[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1117
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1117
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 17 Nov 2005 00:25:15 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1117 del 17 novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. David Airhart: Allora ho scalato quel muro 2. Cindy Sheehan: Solidale con David Airhart 3. Jen Ross: Giustizia per Linda 4. Nanni Salio: L'insostenibile Tav 5. Enrico Peyretti: Verita' e riconciliazione 6. Domenico Barberio: Goffredo Fofi 7. Maria G. Di Rienzo: Due notizie 8. Nadia Cervoni: Il 17 novembre a Roma 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. DAVID AIRHART: ALLORA HO SCALATO QUEL MURO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente discorso tenuto da David Airhart il 9 novembre 2005 all'Universita' dell'Illinois a Chicago. David Airhart e' un ex marine che ha prestato servizio a Guantanamo, in Iraq ed in Afghanistan; oggi e' iscritto alla Kent State University in Ohio, la stessa in cui il 4 maggio 1970 quattro ragazzi furono uccisi dai soldati mandati dal governo Usa per porre fine alla protesta studentesca; David Airhart, il 19 ottobre scorso, ha protestato contro la presenza di reclutatori militari nell'universita' scalando un muro ed appendendovi uno striscione su cui stava scritto: "Kent State University per la pace"; i reclutatori lo hanno forzato a scendere ed aggredito fisicamente e verbalmente: on sono stati accusati di nulla, mentre David Airhart e' stato multato di 105 dollari dalla locale polizia per "condotta disordinata" e rischia l'espulsione dall'universita'] Prima di tutto vorrei ringraziarvi per il sostegno che ricevo: e' una cosa molto importante per me. Cio' di cui intendo parlare sono alcune cose che accadono nell'esercito, e che sono sconosciute alla maggioranza dell'opinione pubblica americana, principalmente perche' i media non danno queste informazioni. Ho passato quattro mesi a Guantanamo, Cuba, sei mesi in Iraq, e sette mesi in Afganistan, percio' ho una prospettiva abbastanza ampia di cio' che sta succedendo in questa "guerra al terrorismo". Quando mi trovavo a Guantanamo, il lavoro della mia unita' consisteva nel trasbordare i prigionieri che vi giungevano dall'Afghanistan. Li conducevamo con un autobus scolastico a cui erano stati tolti i sedili, e i prigionieri venivano ammassati li' dentro come sardine. Se facevano il minimo movimento, o un respiro troppo profondo, venivamo incoraggiati a prenderli a calci in aree sensibili, come le costole e parti delle gambe. Ci dissero di batterli pesantemente affinche' non si muovessero. Dopo un po' questo divenne una sorta di svago, per i marine, che prendevano a calci i prigionieri per passare il tempo. Fu la' che cominciai a capire che l'esercito non era quella nobile cosa che il nostro governo tenta di descrivere. Sono stato la' quattro mesi, e non c'e' stato un giorno, neppure un giorno festivo, in cui non ci fosse una battitura di prigionieri. Da Guantanamo mi hanno mandato in Iraq. Non ero per nulla preparato a quello che ci aspettava laggiu'. Ero nel primo battaglione, secondo reggimento dei marine, compagnia Charley. Eravamo l'unita' di stanza durante tutta la faccenda di Jessica Lynch a Nasiriyah. Il nostro compito, o cosi' si supponeva, era di combattere contro ribelli e militari iracheni, ma io non ho mai visto nessuno che potessi identificare come un soldato, durante gli scontri. Quello che so, e' che per la maggior parte venivamo uccisi dal nostro sostegno aereo, dal fuoco sparato dai nostri stessi elicotteri. Il 95% dei soldati uccisi nella mia unita' sono morti di "fuoco amico", e quasi il 100% dei "nemici uccisi" che io ho visto erano civili, donne, bambini, persone che non avevano nulla a che fare con i combattimenti. Erano solo presenze innocenti. Una cosa terribile accadde dopo Nasiriyah. Dovevamo costruire una sorta di perimetro attorno alla citta', ma ci mancavano i sacchi di sabbia. Non ne avevamo abbastanza per proteggere i buchi dalle armi leggere. Sulla strada c'era un camion scoperto che trasportava sacchi di farina, fatti della stessa tela di canapa che andava bene per la sabbia. Cosi' ci ordinarono di aprire il fuoco contro il veicolo, contro l'uomo che lo guidava, un lavoratore e basta. Un bel po' di miei commilitoni obbedirono e l'uomo fu ucciso. E quelli come me, che non avevano sparato, ebbero l'ordine di rimuovere il corpo e di buttarlo in una fossa a lato della strada, e di coprirlo con un po' di terra e sporcizia. Dopo di che io non ero piu' un marine, o se lo ero, ero un marine contro la guerra. Dopo di che, la maggior parte del nostro tempo la passavamo ai check point, per controllare i mezzi sulle strade. Li si ferma a caso e si fruga l'automobile in cerca di armi. La situazione era sempre molto confusa, e spesso i guidatori non capivano cosa stavamo dicendo quando gli chiedevamo di fermarsi. La consegna era di aprire il fuoco, se le auto non si fermavano. Questo accadeva tutti i giorni. E mai, mai in nessuna delle occasione c'erano armi o altre cose pericolose nelle automobili. Erano famiglie, di solito, madri e padri e bambini. E venivano uccisi, ogni giorno. Ed eravamo noi ad ucciderli. Questo divento' abbastanza difficile da sopportare. Qualcuno dei miei commilitoni ci provava anche, a sostenere che si possa uccidere una bambina per una buona causa, ma tutti sapevamo che non era vero. Dopo l'Iraq pensavo: "ecco, sono un uomo finito, tutto quello che posso fare e' essere un idiota nei marine fino al congedo". Ma purtroppo mi mandarono in Afghanistan. I miei ultimi sette mesi di servizio li passai la', a far la guardia ai prigionieri o a sorvegliare le operazioni di sminamento: la terra afgana e' piu' zeppa di mine antiuomo che qualsiasi altro paese al mondo. Dopo di che, uscii dall'esercito, dopo quattro anni miserabili. * Mi sono iscritto alla Kent State University, ed una delle ragioni piu' importanti per cui l'ho fatto e' che aveva una lunga storia come scuola contraria alla guerra. Ho pensato che avevo bisogno di stare dove c'era opposizione all'esercito. Ho incontrato Pat Gallagher dell'associazione degli studenti, e gli ho raccontato dell'Iraq. Egli mi disse di venire agli incontri degli studenti, perche' li' c'erano persone che avrebbero avuto piacere di ascoltarmi. Cosi' ci andai, e cominciai a sentirmi meglio, perche' c'era un movimento contro la guerra. Prima sembrava che chiunque incontrassi fosse a favore della guerra: mi ringraziavano per esserci andato, e cosi' via. Recentemente, circa una settimana e mezza fa, l'esercito e' venuto alla Kent State University, ed io mi sono sentito come se fossero venuti a pervertirla, perche' la loro intenzione era di portar via della gente da li' e di mandarla in Iraq, ad uccidere e a morire per ragioni che non hanno senso. Quando l'amministrazione universitaria ha permesso all'esercito di entrare nel campus io mi sono sentito travolto dal disgusto e dalla rabbia, perche' si permetteva che l'universita' fosse usata come magazzino di corpi freschi da mandare in Iraq. Allora ho scalato quel muro, e ci ho messo lo striscione per la pace. Immediatamente i reclutatori sono saliti a tirarmi giu'. Forse si trattava della campagna "Giu' le mani da David". Ma adesso sono nei guai con l'universita', e potrei essere espulso. Temo che l'amministrazione universitaria non abbia capito per nulla di che si tratta, di cosa significa, di cosa sta succedendo in Iraq. Ho paura che per loro sia solo una cosa che vedono in televisione. Ma voi lo sapete, lo sapete che non e' cosi'. Spero capiranno che i reclutatori sono un danno per gli studenti, ma comunque io continuero' a fare tutto quello che posso affinche' l'esercito se ne vada dal nostro campus. Grazie ancora per il vostro sostegno. 2. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: SOLIDALE CON DAVID AIRHART [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio. Intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra] Sostengo in pieno lo sforzo di David Airhart nel tentare di esercitare i suoi diritti, previsti dal Primo Emendamento sulla liberta' di parola, alla Kent State University. I reclutatori militari stavano usando immoralmente e in modo fraudolento divertimento e giochi al fine di reclutare gli studenti del college. Mio figlio, Casey Austin Sheehan, fu reclutato in questo modo, ed il reclutatore gli promise il sole e la luna per arruolarlo, e il solo risultato che mio figlio ha avuto e' stata una tomba precoce. Non solo il signor Airhart non dovrebbe essere multato, sospeso o espulso per il suo gesto, ma l'amministrazione universitaria dovrebbe conferirgli un riconoscimento. In pace e amore, Cindy Sheehan 3. MONDO. JEN ROSS: GIUSTIZIA PER LINDA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nela sua traduzione il seguente intervento. Jen Ross, giornalista indipendente, corrispondente per "We News", vive in Cile] Caracas, Venezuela. Avvolta in una maglietta bianca, con il viso coperto di lentiggini, la ragazza fa frequenti pause mentre mi racconta la sua storia. Ha 21 anni, e quattro anni orsono e' stata rapita e torturata. "Mi ha violata in ogni modo possibile", dice Linda Loaiza Lopez con voce soffice. Il suo labbro inferiore pende, mentre parla, rivelando i ferri di cui ha bisogno per tenere insieme i denti: la sua mascella e' stata ricostruita tramite diversi interventi chirurgici. "Sono stata brutalmente stuprata e selvaggiamente battuta. Per questo ora il mio corpo e' deformato, come vedi". Linda aveva 18 anni all'epoca, ed era appena arrivata a Caracas da Merida, una cittadina dell'interno. Aveva appena terminato i corsi preuniversitari come assistente veterinaria, e si trovava in citta' per iscriversi all'universita'. Era pieno giorno, in una strada abbastanza frequentata. Un uomo sconosciuto le si avvicino' e la spinse all'interno di un'auto parcheggiata. La porto' in una casa in campagna, dove la tenne prigioniera due mesi, violandola e picchiandola tanto che la polizia venne ad investigare a causa delle lamentele dei vicini, che sentivano di continuo grida e rumori. Allora l'uomo la trasferi' a Caracas, dove continuo' ad aggredirla. Dopo quattro mesi di incubo, il rapitore lascio' un giorno la casa senza legare Linda, che cerco' aiuto e fu soccorsa. Era denutrita, le sue orecchie erano state completamente distrutte, un capezzolo tagliato. Cicatrici e scottature da sigaretta le coprivano il corpo. "Sono stata operata nove volte: una all'occhio destro per cataratta traumatica, tre volte per la frattura della mascella, due per la ricostruzione dell'addome, e quattro per la ricostruzione delle labbra". L'uomo che ha fatto tutto questo e' libero: il giudice lo ha rilasciato per insufficienza di prove. Il ricorso in appello di Linda e' prossimo al dibattimento. L'uomo in questione e' Luis Carrera Almoina, figlio di Gustavo Carrera Damas, un influente politico che era rettore di una delle maggiori universita' di Caracas al tempo del primo processo, nel 2004. Costui ha forti legami sia con i precedenti governi di destra, sia con quello attuale di sinistra. Dopo essere stato catturato e posto agli arresti domiciliari nell'agosto 2001, l'aggressore di Linda ha tentato di fuggire con l'aiuto del padre. Quest'ultimo e' stato poi accusato di ostruzione all'azione giudiziaria. Luis Carrera Almoina, tra l'altro, era gia' stato arrestato per aver torturato la sua ex compagna, nel 1999. Il primo processo fu rinviato dal sistema giudiziario 29 volte. Cinquantanove giudici hanno rifiutato di trattarlo. Nell'agosto 2004, circa tre anni dopo che gli avvocati di Linda Loaiza Lopez lo avevano accusato di tentato omicidio, stupro, rapimento e tortura, il caso stava per raggiungere i limiti della prescrizione, dopo di che le accuse avrebbero dovuto essere lasciate cadere. Per evitare questo, Linda comincio' uno sciopero della fame davanti alla sede della Corte suprema. Dopo 13 giorni, il processo finalmente inizio' il 22 ottobre 2004, e si concluse con l'insufficienza di prove. Linda e' convinta che i forti legami politici del padre del suo aggressore abbiano falsato il processo. Marta Chacon e' la direttrice generale dellí Instituto nacional de la mujer (Istituto nazionale delle donne) a Caracas, un ufficio del governo semiautonomo, con status ministeriale. "Il caso di Linda e' stato manipolato, dice Marta Chacon, E' stato usato a tutti i livelli, dall'opposizione e dal governo. Entrambi hanno giocato la loro partita, e Linda e' stata vittima anche di questo. Si e' sentita usata dai politici a tal punto che non ha fiducia neppure nel mio gruppo, per essere sostenuta al processo". Marta aggiunge che il presidente Chavez dovrebbe prendere un fermo impegno per cominciare a sradicare la violenza contro le donne, e aggiunge che il Venezuela ha bisogno di un nuovo codice penale, e di una revisione della legge contro la violenza domestica. "Piu' di tutto, e' essenziale suscitare consapevolezza attorno ai diritti delle donne, fra gli ufficiali di polizia e i giudici, maschi e femmine. Spesso le giudici sono le piu' dure con le vittime di sesso femminile". La giudice che ha assolto Luis Carrera Almoina ha poi infatti aperto un'indagine su Linda per sospetta prostituzione. La difesa di Luis Carrera Almoina aveva suggerito che Linda fosse una prostituta, e che si fosse procurata le ferite dai suoi precedenti clienti. Questi avvocati tentarono anche di appellarsi ad una clausola del codice penale venezuelano che riduce le pene per i crimini commessi contro prostitute: in questo modo, il loro assistito avrebbe avuto al massimo un quinto della pena. Le accuse di prostituzione, che in tribunale sono miseramente cadute, hanno indignato i gruppi locali di femministe. Guadalupe Rodriguez, del Coordinamento Simon Bolivar, che lavora nei sobborghi impoveriti di Caracas, dice che la legge che riduce le sentenze a chi commette crimini contro prostitute rivela un'implicita accettazione della violenza contro le donne: "E' un esempio preciso del ruolo delle donne in questa societa'. Nota che la giudice ha sostenuto che Linda avesse provocato il suo aggressore. Allora abbiamo detto: E anche se fosse stato cosi'? Lui non aveva comunque il diritto di farle cio' che le ha fatto". L'International Planned Parenthood Federation di New York ha condotto una campagna internazionale per suscitare consapevolezza attorno al caso di Linda. Piu' di 40.000 persone hanno inviato lettere alle autorita' venezuelane, chiedendo giustizia. E' tutto quello che Linda vuole: "Non smettero' mai di lottare per i miei diritti. Io non sto cercando vendetta, voglio giustizia. E cio' va al di la' della mia persona: sto lottando per i diritti di tutte le donne". * Per maggiori informazioni: - International Planned Parenthood Federation: Justice for Linda: www.freechoicesaveslives.org/campaign/Linda - Mujeres En Accion - Asociacion de mujeres hispanas contra la discriminacion y la violencia de genero: www.mujeresenaccion.com 4. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: L'INSOSTENIBILE TAV [Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: info at cssr-pas.org) per averci messo a disposizione come anticipazione questo articolo che comparira' sul prossimo fascicolo di "Azione nonviolenta" (per contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). Giovanni (Nanni) Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore nella facolta' di Fisica dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della cultura nonviolenta in Italia; e' il fondatore e presidente del Centro studi "Domenico Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed emeroteca specializzate su pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824 - 011549005, fax: 0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, sito: www.cssr-pas.org). Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione riveduta, Perugia 1983; Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago, Scienza e guerra: i fisici contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Ipri (introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la pace, vol. I. Le ragioni e il futuro, vol. II. Gli attori principali, vol. III. Una prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991; con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G. Martignetti, S. Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001] Da quindici anni il Gruppo valsusino di azione nonviolenta (in sigla: Gvan) e' al centro, insieme a una molteplicita' di altri gruppi, della lotta che vede la popolazione locale opporsi al megaprogetto del treno ad alta velocita' (Tav) che dovrebbe collegare Torino a Lione con un percorso che prevede oltre cento chilometri di gallerie, di cui la piu' lunga (53 km) sotto il massiccio dell'Ambin. Dai tempi di Achille Croce, primo obiettore di coscienza all'industria bellica (presso le Officine Moncenisio: si veda Achille Croce, I mezzi della pace, Editoria Universitaria, Venezia 2004), e dalla seconda meta' degli anni '60, con le lotte per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza condotte insieme al Mir-Movimento Nonviolento piemontese, il Gvan e' attivo, anche con il suo mensile "Dialogo in valle" (di cui un attivo animatore nonche' fondatore fu don Giuseppe Viglongo), nel promuovere una cultura della nonviolenza. Nel corso di questa lunga lotta contro il progetto Tav, grazie a una diffusa adesione tra la popolazione all'impostazione nonviolenta, essi hanno saputo gestire anche momenti particolarmente difficili, come quelli degli ultimi mesi, in modo coerentemente nonviolento, con fantasia, creativita', fermezza, determinazione, e sono riusciti a impedire derive verso manifestazioni violente, provocazioni poliziesche e nuove tragedie (come la vicenda conclusasi con la tragica morte nel 1988 di due giovani anarchici, Sole e Baleno, sulla cui complessa vicenda si veda Tobia Imperato, Le scarpe dei suicidi, www.inventati.org/fenix) ampliando l'area di sostegno e di solidarieta' sino a coinvolgere sindaci, comunita' montane, parroci, associazioni, popolazione locale, sindacati di base, tecnici e scienziati. Ma solo negli ultimi mesi i media hanno cominciato a occuparsene su scala nazionale, fornendo spesso un'informazione parziale e distorta, descrivendo questa lotta come un tipico esempio di localismo da sindrome Nimby ("not in my backyard", non nel mio cortile), quando semmai si dovrebbe dire: "non nel mio cortile, ma neppure nel tuo". Vediamo perche', esaminando sommariamente quattro principali questioni e rimandando ad altre fonti per ulteriori approfondimenti (www.notav.it). * 1. Prima si propongono le soluzioni e poi si inventano i problemi. In altre parole, prima si e' stabilito che si dovevano fare un insieme di linee ad alta velocita', per scoprire poi che non erano necessarie e allora si sono inventati dei problemi. Questo vale in generale, in Italia, per molte cosiddette "grandi opere". Ma per restare al caso della Val Susa, si e' scoperto che il Tav non era necessario per la semplice ragione che non c'e' un flusso di passeggeri sufficiente per far tornare i conti. Allora si e' modificato il progetto e il Tav diventato Tac (treno ad alta capacita'), che dovrebbe permettere contemporaneamente il passaggio di treni merci e di treni passeggeri. Ma come e' facile dimostrare sul piano tecnico, treni merci e treni passeggeri sono incompatibili. Anche l'intero tracciato, i porti di accesso per il carico e scarico merci (Tir o solo container) che dovrebbero viaggiare su rotaia sono tuttora indefiniti e problematici. Un progetto fatto e rifatto piu' volte, che si rivela essere un vero pasticcio, di cui nessuno sa con esattezza i particolari. 2. Non sostenibilita' economica. Forse il punto piu' cruciale, e meno conosciuto, e' proprio questo. Il sistema dei trasporti italiano ha caratteristiche tali per cui l'alta velocita' non e', in generale, funzionale al tipo di domanda, che per l'80% richiede spostamenti su brevi e medi percorsi e non su lunghi percorsi. Il flusso di passeggeri su lunghe tratte non e' quindi tale, tranne in pochi casi, da garantire almeno il pareggio economico. Tant'e' che nessun operatore economico privato e' disposto a investire neppure un euro nel progetto Tav/Tac della Val di Susa. Garantisce lo stato, con investimenti e indebitamenti che peseranno sulle generazioni future, senza nessun beneficio se non per le grandi ditte che gestiranno per 15-20 anni un flusso enorme di denaro, stimato all'inizio in 15-20 miliardi di euro, ma molto probabilmente destinato a raddoppiare, se non triplicare: una massa enorme di denaro che contribuira' inevitabilmente ad accrescere la "corruzione ad alta velocita'" e gli appetiti delle cosche mafiose. La principale esigenza del sistema ferroviario e' in realta' quella dell'affidabilita', che consiste in quattro principali caratteristiche: alta frequenza del servizio, puntualita', continuita' su tutto l'arco delle 24 ore (non solo di giorno), struttura reticolare capillare. 3. Non sostenibilita' ambientale. Oltre ai pericoli gia' noti da studi precedenti dovuti alla massiccia presenza di minerali amiantiferi e uraniferi, si pone il problema tutt'altro che secondario dell'enorme quantita' di detriti, degli accessi secondari, del tratto di accesso in un'area gia' altamente congestionata. A tutto cio' si somma il fatto che dal punto di vista energetico e delle emissioni climalteranti, questo progetto si presenta come difficilmente sostenibile. Nessuno ha fatto valutazioni sul ritorno energetico: dopo quanto tempo l'energia risparmiata dal trasporto su ferro sara' tale da ripagare quella impiegata per realizzare l'intera opera? Ma in realta', la questione e' ancora piu' ampia. Le previsioni di una crescita futura del traffico merci sono infondate e si basano sull'ipotesi assolutamente non realistica di una disponibilita' futura di energia fossile, che invece gia' oggi sta entrando decisamente nelle fase problematica del raggiungimento del picco di produzione globale (sia del petrolio, sia del gas). In natura non esistono variabili indipendenti e neppure la crescita quantitativa illimitata del trasporto merci, e dei passeggeri, puo' essere considerata tale. Occorre invece invertire la tendenza e ridurre la circolazione delle merci a monte. 4. Le alternative. Si possono individuare alternative a breve e medio termine, compatibili con le esigenze di salvaguardia ambientale e maggiormente sostenibili economicamente. A breve termine, il potenziamento e adeguamento dell'attuale ferrovia e' la soluzione piu' ragionevole e praticabile. Nel medio periodo si deve razionalizzare il sistema di trasporto ferroviario e autostradale riducendo il transito di merci inutili, modificando il sistema produttivo e di distribuzione orientandoci a uno sviluppo locale che richieda minori percorsi di circolazione delle merci, con una drastica riduzione dei costi energetici e ambientali. Questa, che ad alcuni puo' sembrare una strada difficile da percorrere, diventera' una scelta obbligata, man mano che sara' meno disponibile il petrolio abbondante e a basso costo. Gia' oggi ne vediamo le prime avvisaglie e dobbiamo attrezzarci prima che sia troppo tardi. Nel lungo periodo, queste scelte possono portare a riequilibrare un sistema abnorme e squilibrato, creando i presupposti di un modello di economia non piu' basato sulla crescita quantitativa illimitata. La strada e' lunga, ma ci riguarda tutti, e occorre agire tempestivamente, prima che le avvisaglie del possibile collasso si traducano in drammatica realta' su scala globale (cfr. Jared Diamond, Collasso, Einaudi, Torino 2005; James Howard Kunstler, Collasso, Nuovi Mondi Media, San Lazzaro di Savena, Bologna, 2005). 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: VERITA' E RICONCILIAZIONE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Riconciliazione in Iraq, raccomandano i maggiorenti del mondo. Certamente: rotta la pace, con la violenza militare o economica o giuridica, occorre sempre la riconciliazione, che e' l'aria vitale per ogni societa' umana. La vittoria di una parte non riconcilia, non stabilisce la pace, lascia germi di rivincita. Ma riconciliazione come? La grande lezione sudafricana della Truth and Reconciliation Commission (Trc), nonostante le difficolta' e i limiti della realizzazione, e' il modello valido, nei nostri anni, grazie al genio morale e politico di Nelson Mandela e Desmond Tutu. A differenza dei tentativi sudamericani e altri, basati sull'oblio o su mezze verita', la forza umana e storica dell'esperienza sudafricana e' la verita', nel rapporto umano faccia a faccia e nel rapporto politico: non viene punito ma amnistiato chi ammette tutta la verita' sui crimini che ha commesso. Ora, nell'Iraq insanguinato ogni giorno dalla guerra terroristica interna, figlia della guerra terroristica imperiale, occorre tutta la verita' per raggiungere una sufficiente riconciliazione interna. La verita' e' tanto la tirannia violenta di Saddam quanto l'aggressione con motivi scientemente falsi, costruiti con la calcolata menzogna di stato del governo Usa e degli alleati, esercitata con le armi proibite di cui si accusava l'Iraq, e con i metodi proibiti caratteristici delle peggiori dittature. Senza il riconoscimento di questa duplice verita', non basteranno le volonta' piu' forti: non sara' possibile una riconciliazione. La verita' negata o nascosta preme irresistibilmente sulla storia successiva. Negare la verita' e' violenza, e seme di altre violenze. L'Iraq ha bisogno vitale di riconciliazione. L'avra' quando gli Usa, gli alleati, la comunita' internazionale, gli amici iracheni degli Stati Uniti, riconosceranno il crimine della guerra preventiva e bugiarda. La condanna morale e la confessione possono, in un processo di riconciliazione, sostituire ogni condanna penale. L'Iraq avra' riconciliazione quando i sostenitori di Saddam riconosceranno i crimini del dittatore, ripudieranno il terrorismo e accetteranno la regola democratica. Ognuna delle due parti puo' sollecitare l'altra alla verita' che riconcilia, se guadagna il merito di riconoscere per prima la verita' scomoda per se stessa. La vera prevenzione e' la verita' costosa. Frutto della verita' e' la riconciliazione. Senza verita' non c'e' riconciliazione: questa non e' una pretesa diplomatica, ma e' la legge dei rapporti umani, nel piccolo e nel grande. Dove sono Mandela e Tutu in questa tragedia irachena? Nel mondo ci sono. Che parlino e propongano le vie per riconciliare i popoli lacerati dell'Iraq. 6. PROFILI. DOMENICO BARBERIO: GOFFREDO FOFI [Ringraziamo Domenico Barberio (per contatti: ciaramella76 at hotmail.com) per averci messo a dispsoizione questo suo profilo di Goffredo Fofi. Domenico Barberio e' impegnato nell'esperienza del gruppo "Gubbio per la pace" promotore di molte iniziative di pace, solidarieta' e nonviolenza, e collabora alla rivista "L'altrapagina". Goffredo Fofi, nato a Gubbio nel 1937, ha lavorato in campo pedagogico e sociale collaborando a rilevanti esperienze. Si e' occupato anche di critica letteraria e cinematografica. Tra le sue intraprese anche riviste come "Linea d'ombra", "La terra vista dalla luna" e "Lo straniero". Per sua iniziativa o ispirazione le Edizioni Linea d'ombra, la collana Piccola Biblioteca Morale delle Edizioni e/o, L'ancora del Mediterraneo, hanno rimesso in circolazione testi fondamentali della riflessione morale e della ricerca e testimonianza nonviolenta purtroppo sepolti dall'editoria - diciamo cosi' - maggiore. Opere di Goffredo Fofi: tra i molti suoi volumi segnaliamo particolarmente almeno L'immigrazione meridionale a Torino (1964), e Pasqua di maggio (1989). Tra le pubblicazioni degli ultimi decenni segnaliamo ad esempio: con Tony Thomas, Marlon Brando, Gremese, 1982; con Franca Faldini, Toto', Pironti, Napoli 1987; Pasqua di maggio. Un diario pessimista, Marietti, Casale Monferrato 1988; con P. Polito, L'utopia concreta di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1988; Prima il pane, e/o, Roma 1990; Storie di treno, L'Obliquo, 1990; Benche' giovani. Crescere alla fine del secolo, e/o, Roma 1993; Strana gente. 1960: un diario tra Sud e Nord, Donzelli, Roma 1993; La vera storia di Peter Pan e altre storie per film (1968-1977), e/o, Roma 1994; Piu' stelle che in cielo. Il libro degli attori e delle attrici, e/o, Roma 1995; Come in uno specchio. I grandi registi del cinema, Donzelli, Roma 1995; Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani, Donzelli, Roma 1996; con Gad Lerner e Michele Serra, Maledetti giornalisti, e/o, Roma 1997; Sotto l'Ulivo. Politica e cultura negli anni '90, Minimum Fax, 1998; Un secolo con Toto', Dante & Descartes, Napoli 1998; Le nozze coi fichi secchi, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 1999; con Gianni Volpi, Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Lindau, 1999; con Stefano Benni, Leggere, scrivere, disobbedire. Conversazione, Minimum Fax, 1999; con Franca Faldini, Toto'. L'uomo e la maschera, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2000; con Stefano Cardone, Intoccabili, Silvana, 2003; Paolo Benvenuti, Falsopiano, 2003; con Ferruccio Giromini, Santosuosso, Cooper e Castelvecchi, 2003; Alberto Sordi, Mondadori, Milano 2004; con Giovanni Da Campo e Claudio G. Fava., Simenon, l'uomo nudo, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2004; con Franca Faldini, Toto'. Storia di un buffone serissimo, Mondadori, Milano 2004; Circo equestre za-bum. Dizionario di stranezze, Cargo, 2005. Opere su Goffredo Fofi: non conosciamo volumi a lui dedicati, ma si veda almeno il ritratto che ne ha fatto Grazia Cherchi, ora alle pp. 252-255 di Eadem, Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrinelli)] Goffredo Fofi nasce nel 1936 a Gubbio, precisamente a Pontedassi, una delle tante piccole frazioni sparse nella vallata che si apre ai piedi dei cinque colli, e qui rimarra' fino a vent'anni, quando, colpito dalla lettura del Cristo si e' fermato a Eboli di Carlo Levi, e incuriosito dalle notizie di una persona, Danilo Dolci, che lavorava in quegli anni in Sicilia a dar man forte agli umiliati e offesi di quella terra, decide di partire, di lasciare l'Umbria. Si diploma come maestro a Roma e compie cosi' una migrazione al contrario: non dal sud, dal mezzogiorno che si stava via via spopolando, verso il nord, ma dal nord verso il sud, per lavorare nelle baracche e nella miseria di Cortile Cascino, a Palermo, accanto a Danilo Dolci, anche lui arrivato anni prima nel sud povero e contadino dopo l'esperienza di Nomadelfia con don Zeno Saltini. Da qui per Fofi comincia un percorso umano, un'avventura intellettuale che lo portera', fra l'altro, ad ospitare nel '64 a Torino in una buia e umida soffitta centinaia e centinaia di meridionali arrivati per lavorare; a discutere nel '68 con Elsa Morante dei grandi temi legati a quel movimento che sembrava tutto potesse mutare; ad organizzare nel '72 a Napoli la mensa dei bambini proletari; a fondare negli anni Ottanta in giro per l'Italia nuove e sempre piu' indispensabili riviste. Racchiudere vita, azioni, scritti, polemiche di Goffredo Fofi nelle righe di un articolo di giornale e' operazione impossibile: tante, troppe cose da raccontare. E' piu' utile allora ripercorrere sommariamente la sua storia per conoscere e apprezzarne l'impegno intellettuale e l'impegno militante (o da "persuaso", secondo la definizione di Aldo Capitini, uno dei suoi maestri), per capire come l'indissolubile binomio cultura-prassi caratterizzi la sua esistenza, condotta "ai margini", perche' la verita' sta ai margini, lontano dai compromessi del potere e delle istituzioni: perche' - dice Fofi - "al margine ci sono i marginali, la follia, il dolore, l'isolamento, ci sono cose delle quali sono costretto a tenere conto, ma con le quali cerco di non identificarmi troppo perche', avendo fatto lavoro sociale in quegli ambienti, so che poi ti succhiano e ti trascinano con se'". Compiere una veloce ricognizione nella vita di Fofi certo non significa naturalmente scadere nell'agiografia o esaltarsi per le scelte radicali di un intellettuale-contro che ha spesso saputo rimettere in discussione le sue stesse scelte. * In Sicilia conosce la poverta' atavica di quella terra, la violenza e la sopraffazione mafiosa e dello stato, ma non la rassegnazione. Resta caparbiamente nella baraccopoli di Cortile Cascino, a compiere con i disoccupati gli scioperi alla rovescia, geniale forma di protesta inventata dieci anni prima da socialisti e comunisti nella Sila in epiche lotte per la terra e per la dignita', oggi dimenticate. Dal '56 sara' un continuo peregrinare per l'Italia attento alle continue trasformazioni sociali, sensibile alle piu' originali tendenze culturali, con qualche puntata in Francia dove la sua famiglia emigrera' e dove entrera' in contatto con la rivista di critica cinematografica "Positif" diventandone prezioso collaboratore. Dopo l'esperienza siciliana accanto ai bambini di Cortile Cascino, ai pescatori di Trappeto, ai contadini di Partinico, il ritorno a Roma per specializzarsi come operatore sociale, incrociando uomini come Carlo Levi, Ferruccio Parri o Manlio Rossi-Doria. Sono anni di formazione, di transizione, di crescita quelli romani accanto al gruppo che con lui condivideva l'esperienza cominciata da Dolci. Raccontera' nel libro autobiografico Strana gente: un diario tra sud e nord ( ma tutti i libri di Fofi sono in parte autobiografici, miscugli irrequieti tra vita, pensieri e azioni) del viaggio in Calabria e dell'idea di trasferirsi nella zona di Vibo Valentia per una nuova esperienza ai margini con gli emarginati. Dopo Roma la decisione di trasferirsi a Torino, la Torino operaia e intellettuale, per seguire Raniero Panzieri e inserirsi nel gruppo dei "Quaderni rossi"; un gruppo che in seguito si dividera' tra il gruppo dei "sociologi" di cui fa parte Fofi, che si colleghera' piu' tardi ai "Quaderni piacentini", e il gruppo dei "politici", da cui nascera' la rivista "Classe operaia"). Nel '64 scrive il suo primo libro, l'inchiesta su L'immigrazione meridionale a Torino, che rivela la generale condizione di sfruttamento operaio e l'estrema situazione di difficolta' per i meridionali presenti nel capoluogo piemontese, criticando con durezza la Fiat: l'Einaudi non lo pubblichera' (la vicenda dara' luogo ad un aspro conflitto nella redazione della casa editrice torinese), lo pubblichera' poi Feltrinelli. A Torino si avvicina alla famiglia Gobetti, apprezzera' le doti di Ada e di Paolo, moglie e figlio di Piero. Su "Il nuovo spettatore cinematografico" diretto da Paolo Gobetti comincia a scrivere di cinema approfondendo conoscenze ed alimentando passioni che ne fanno oggi uno dei maggiori critici cinematografici. Ma non e' solo sul cinema che si riversa il suo dovere attivo di conoscenza: il teatro, la letteratura, la pittura, le diverse forme di espressione artistica meritano per Fofi di essere puntualmente vagliate, vissute, interpretate all'interno di una societa' di cui devono essere manifestazione e coscienza. La critica di Fofi e' una critica militante, fatta da profondo e attento conoscitore della materia, da cittadino deluso e insoddisfatto, animato da una severa coscienza civile, che non vaneggia in dotte, incontentabili e autoreferenziali critiche fini a se stesse. Fa il sessantotto passando da un treno all'altro, da un'assemblea all'altra, per capire, spiegare il bisogno studentesco di cambiamento e il nuovo protagonismo operaio: "il sessantotto - dice Fofi - e' durato molto poco, aveva mostrato la difficolta' di poter crescere perpetuandosi come movimento spontaneo... la strada scelta e' stata quella delle organizzazioni politiche con il ritorno al piu' consolidato dei modelli contro i quali inizialmente ci si era levati, il modello leninista di partito". Gli anni settanta sono anni convulsi, veloci. Il suo bisogno di mettersi ancora in gioco senza attardarsi su posizioni ormai superate, la sua inesauribile voglia di fare, lo spingono nella testarda ricerca di nuove realta' in cui operare, organizzare, sopravvivere attivamente. Dopo i "Quaderni piacentini", uno dei piu' importanti laboratori culturali esistenti in Italia, e dopo l'esperienza di lavoro e vita a Milano, ritorna nel sud. Siamo nel '72, nella periferia della Napoli mortificata dal malaffare del governo democristiano, colpita da una criminalita' ormai dilagante. Nasce la Mensa dei bambini proletari nel quartiere di Montesanto, un'esperienza che unisce alla mensa vera e propria altre attivita': dall'organizzazione dei disoccupati e sottoccupati al lavoro con le donne del quartiere, dall'intervento intensissimo nei mesi del colera, all'intervento sui problemi della scuola con convegni, gruppi di studio, proteste, seminari. * Fofi non si ferma, attraversa gli anni Settanta e Ottanta nella convinzione che all'apatia di maggioranze addomesticate e rimbecillite dalla televisione deve contrapporsi una minoranza vigile e attiva pronta a cogliere le ambiguita', i limiti, le miserie di una societa' da cambiare. In questa direzione nascono nuove riviste quali "Linea d'ombra" e "La terra vista dalla luna", continuando, ormai dagli anni '60, a scrivere libri, introduzioni, postfazioni, articoli, saggi, recensioni. Collabora con quotidiani e settimanali, continua nella sua azione sociale con la collaborazione con il Cnca (Coordinamento nazionale delle comunita' di accoglienza), si arrabbia, e' deluso, ma ci crede. Crede ad esempio nella positivita' di giovani case editrici italiane diventandone il mentore, crede nella bonta' di nuovi scrittori, registi, autori teatrali, ripropone quelli colpevolmente dimenticati (Vonnegut, Serge, London, Ortese, Herling...). "Lo straniero" (www.lostraniero.net) e' la rivista, piccola e solitaria isola nell'inquinato mare magnum dell'editoria italiana, che attualmente dirige questo lucido pensatore e inesauribile attivista. 7. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: DUE NOTIZIE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per queste notizie. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Il Forum internazionale arabo delle donne (Arab International Women's Forum) ha diffuso un rapporto, nello scorso settembre, in cui si chiede ai governi dei paesi arabi di prendere misure concrete per rimuovere gli ostacoli alla partecipazione delle donne alla sfera economica. Il rapporto si intitola "Le donne come motori dello sviluppo economico del mondo arabo", e raccomanda quale prima misura l'eguaglianza di donne ed uomini di fronte alla legge. "Il mondo arabo sta affrontando molte sfide", ha detto la presidente del Forum, Haifa al-Kaylani, "Il futuro della regione deve essere costruito facendo un uso migliore di tutte le risorse umane, invece di escludere a priori delle persone perche' sono donne". Il Forum ritiene che l'istruzione sia la chiave dell'intero processo di rinnovamento e chiede per le bambine, le giovani, e le donne in genere, piu' scuole, l'accesso all'informatica, borse di studio universitarie. Il rapporto chiede anche che i testi scolastici in arabo vengano corretti, di modo da non rinforzare stereotipi sui ruoli maschili e femminili: al proposito cita il lavoro fatto dal progetto per l'istruzione delle donne ("Wadi Seer") in Giordania, dove i testi sono stati riscritti presentando donne in tutta una serie di professioni anziche' solo come casalinghe o in ruoli passivi. Il Forum ritiene poi che gli uomini del mondo arabo potrebbero cominciare a prendere piu' parte nella cura e nella crescita dei bambini, e a tale scopo suggerisce il congedo parentale per i padri. L'ex ministra britannica per il Medio Oriente, Elizabeth Symons, che ha partecipato come ospite all'incontro di settembre del Forum, ha dichiarato che la comunita' internazionale ha ormai perso abbastanza tempo a discutere dello sviluppo, e che e' ora di agire. Symons sostiene che programmi concreti sono necessari subito, a livello della gente comune. Il Forum ha sottolineato infatti che le donne rurali e le donne che hanno basso reddito nel mondo arabo sono quelle che piu' necessitano di assistenza ed iniziative, soprattutto nelle aree agricole, dove e' alta la diffusione di poverta' ed analfabetismo. (Fonte: "Women as Engines of Economic Growth in the Arab World": www.aiwfonline.co.uk) * L'8 novembre 2005 si e' tenuta a Rabat, in Marocco, una conferenza sulle pratiche tradizionali/culturali dannose a donne e bambine, sotto l'egida dell'Onu. Vi hanno partecipato oltre 50 capi e rappresentanti di governi e circa 20 ong. La conferenza ha diffuso, al suo termine, una dichiarazione congiunta che chiede di porre fine a pratiche erroneamente associate all'Islam. Tali pratiche includono le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni di bambine e la discriminazione di genere nell'istruzione. I partecipanti si sono anche trovati d'accordo sulla necessita' di intervenire per ridurre gli alti tassi di mortalita' materna ed infantile in vari paesi islamici. La dichiarazione impegna i governi partecipanti a prendere misure e chiede alle istituzioni finanziarie ed al settore privato di cooperare al fine di ottenere cambiamenti significativi. (Fonte: "We News") 8. INCONTRI. NADIA CERVONI: IL 17 NOVEMBRE A ROMA [Ringraziamo Nadia Cervoni (per contatti: giraffan at tiscali.it) per averci trasmesso il seguente invito. Nadia Cervoni e' impegnata nelle Donne in nero ed in numerose iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza; dal 2002 e' impegnata particolarmente sulla questione kurda/turca. Opere di Nadia Cervoni: con Liana Bonelli, Teresa Quattrociocchi, Micaela Serino (a cura di), Con la forza della nonviolenza. Voci di donne curde e turche, Promograph, Roma 2002] Giovedi' 17 novembre, dalle ore 17 alle ore 19,30, presso la sede romana del Parlamento Europeo, via IV Novembre 149, nella sala delle bandiere, si svolgera' l'incontro sul tema "La marcia della Turchia: la questione curda entra in Europa" con la partecipazione di Sefika Gurbuz e Lerzan Tascier. Sefika Gurbuz e' presidente di Goc-Der, Associazione per lo sviluppo sociale e culturale della popolazione curda profuga in Turchia; di origine curda, vive ad Istanbul. Lerzan Tascier e' rappresentante dell'associazione turca per i diritti umani Ihd, importante e autorevole riferimento per la denuncia di violazioni dei diritti umani in Turchia; di origine turca, vive ad Istanbul. Introduce Nadia Cervoni, della rete delle Donne in nero; intervengono: Alessandra Mecozzi, responsabile dell'ufficio internazionale Fiom-Cgil; Giulia Di Martino, vicepresidente dell'associazione Ararat; Mehmet Yuksel, responsabile Uiki-Italia; coordina Hevi Dilara, dell'associazione Europa Levante; presiede Luisa Morgantini, europarlamentare. L'incontro e' organizzano dalle Donne in nero. Per informazioni e contatti: e-mail: roma at donneinnero.it, sito: www.donneinnero.it 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1117 del 17 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1116
- Next by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 38
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1116
- Next by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 38
- Indice: