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La nonviolenza e' in cammino. 1120
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1120
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 Nov 2005 02:10:20 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1120 del 20 novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Le nonne e Cindy 2. Lidia Menapace: Di Falluja e dell'umanita' 3. Severino Vardacampi: La secessione 4. Carlo Sansonetti: Una lettera dal Costarica 5. Emily Dickinson: Anche il giorno piu' lungo sulla terra 6. Una lettera del 27 aprile 2004 7. Una lettera del 5 maggio 2004 8. Una lettera del 9 maggio 2004 9. Hannah Arendt: Di tutto cio' che tocca 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. MARIA G. DI RIENZO: LE NONNE E CINDY [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio. Intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra] C'e' un gruppo pacifista, negli Usa, fondato nel novembre 2003 di cui non molti hanno sentito parlare. Si tratta delle "Nonne contro la guerra", che tengono una veglia a New York davanti al Rockfeller Center ogni mercoledi' da due anni, ed hanno composto la canzone originale che oggi fa da "sigla" alla campagna "Teatri contro la guerra" (gruppi teatrali statunitensi la suonano e cantano prima di mettere in scena i loro pezzi). Il 17 ottobre 2005, diciotto di queste nonne sono state arrestate ed accusate di "condotta disordinata" per aver tentato di entrare in un centro di reclutamento dell'esercito con i loro cartelli pacifisti appesi al collo. La polizia ha arrestato donne che vanno dai 49 ai 90 anni d'eta', compresa appunto la novantenne, e cieca, Marie Runyon. "Abbiamo suonato piu' volte il campanello", ha detto la simpatica Joan Wile, settantaquattrenne presidente dell'associazione, "Vedevo teste fare capolino dalle finestre e poi ripararsi dietro le scrivanie. Non capisco di cosa avessero paura. Forse non sapevano cosa fare con un gruppo di vecchiette. Perche' non ci hanno aperto e hanno chiamato la polizia? Per quello che ne sapevano loro potevamo essere venute ad arruolarci". * Alla loro veglia di mercoledi' scorso, 16 novembre 2005, c'era anche Cindy Sheehan. Contrariamente a quanto accadde lo scorso mese, con il pronto intervento delle forze dell'ordine che le tolsero il microfono, questa volta Cindy ha potuto parlare: "Penso che chiunque voglia candidarsi come presidente degli Stati Uniti nel 2008 debba esprimersi contro la guerra, e se non lo fa, chiunque sia, noi non lo sosterremo. Noi, la gente, dobbiamo cominciare a prenderci la responsabilita' della nostra democrazia, e licenziare i politici che non ci rappresentano". Rispetto alla possibile candidatura di Hillary Clitnon, Cindy (che l'ha incontrata personalmente in settembre) ha commentato che: "Se intende essere un falco a favore della guerra, per mostrare che da donna sa stare alla pari con gli altri 'ragazzi' della politica, io faro' resistenza alla sua candidatura con ogni briciola della mia forza, fino a che non ci mostrera' la saggezza che e' necessaria per guidare gli altri. Io non faro' l'errore di sostenere un'altra volta la candidatura a presidente di un democratico che sia favorevole alla guerra. A Washington, il 24 settembre scorso, eravamo in piu' di centomila, e i signori politici non ci hanno ancora notati. Percio', cosa dobbiamo fare? Io non credo che le dimostrazioni in strada siano sufficienti: dobbiamo cominciare una disobbedienza nonviolenta di massa". Cindy Sheehan e gli altri genitori di "Gold Star Families for Peace" (si tratta di genitori che hanno ricevuto un'onorificenza per la morte dei loro figli in guerra) rimetteranno in piedi "Camp Casey" di fronte al ranch del presidente Bush durante il fine settimana della festa del ringraziamento, ovvero il 26-27 novembre. "Siamo madri e padri che intendono chiedere al presidente, una volta di piu', per quale nobile causa i nostri figli e le nostre figlie sono morti. Inviteremo George e Laura", ha concluso Cindy Sheehan, "E dite a Laura di portare il tacchino". 2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: DI FALLUJA E DELL'UMANITA' [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per averci messo a disposizione questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Chiedo a tutti e tutte di esprimere la nostra pieta' a rabbia, vergogna e riconoscimento alla citta' di Falluja, che si aggiunge al novero delle citta' martiri delle guerre. Vogliamo solo ricordare Guernica, la prima citta' in Europa vittima di un bombardamento sulla popolazione civile; Coventry rasa al suolo dall'aviazione fascista; Dresda distrutta da quella alleata; il Ponte vecchio di Firenze minato dai nazi; Montecassino pressoche' distrutta dagli alleati, Roma citta' aperta e bombardata: tutte urlano ancora contro le guerre che distruggono le tracce umane simbolo di convivenza, la polis e la politica, la civilta' e la cittadinanza. Ai governi presenti e futuri diciamo che non si tratta il ritiro delle truppe con chi ha mentito sulle armi di distruzione di massa, sulle torture ad Abu Graib, sulle carcerazioni a Guantanamo, con chi pretende di controllare gli arsenali atomici altrui e si sottrae ai controlli sui propri, chi usa armi fuori legge. Il ritiro deve essere immediato (coi tempi tecnici che servono per riportare a casa le persone e i mezzi), ma soprattutto incondizionato. * Noi consideriamo scandaloso che durante la visita in Italia del presidente iracheno nessuno abbia accennato alla vicenda di Falluja, e che il papa si sia espresso pressoche' solo per rivendicare privilegi alla chiesa cattolica nella costituzione irachena, in presenza di ben altri drammi. Tuttavia il fatto che una costituzione islamica non soddisfi il papa cattolico dimostra che persino per garantire piena liberta' religiosa serve uno stato laico, democratico e costituzionale, garante pieno di tutte le liberta'. Mentre col loro assolutismo le religioni che si fanno istituzione hanno bisogno di privilegi e di leggi speciali. Per questo vogliamo che la laicita' dello stato italiano sia garantita dalla Costituzione e l'Europa si costruisca come istituzione politica laica. Non spetta al papa definire la laicita' sana giusta illuminata, bensi' alla volonta' dei cittadini scriverla in forma democratica e costituzionale. 3. TRENODIE. SEVERINO VARDACAMPI: LA SECESSIONE "tutti fra se confederati estima gli uomini, e tutti abbraccia con vero amor, porgendo valida e pronta ed aspettando aita negli alterni perigli e nelle angoscie" (Giacomo Leopardi, La ginestra, vv. 130-134) Quando eravamo sui banchi di scuola, ci insegno' la sora Amalia che federare significa unire soggetti diversi in un medesimo patto, costruire solidarieta', formare piu' ampie alleanze, ampliare le comunita', riconoscersi reciprocamente umanita', reciprocamente prestarsi aita. Usciti dalle scuole basse ed entrati garzoni in tipografia certi nostri vecchi maestri ci spiegarono che da Cattaneo a Proudhon a Spinelli i federalisti miravano ad unire l'umanita' intera secondo giustizia e liberta'. E sempre ci piacque questo dire. Poi, finito il lavoro, tutti si andava insieme all'osteria dei refrattari a tracannar fojette e poi cantare le canzoni di Pietro Gori, la Marsigliese e l'Internazionale. * Una cricca golpista di criminali e fiduciari dei poteri criminali, di revanscisti del ventennio e di Salo', di razzisti spudorati e di ladroni di stato di lungo corso, forte della sotterranea complicita' di tanta parte del ceto politico e della narcosi dei piu', ha ora fatto a pezzi la Costituzione della Repubblica Italiana, negando in radice quel principio di uguaglianza fra tutti i cittadini che e' uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, uno dei valori supremi che fu giurato dai sopravvissuti alla carneficina della seconda guerra mondiale; quell'uguaglianza di diritti fra tutti gli esseri umani che invera l'affermazione della dignita' di ogni essere umano, per cui tante e tanti scelsero la via della Resistenza fino al martirio. Chi ha fatto strame della Costituzione, se ne rendesse conto o no, insipiente o infame, non solo ai viventi e ai venturi ha recato nocumento, ma ai morti altresi' oltraggio. * Alla scuola della sora Amalia per un'operazione di tal genere c'era un aggettivo tecnico preciso: secessionista. Che designa l'azione esattamente opposta al federare. E in questa precisa vicenda e' l'azione sordida e meschina di chi nega altrui dignita', accoglienza, riconoscimento di umanita'. Il gesto laido e protervo dell'egoista, del razzista, dello schiavista. L'immonda divisa del vampiro, del "me ne frego", del "mors tua, vita mea", del vocino che esce dalla carrozza e dice "Avanti, alo': cchi mmore more". E a definir la "ratio" che a questa operazione presiede, e gli effetti che essa provoca e sancisce, e l'ideologia e la prassi che ne sono motrici e fine, ce n'era un altro di aggettivo, un aggettivo che quando indossa i suoi abiti di rappresentanza si panneggia in una camicia bruna. 4. ESPERIENZE. CARLO SANSONETTI: UNA LETTERA DAL COSTARICA [Dagli amici di "Sulla strada" (per contatti: sullastrada at iol.it) riceviamo e volentieri diffondiamo questa lettera di don Carlo Sansonetti del 13 novembre 2005 scritta da una riserva indigena in Costa Rica. Carlo Sansonetti, parroco di Attigliano, ha preso parte a varie rilevanti esperienze di solidarieta' concreta in Italia e in America Latina, ed e' trascinante animatore dell'esperienza di "Sulla strada". Per sostenere le attivita' di solidarieta' in America Latina e in Africa dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr), tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito: www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico, "Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia: c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito: www.reteblu.org/adesso] Stamattina, per venire al paese piu' vicino che sta a piu' di 15 km, ho fatto la meta' del percorso a piedi, in mezzo a una natura incantevole, stando attento alle molte pozzanghere sulla strada di terra e sassi, ma soprattutto gioendo e riflettendo in quella lunga passeggiata mattutina. E pensavo: quanto stiamo perdendo il contatto con la fatica e quindi con il nostro corpo, con la calma e quindi con il nostro pensiero, con lo stupore e quindi con il nostro spirito, nel contesto della nostra civilta' dei consumi e dell'efficienza. E forti mi venivano alla mente le immagini di questi giorni che sto passando vivendo nella capanna di Silvino, in compagnia di lui, della moglie e dei quattro luminosi e sempre sorridenti bambini: la poverta' di stanze che si affacciano all'esterno con le abbondanti fessure fra tavola e tavola; la poverta' dell'unica lampadina che illumina le tre camere della capanna; la poverta' del menu sempre uguale per pranzo e cena (riso e fagioli); la ricchezza delle serate passate a parlare insieme e a giocare con i bambini, e poi andare presto a dormire; la ricchezza delle mattine che cominciano alle quattro con la mamma che prepara la colazione per il marito che parte alle cinque per il lavoro; la ricchezza degli incontri con la piccola comunita' che si impegna nel nostro progetto e che vuole resistere al pessimismo e all'apatia che ha contagiato quasi l'intera comunita' di questo villaggio indigeno per l'abbandono in cui viene lasciato dallo Stato e dalla societa' cosidetta civile, un pessimismo e un'apatia che sono vinti solo dal liquore abbondante al quale si sacfrificano tutti i modestissimi guadagni. Ma, come vi ho detto, c'e' un gruppo di circa trenta persone, fra bambini, giovani e adulti, soprattutto donne, che credono nel nostro progetto e ne sono entusiasti. E' un progetto non soltanto di carattere economico, ma soprattutto culturale e spirituale, con forti agganci nella realta' di tutti i giorni. Sappiamo che la base e' la fede, lo spirito che unisce e' l'amore, la forza per andare avanti e' la speranza, e i passi del lungo cammino sono i singoli progetti da realizzare (la serra con l'orto e le piante medicinali, il pollaio per le uova e la carne, la vasca per l'allevamento dei pesci, i campi dove coltivare i fagioli, e altri che verranno nel futuro, per l'aiuto di Dio e la generosita' vostra e di tanti altri). * Ieri abbiamo trovato un posto collinare dove il cellulare, che ho comprato (anzi: che abbiamo comprato) per rendere meno isolata la vita di Silvino e della sua gente, riesce a prendere la linea, con un'antenna altissima; cosi' per le emergenze la comunicazione e' immediata. Poi abbiamo fatto un abbonamento a un giornale quotidiano che mai era arrivato nel villaggio e che invece da ieri puo' essere letto da chiunque della comunita'. Ancora: abbiamo fatto domanda all'ospedale perche', anche contribuendo noi alle spese, un medico possa andare al villaggio una volta alla settimana a fare un corso di pronto intervento che vorremmo che durasse da tre a sei mesi; in questo modo quando ci sono delle emergenze (come fratture o tagli, infezioni o diarree, febbre alta o anche morsicature di serpenti) la comunita' stessa sapra' farvi fronte, fino a quando si possa far arrivare in qualche modo il malato all'ospedale (minimo minimo ci vogliono sempre dalle due alle quattro ore). Sono traguardi molto importanti che noi di Attigliano abbiamo contribuito in modo determinante a far raggiungere a gente molto povera, che altrimenti sarebbe rimasta per sempre dentro la sacca della non-vita. * Vi abbraccio e a risentirci presto, con l'aiuto di Dio. Don Carlo 5. MAESTRE. EMILY DICKINSON: ANCHE IL GIORNO PIU' LUNGO SULLA TERRA [Da Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, p. 1323 (e' la poesia 1328). Emily Dickinson (Amherst, Massachusetts, 1830-1886) e' una delle piu' grandi voci poetiche che l'umanita' abbia avuto; molte le edizioni delle sue poesie disponibili in italiano con testo a fronte (tra cui quella integrale, diretta da Marisa Bulgheroni, da cui citiamo); per un accostamento alla sua figura e alla sua opera: Barbara Lanati, Vita di Emily Dickinson. L'alfabeto dell'estasi, Feltrinelli, Milano 1998, 2000; Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson, Mondadori, Milano 2002] Anche il giorno piu' lungo sulla terra e' ridotto a ben poco da un volto che scompare dietro un drappo. 6. MATERIALI. UNA LETTERA DEL 27 APRILE 2004 Se un nostro umile e limpido gesto puo' contribuire a salvare delle vite umane, quel gesto dobbiamo farlo. E' un gesto non solo onorevole, ma giusto, ma buono. Cosi' di tutto cuore, senza esitazioni, senza distinguo e senza sofismi, anch'io rispondo di si' all'appello dei familiari dei tre giovani italiani rapiti e minacciati di morte. E manifestero' con loro la speranza e l'impegno contro tutte le uccisioni. Quando diciamo di essere contro la guerra e contro il terrorismo cosa altro diciamo se non che siamo contro tutte le uccisioni? Ci tireremo forse indietro proprio quando un nostro gesto, onorevole, giusto e buono, puo' contribuire a salvare delle vite umane e indicare una via nonviolenta di intervento nel conflitto, di questo presente orribile conflitto che tutti ci lacera e coinvolge? Se della necessita' morale e intellettuale della nostra opposizione alla guerra e al terrorismo, alle stragi e alle uccisioni, eravamo convinti gia' prima, oggi dobbiamo esserlo ancor piu'. Senza ipocrisie, senza abulie, senza ambiguita'. * Del ripudio della menzogna Capisco i dubbi e le esitazioni di tanti. Ma non accetto le menzogne e il cinismo. Con parole che sento insufficienti e non di rado insincere sento parlare in questi giorni di ricatti e di terrorismo. Ma la guerra e' il primo e il principe degli atti di terrorismo, che tutti gli altri incuba ed alleva; l'occupazione militare dell'Iraq che si prolunga da oltre un anno con il suo corteggio di stragi e devastazioni e' con tutta evidenza un crimine immane e spregevole un ricatto; i carri e i mitra americani (e degli stati loro tributari, e dei governi mercenari, tra cui quello italiano) tengono ostaggio l'intero popolo iracheno, ed incessanti seminano morte. I terroristi rapitori dei giovani nostri concittadini, gli assassini di uno di loro, riproducono e proseguono nella misura dei loro mezzi un crimine e un orrore piu' vasto, un crimine e un orrore di cui anche il nostro stato, il nostro paese, ed infine - e suo malgrado - il nostro stesso popolo e' complice. * Della nostra vergogna Non esser riusciti lungo un anno a far quasi nulla contro la guerra (e le poche cose fatte, sovente purtroppo vacue e confuse, reticenti e ambigue, talora persino inquinate) ha reso il movimento pacifista del nostro paese avversario inetto ed in certi momenti ed atteggiamenti talora quasi paradossale complice del governo, del parlamento e del presidente della Repubblica fedifraghi e felloni, cioe' delle istituzioni che sciaguratamente l'Italia in guerra hanno precipitato, tradendo il proprio mandato e il giuramento fatto sulla Costituzione della Repubblica Italiana, violando per sempre la legge su cui la civile convivenza del nostro paese si fonda, facendo morire anche degli italiani, ed altri italiani rendendo assassini; tutti inabissandoci nell'illegalita' e nel crimine, nel terrore e nella barbarie. Un'orgia di sangue. Di cui non si vede la fine. E non se ne vede la fine per responsabilita' anche nostra. Non solo dei sanguinari che governano il mondo e il nostro stesso paese, sciagurati fuorilegge che fanno quel che pensano e che loro conviene. Nostra di noi che avremmo dovuto fermarli e non lo abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la legalita' costituzionale e il diritto internazionale e non lo abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la democrazia, il civile condursi e convivere, il diritto alla vita che inerisce ad ogni essere umano, e non lo abbiamo fatto. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti. E' anche la nostra incertezza interiore ed effettuale inadeguatezza, che fa crescere il duplice crimine della guerra e del terrorismo che la guerra imita e riproduce ed espande vieppiu'. Dovevamo fermarli e non lo abbiamo fatto. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti. Perche' non lo abbiamo fatto? Perche' non siamo riusciti? Per la piu' semplice ed essenziale delle ragioni: perche' neppure noi, nel nostro agire comune e condiviso come ampio e plurale movimento per la pace, abbiamo saputo fare in pienezza e in profondita' la scelta della nonviolenza, la scelta teorica e pratica della nonviolenza, la scelta esistenziale e politica della nonviolenza, la scelta assiologica e giuriscostituente della nonviolenza. Non siamo ancora un persuaso movimento per la pace, e non essendo un persuaso movimento per la pace non siamo neppure un persuasivo movimento contro la guerra. Perche' c'e' un solo modo per essere un movimento per la pace che possa la guerra sconfiggere: e questo solo modo e' la scelta della nonviolenza. La nonviolenza dei forti, la nonviolenza che nitida e intransigente si oppone a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutti gli armati, a tutti i terrorismi, a tutte le uccisioni. Anche le nostre mani sono sporche di sangue. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. * Dal silenzio al digiuno Per quanto riguarda la mia personale, di responsabilita', per piccola cosa che essa possa essere, ho deciso di uscire dal silenzio che mi sono imposto da mesi per prender le distanze dal rumore di fondo che non mi persuade, dalle troppe stoltezze e scelleraggini dette e fatte anche nel campo pacifista da chi pretende di rappresentarci e ci sfigura; e per cercare una piu' essenziale misura, una piu' esatta disciplina. Da quel silenzio esco ora per dire una parola, per esprimere un voto, dichiararmi a favore di un gesto per salvare tutte le vite umane che salvate possono essere, a cominciare da quei tre giovani nostri concittadini in Iraq. Un gesto che e' di pace e per la pace, coerente nella forma e nel contenuto, nei mezzi e nei fini, un gesto nonviolento che a partire da noi testimoni la necessita' e la possibilita' che cessi la guerra, che cessi l'occupazione militare, che cessi il terrorismo, a cominciare dall'Iraq. E per veder piu' chiaro in me al digiuno della parola, al silenzio, sostituisco a cominciare da ora un altro e piu' alto, piu' severo digiuno, dell'alimentazione. Un digiuno gandhiano, misero segno di condivisione di un dolore e di assunzione di una penosa e ineludibile responsabilita', e ancora nitido gesto di pace e di reciproco riconoscimento di umanita'; un digiuno gandhiano, non per ricattare, non per adire i mass-media, ma per condividere una sofferenza che altre vite afferra e strozza, per illimpidire il mio sentire e il mio fare, per vedere piu' chiaro, per cercare una via all'agire che occorre, per rispondere al compito dell'ora. 7. MATERIALI. UNA LETTERA DEL 5 MAGGIO 2004 Vorrei con voi condividere queste poche modeste impressioni sulla giornata dello scorso giovedi', cui non mi pare abbian reso giustizia molti pubblici commenti anche benintenzionati. Le persone che, rispondendo all'appello dei familiare di tre giovani la cui vita e' in estremo pericolo, si sono messe in cammino giovedi' 29 aprile tra Castel Sant'Angelo e piazza San Pietro a Roma, hanno realizzato quella che a me e' parsa una delle piu' belle e limpide e profonde e luminose manifestazione per la pace in Italia dalla marcia Perugia-Assisi del 2000. Proprio perche' persone cosi' diverse, proprio perche' persone decisesi ciascuna per conto proprio, proprio perche' l'appello a cui rispondevano non scaturiva per una volta da cartelli di sigle, da quartieri generali o comitati centrali, dalle infinite burocrazie e siano pure quelle del volontariato, ma da donne e uomini nel dolore. Non sono mancate - come sempre accade quando si manifesta pubblicamente nella forma del corteo a Roma, e troppe telecamere istigano gli incorreggibili volponi e talune anime le piu' ingenue a inopportune esibizioni - piccinerie e spiacevolezze, ma sono state per una volta del tutto marginali, futili, evanescenti. Vi era, cosi' ho sentito, la comprensione e l'affermazione di un ragionamento chiaro e nitido un sentimento, e la scelta di un comportamento netto e finalmente non piu' equivocabile: si e' stati li' con una volonta' precisa e decisa: fermare la mano degli assassini, perche' esseri umani cessino di uccidere esseri umani: esseri umani le vittime, ed esseri umani gli assassini, anch'essi vittime. Una comune umanita' tutti ci lega e degnifica e sostanzia: per questo giammai devi uccidere. Per questo il primo e l'ultimo comandamento di tutte le grandi tradizioni di pensiero dell'umanita' e' racchiuso nella formula bella: tu non uccidere. Per questo le forme piu' vive di questa giornata a me pare siano state il povero camminare e il denudato silenzio che convoca al colloquio corale, quell'essenza misteriosa e fragrante che molti di noi chiamano preghiera (ed anche agli altri, anche a me, evoca l'incontro del cielo stellato e della legge morale), l'invito alla benevolenza; il grido straziato e supplice, ma splendente di dignita', ma fermo come roccia, alla misericordia: la misericordia che l'intera umanita' deve a ciascun essere umano. La misericordia che ogni essere umano deve all'umanita' intera. Tu non uccidere. La ciarla sui ricatti e le provocazioni, i sofismi dei retori, le nequizie degli irresponsabili e degli ipocriti e dei violenti (coloro che la guerra e il terrorismo e le uccisioni promuovono, eseguono, avallano) non scalfiscono ne' corrodono questa elementare verita': giovedi' scorso a Roma persone in cammino questo hanno detto, e lo hanno detto consapevoli di dire una parola vera, libera e franca, concreta e impegnativa: tu non uccidere. Poi, tornati a casa (ed alcuni forse ancora per le vie di Roma, e fors'anche in piazza, sia pure), ognuno e' tornato alle sue private miserie e ambiguita' - e tutti ne siamo in misura maggiore o minore piu' che maculati composti, ma quella parola e' stata detta, quel gesto e' stato compiuto. Ed e' stata un'epifania di verita', autentico un consentire e un'invocazione: tu non uccidere. Detto da esseri umani forti solo della propria angoscia e fragilita', che e' l'angoscia e la fragilita' essenziale di ogni essere umano: tu non uccidere. Detto a noi stessi prima che ad ogni altro: tu non uccidere. Ma anche a tutti gli altri detto: e in primo luogo ai portatori di armi e di oppressione e di morte: tu non uccidere. Questo e' stato detto affinche' fosse udito anche dagli esseri umani di cui alla resa dei conti tutti i gruppi criminali, tutti i terrorismi, tutte le guerriglie, tutti gli eserciti, tutti i governi sono composti: gli esseri umani che impongono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani che eseguono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani che guerra, stragi e uccisioni subendo ad esse soggiacciono altresi' nella forma dell'ulteriore riproduzione di nuove uccisioni, stragi, guerre, in una spirale che l'intera umanita' artiglia e trascina al disastro. A tutti costoro ha parlato la teoria di umiliati e offesi, ma non arresi, ma non rassegnati, di giovedi' scorso: tu non uccidere. Per quanto paradossale possa sembrare, giovedi' scorso a Roma a me e' parso di intravedere, di presagire, di leggere nelle mie stesse viscere e nei visi dell'altra e dell'altro, di quante e di quanti erano li', quell'unica comunita' politica a cui oggi mi sentirei di aderire con tutto il cuore - e alla quale so che aderire non posso per quanto vi e' ineliminabilmente in me di oppressore in quanto di sesso maschile in una cultura e una storia ancora non riscattata, ancora troppo intrisa della violenza del sesso cui appartengo. Ma ieri l'ho pur vista, era li', luminosa e finanche - se posso osare questa metafora - numinosa: era la "societa' delle estranee" di Virginia Woolf. Al di la' delle nostre individuali inadeguatezze e torpori e miserie giovedi' scorso a Roma ho vista l'unica via possibile alla pace, la proposta di Virginia Woolf, le cose che mi ha insegnato Lidia Menapace: la nonviolenza in cammino. La coscienza che la pace comincia da noi, che noi per primi dobbiamo spezzare il fucile, che alla violenza dobbiamo opporre non altra violenza ma la forza piu' grande e piu' pura, perche' la piu' meticcia, perche' la piu' chenotica: la nonviolenza. Preferire piuttosto morire che uccidere, e forti di questo con voce sottile come vento tra i rovi, e con voce tonante come tempesta, questa supplica e questo comando testimoniare, recare, dare alla luce, e dinanzi allo specchio e nella piazza del mondo: tu non uccidere. Non solo nei volti e nelle voci delle persone amiche con cui da piu' di trent'anni ci troviamo piu' o meno sovente a camminare insieme, ma nelle voci e nei volti di chi giovedi' scorso per la prima volta facendosi forza afferrava policromo uno straccio e per le vie si metteva in corteo, ho sentito questa coscienza, questa verita': che la nonviolenza e' in cammino, che solo essa puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. 8. MATERIALI. UNA LETTERA DEL 9 MAGGIO 2004 Tra i promotori e i complici della guerra e del terrorismo c'e' chi finge di stupirsi e di indignarsi per le mostruose torture perpetrate in Iraq dalle truppe occupanti sugli inermi prigionieri. Fingendo di non sapere che la guerra si esegue attraverso l'uccidere e il terrorizzare. Fingendo di non sapere che la qualita' fondamentale al belligerante richiesta e marchiatagli indosso lungo e attraverso l'intero corso dell'addestramento militare impartitogli e' proprio la capacita' di disumanizzare il "nemico" (di percepirlo come non umano, di renderlo tale), e' proprio l'odio per l'altro essere umano che la guerra gli oppone, e' proprio la disponibilita' ad infierire su di lui fino a togliergli la vita, dimenticando che una e' l'umanita'. La tortura e' parte costitutiva della guerra, sempre. Per abolire la barbarie della tortura e' necessario (anche se non sufficiente, e' evidente) abolire la guerra. Cosi' come (e' altrettanto evidente) abolire la guerra e' necessario se si vuole davvero abolire la barbarie della pena di morte, volonta' solennemente enunciata e fin legiferata da molti stati, ma da tutti sistematicamente violata quando e in quanto ammettano il ricorso alla guerra ed a tal fine di armi ed eserciti si dotino. * Occorre, e' urgente, che la devastante guerra in corso cessi, ed essa puo' cessare solo con la fine dell'occupazione militare straniera in Iraq, sostituendola con un grande, doverosamente cospicuo e generoso intervento internazionale di aiuti umanitari, condotto con operatori disarmati e modalita' rigorosamente nonviolente, al servizio del popolo iracheno ed in guisa di necessario seppur inadeguato e tardivo risarcimento per le sofferenze ad esso inflitte dalla cosiddetta comunita' internazionale sia negli anni della complicita' con la dittatura, sia con le due guerre di cui l'ultima ancora perdura, l'embargo tra esse, ed infine quest'anno di smisurati e crescenti orrori protratti e ulteriori ed estremi. Coloro che in questi giorni si dicono sorpresi e indignati e non muovono un dito affinche' la guerra cessi (ed essa - ripetiamolo - puo' cessare solo con la fine dell'occupazione militare, e solo con la sua cessazione - e grande e profondo un intervento nonviolento - si puo' sperare di fermare la crescita del terrorismo che essa sta alimentando vertiginosamente), invero meglio farebbero a tacere. Poiche' anche questa menzognera ed ipocrita sorpresa e questa sguaiatamente esibita indignazione, meramente retorica, palesemente posticcia, pretesamente autoassolutoria, e quindi infame e ripugnante quanto il ghigno malefico del carnefice, e' complice della guerra e del terrorismo, del terrorismo grande imperiale e degli stati, del terrorismo derivato e speculare dei gruppi assassini su scala ridotta alla propria misura fin artigianale ma non per questo meno atroce e pervasivo, e col terrorismo maggiore in tensione e sinergia nel provocare sempre piu' abissali escalazioni di dereismo e violenza, di male, di orrore, di barbarie onnicida. * Sono un cittadino italiano. Lo stato in cui vivo, ordinamento giuridico che mi garantisce diritti a cui tengo e privilegi enormi che non merito e non desidero e di cui pure in qualche modo fruisco (e che so essere pagati da altri esseri umani di altri popoli ed altri paesi con una poverta' e un'oppressione che sono coatte e funzionali e necessarie al mantenimento del privilegio e dello spreco qui nel nord ricco di rapina, vampiro e polluttore), questo stato di cui in quanto cittadino faccio parte e per una quota sia pur minuscola sono corresponsabile, questo paese di cui in quanto indigeno e abitatore sono parte e corresponsabile, sta cooperando all'occupazione militare dell'Iraq, quindi alla guerra, quindi al terrorismo. Anche il mio silenzio e' complice delle torture, del terrore, della guerra, poiche' sono un cittadino italiano, e pur dotato di rilevanti diritti politici e quindi di non irrilevante politico potere non ho saputo adeguatamente effettualmente agire - e come me, e io insieme a loro, le tante ed i tanti che come me sentono e pensano e ardentemente vogliono, e sono, siamo senza dubbio la grande maggioranza del popolo italiano - per impedire dapprima e di poi far cessare la guerra, o almeno la partecipazione italiana ad essa, nonostante a favore di cio' che chiediamo, a favore della pace e dell'umanita', ci siano le leggi del nostro paese, leggi che governo, parlamento e capo dello stato hanno proditoriamente violato non opponendosi alla guerra in corso ed anzi mandando italiani ad uccidere e farsi uccidere cola' in guerra, e con essi, mandanti ed esecutori, decisori ed armigeri, quelle leggi - in primis la Costituzione della Repubblica Italiana stessa - parimenti hanno violato coloro che avendo potere di interdire la loro azione han lasciato che cosi' agissero, che alla partecipazione all'aggressione hanno contribuito, che hanno omesso di opporsi, o si sono opposti ma in misura inadeguata, in forme insufficienti o equivoche, non raggiungendo un esito cogente. E tra essi, nella misura delle facolta' nostre, anche noi, non cosi' senza potere come ci pare di essere, come ignobilmente ci crogioliamo talora di dirci; non cosi' innocenti come a troppi piace oscenamente proclamarsi per colmo di insipienza e sicumera, per un obnubilamento che vieppiu' ci rende e ci manifesta corresponsabili della guerra e del terrore. * Nei giorni scorsi, che ho trascorso nel digiuno, mi sono chiesto ancora e ancora cosa dovessimo fare - di meglio, piuttosto che di piu', del poco e male fatto -, non ho trovato risposta ancora. O meglio, una sola, ma capisco che non piu' che enunciarla qui posso. Ed e' quella che Alex Langer il buono, persuaso e persuasivo, fece accogliere in sede istituzionale europea molti anni fa, ma tuttora inattuata: l'istituzione e l'azione di corpi civili di pace in grado di effettuare interventi rigorosamente nonviolenti in aree di conflitto bellico dispiegato. Piu' volte e in piu' luoghi si e' iniziata questa pratica - fin qui senza sostegni istituzionali e quindi solo su base e per scelta generosamente coraggiosamente volontaria - da parte di movimenti nonviolenti ed esperienze della societa' civile, e talvolta con esiti assai rimarchevoli nella misura delle forze impiegate, delle risorse disponibili. Nella situazione irachena questo oggi occorrerebbe: una presenza internazionale di interposizione nonviolenta di massa di dimensioni tali da paralizzare i belligeranti. Ed e' cosa alla quale, nella misura che nella concreta contingenza e' all'uopo necessaria (nella massa critica ma anche nella qualita' e potenza ermeneutica e percettiva, visibilita'-veggenza-profezia che il satyagraha richiede), siamo ancora inadeguati per motivi soggettivi e oggettivi, innanzitutto per il tremendo ritardo del movimento per la pace - nel suo complesso considerato, ma anche nelle parti di esso piu' vigili e coscienti, meno chiassose e piu' nitide, meno ambigue e piu' sollecite - nell'accogliere la nonviolenza come scelta decisiva per chiunque voglia impegnarsi per la pace e i diritti umani, per chiunque voglia lottare per il presente e il futuro dell'umanita'. * Ed in assenza della capacita' di adeguatamente praticare hic et nunc questa forma di intervento nonviolento (ma questo non significa rassegnarsi all'inerzia, significa lavorare ancor piu' tenacemente e limpidamente in questa prospettiva), mi pare che per cosi' dire in via subordinata un'altra cosa ci resterebbe ancora da fare, da fare qui, da fare subito, in Italia, oggi. Ma anche questa proposta non sono capace di far piu' che ancora una volta soltanto dichiararla come esigenza ed appello, poiche' vedo bene tutte le difficolta' di metterla in atto. Ed ho piena contezza che essa e' ancora una proposta estrema, ma altre non ne vedo che per dimensione a fronte di cio' che l'ora richiede non siano troppo fuori scala e meschine e pusillanimi, ed almeno che essa venisse promossa, discussa, presa in seria considerazione vorrei. E' lo sciopero generale contro la guerra, contro il terrorismo, contro la tortura. Lo sciopero generale che obblighi chi oggi governa il nostro paese violando la legge - e tutti ci trascina nella barbarie - a tornare al rispetto della legge; lo sciopero generale che imponga il ripristino della legalita' costituzionale, l'obbedienza all'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana che proibisce all'Italia di prender parte all'occupazione militare dell'Iraq. Lo sciopero generale per la fine della partecipazione italiana alla guerra. Lo sciopero generale come insurrezione morale nonviolenta del popolo italiano per richiamare all'umanita' le istituzioni del nostro ordinamento giuridico, per ricondurre all'umanita' la concreta azione politica internazionale italiana. Lo sciopero generale per difendere lo stato di diritto, la democrazia, i diritti umani, la nostra stessa qualita' di esseri umani, la nostra stessa umana dignita': e la vita e i diritti delle sorelle e dei fratelli iracheni e di quanti in Iraq ogni giorno subiscono sevizie e stragi, e quanti sono esposti ad essere brutalizzati e uccisi, e quanti sono esposti a divenire torturatori e assassini e degli assassini e dei torturatori complici. Temo possa apparir del tutto velleitario il dirlo, e quindi ridicolo se la tragedia in corso il ridicolo consentisse, ma il dir altro temo sia nulla, o peggio. Lo sciopero generale occorre: in difesa della vita di tutti gli ostaggi della guerra e del terrore, compresi coloro che guerra e terrore praticano, vittime anch'essi oltre che carnefici; e in difesa della legalita' e della democrazia, della nostra medesima civile convivenza. Perche' oggi gli assassini, i terroristi, e non solo per omissione di soccorso, tragicamente siamo anche noi, il popolo italiano "brava gente", il popolo italiano che una leadership gangsteristica, sprezzante di ogni legge ed ogni morale, ha ridotto a criminale parte belligerante - che gia' vittime ha mietuto, che gia' vittime ha subito - e abominevole pubblico plaudente, asservito nella narcosi ma nondimeno cannibale e compartecipe, di una guerra non solo delittuosa e scellerata come tutte le guerre, ma illegale secondo le stesse legislazioni costitutive e legittimatrici dei soggetti di essa promotori ed esecutori, che sta contribuendo alla catastrofe dell'umanita'. * Ed insieme una piu' profonda azione occorre: di crescita della nonviolenza come alternativa la piu' profonda e la piu' urgente, come proposta di gestione dei conflitti che consenta la fine delle guerre e degli eserciti e delle armi. Quel lavoro di lunga lena cui molte e molti da anni dedicano le migliori energie loro e che oggi in Italia ha trovato un punto di convergenza e di sintesi provvisoria e dinamica nella proposta di Lidia Menapace all'Europa rivolta, proposta sull'impulso della quale molte persone amiche della nonviolenza si ritroveranno il 22 maggio su invito del Movimento Nonviolento (per ulteriori informazioni: www.nonviolenti.org) a un incontro che e' tra le poche cose coerenti, persuase e luminose che le operatrici e gli operatori di pace stanno promuovendo in questi giorni (come lo e' stata, a me e' parso, la marcia contro tutte le uccisioni svoltasi tra Castel Sant'Angelo e piazza S. Pietro il 29 aprile). Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', l'umanita' tutta, l'umanita' altrui, la nostra medesima, l'umanita' di ciascuno. 9. MAESTRE. HANNAH ARENDT: DI TUTTO CIO' CHE TOCCA [Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, p. 272. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Il problema relativamente nuovo che si presenta nella societa' di massa e' forse ancor piu' grave; ma il motivo non e' la presenza delle "masse", bensi' l'essere questa una societa' di consumatori, dove il tempo libero non serve piu' per il perfezionamento di se' o l'acquisizione di un posto migliore nela societa', bensi' per aumentare sempre piu' i consumi e i divertimenti. E poiche' le merci di consumo disponibili non bastano a soddisfare la voracita' crescente di un organismo la cui energia vitale, non piu' spesa nella fatica e sforzo di un corpo che lavora, deve logorarsi nel consumare, si direbbe che la vita stessa si protenda ad afferrare cose non destinate a lei. E' ovvio che il risultato non sia la cultura di massa, la quale a rigor di termini non esiste, ma un entertainment di massa alimentato dagli oggetti della cultura del mondo. Credere che una simile societa' possa farsi piu' "colta" col passare del tempo e grazie all'opera dell'istruzione pubblica, e', a mio avviso, un errore fatale. Una societa' di consumatori non sapra' mai prendersi cura di un mondo e delle cose pertinenti in esclusiva allo spazio delle apparenze terrene, perche' la sua posizione fondamentale verso tutti gli oggetti - il consumo - significa la rovina di tutto cio' che tocca. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1120 del 20 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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