciamo davvero di far parte dell'umana famiglia, le nostre parole e le nostre azioni riflettono questo vincolo, e sono migliori. Gergo: quei termini irritanti che all'inizio non conosciamo e con cui, una volta che li abbiamo imparati, irritiamo gli altri. Nonviolenza: il genio del saper riconoscere se stessi negli occhi di un altro. Oggetto chiave: quello che invariabilmente manca quando il banchetto e' pronto o il corteo deve partire. Questo spiritello maligno si traveste da bastoncino di colla, pinzatrice o spago, ma e' veramente scocciante quando svanisce in forma di permesso del Comune. Organizzazione: una persona dona qualcosa per finanziare l'evento: bene; lo fanno in dieci: meglio; lo fanno in cento: l'evento e' finanziato, e ci avanza pure qualcosa. Parata: la cosa piu' divertente che puoi fare stando sui trampoli (che tra l'altro ampliano la tua prospettiva e ti consentono di avanzare a grandi passi). Tenacia: l'arte di tenere dietro ai propri sogni. Tu: la persona che ha il potere di cambiare il mondo. 2. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: L'ARRESTO DI BRIAN HAW [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio. Intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra] Oggi faceva molto freddo, mentre camminavo dalla stazione della metropolitana di Charing Cross verso la piazza detta Parliament Square. Sono andata la', assieme alla mia compagna di viaggio Julie, per incontrare Brian Haw dopo aver passato alcuni giorni faticosissimi ma molto produttivi in Inghilterra e Scozia. Brian e' un attivista per la pace ed un uomo dalla sensibilita' eccezionale, che sta manifestando in quella piazza dal 2 giugno 2001. Era cosi' sconvolto dalle sanzioni delle Nazioni Unite contro l'Iraq che quella gli sembro' l'unica cosa da fare. Mentre io facevo la stessa cosa a Crawford, a causa della mia indignazione per le continue e non necessarie morti di iracheni, americani e truppe della coalizione, Brian mi mando' una lettera. In essa dice tra l'altro: "Stiamo con te, come una famiglia, e puoi contare sul nostro amore qualunque cosa accada. Adesso vediamo di aiutare gli altri a capire che bisogna uscire da questo pasticcio il piu' velocemente possibile. Io non voglio che ci sia un altro giorno in cui un figlio torna a casa in un sacco di plastica, e non lo vuoi tu. Bene, vediamo di far arrivare questo al resto della nostra gente dannatamente in fretta. Amen, che ne dici? Tuo fratello, Brian". L'intera lettera mi commosse al punto che mi dissi che se avessi mai visitato la Gran Bretagna sarei andata a trovare Brian. Sono rimasta sconvolta quando ho saputo che era stato arrestato all'alba di sabato. L'anno scorso, il parlamento britannico ha votato una legge molto restrittiva che si chiama "The Serious Organised Crime and Police Act 2005". Essa limita la liberta' di parola e di assemblea davanti alla sede del Parlamento e al n. 10 di Downing Street. Una giovane donna e' andata di fronte al Parlamento ed ha letto ad alta voce i nomi dei 97 soldati inglesi uccisi in Iraq: e' stata arrestata. Un vecchio signore ha gridato che Blair e' complice in crimini di guerra: e' stato arrestato. Brian Haw, accampato di fronte al Parlamento da oltre quattro anni, e' stato arrestato l'altra mattina: sino ad ora lo avevano lasciato stare perche' la sua veglia era iniziata prima dell'entrata in vigore della legge, ma il suo arresto e' avvenuto perche' Brian "incoraggiava altre persone ad unirsi a lui". Si trattava di persone che avevano scelto di farlo, e che concordavano sul fatto che la guerra e' un tragico errore e che i nostri soldati devono tornare a casa. * Queste ed altre proibizioni sulla liberta' di parola e di dissenso mi sono orrendamente familiari. Sono stata impedita due volte dall'esercitare i diritti previsti dal primo emendamento della Costituzione statunitense. Ho tentato in dozzine di occasioni di avere da George Bush e dai suoi mostri neocon un raddrizzamento dei torti che hanno inflitto al mondo ed alla mia famiglia. Ho speso un sacco di soldi, sacrificato cosi' tanto, e ho viaggiato in lungo e in largo. Nessuno al governo sta ascoltando. Nessuno presta attenzione. Ho parlato di fronte a centinaia di pacifisti a Londra, alla Conferenza internazionale di pace, e li ho sollecitati a riprendersi le liberta' che i nostri governi ci stanno togliendo. Mi sono chiesta perche', dopo che la ragazza era stata arrestata per aver letto i 97 nomi dei caduti, centinaia di persone non sono andate davanti al Parlamento a gridare quegli stessi nomi? Il sostegno e la complicita' di Blair e del Parlamento con i crimini di guerra in Iraq sono qualcosa con cui essi dovrebbero essere sfidati a confrontarsi ogni giorno. * Perche', quando Brian e' stato arrestato, centinaia di persone non hanno preso le loro tende e sono andate a piantarle accanto alla sua? Perche' noi americani restiamo seduti e compiacenti a guardare il nostro governo che usa armi chimiche in Iraq? Dobbiamo permettere loro di continuare? Perche' noi americani cambiamo canale, quando vediamo che il nostro governo trasporta sospetti criminali nello spazio aereo europeo per poterli torturare tranquillamente? Perche' voltiamo le spalle ai bimbi innocenti che vengono uccisi ogni giorno, nel nome della "liberazione di un popolo" e del "diffondere liberta' e democrazia"? Perche' permettiamo ai criminali di guerra di derubarci di risorse e di vite umane, nelle nostre comunita' e nelle nostre famiglie? * Brian Haw e' padre di sette figli, ed ha lasciato la "zona confortevole" costituita dalla sua casa e dai suoi cari per salvare altri bambini. Sul suo sito web, Brian lo dice in modo eloquente: "Voglio poter guardare in faccia i miei bambini e dir loro che ho fatto tutto quello che potevo per i bimbi che stanno morendo in Iraq ed in altri paesi a causa delle politiche ingiuste ed immorali e avide di denaro del nostro governo. Questi bambini e questi popoli hanno valore e sono degni d'amore quanto la mia carissima moglie e i miei figli". Io sono stata violentemente espulsa dalla mia "zona confortevole" il 4 aprile 2004, quando Casey e' stato ucciso in Iraq. Se non stessi costantemente protestando contro l'immorale occupazione dell'Iraq, non riuscirei a stare bene, ma so che devo vivere il resto della mia vita con una parte del cuore e dell'anima amputate. Brian mi ha mostrato le fotografie dei bambini malati per l'uranio, e di quelli che stanno morendo per malattie curabili, ma che non possono avere le medicine di cui hanno bisogno: prima per le sanzioni, ora per l'occupazione. E se persino le autorita' occupanti possono vivere in relativa sicurezza nella "zona verde" di Baghdad, il popolo iracheno non ha "zone confortevoli" in cui stare. Non sono visti, non sono registrati, non vengono intervistati dai media, e sono marginalizzati come subumani. Cio' che noi, cittadini dell'umanita', stiamo permettendo di fare ai nostri governi e' mostruoso e crudele. * Percio' noi che abbiamo a cuore la liberta' e la democrazia, che ci preoccupiamo dei crimini perpetrati dai nostri governi, dobbiamo agire. Se tu che leggi non stai facendo nulla per la pace e la giustizia nel mondo, comincia a fare qualcosa. La nostra sopravvivenza sul pianeta richiede azione immediata. E' tempo di lasciare le nostre "zone confortevoli" e di fare la differenza. E se non sai proprio cosa fare, contattami all'indirizzo: CampCaseyMom at yahoo.com Posso darti qualche idea. 3. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: BLACK OUT [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2005. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005. Ci corre l'obbligo di esprimere netto e puntuale un dissenso rispetto alla conclusione dell'articolo: dal nostro punto di vista "terrorismo" non e' un'essenza astratta, ma concreta la qualificazione di atti materiali: chi quegli atti pratica si rende terrorista, sia esso il presidente dell'America, sia esso il patriota resistente. E ad ogni atto di terrorismo - che ovviamente, come scrive Giuliana Sgrena, e' sempre inaccettabile e da condannare - occorre opporsi sempre, sempre] L'Iraq e' completamente oscurato. Nemmeno gli ostaggi occidentali fanno piu' notizia. Sono ancora sei: l'archeologa tedesca Susanne Osthoff, i quattro attivisti del Christian peacemaker team - Tom Fox, Norman Kember, James Loney e Harmeet Singh Soden - e l'ingegnere francese Bernard Planche. Se, come pare, sara' confermata l'esecuzione dell'americano Ronald Shultz. Ma siccome gli americani non trattano - almeno ufficialmente -, nemmeno lo sgozzamento di un ostaggio e' degno di clamore. La vita non ha piu' valore, non solo per gli iracheni. Un prodotto della guerra senza testimoni. Un effetto perverso che ci trascina sempre piu' giu' verso la barbarie. Dove anche i soldati italiani in "missione di pace" possono giocare ai birilli con la testa degli iracheni all'urlo di "annichiliscilo". Ma la guerra e' guerra, non l'ha sostenuto anche la commissione d'inchiesta militare americana che ha assolto i soldati (solo uno?) che hanno sparato il 4 marzo del 2005 e ucciso Nicola Calipari? In questo vuoto di informazione tutto puo' accadere. Non ci sono piu' riflettori, nemmeno quelli di coloro che volevano far credere che quel 9 aprile del 2003 l'arrivo degli americani fosse una festa per gli iracheni e per dimostrarlo stringevano il campo del loro obiettivo sulla piazza Firdaus (Paradiso!) perche' altrimenti si sarebbe visto il vuoto tutt'intorno. E' il black out. Con tutto quello che comporta. Bush puo' cantare vittoria senza fare i conti con la realta'. La neocancelliera tedesca Angela Merkel, senza dover fare i conti con le immagini del video dell'archeologa Susanne Osthoff che non sono state diffuse, puo' imporre la linea dura, in nome della lotta al terrorismo. Vanificando cosi' la rendita di posizione che le derivava dal fatto che la Germania finora si era tenuta fuori dal pantano iracheno. In questa situazione persino gli appelli alla liberazione degli ostaggi sembrano cadere nel vuoto. L'impotenza aumenta con l'impossibilita' di informare veramente su quello che sta accadendo. Sei ostaggi possono essere ben sacrificati sull'altare delle elezioni del 15 dicembre che saranno celebrate da Bush come storiche ma che non fermeranno il bagno di sangue. Che continuera' a colpire, indiscriminatamente. Non serve chiuderci nel nostro guscio e abbadonare gli ostaggi e gli iracheni a se stessi. Non possiamo nasconderci dietro l'ipocrisia della lotta al terrorismo e allarmarci solo quando sono le nostre citta' ad esplodere. Bisogna agire subito, prima che sia troppo tardi, salvare gli ostaggi per ristabilire un contatto con quel mondo che e' stato disumanizzato dalla guerra e dall'occupazione. Condannando il terrorismo che uccide innanzitutto iracheni, come quelli che viaggiavano sull'autobus per Nassiriya. Ma chi lotta per la liberazione del proprio paese non e' un terrorista anche se usa mezzi inaccettabili e condannabili come i sequestri di civili o l'uso della violenza per imporre le proprie scelte. Fare di tutt'erba un fascio serve solo a chi vuole diffondere il terrore. E senza informazione il compito e' facilitato. 4. ESPERIENZE. MARINELLA CORREGGIA: L'AZIONE NONVIOLENTA DEI CHRISTIAN PEACEMAKERS [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 dicembre 2005. Marinella Correggia e' una giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, della pace, dei diritti umani, della solidarieta', della nonviolenza. Tra le sue pubblicazioni: Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori, Milano 2000, 2002] Era la fine di marzo 2003 e sul prato del potabilizzatore che a Baghdad serviva il quartiere Al Mansour e il relativo ospedale, il gruppetto anglosassone dei Christian Peacemakers aveva alzato uno striscione: "La convenzione di Ginevra proibisce di bombardare le infrastrutture civili, gli acquedotti e i depuratori". Insieme alla scritta, i corpi. Stuart, americano, era quello che dormiva piu' spesso li'. Un'interposizione certo simbolica mentre le bombe fioccavano. La presenza diurna e notturna alla centrale delle acque non si inquadrava nel progetto degli scudi umani sotto il cappello del governo iracheno; era una decisione autonoma - e autofinanziata - presa dal gruppo del Christian Peacemakers Team con altri pacifisti stranieri presenti, riuniti nell'Iraq Peace Team. Gli uni e gli altri avevano avviato mesi prima, all'inizio dei venti di guerra, una presenza stabile di attivisti a Baghdad: sostenevano il programma di ispezioni Onu come alternativa alla guerra; denunciavano l'embargo; cercavano di trasmettere negli Stati Uniti il vero volto del popolo iracheno. Il Christian Peacemakers Team e' un programma congiunto di alcune chiese nordamericane impegnate per la pace nel mondo; in particolare quaccheri e mennoniti. Non "cooperanti" ma operatori di pace, attivi in Palestina, Iraq, Messico, Portorico, Centramerica e altre aree di conflitto. All'arrivo a Baghdad delle truppe occupanti il gruppo dei Christian Peacemakers inizio' un lavoro certosino, e da nessun altro compiuto, di indagine e denuncia delle bombe a grappolo e di altri ordigni lasciati inesplosi: che appunto regolarmente esplodevano (una delle maggiori esplosioni fu nel quartiere al Zafranyia il 27 aprile 2003) e uccidevano iracheni residenti o passanti, nel disinteresse della Coalizione. E poi interviste su interviste agli iracheni, per far conoscere negli Usa una prospettiva diversa dell'occupazione. L'occupazione continuava e via via si inacerbiva. A partire dal giugno 2003 i Christian Peacemakers rispondono alle richieste e alle denunce di tante famiglie di detenuti iracheni e il focus della loro attivita' diventano le carceri: documentano gli abusi compiuti dalla Coalizione, fanno da intermediari per la ricerca di scomparsi e le visite in carcere dei familiari, lanciano con i gruppi d'appoggio in patria la campagna "Adotta un detenuto", sostengono attivisti iracheni per i diritti umani. A partire dall'ottobre 2004 il team riduce taglia e visibilita' per via dei rapimenti di stranieri. Ma non lascia il paese: sono i compagni di lavoro iracheni a chiedere di restare, pur sapendo che cosi' rischieranno di piu' anche loro. A partire dal gennaio 2005 e fino a oggi, il gruppo del Christian Peacemakers Team e' invitato a Kerbala per realizzare un training di formazione alla nonviolenza. Si legge sul sito del Christian Peacemakers Team (www.cpt.org) "gli amici di Kerbala hanno deciso di provare questi metodi anche in Iraq e, esplorando le radici della nonviolenza nel Corano, hanno creato un Muslim Peacemakers Team", composto da sciiti (la quasi totalita' nell'area di Kerbala), il quale poco dopo e' andato a incontrare i sunniti di Falluja in segno di unita'. Unici stranieri a girare in taxi e perfino a piedi senza protezioni, a vivere in appartamenti e alberghetti qualunque, a condividere spazi e problemi con gli iracheni, quelli del Christian Peacemakers Team sembravano immuni dai rapimenti... 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UN OMICIDIO [Da una lettera di Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it). Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Su Stanely Tookie Williams riprendiamo dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2005 ampi stralci del profilo scritto da Andrea Colombo: "Tutti pensano che sia un tipico soprannome da banda. Invece Tookie e' il secondo nome, consegnato all'anagrafe il 29 dicembre 1953 dal padre e dalla madre, allora diciassettenne, di Stanley Williams, l'uomo che dopo 27 anni di carcere attende nel braccio della morte di San Quentin l'esecuzione fissata per il 13 dicembre. Anche definirlo il fondatore della piu' numerosa, pericolosa e temuta banda che ci sia mai stata in America, i Crips, e' quanto meno impreciso. La gang contrassegnata dalle bandanas blu era nata nel 1969, due anni prima che vi aderisse Tookie, nei quartieri poverissimi dell'Eastside di Los Angeles, fondata dal quindicenne Raymond Washington con un occhio rivolto alle Black Panthers e l'altro alla mitica banda degli Avenues, attiva nei primi anni '60. I suoi Avenue Cribs divennero subito, probabilmente per un equivoco della stampa, i Crips e si allargarono altrettanto rapidamente al meno disastrato Westside, dove viveva Tookie, nato a New Orleans ma immigrato con la famiglia a Los Angeles. Washington sognava in grande. "I Crips - disse a uno dei suoi primissimi seguaci, Big Jimel Barnes - non moriranno mai. Di generazione in generazione si moltiplicheranno fino a essere presenti in tutto il mondo". Abbastanza profetico: se non in tutto il mondo, i Crips sono dilagati in buona parte degli Stati Uniti. Fu proprio Jimel Barnes, un colosso, ad addestrare Tookie: "Volevo un gemello, cosi' andai in giro, trovai questo ragazzo e lo 'costruii' fino a farlo diventare un gladiatore come me da piccolo ed esile che era"... Il miraggio di fare dei Crips una banda ispirata alle Black Panthers e alla loro teoria di autogoverno del territorio abitato dagli afro-americani duro' poco. A meta' anni '70 i ragazzi di Washington erano gia' una gang a esclusiva componente criminale, impegnata in una guerra violentissima contro le altre gang, coalizzate per difendersi dai Crips sotto il vessillo rosso dei Blood. "Quando cominciammo - ricorda Tookie - io pensavo di poter ripulire il quartiere da tutte le gang di malviventi. Mi sbagliavo completamente. In realta' ci trasformammo nel mostro che volevamo combattere". Washington fu ucciso da una banda rivale nel '79. Nello stesso anno Tookie fu arrestato per due delitti tra i piu' efferati. Il ventiseienne Albert Owens fu ucciso il 27 febbraio, nel corso di una rapina al 7-Eleven in cui lavorava. I tre componenti della famiglia Yang, immigrati da Taiwan, furono uccisi con modalita' simili l'11 marzo. Tookie, arrestato poco dopo i delitti, si e' sempre professato innocente e ha accusato gli inquirenti di aver deliberatamente trascurato alcuni elementi a suo discarico. Un detenuto a rischio di condanna a morte, si scopri' in seguito, lo aveva accusato - su sollecitazione di un ufficiale di polizia - del quadruplice omicidio in cambio di una riduzione di pena. La richiesta di grazia per Tookie non si basa pero' sulla sua pretesa di innocenza ma sulla trasformazione subita dal detenuto nel corso della sua lunghissima prigionia. Non subito. La prima parte della sua detenzione e' segnata da violenti scontri con altri detenuti e con le guardie carcerarie e da sei anni e mezzo di isolamento assoluto. La svolta arriva nell'88. Williams denuncia le gang e la violenza, rifiutandosi pero' di accusare i suoi ex complici, poi convince la giornalista Barbara Becnel a scrivere con lui una serie di libri per dissuadere i bambini del ghetto dall'entrare nelle bande. Ancora con la Becnel ha scritto Life in Prison, mentre firma da solo i due volumi autobiografici Redemption e Blu Rage, Black Redemption, uscito pochi mesi fa. Nel '97 Tookie si e' scusato pubblicamente per aver contribuito a fondare i Crips. Candidato ogni anno al premio Nobel per la pace dal 2001, ha elaborato nel 2004 una proposta di pace tra le bande in guerra, per la quale ha ricevuto una lettera di encomio da parte del presidente Bush. Il Tookie Protocol for Peace ha sicuramente contribuito a ridurre il tasso di violenza nei ghetti di Los Angeles che resta comunque altissimo: nell'ultimo anno le vittime della guerra tra le bande sono state circa 750. Nello stesso anno, la sua vicenda e' arrivata sugli schermi. A interpretarlo, nel film Redemption, e' stato Jamie Foxx..."] Stanley Tookie Williams e' stato ammazzato dalla legge disumana. Che siano uno, mille o diecimila, in democrazia o dittatura, in tribunale o in guerra, con le armi o con l'economia, ogni omicidio pubblico e' prova di barbarie del sistema, e' il rovescio della politica, che e' l'arte di vivere insieme, non di ammazzare. 6. RIFLESSIONE. LUISA MORGANTINI: UN OMICIDIO [Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) per questo intervento. Luisa Morgantini, parlamentare europea, presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004] Tookie Williams e' stato "giustiziato" questa mattina nel carcere di San Quentin. Un'altra morte che pesa sulle nostre coscienze. Tookie Williams, cinquantunenne ex leader della gang dei Crips, condannato a morte nel 1981 per l'uccisione di quattro persone, era riuscito a riscattarsi nei 24 anni trascorsi nel braccio della morte, scrivendo libri educativi per l'infanzia, facendosi paladino della lotta alla criminalita' giovanile e finendo addirittura per essere candidato sei volte ai premi Nobel, per la pace o per la letteratura. Tutto cio', ma anche gli appelli della societa' civile, non sono bastati ad evitare l'iniezione letale che gli ha causato 22 minuti di agonia ne' a ricevere la grazia, respinta dal governatore della California. La piu' grande democrazia del mondo continua, quindi, ad uccidere rimanendo impunita nei confronti della comunita' internazionale che applica la cosiddetta logica dei "due pesi e due misure". E' tempo che la comunita' internazionale, a partire dai paesi dell'Unione Europea, chieda conto delle continue violazioni dei diritti umani e dell'eversione della legalita' internazionale da parte della piu' grande potenza del mondo che dovrebbe invece essere esempio di democrazia e legalita'. Nessuna condanna a morte deve passare sotto silenzio, ne' in Cina, in Iran, in Bielorussia, ne' in altri paesi. I nostri governi e l'Unione Europea devono assumersi la loro responsabilita' e denunciare l'inammissibilita' di ogni violazione dei diritti umani, come la pena di morte. 7. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: DONNE COSTRUTTRICI DI PACE E CONVIVENZA [Dal sito www.noidonne.org riprendiamo il seguente articolo apparso sulla bella rivista "Noi donne" di novembre 2005. Giovanna Providenti (per contatti: providen at uniroma3.it) e' ricercatrice presso l'Universita' Roma Tre, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori] Accogliendo l'invito di Antonietta Potente di "raccogliere e lavorare con frammenti di storie e di riconoscere in essi la profezia che tutti i giusti hanno coltivato nel tempo", in questo breve articolo propongo un viaggio tra frammenti di storie piccole che stanno cambiando il mondo. Le protagoniste sono tutte donne, e l'ambiente in cui si svolge l'azione, pur a distanza, ha un tragico punto in comune: la sofferenza materiale di contesti in cui vigono poverta', guerra, e mancanza di cibo, acqua e medicine, oltre che di liberta'. Sono donne che hanno trasformato la sofferenza in forza, determinate a fare qualcosa per evitare che tanto dolore possa ripetersi ancora. Sono donne ai margini, talvolta "le piu' dimenticate tra i dimenticati", che sanno che la radice dell'oppressione e' culturale e che non basta sradicare. E' necessario anche seminare, e a partire dal terreno a disposizione. Come le donne indigene del Chiapas: "Il lavoro di molte indigene a partire dalla rivolta zapatista e' stato proprio quello di analizzare la propria vita e cercare di definire quali sono le usanze da mantenere e i diritti da ottenere". Sono donne, che si oppongono alle guerre di casa propria: "vogliamo il ritiro immediato delle forze armate del malgoverno dei nostri villaggi e delle nostre regioni" (Donne di Mais, pp. 188 e 190). E lo fanno spontaneamente, con "azioni modeste", formando associazioni e cooperative, non per gloria, ma per necessita'. Sono donne di cui non parlano i grandi media, ne' i libri di storia. * Le contadine di Greve Come e' gia' stato per le donne ribellatisi a guerre ormai passate: non sarebbe stato possibile sapere nulla delle contadine di Greve, in Toscana, che nella primavera del 1917, organizzarono una spontanea e illegale marcia contro la guerra, coinvolgendo gran parte delle donne di tutte le frazioni limitrofe, se un poeta, Gallileo Gagli, non le avesse raccontate in rima: "Sta a noi troncar la guerra, al debol sesso / libero sempre, e non al sesso forte / che dalla ferrea disciplina e' oppresso: / chi si ribella e' condannato a morte. / Ma a noi che possono fare? A noi e' permesso / di lamentarci della nostra sorte. / Andiamo al Capoluogo e protestiamo / e il nostro grido sia: li rivogliamo!" (R. Bianchi, p. 58). Un simile spirito ho ritrovato nelle tante storie raccontate nel recente libro documentario "Donne contro le guerre" di Marlene Tuininga, che si e' recata in diciotto paesi del mondo raccogliendo racconti di donne che, in vario modo, avendo ritrovato la possibilita' di essere "libere sempre", vogliono "troncar la guerra". Cio' che emerge e' al tempo stesso la semplicita' e profondita' del linguaggio portato (non soltanto con parole, ma con tutto il corpo) da queste donne, che dal lamento passano all'azione e a una parola per niente scontata, anzi spesso completamente dirompente rispetto al contesto, dando un importante strappo a culture e tradizioni retoriche e oppressive, nei confronti delle donne come degli uomini: "a ogni sofferenza di una donna corrisponde, intorno a lei, una sofferenza maschile speculare", dice la psichiatra marocchina Rita El Khayat, da anni impegnata per migliorare i rapporti tra uomini e donne in Marocco ed Algeria, dove vige la sharia, e anche dove i movimenti di liberazione delle donne sono tanti, anche tra le musulmane. * "Poi ho capito che si doveva osare, creare" Rottura rispetto al contesto significa trovare soluzioni nonviolente ai conflitti, ovvero guardare oltre le dicotomie, creare nuove alleanze, immaginare nuovi scenari, lanciare sfide a chi edifica barriere e pone divieti, osare liberare il proprio essere interiore: "Mi ero battuta per dodici anni in una guerra civile che aveva fatto 80.000 morti - tra cui molte donne - e mi toccava constatare che nulla era cambiato nei rapporti tra uomini e donne. Alla fine ho capito che bisognava ripartire su basi completamente nuove. Creare, osare, immaginare. La solidarieta' tra donne e' stata la mia ispirazione, e oggi lavoro con una prospettiva, in qualche sorta, di rivoluzione interiore", dice la salvadoregna Gloria Guzman, vicedirettrice di Las Dignas, una associazione di donne impegnate "per la dignita' e la partecipazione delle donne in tutti gli ambiti della vita sociale", e che lotta contro l'impunita', in un tessuto sociale in cui corruzione delle alte sfere, delinquenza, violenza contro le donne sono all'ordine del giorno, in un paese come il Salvador, emblema della cosiddetta "societa' duale": da una parte la minoranza di ricchi "che va di fretta", e dall'altra i sempre piu' poveri, nonostante un andamento positivo della "macroeconomia" (p. 113). * Una preziosa fonte di coraggio Il viaggio che Marlene Tuininga ci propone, tra le moltissime associazioni di donne presenti nel terzo mondo, risulta una preziosa fonte della resistenza e del coraggio di donne che trovano strade alternative per contrastare culture oppressive, concausa di poverta', guerra, epidemie. A Bujumbura, in Burundi, Jeanne Gapiya, sieropositiva, figlio e marito morti di aids, intervenendo in cattedrale durante le intenzioni di preghiera, rivela la realta' della propria malattia sfidando la morale dominante e innescando un processo di svolta nel proprio paese: "A partire da questo vero e proprio atto liberatorio in un contesto in cui sempre piu' persone morivano nel silenzio e nella vergogna, nel paese tutto inizia a sbloccarsi. La sua associazione viene intervistata in televisione e invitata a organizzare riunioni informative sull'aids, anche nelle scuole. Il governo decide di rimborsare ai malati una parte delle cure. E, rivelandosi una perfetta negoziatrice, Jeanne riesce a importare, anche durante il periodo dell'embargo, le medicine per curare le malattie legate all'aids a prezzi molto piu' bassi che negli altri paesi dell'Africa, e a sbloccare alcuni fondi" (p. 100). * La forza dell'unione interetnica Burundi, Ruanda, paesi massacrati dalla guerra "interetnica", in cui "la speranza di vita deve rinnovarsi ogni mattina", e in cui donne di entrambe le etnie si mettono insieme per costruire "la casa di una vedova tutsi e dei suoi cinque figli, fuggiti dal quartiere quando l'esercito ci ha tempestato di granate per cacciare i ribelli hutu". Le donne del Ruanda, che alla Conferenza di Pechino del 1995 hanno fatto sentire la loro "determinazione di vivere" di fronte alla devastazione del proprio paese, non solo si sono costituite in associazioni interetniche, ma nel 1997, invitando anche le sorelle del resto d'Africa, hanno promulgato la "Dichiarazione di Kigali", in cui si chiede ai governi di "riconoscere il ruolo tradizionale della donna nella salvaguardia della pace" e di "dare la precedenza alle politiche e ai programmi per lo sradicamento della poverta'". "Una convinzione e una rivendicazione - scrive Marlene Tuininga - frutto della pratica: sul posto, il dinamismo delle donne ruandesi si traduce nella creazione e nel rilancio di tutta una serie di associazioni... per affrontare i problemi piu' urgenti - cure mediche, conforto, aiuti alimentari, ricostruzione" (p. 78). * Ricchi grazie alle donazioni estere Un simile dinamismo si incontra anche tra le donne del Sudan, che nel 2000 hanno redatto, a Nairobi, una "agenda minima delle donne per la pace", rivolta alla cessazione del reclutamento di minori di 18 anni, dei rapimenti di donne e delle violenze a loro danno, dei bombardamenti di siti civili, e al rispetto delle diversita' culturali, religiose ed etniche. In un testo dal titolo "Il grido di una madre per una pace duratura", ecco cosa scrive una di queste donne impegnate: "Qualcuno pensa che il conflitto in Sudan sia un affare interno. E' falso. E' ora che tutti si sveglino. I donatori devono rendersi conto che grazie alle loro donazioni ci sono persone che conducono una vita lussuosa e hanno tutto l'interesse che questa guerra continui" (p. 69). * E che l'armonia regni Altra rete di donne di paesi africani in guerra tra loro, Liberia, Guinea e Sierra Leone, e' "Maerwopnet", la cui presidente cosi' si rivolge agli uomini di governo: "Noi donne non abbiamo piu' lacrime per la morte dei nostri figli perche' non abbiamo piu' acqua nei nostri occhi. Allora vogliamo alzarci in piedi. D'ora in poi ci batteremo per far regnare l'armonia tra i nostri tre paesi. Perche' tornino ad essere uno solo, perche' tutti possiamo essere felici di vivere qui. Da questo momento, ogni mattina ci sveglieremo chiedendoci: Cosa posso fare oggi per la pace? Sappiate, signori responsabili, che noi donne non metteremo mai fine a questa lotta. Vi invitiamo a sedervi, come i nostri antenati, sotto l'albero delle parole, e a discutere" (p. 59). * Le israeliane e le palestinesi L'alleanza tra le donne africane appartenenti a paesi in guerra e a diverse etnie ci ricorda un'altra importante alleanza tra donne: quella tra palestinesi e israeliane, che da piu' di 15 anni hanno dato vita a una "Coalizione di donne per una pace giusta". Tuininga racconta delle "azioni modeste e regolari": come raccogliere olive e vendemmiare insieme nei campi di proprieta' palestinese, a cui i coloni armati di fucile impediscono l'accesso; farsi visita a vicenda; fondare associazioni miste. Nurit Peled-Elhanan, fondatrice di un'associazione di genitori di vittime composta da israeliani e palestinesi, cosi' si esprime: "Il conflitto e' tra quelli che vogliono la pace e quelli che vogliono la guerra. Il mio popolo sono quelli che vogliono la pace. Le mie sorelle sono le madri in lutto, israeliane e palestinesi, che vivono in Israele e a Gaza, e nei campi profughi. I miei fratelli sono i padri che cercano di difendere i propri figli contro questa crudele occupazione e che, come me, non ci sono riusciti. Anche se siamo nati in una storia diversa e parliamo un'altra lingua, le cose che ci uniscono sono piu' importanti di quelle che ci dividono" (p. 211). * Le Donne in nero A proposito delle iniziative di donne in Palestina-Israele non potrei dimenticare di citare il lavoro delle Donne in nero, di cui viene data ampia documentazione in un altro libro, uscito recentemente: "Oltre la danza macabra. No alla guerra no al terrorismo" di Luisa Morgantini, che ha vissuto in prima persona i molti incontri, politici e privati, tra donne di parti "nemiche", ed e' stata anche tra le donne afgane, del cui attivo impegno per la propria autodeterminazione e crescita poco hanno parlato i mass-media, interessati piu' ai loro burqa che a quello che di vivo ci sta dentro. Al testo di Morgantini, alla sfida di gruppi di donne per la pace lascio la conclusione di questo breve articolo, chiedendo venia per le storie dei molti gruppi di donne che non ho avuto spazio per raccontare: "La nostra sfida e' andare oltre la relazione e collocare il nostro agire all'interno di processi storici di cui vogliamo essere soggetti, cosi' come sono soggetti le donne afgane, palestinesi, israeliane, curde, turche, croate, bosniache, serbe, algerine e tante e tante che... non tacciono e non si fermano un istante per praticare diritti e giustizia" (p. 188). * Bibliografia - A. Potente, Raccogliere i frammenti. Dalla teologia missionaria alla teologia contestuale, Anterem,1995. - Luisa Morgantini, Oltre la danza macabra. No alla guerra no al terrorismo, Nutrimenti, 2004. - Marlene Tuininga, Donne contro le guerre. Femminile plurale nonviolento, Paoline, 2005. - Roberto Bianchi, Donne di Greve. Primo maggio 1917 nel Chianti: donne in rivolta contro la guerra, Odradek, 2005. 8. LETTURE. AA. VV.: NORBERTO BOBBIO TRA DIRITTO E POLITICA AA. VV., Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. XVIII + 190, euro 10. A cura e con una densa introduzione di Pietro Rossi, le preziose relazioni svolte nella giornata di studio in ricordo di Bobbio tenutasi il 18 ottobre 2004 a Torino per iniziativa dell'Universita' e dell'Accademia delle scienze di Torino in collaborazione con l'Accademia nazionale dei Lincei, il Centro studi Piero Gobetti e la Fondazione Luigi Einaudi. Contributi di Gustavo Zagrebelsky, Bobbio e il diritto; Massimo L. Salvadori, Bobbio e la politica; Riccardo Guastini, La teoria generale del diritto; Michelangelo Bovero, La teoria generale della politica. Per la ricostruzione del "modello bobbiano"; Pier Paolo Portinaro, Realismo politico e dottrina dello Stato; Luigi Bonanate, Le relazioni tra gli Stati. Un libro che vivamente raccomandiamo. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1144 del 14 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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