[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1124
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1124
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 24 Nov 2005 01:47:51 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1124 del 24 novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Fatema Mernissi: E altro e' da veder che tu non vedi 2. Roberto Ciccarelli intervista Etienne Balibar 3. Lidia Menapace presenta "Fuoco amico" di Giuliana Sgrena 4. Rossana Rossanda presenta "Alla cieca" di Claudio Magris 5. Libreria delle donne di Milano: Alcune proposte di lettura 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. FATEMA MERNISSI: E ALTRO E' DA VEDER CHE TU NON VEDI [Dal sito della Libreria delle donne di Mlano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "D Donna" del 15 ottobre 2005. Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale, docente universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Il sito internet di Fatema Mernissi e' www.mernissi.net] In una delle mie ultime visite in Italia, non sono riuscita a vedere un solo canale non occidentale. Eppure ero ospitata in un ottimo hotel di Milano. In ogni caso, e' stato cosi' che un'ora dopo, alla presentazione del mio ultimo libro, ho capito perche' le domande erano tutte uguali: sul velo, sul terrorismo o su una combinazione di entrambi. La stessa cosa mi e' successa a Madrid. Il fatto e' che in Occidente siete del tutto all'oscuro di quanto sta accadendo nel mondo arabo, dove il tema centrale che sta mobilitando le elites come le masse e' il caos digitale introdotto dalle tecnologie informatiche e dal satellite, che hanno distrutto l'Hudud, quella frontiera che divideva il mondo in due aree: una privata e nascosta, dove si supponeva che donne e bambini fossero protetti, l'altra pubblica, dove i maschi adulti esercitavano la loro presunta capacita' di risolvere i problemi. Mentre voi continuate a rappresentare la donna araba come sottomessa e velata, da noi capita che io, entrando in un caffe' vicino all'universita' di Rabat per un appuntamento con un collega, scopra che l'intera clientela, per la maggior parte maschile, sta seguendo a tutto volume Al Arabia, la nuova rivale di Al Jazeera, perche' sullo schemo e' apparsa Mai Al Khalifa. Che non e' una cantante, ne' una danzatrice del ventre, e' un'intellettuale che scrive libri e una delle prime donne ad avere avuto una posizione ufficiale nel ministero della cultura del Barhein. Come lei, in questi anni nei Paesi del Golfo altre donne hanno assunto ruoli importanti. Sono quelle che io chiamo Sheherazade digitali. La versione araba di Forbes, lo scorso dicembre ha elencato le cinquanta fra loro che sono piu' potenti. In Kuwait, la giovane Maha Al-Ghunaim e' vicepresidente e managing director della Global Investment House, che nel 2004 ha avuto un profitto netto di 72,9 milioni di dollari. In Arabia Saudita, la poetessa Nimah Ismail Nawwab e' stata il primo autore (uomini inclusi) a firmare i suoi libri in pubblico, nella piu' grande libreria di Jedda. Quanto agli Emirati Arabi Uniti, il ministro dell'economia e' una donna, Sheika Lubna al Qasimi. Da voi, in Italia, avete mai avuto un ministro dell'economia donna? E mettendo da parte le piu' brave, lo sapete che in Barhein il tasso di occupazione femminile e' salito dal 5 per cento del 1971 al 40 per cento del 2001? In realta', chi continua a identificare il Golfo con donne velate e arcaismi, e' destinato a non vedere l'essenziale, che stupisce me per prima: il mondo arabo sta scegliendo l'intelligenza femminile per costruirsi un nuovo modo di vivere e di comunicare. 2. RIFLESSIONE. ROBERTO CICCARELLI INTERVISTA ETIENNE BALIBAR [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 novembre 2005. Roberto Ciccarelli (Bari, 1973) svolge attivita' di ricerca presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli; e' autore di vari saggi. Tra le sue pubblicazioni: con Marino Centrone, Pensare la differenza, Levante, Bari 1999; (a cura di), Inoperosita' della politica, DeriveApprodi, Roma 1999. Etienne Balibar, pensatore francese, nato nel 1942, docente di filosofia alla Sorbona, collaboratore di Althusser, ha fatto parte del Pcf uscendone nel 1981 in opposizione alla politica del partito comunista francese iniqua verso gli immigrati; impegnato contro il razzismo, e' uno degli intellettuali critici piu' lucidi nella denuncia delle nuove e pervasive forme di oppressione e sfruttamento. Tra le opere di Etienne Balibar: (con L. Althusser ed altri), Leggere il Capitale, Feltrinelli, Milano; Le frontiere della democrazia, Manifestolibri, Roma; La filosofia di Marx, Manifestolibri, Roma; (con I. Wallerstein), Razza, nazione, classe, Edizioni Associate, Roma] A tre settimane dall'inizio delle rivolte nelle banlieue Etienne Balibar e' indignato, ma anche inquieto. Con la psicoanalista Fethi Benslama, la giurista Monique Chemillier-Gendreau, il filosofo Bertrand Ogilvie e l'antropologo Emmanuel Terray, ha sottoscritto un appello che ha individuato "nella disoccupazione di massa, nello smantellamento dei servizi pubblici, nella segregazione urbana e nella discriminazione professionale, nella stigmatizzazione religiosa e culturale oltre che nel razzismo e nella brutalita' poliziesca quotidiana" le principali cause delle rivolte. "L'appello e' intitolato Casse-cou, la Republique! - ha spiegato Balibar in una pausa del convegno "Spinoza: Individuo e moltitudine" tenutosi a Bologna lo scorso fine settimana -, lo abbiamo scritto il giorno dopo l'approvazione dello stato d'emergenza ed e' stato diffuso nell'ultima settimana su Internet e pubblicato il 16 novembre su 'L'Humanite''". Oggi Balibar rilancia la sua analisi sul regime di apartheid che dalle frontiere esterne all'Unione Europea si e' installato nel cuore delle metropoli e denuncia il razzismo istituzionale che ha provocato le rivolte. Durante l'intervista esprime la sua perplessita' sul tentativo compiuto da alcuni esponenti del partito comunista francese e della sinistra anti-globalizzazione che hanno cercato "nei primi giorni di strumentalizzare le rivolte presentandole come la dimostrazione delle loro posizioni contro la costituzione europea e per il no al referendum del 29 maggio scorso. Questa rivolta - continua il filosofo francese - in realta' rivela il blocco totale del sistema politico francese. Non esiste alcuna prospettiva di rinnovamento sia per la maggioranza al potere che per l'opposizione". Una rivolta di cui molti governi, e non solo l'ultimo diretto da Dominique de Villepin, "portano una grave responsabilita'". Ma la rivolta contro i ghetti non e' una specialita' francese, e' una condizione diffusa anche nei Paesi Bassi e in Inghilterra. "Quelle in Francia mi sembrano pero' peculiari - risponde Balibar - perche' sono legate alla sua storia coloniale che e' ancora oggi onnipresente nel paesaggio urbano, anche se e' stata rimossa violentemente dal sistema politico e dalla maggioranza della societa' che vive totalmente separata dalle banlieue". E poi il governo. "Cio' che trovo inquietante nel suo comportamento e' che si e' impegnato nella repressione senza riflettere attentamente sui rischi dei conflitti sociali e le minacce aggravate alla sicurezza della popolazione che una simile scelta comporta", osserva Balibar. La reintroduzione della doppia pena, l'espulsione amministrativa degli stranieri, cioe' dei residenti che possono essere "isolati" dagli altri cittadini in base alla loro identita', annunciate dal ministro degli interni Nicolas Sarkozy, per Balibar "e' indice della separazione tra i cittadini nazionali e gli stranieri, ma anche tra gli stessi cittadini francesi alcuni dei quali vengono stigmatizzati come immigrati, o come non francesi, pur avendo a tutti gli effetti la cittadinanza. Reprimere dei gruppi isolati dal resto della popolazione e' una politica che non solo non rispetta i diritti umani, ma accentua al massimo le inquietudini della popolazione, moltiplica gli aspetti securitari e produce una polarizzazione ideologica in seno alla societa' francese che vede negli immigrati, nei giovani o negli stranieri dei capri espiatori". * - Roberto Ciccarelli: Il prolungamento della legge d'urgenza per altri tre mesi e' la creazione di uno stato di eccezione nelle citta'? - Etienne Balibar: Questo e' l'aspetto piu' inquietante, anche per i suoi risvolti simbolici, della reazione del governo. Quella applicata e' una legislazione di guerra. E' l'arma assoluta e reattiva che serve a spezzare le resistenze contro un nuovo ordine neo-coloniale, come gia' avvenne nella guerra d'Algeria. Questa legge non autorizza solo il coprifuoco, ma crea anche delle zone securitarie, autorizza le perquisizioni di giorno e di notte, le sanzioni penali sbrigative. Tutto questo non ha fatto altro che dare fuoco alle polveri a una rivolta che covava da anni e che, con ogni probabilita', continuera' ancora a lungo. La violenza ha toccato tutti gli abitanti delle banlieue, francesi e non. Questo e' inevitabile perche' chi subisce la violenza giorno dopo giorno, e per anni, poi colpisce senza operare alcuna distinzione di origine o di ceto sociale. * - Roberto Ciccarelli: Lei ha denunciato piu' volte l'apartheid europeo contro i migranti. Si puo' dire che oggi, in Francia come anche in altri paesi europei, e' venuto alla luce anche un nuovo apartheid, quello interno alle metropoli? - Etienne Balibar: Assolutamente si'. Non ci si puo' accontentare di dire che la risposta del governo e' inadeguata. E' difficile evitare di credere che, al di la' dei contrasti interni tra chi preme per una soluzione securitaria e chi per una di tipo paternalistico, il governo abbia voluto tracciare una specie di frontiera interna nella societa' che assume una configurazione sociale, etnica e razzista. L'applicazione di questa legge tende a isolare dal corpo della societa' francese una certa tipologia di persone e a differenziare le banlieue dal resto del territorio nazionale. In un certo senso tutto questo non e' nuovo. Anzi e' solo uno dei momenti di un processo di emergenza progressiva di forme di segregazione in tutta Europa che e' iniziato da tempo. * - Roberto Ciccarelli: In cosa consiste questo processo? - Etienne Balibar: E' un fenomeno tendenziale, molto articolato, che si va intensificando. Non lo considero ancora un dato acquisito, ma credo che quella in atto sia una trasformazione dello spazio europeo sul lato esterno e su quello interno. E' un processo che ha come risultato la costruzione di un apartheid, cioe' la moltiplicazione, o meglio, il raddoppiamento dei confini, quelli esterni dell'Unione Europea, e quelli interni nelle citta'. Questo processo ha spesso delle tragiche conseguenze come abbiamo visto nell'ultimo naufragio al largo di Ragusa di venerdi' scorso, oppure in quello che accade a Ceuta o Melilla in Spagna. Sono tutti effetti che fanno parte della politica protezionistica dello spazio sociale europeo che da un lato rafforza il muro che separa l'Europa dal Mediterraneo e dall'altro costruisce zone di controllo e di concentrazione dei migranti nell'Africa del Nord. Quello che accade nelle banlieue e' una specie di effetto simmetrico, correlativo, di questo processo. E' il risultato di una "meticizzazione" dei conflitti sociali che si accompagna alla militarizzazione delle frontiere europee. Il rischio che si corre e' che i tentativi di sfruttare politicamente questi episodi accelerino il processo in atto fino al punto che un giorno sara' impossibile fermarlo. * - Roberto Ciccarelli: A suo parere in che modo l'opinione pubblica francese e internazionale hanno interpretato le rivolte? - Etienne Balibar: In Francia, il tentativo di classificare i ribelli con categorie di tipo religioso come il "fondamentalista islamico" e' fallito immediatamente. Dall'altra parte c'e' chi segue la linea bonapartista di Sarkozy, che cerca di controllare questa popolazione accusando una sua parte di comunitarismo e dall'altra strumentalizzando i normali strumenti dell'espressione della vita democratica ricorrendo alla mediazione dei rappresentanti delle varie comunita'. Altri hanno evidenziato il fallimento del modello repubblicano di integrazione e quello di rappresentanza politica a livello parlamentare e municipale. Questa linea e' stata raccolta dalla stampa inglese e americana che ha interpretato questo fallimento come la fine dell'egualitarismo sociale che impone l'introduzione del riconoscimento delle appartenenze comunitarie in Francia. Non so se questo sia vero o falso, bisogna discuterne, ma credo che questi argomenti spostino l'attenzione dalle vere ragioni delle rivolte delle banlieue, che per me sono neo-coloniali. * - Roberto Ciccarelli: Perche'? - Etienne Balibar: Nelle banlieue si concentrano la seconda e la terza generazione degli immigrati di origine nordafricana e africana che sono ipersensibili rispetto alle forme violente di stigmatizzazione che si esprimono nel controllo poliziesco quotidiano e combinano la discriminazione di classe con quella razzista di tipo neo-coloniale. Da parte loro, queste persone non hanno alcuna intenzione di rivendicare una "separatezza" culturale dalla societa' francese, non chiedono assolutamente la chiusura delle loro comunita' contro la repubblica. Al contrario si appropriano del suo linguaggio e della sua ideologia per chiedere l'uguaglianza. Per questo le loro rivendicazioni non sono di tipo comunitario ma di tipo universalista. * - Roberto Ciccarelli: Chiedono quindi una cittadinanza? - Etienne Balibar: Proprio cosi', e non dico questo per rafforzare le tesi che ho sostenuto negli ultimi anni, ma perche' esistono degli aspetti culturali e sociali della cittadinanza che sono inseparabili dalla cittadinanza intesa in senso moderno. In questo senso si puo' dire che le forme del repubblicanesimo borghese che sono tipiche in Francia hanno raggiunto il loro limite da tempo. La cittadinanza che la maggioranza della popolazione delle banlieue rivendica non e' solo di tipo multiculturale, e nemmeno solo transnazionale, ma e' una cittadinanza multilivello che deve esprimersi a partire dal livello locale, poi su quello nazionale e anche su quello transnazionale. In questo senso e' chiaro che oggi e' in atto una rivendicazione di quello che definisco il droit de cite', cioe' di quel processo di costruzione dal basso della cittadinanza. Ci sono anche altri aspetti della cittadinanza che non si possono ignorare, anche alla luce degli ultimi fatti. La cittadinanza si pone infatti all'incrocio con tradizioni istituzionali diverse: quella repubblicana dello stato che presuppone l'esistenza di un ordine pubblico e di un interesse comune e quella rivendicativa che punta sul progresso incessante della democrazia nella societa'. Oggi che quest'ultima tradizione e' quasi del tutto esaurita visto che una parte della borghesia non ne ha piu' bisogno, rischiamo di mettere a morte una serie di diritti e di tradizioni acquisite in Europa. * - Roberto Ciccarelli: Le rivolte possono allora essere considerate l'espressione di una lotta piu' generale contro l'apartheid metropolitano? - Etienne Balibar: Personalmente evito di idealizzare una rivolta di tipo anarchico che incendia scuole, palazzi pubblici, e si scontra con la polizia. Sono convinto che questa sia una reazione che deriva da una serie di ragioni sociali, ma non la si puo' far passare come il sintomo di una rivolta politica, antimperialista o anticapitalista. I giovani incendiari non rappresentano un'avanguardia, ma il momento rivelatore di una situazione nella quale milioni di persone vivono. Per questo non credo si possa parlare di un movimento, ma di una rivendicazione. E' invece molto importante dire che queste persone non sono affatto una parte isolata dalla popolazione che vive in banlieue. Anzi, mi sembra che esprimano lo stesso disagio in cui vive la grande maggioranza. In Europa c'e' una lunga storia di rivolte contro i ghetti. Cio' che di nuovo c'e' oggi e' che quella attuale e' la prima generazione che vive la contraddizione flagrante tra l'universalismo della cittadinanza che sancisce l'eguaglianza delle opportunita' in cui sono cresciuti i suoi genitori immigrati, e la sordida realta' del razzismo istituzionale. * - Roberto Ciccarelli: Quali allora le prospettive? - Etienne Balibar: C'e' la parola d'ordine di Gramsci, quella sul pessimismo della ragione e l'ottimismo della volonta', che mi spinge a pensare che in questa situazione astenersi sarebbe certamente peggiore che agire anche sbagliando. Spero che la maggioranza dei francesi si risvegli da questo incubo neo-coloniale. Bisogna assolutamente resistere al tentativo di criminalizzazione e di etnicizzazione compiuto dal governo che servono alla creazione del "nemico" di cui il sistema ha bisogno e possono essere usati contro l'eventuale politicizzazione della rivolta. Penso che oggi il problema principale sia, da una parte, quello di un rilancio della coscienza e della mobilitazione nelle banlieue per dare un'espressione politica a chi e' sempre stato marginalizzato dal sistema politico. Dall'altra parte, i rappresentanti locali dei partiti di sinistra, insieme al tessuto delle associazioni, dei servizi municipali, potrebbero avere un ruolo importante nel rilancio della controffensiva democratica. Questo rilancio della democrazia locale potrebbe avere una rilevanza nazionale in un paese fortemente centralista come la Francia. E' solo un'ipotesi, certo, ma se oggi un'iniziativa democratica non parte dal livello centrale, allora bisogna farlo dalle banlieue. * Postilla: Un filosofo tra Spinoza e Marx Etienne Balibar e' uno dei piu' importanti filosofi europei. E' professore emerito all'Universita' di Paris X e insegna all'Universita' di California. A lungo collaboratore di Louis Althusser, ha partecipato alla stesura di Leggere il Capitale, considerato un testo fondamentale per comprendere il marxismo europeo novecentesco. Militante del Pcf, ha preso polemicamente le distanza da esso nel 1989, quando alcuni sindaci di banlieue di questo partito diedero il via a un giro di vite, con l'obiettivo di garantire la sicurezza, che colpi' francesi di origine maghrebina. In Italia ha pubblicato Le frontiere della democrazia, Spinoza e la politica, Per Althusser, La filosofia di Marx, L'Europa, l'America, la guerra, Noi cittadini d'Europa (tutti per manifestolibri). Con Immanuel Wallerstein ha pubblicato il volume Razza, nazione, classe. Suoi anche La paura delle masse (Mimesis) e Spinoza. Il transindividuale (Ghibli). 3. LIBRI. LIDIA MENAPACE PRESENTA "FUOCO AMICO" DI GIULIANA SGRENA [Dal quotidiano "Liberazione" del 18 novembre 2005. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005] L'avevo piu' volte detto e scritto durante le quattro settimane del suo sequestro: da parte nostra (non potevamo far parte della squadra delle trattative) dovevamo manifestare pubblicamente la nostra volonta', in modo che ai sequestratori - chiunque fossero - arrivasse chiaro il messaggio che nessun vantaggio poteva loro derivare dal farle del male. Il messaggio e' stato forte e Giuliana registra nel suo ultimo bellissimo libro Fuoco amico (Feltrinelli, euro 12, pp. 160), che e' stato anche efficace. Dicevo: "E' cio' che possiamo e dobbiamo fare, anche perche' lei, quando sara' tornata parlera', raccontera' quel che e' successo e quel che ha capito delle cause del suo sequestro", diventando io cosi' la causa di innumerevoli e aggiuntive richieste di dibattiti che mi venivano indirizzate perche' le trasmettessi a Giuliana libera. Erano anche forme di scaramanzia, ma soprattutto di affetto e interesse alle sue parole. Mi trovai percio' poi nell'obbligo di dire che Giuliana non stava affatto bene, che era dolorosamente ferita, stanchissima, frastornata. La sua decisione di prendere le distanze, per quanto possibile, da quella vicenda scrivendola, e' stata anche una forma di terapia del dolore e della paura, e ce la restituisce non eguale, che sarebbe impossibile, ma di nuovo forte coraggiosa presente a se stessa. Il libro e' molto bello, scritto con quel suo dono di leggerezza percorsa da ironia e attenzione e pieta', oltre che da intelligenza e cultura, leggibilissimo, capace di inserire gli episodi di vita quotidiana nella storia grande, senza mai indulgere al "colore", mai affatto al "sensazionale", insomma continua ad essere anche un modello di scrittura giornalistico-politica, vera, mai prescritta. Tanto che Giuliana dice alla fine e costruisce per tutto il racconto la ragione per la quale non tornera' in Iraq: dolorosamente deve concludere che persino il giornalismo indipendente e addirittura favorevole alle ragioni del popolo iracheno viene reso impossibile dalla guerra; la guerra oltreche' non poter "esportare" nessuna democrazia, impedisce persino la semplice comunicazione, rende sospetto uno o una per la sua provenienza geopolitica, uccide come il diritto e la giustizia anche la conoscenza e la verita'. La guerra e' la madre di tutte le bugie, dice un proverbio tedesco. Giuliana ci dice pienamente che cosa le e' successo quando fu rapita, e il nome di Falluja e dei profughi dalla citta' martoriata compare subito, confermando i sospetti che molti e molte avevamo concepito in proposito. Baldoni e' stato rapito - e poi ucciso - nello stesso luogo, e perche' stava cercando di intervistare profughi di Falluja, Florence ugualmente rapita, e infine Giuliana. Chi tocca Falluja si fa male, andavo dicendo, mentre tiravo giu' dai radi e fuggevoli fotogrammi dei tg e dalle mie antiche memorie dei rastrellamenti della seconda guerra mondiale e dalle immagini del napalm in Vietnam un fastidioso e incredulo "deja vu" e salto indietro della memoria. Ancora non era noto il reportage di Radionews 24 quando Giuliana scriveva la sua verita', ma che Falluja sia stata la notizia sottostante il suo rapimento a me e' apparso subito evidente. Per cui quale parte della resistenza irachena possa essere stata a rapirla resta molto dubbio e ancora da capire. Le quattro settimane della prigionia scorrono nella narrazione monotone e piene di eventi, il freddo, il buio, la sede del sequestro (una casa a Baghdad), i carcerieri, la misteriosa donna forte e velata, molti passi hanno la forza narrativa della scrittura di invenzione, e la finestrella e la difficolta' di contare il tempo che passa essendo stata privata anche dell'orologio e poi le cose incredibili, l'ammirazione che suscita anche nei suoi sequestratori che le fanno pervenire persino una catenina d'oro come segno e anche forse riconoscimento dell'errore fatto sequestrandola. Si direbbe che abbiano fruito essi pure della sua personalita', anche se aspetti della sua condizione di donna occidentale riescono loro incomprensibili (il compagno piu' giovane di lei, il non avere figli, la liberta'). Racconta come in un romanzo a tempi scomposti quando si trattenne piu' a lungo dei suoi colleghi, la volta che fu rapita e aveva meno scorta per ragioni anche economiche di altri giornalisti di pubblicazioni piu' opulente, e come solo dopo si siano accorti dell'errore politico fatto: segno ancora una volta di quanto la guerra annulli la ragione e produca giudizi di puro schieramento che alla fine diventano fonte di una sorta di razzismo: sei occidentale, dunque nemica, per quello che sei, non per quello che fai o dici, appunto essendo la radice del razzismo di fare una persona colpevole di cio' che e'. Man mano che la narrazione si avvicina al momento della liberazione diventa incalzante ed esprime anche una forma di "addestramento" al sequestro, la capacita' di leggere gli eventi anche attraverso indizi minimi. E poi tutto il gelido oggettivo incredibilmente eloquente - nella sua convulsa incomprensibilita' e oscurita' - racconto della liberazione, e l'incontro con Nicola Calipari, visto e morto, le ferite, il turbine della sparatoria. Segue la riflessione piu' controllata del dopo, l'ospedale, le notizie dall'Italia, l'arrivo di Pier e il ritorno a casa e le paure del dopo e il dolore, la fatica del recupero anche fisico e l'assedio dei giornalisti e delle tv. E lo sciacallaggio di chi quasi le rimprovera cio' che le e' successo: insomma una donna non dovrebbe stare a casa a fare la calza o senno' al massimo dedicarsi alla beneficenza e all'assistenza o al giornalismo un po' allineato? E' pesante doversi difendere anche da cio' sotto cui sta come l'accusa di avere colpa per l'uccisione di Calipari. Le conclusioni sono affidate in parte alla splendida intervista a Pier, che finisce originalmente il libro, e Pier esprime anche con durezza e amarezza la sequela di sentimenti, riflessioni e decisioni di quei giorni dall'altra parte. E anche la scoperta di uno spessore e stratificazione politica affatto schematica di una schiera di veri "servitori dello stato" o meglio "servitori civili" come direbbero gli inglesi, che sono cresciuti nonostante le deviazioni, le incongruenze e gli usi politici distorti di molti apparati in questi anni: la democrazia, persino malata e incompleta, lavora davvero nel profondo. Resta la domanda che ci facciamo: chi aveva interesse a far tacere una voce libera? Solo i sequestratori che alla fine sembrano accorgersi di aver fatto un grande errore, oppure chi non vorrebbe ancora oggi che si sapesse che cosa e' successo a Falluja, diventata simbolo dell'orrore bellico? A me comunque sembra di poter dire che ancora una volta con una straordinaria prova di giornalismo politico, Giuliana ci porti alla conoscenza, oltrepassi lo stesso velo, la coltre oscura della violenza, esponendo se stessa alla forza degli eventi e da quel luogo infelice e martoriato ci trasmetta ancora messaggi di umanita', rimanendo una giornalista che parla da luoghi di guerra, non una inviata di guerra. Le dobbiamo molto per avere mostrato cosi' eloquentemente cio' che diciamo in modo spesso astratto. Certamente c'e' chi non voleva e non vuole che si sappia la verita' delle guerre ed e' disposto a far tacere con le armi la voce della verita'. C'e' riuscito con Nicola, non anche - e per merito di Nicola - con Giuliana. E al suo mite e mai gridato coraggio e alla sua superata e governata paura, dobbiamo una fonte di verita' storica alla quale non si puo' rinunciare. Questo le dobbiamo a correzione della amara convinzione di Pier che non servira' a nulla: invece credo che serva e servira'. Senno' sara' colpa nostra e dico colpa perche' abbiamo in mano tutte le prove del crimine compiuto due volte, la' in Iraq e qui, se dai fatti non prendiamo lezioni, se ancora vi e' chi pensa che si possa "trattare" il ritiro delle truppe con chi e' disposto a crimini amici, per coprire le sue bugie, malefatte, violazioni del diritto. O sono sottoposti alla legalita' solo i ragazzi delle periferie? 4. LIBRI. ROSSANA ROSSANDA PRESENTA "ALLA CIECA" DI CLAUDIO MAGRIS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 novembre 2005. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste. Claudio Magris, nato a Trieste nel 1939, docente universitario di lingua e letteratura tedesche, saggista e scrittore, intellettuale democratico. Opere di Claudio Magris: segnaliamo particolarmente - tra molte altre opere tutte appassionanti e finissime - Lontano da dove, Einaudi; Dietro le parole, Garzanti; Itaca e oltre, Garzanti; Utopia e disincanto, Garzanti. Opere su Claudio Magris: segnaliamo particolarmente il profilo di Magris in Pier Vincenzo Mengaldo, Profili di critici del Novecento, Bollati Boringhieri, Torino 1998; e il bell'articolo sempre di Pier Vincenzo Mengaldo, Saggi contro i demoni, in "Alias", supplemento al quotidiano "Il manifesto" del 27 febbraio 1999] Alla cieca di Claudio Magris (Garzanti, pp. 335, 18 euro) e' il lungo racconto di se' che fa, verso la fine della vita, un comunista triestino. Deve essere nato negli anni Venti, giusto per essere arrestato e spedito dai tedeschi a Dachau: prima carcerazione e prima tortura. Finita la guerra, torna a Trieste e con la sua federazione, diretta da Vittorio Vidali (il comandante Carlos delle Brigate internazionali in Spagna e poi fin troppo attivo in Messico), decide come molti altri di dare una mano alla costruzione del socialismo in Jugoslavia. Sul paese cade la condanna di Stalin, che per Vidali e' sicuramente giusta: gli italiani devono rimanere al fine di un eventuale rovesciamento di leadership, per cui l'uomo viene sbattuto stavolta nel tremendo bagno penale titoista di Goli Otok, dove alle crudelta' simili a quelle di Dachau si aggiunge il rovello: dunque anche noi, il comunismo, siamo capaci di tanto. Questo rovello non lo lascera' perche' non rinnega niente, ma gliene viene un disincanto e una diffidenza nel traversare la vita, di cui trova un'eco nei versi delle Argonautiche di Apollonio di Rodi, che gli ha molto citato il compagno e maestro Blasic: Giasone conquista il vello d'oro tra pericoli mortali, assassinio e tradimento. Ma sempre vello d'oro resta, anche sudicio e polveroso come le bandiere rosse cadute una per una su nel mucchio. Da Goli Otok la donna che lo ama, Maria, gli organizza la fuga. Anche lei dovrebbe tornare in Italia, ma all'ultimo momento e' lasciata fuori, perduta, e a lui restera' la colpa di esserle in qualche modo mancato. Come Giasone a Medea? No, il nostro uomo non e' l'ambizioso e sciocco Giasone: sono i fatti a tradire, le forze che non si vedono, forse bisognava saperlo. Non vedra' piu' Maria - che e' la tenerezza, l'amore, l'acquietamento, il coraggio, simile alla diritta polena che taglia i flutti in capo alla nave, chiome e seno al vento, e viene ormai definita come un relitto fra le rocce o in qualche magazzino del porto. Perche' e' una storia di gente di mare, e tutto sa di salsedine, vento, legno, catrame, gomene e stive, in bilico sulle onde trasparenti o crudeli. Addio Maria. E addio a tutto, perche' i compagni vivamente lo sconsigliano di raccontare quel che ha sopportato a Goli Otok, o che Tito sia stato riabilitato o che qualunque socialismo vada tenuto al riparo. Anzi preferiscono che lasci Trieste: addio partito. Da allora, non avendo un suo luogo, Salvatore Cippico - questo sarebbe il suo vero nome, in molti luoghi e sotto molti nomi - piu' che Giasone e' un Ulisside in lotta per la vita, la stessa lotta di sempre: rischi, astuzie, patimenti, brevi tregue e ricominciamenti. Dove si confondono il vissuto, o intravisto, o saputo, dalle lezioni del professor Blasic. Ma forse e' stato davvero in Islanda: protettore di quell'isola estrema, e poi osservatore e sopravvissuto ai bombardamenti di Copenaghen da parte del crudele Nelson, certo ha veduto o pensa di aver veduto, nascosto da una tenda, le fiamme lambire le tappezzerie e arricciare i quadri del palazzo di Christian Borg. Allora si chiamava Jorge Jorgensen. Gia' il nome era stato cambiato a Goli Otok: da Cippico a Cipik, non conta granche'. Come Jorgensen finisce nella prigione di Newgate ed e' condannato alla galera che trasporta ai primi dell'Ottocento i condannati verso la terra di van Diemen, immenso penitenziario teste' scoperto con soddisfazione dalla Gran Bretagna. La terra di van Diemen, l'attuale Tasmania in Australia, dove sono finiti molti triestini e istriani cacciati dalla storia dopo la seconda guerra mondiale. E non c'e' una grande differenza tra quella deportazione dei primi dell'Ottocento e questa, da quell'arrivo a questo. Mancano solo le impiccagioni cui, come al lavoro dei remi e agli sballottamenti nella stiva, il nostro Giasone, anzi Ulisside, e' sempre riuscito a sfuggire, pantoporos, uno che se la cava sempre. E in quella terra crede di ritrovare la sua Maria in una Nora, come lui non piu' giovane e dedita all'alcol, ma anch'essa un'audace, una tagliavento come la polena - e nello straccio sul quale consumano tardive strette d'amore, il vello inseguito da Giasone. E infine da un manicomio, forse da quello aperto di Trieste, Salvatore Cippico, ancora una volta sorvegliato, racconta la sua storia al medico o forse la scrive. Troppo esperto delle cose del mondo per non mentire e non mettere le mani avanti, e assieme troppo simile a se stesso per non fidarsi e sfidare chi lo ascolta con scetticismo e compassione e pena. * Questo sarebbe il romanzo di Claudio Magris uscito qualche mese fa, ad attenersi alle regole del vecchio supplemento letterario del "Times": primo, dire di che si tratta, secondo chi e' l'autore, terzo il commento. Stavolta l'autore e' inutile presentarlo, ma se mi ci sono volute quasi cento righe per riassumere quel che pare il filo di un arazzo cosi' fitto e sfrangiato, per leggere la cifra nel tappeto, vuol dire che in verita' il tappeto e' la cifra, l'occhio fantasticante e diffidente che il narratore mette su di se'. Il filo e' ingannatore, la storia e' il suo snodarsi fra scintille e oscurita', ha il ritmo stesso del vivere. Alla cieca e' un libro difficile, soprattutto nelle prime pagine perche' poi si e' trascinati nel vortice fra spazio e tempo del narratore. Chi e' abituato alla limpidezza del Claudio Magris critico, scrutatore dell'Europa danubiana, che sembra da lui letta per tutti una volta per sempre, si interroga sulla scrittura densa e senza alcuna semplificazione nell'intrecciarsi continuo di narrazione, di immaginazione, di vissuto, delle sue scritture creative. E' stato cosi' anche per la piece di Magris, La mostra. Perche', credo, una cosa e' avere a che fare con i testi che sono stati fissati una volta per sempre in una forma, altra cosa e' affrontare il groviglio del vivente che forma non ha, e nel pieno delle tragedie del Novecento di cui Magris aveva gia' detto in Utopia e disincanto. Le pagine acute e acquietate di Microcosmi qui non hanno posto. La pace tradisce quel che e' disordine, sdoppiamento, perdita - alla cieca. Che sia la ricerca del vello d'oro o che sia il comunismo, sempre si tratta di tentativi nei quali devi scontrarti con te stesso e col mondo affascinante fra sfavillii e tenebre, desolazione e incanto e pieta'. 5. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO: ALCUNE PROPOSTE DI LETTURA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente serie di proposte di lettura] Care amiche, cari amici, anche quest'anno vi proponiamo qualche idea per i vostri regali (e per le vostre letture delle vacanze di Natale). Potete venire in libreria (via Pietro Calvi 29, Milano), oppure ordinarli per telefono (0270006265). Vi verranno spediti in contrassegno. Alcune di noi vi suggeriscono un paio di libri che hanno letto di persona e che vogliono condividere con altre/i. * Luisa Muraro - Franca D'Agostini, Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza. Dieci lezioni sulla filosofia contemporanea, Carocci, Roma 2005, 18,20 euro. L'argomento si capisce dal titolo. Parlero' dell'autrice: Franca D'Agostini e' torinese, e' stata allieva ma non seguace di Vattimo, non ha fatto carriera accademica, e' molto dotata anzi direi tagliata per la filosofia; quando m'incontro con lei, approfitto per imparare e imparo sempre qualcosa, sa poco di femminismo e di pensiero della differenza: peccato per lei e per il femminismo, mi viene da dire. - Rosetta Stella, Sopportare il disordine. Una teologia fatta in casa, Marietti, Genova-Milano 2005, 15 euro. Il libro esce in una collana fondata da Romana Guarnieri, "diretta" si legge a p. 1, ma purtroppo non e' piu' vero perche' Romana e' morta un anno fa. Rosetta e io abbiamo perso un'amica e una maestra. Anche questo libro, come quello che lo ha preceduto nella stessa collana, e' una raccolta di testi gia' pubblicati ma sparsi in giro, a cominciare da un articolo su "Via Dogana" n. 49 (maggio 2000), il numero intitolato generare-non generare. Romana Guarnieri voleva che Rosetta raccogliesse i suoi testi in libri, e aveva ragione, intanto perche' questi testi sparsi si intrecciano e si parlano, e poi per la qualita' della scrittura e del pensiero, che in lei si danno il cambio e s'incrementano. Dove non arriva l'uno, arriva l'altra o viceversa. Lo scopo e' sempre lo stesso, riuscire a parlare di Dio. Stranamente, da qualche anno in qua Dio e' diventato l'argomento preferito di Rosetta, lei dice che c'entro anch'io. Io comunque la leggo e ammiro la sua spontaneita' (la parola l'ho scelta con cura, secondo il piu' puro significato filosofico). - Dino Campana. Un po' del mio sangue, a cura di Sebastiano Vassalli, Bur, Milano 2005, 9 euro. Che cosa c'entra questo libro con la Libreria delle donne? Che contiene, oltre alla biografia di Campana, uomo sfortunato e grande poeta, tutte le opere di lui, e fra le sue opere c'e' la corrispondenza con Sibilla Aleramo, la donna che fu l'unico amore della sua vita. Forse c'entra anche per altri motivi, ma questo puo' bastare, no? - Edith Wharton, La casa della gioia, Editori Riuniti, Roma 1996, 14,50 euro. Da pensionata tornero' a leggere romanzi, ho cominciato quest'estate e mi sono imbattuta in questo romanzo affascinante e inquietante, che mi ha fatto pensare a Il rosso e il nero, per certe somiglianze e per le differenze che tanto piu' risaltano: Sorel, l'eroe francese, intraprende carriere molto strutturate in mondi chiusi e potenti, Lily Bart, personaggio comico e tragico senza precedenti femminili, s'inventa una carriera in un mondo ambiguo e instabile (la New York della borghesia finanziaria di cento anni fa). La traduzione e' di Clara Lavagetti Sforni. - Anna Scacchi (a cura di), Lo specchio materno. Madri e figlie tra biografia e letteratura, Luca Sassella editore, Roma 2005, 12 euro. Come dice la quarta di copertina, le autrici di questo volume esplorano la relazione tra madre e figlia nei testi e nella vita di alcune scrittrici al centro del canone femminista. Raccontano rapporti intensi e conflittuali, che si intrecciano alla loro stessa storia di donne e critiche letterarie, con una scrittura che si allontana tranquillamente dai modelli accademici e dalle dottrine patriarcali. * Renata Dionigi Vanessa Curtis, Virginia Woolf e le sue amiche, La Tartaruga, Milano 2005, 14 euro. La biografia di Virginia Woolf raccontata attraverso il rapporto con le sue amiche, donne insolite e inquiete che le sono state accanto condividendone affetto, interessi e piacere. Un mondo femminile pieno di tenerezza, attenzione e stima reciproca che ha permesso a tutte loro di esprimersi al meglio nella vita e nelle opere. - Elizabeth Von Arnim, Lettere di una donna indipendente, Bollati Boringhieri, Torino 2005, 19 euro. E' un romanzo tipicamente inglese, garbatamente ironico e pungente, che racconta attraverso le lettere scritte da una giovane donna al suo innamorato l'evoluzione di una storia d'amore. Dall'autrice di Un incantevole aprile da cui e' stato tratto un incantevole film, un romanzo-epistolario scritto nel 1906 che rende possibile il confronto tra i due sessi e registra con lucidita' l'inevitabile eterno conflitto. * Liliana Rampello Segnalo due libri che a me piacciono perche' rimandano ad altre letture e visioni; sono epistolari, che attraverso "aeree" conversazioni ci fanno conoscere nella luce di un'intimita' speciale chi scrive e richiamano cosi' alla mente tanto altro, di loro e del loro mondo. - Djuna Barnes, Camminare nel buio, Archinto 2004, 16 euro. Sono lettere a Emily Holmes Coleman, tra il 1934 e il 1938, sull'orlo del precipizio della guerra mondiale, mentre sta finendo di scrivere il suo capolavoro, "Nightwood" (trad. it. La foresta della notte, Adelphi 1983). - Vladimir Majakovskij - Lili Brik, L'amore e' il cuore di tutte le cose, Neri Pozza 2005, 15,50 euro. Finalmente una buona edizione per centinaia di lettere, biglietti, telegrammi fra un poeta tutto da rileggere e una donna che ha saputo vivere con intensita' la sua passione senza escludere il marito e senza neppure costruire un banale menage a' trois; storia di una grande complicita' e di un grande amore. L'ultimo: Anna Achmatova, Amedeo Modigliani e altri scritti, SE 2004, 18 euro. Leggere con gli occhi di una grande poeta e' un magnifico regalo per la mente, la Achmatova non tradisce nella lingua della prosa il raffinato rigore della sua poesia; da Modigliani a Puskin, da Blok a Mandel'stam la sua mano ci guida tra memorie e critica di poche pagine sempre di grande intensita'. * Vita Cosentino Le sirene intonano un canto armonioso: la collana Sirene (edizioni E. Elle) pensata per le adolescenti, ma letta anche dalle adulte, racconta in forma romanzata biografie di donne che in ogni epoca hanno preso in mano la loro vita. Attraverso una lettura accattivante ci si puo' avvicinare a Maria Montessori, Margaret Mead, Cristina di Belgioioso, Artemisia Gentileschi e altre donne famose. * Clara Jourdan - Clarice Lispector, Come sono nate le stelle. Storie e leggende brasiliane, Donzelli, Roma 2005, 20 euro. Dodici ministorie, una per ciascun mese dell'anno (quella di dicembre e' il racconto del natale), accompagnate da dodici coloratissime illustrazioni originali di Chiara Carrer. E' un libro che potete regalare a bambine e bambini senza averlo letto prima, ma vi consiglio di leggerlo, si sente che a questa grande scrittrice brasiliana "piace molto scrivere storie per bambini e per adulti". Nel volume ci sono anche tre racconti gia' usciti in Italia e ormai introvabili: "La donna che uccise i pesci" (ma giura che non l'ha fatto apposta, lei che non ammazza ne mmeno gli scarafaggi); "La vita intima di Laura" (Laura e' una gallina) e "Una storia quasi vera" (ben abbaiata da Ulisse, il cane di Clarice). - Fred Vargas, Parti in fretta e non tornare, Einaudi, Torino 2004,14 euro. - Fred Vargas, Sotto i venti di Nettuno, Einaudi, Torino 2005,14,80 euro. Sono due gialli, percio' non dico niente delle trame ne' dei personaggi. La struttura e' quella classica, ma sviluppata con straordinaria originalita'. E' sorprendente, anche per chi ha letto i romanzi precedenti della giallista francese. Si respira una grande liberta' e intelligenza del mondo. E lasciano un godimento che ti resta dentro e anche a distanza di tempo torna a riscaldare il cuore e la mente. Da leggere in sequenza e da regalare a chi volete far felice. * Marta Cucchiani - Lia Celi, L'angelo disubbidiente. La leggenda di Marlene Dietrich, EL 2004, 12 euro. Non conoscevo Marlene Dietrich: sono rimasta colpita dalla complessita' della sua figura. Una vita affascinante, una donna dalle mille sfaccettature, un'artista. Un libro ben scritto, scorrevole, coinvolgente, ricco di spunti. Non solo per ragazzine. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1124 del 24 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1124
- Next by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 39
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1124
- Next by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 39
- Indice: