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Nonviolenza. Femminile plurale. 36
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 36
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 3 Nov 2005 11:46:31 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 36 del 3 novembre 2005 In questo numero: 1. Scott Galindez intervista Melanie House 2. Luisa Morgantini ricorda Mary Jabaj 3. Kavitha Rao: Matrimoni forzati 4. Maria G. Di Rienzo: Brevi dal mondo 5. Angela Pascucci: Gender apartheid 6. Lea Melandri: Il vuoto, il senso. Tra poteri e persone 7. Luisa Muraro presenta "Sulla guerra. Scritti 1933-1943" di Simone Weil 8. Angela Nocioni presenta "Il silenzio infranto" a cura di Carla Tallone e Vera Vigevani Jarach 1. TESTIMONIANZE. SCOTT GALINDEZ INTERVISTA MELANIE HOUSE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista di Scott Galindez a Melanie House. Scott Galindez e' direttore esecutivo di "Truth Out". Melanie House, di Simi Valley in California, e' la vedova dell'ufficiale medico John D. House, morto il 26 gennaio 2005 in Iraq nello schianto di un elicottero nei pressi di Ar Rutbah, a 28 anni] - Scott Galindez: Un aspetto che costringe a pensare, nella storia di Casey Sheehan, e' il modo in cui sua madre Cindy e' capace di trasmetterci la sua figura. Per favore, descrivi John ai nostri lettori. - Melanie House: John era un marito devoto, un padre orgoglioso, un figlio e fratello affettuoso. Era l'amore della mia vita, il compagno della mia anima, e il mio migliore amico. Ci siamo incontrati undici anni fa, e siamo cresciuti insieme. Siamo stati sposati per cinque anni. John sembrava rude, a guardarlo dal di fuori: i tatuaggi, il fatto che gli piacesse andare in giro sulla sua moto, la Harley, ma era dolce e gentile, una persona che si curava degli altri, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per coloro che amava. Era il piu' grande fan di Johnny Cash al mondo, ma amava molti altri tipi di musica. Aveva un senso dell'umorismo particolare e riusciva sempre a far ridere la gente. Gli piaceva lavorare con le sue mani, che si trattasse di falciare il prato o di lavorare il legno. Desiderava sopra ogni cosa diventare padre, la famiglia era molto importante per lui. Quando scoprimmo che aspettavamo un bambino divento' l'uomo piu' felice del mondo, lo diceva a chiunque conoscesse. Portava in giro le foto dell'ecografia per mostrarle a tutti. Era molto rispettato dalle persone con cui lavorava, i marinai e i Marine, faceva sempre del suo meglio perche' stessero bene e in salute. Cio' che lo manteneva integro mentre si trovava in Iraq era il sapere che avrebbe incontrato il proprio figlio appena nato quando fosse tornato a casa. John era contrario alla guerra, ma fece il suo lavoro meglio che poteva. Salvo' delle vite, dei corpi e degli spiriti. Ma non riusci' ad incontrare suo figlio, perche' James aveva quattro settimane quando lui fu ucciso. Sognavamo di viaggiare, di avere altri bambini, e di invecchiare insieme. La mia vita non sara' mai piu' la stessa senza di lui, e non smettero' mai di piangere la perdita del compagno della mia anima. * - Scott Galindez: Proprio oggi, il numero ufficiale di militari statunitensi caduti in Iraq tocca quota 2000. Cosa diresti ai mariti ed alle mogli degli altri 1999? - Melanie House: Onestamente, non saprei, anche perche' sto ancora tentando di dare un senso a questa cosa, ogni giorno. E' mio figlio che mi mantiene in vita, e so che lui e' il piu' grande dono che mio marito potesse farmi. Ci sono cosi' tante mattine in cui non vorrei piu' alzarmi, e vorrei solo dormire per sempre, perche' fa cosi' male, e' una lotta cosi' dura accettare questa perdita. Ci sono altri giorni in cui piango di gratitudine, quando penso agli anni che mio marito ed io abbiamo passato insieme. * - Scott Galindez: Che consigli daresti alle famiglie che hanno dei loro cari che vogliono entrare nell'esercito? - Melanie House: Personalmente, non vorrei che lo facesse mio figlio. Anche se e' onorevole, e anche se sono orgogliosa di mio marito e sostengo le nostre truppe. Tuttavia il presidente Bush ha mentito loro sulla nostra missione in Iraq, e principalmente sul motivo per cui siamo in Iraq. Ai nostri soldati non sono stati dati ne' gli equipaggiamenti adatti, ne' preparazione, ne' la verita' sul motivo per cui siamo in guerra. * - Scott Galindez: Cosa pensava John della guerra? - Melanie House: Subito dopo l'11 settembre, era favorevole. Ma man mano che gli americani apprendevano di piu' sull'11 settembre, e sulle ragioni per andare in guerra, divenne contrario. Dopo aver appreso che non esistevano armi di distruzione di massa, e che non c'erano legami fra il crollo delle Torri e l'Iraq, voleva sapere perche' eravamo in guerra. Quando gli arrivo' l'ordine di partire, lotto' tremendamente con questa cosa, perche' voleva "prendersi cura dei suoi Marine" e pero' non riusciva a capire qual era il motivo per cui la gente moriva in Iraq ogni giorno: gli americani, i nostri alleati e gli iracheni. Quando si trovo' la', fu pienamente convinto che l'America non avrebbe dovuto esserci. Mi disse che aveva visto troppe cose terribili, cose che non poteva dirmi al telefono, che mi avrebbe raccontato quando fosse tornato. Io ero incinta, all'epoca, e lui disse che non sapeva come avrebbe spiegato a nostro figlio il fatto di non esserci mentre lui nasceva, e neppure come gli avrebbe spiegato perche' era andato in guerra. Cio' che riusci' a dirmi dell'Iraq fu che quando c'era freddo, i soldati non avevano di che coprirsi; quando avevano bisogno di medicine, non ce n'erano; quando andavano di pattuglia, erano male equipaggiati. John mi disse che non erano preparati a cio' che incontravano. E mi disse che aveva parlato tramite gli interpreti con molti iracheni, e che questi ultimi non si sentivano affatto piu' sicuri, ne' credevamo che il loro paese fosse migliore, da quando gli Usa erano li'. Mi disse anche che al suo ritorno voleva partecipare a "Operation Truth" (Operazione Verita'), cosi' avrebbe potuto raccontare cio' che aveva visto e cio' che aveva passato. In ogni lettera che mi ha mandato, scriveva di star pregando per la pace, e che temeva che molti dei suoi amici non sarebbero piu' tornati a casa. Per tragica ironia della sorte, neppure lui e' tornato. - Scott Galindez: Grazie per aver condiviso la storia di John con noi. 2. LUTTI. LUISA MORGANTINI RICORDA MARY JABAJ [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo novembre 2005. Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int), parlamentare europea e presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004] Umm Salim, "la madre di Salim" in arabo, e' morta a Ramallah, oggi vi saranno i funerali. Aveva 94 anni. Il suo nome era Mary Jabaj, nata a Jaffa in Palestina, oggi Israele. Profuga e tanto altro. Avrebbe voluto essere sepolta nella tomba di famiglia, nel cimitero cristiano di Jaffa, il suo corpo restera' invece a Ramallah. Molti anni fa, quando ancora i palestinesi della Cisgiordania e Gaza potevano recarsi in Israele, mando' suo figlio Salim a Jaffa per vedere in quali condizioni si trovava la tomba di famiglia. Salim non la trovo' piu', altri corpi venuti da altri paesi l'avevano sostituita e si erano sovrapposti. Salim non ebbe il coraggio di dirlo a Mary. Mary era la madre di Salim Tamari, intellettuale conosciuto anche in Italia e nel mondo per le sue ricerche su Geruselemme e le sue interviste a molti giornali e riviste. Molte volte ha scritto per "Il manifesto", che ha avuto la sua sede nel Centro diretto da Salim Tamari a Gerusalemme fino a quando Salim ha potuto recarsi a Gerusalemme - da qualche anno, come a tutti i palestinesi della Cisgiordania e Gaza, gli e' vietato. Ma Mary e' stata anche la suocera di Suad Amiry, l'architetta-scrittrice palestinese che ci ha fatto conoscere con un'ironia devastante nel libro "Sharon e mia suocera" pubblicato da Feltrinelli, le sue vicissitudini nella convivenza con la suocera, Umm Salim, durante l'assedio militare di Ramallah da parte dell'esercito israeliano nei mesi di marzo e aprile 2002. Un abbraccio con tanto amore a Salim, unico figlio, e a Suad unica nuora, di una donna indimenticabile che ci ha lasciato. Chiunque volesse inviare lettere di condoglianze puo' farlo scrivendo al seguente indirizzo: suad at riwaq.org 3. DIRITTI. KAVITHA RAO: MATRIMONI FORZATI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Kavitha Rao. Kavitha Rao, giornalista indipendente, vive e lavora a Londra; i suoi articoli appaiono sul "Daily Telegraph", il "South China Morning Post", la "Far Eastern Economic Review" e "Asiaweek"; puo' essere contattata all'indirizzo kmohanrao at yahoo.com] Jasvinder Sanghera fuggi' di casa quando i suoi genitori, immigrati indiani in Gran Bretagna, tentarono di forzarla ad un matrimonio con uno sconosciuto nel 1975. "I miei genitori mi dissero: o sposi chi vogliamo noi, o ai nostri occhi sei morta", racconta. Ripudiata dalla propria famiglia, ancora oggi riceve regolarmente minacce di morte da sorelle, zie, cugini e parenti acquisiti. Sanghera dirige "Karma Nirvana", un rifugio per le donne nella citta' di Derby, che conta 220.000 abitanti ed ha una grande comunita' di immigrati dal sud-est asiatico. "Mi dicono che sono un'impostora perche' critico la mia comunita', aggiunge, Ma io non ho intenzione di smettere". Il governo britannico sta in questo momento considerando la possibilita' di punire legalmente le famiglie che costringono i propri figli a matrimoni indesiderati. Dal 5 settembre scorso, il "Foreign and Commonwealth Office" e l'"Home Office" sono impegnati in una consultazione trimestrale al cui termine si decidera' se introdurre lo specifico reato nel codice penale. L'estensione del problema e' ancora sconosciuta. Le statistiche del "Foreign Office", che sovrintende all'immigrazione, parlano di 250-300 casi ogni anno, ma si stima che molti non vengano denunciati. Ragazze e ragazzi di non piu' di tredici anni vengono rapiti e imprigionati, stuprati, picchiati e, in alcuni casi, uccisi per salvare l'onore della famiglia. La maggior parte dei matrimoni forzati si danno in famiglie provenienti da India, Pakistan e Bangladesh (che insieme formano il 3,5% della popolazione britannica), ma alcuni casi hanno visto coinvolte famiglie mediorientali ed africane. Molti immigrati del sud-est asiatico pensano che un matrimonio contratto all'interno di una comunita' chiusa sia un bene per i figli. Ma i figli la pensano spesso diversamente. "Sovente ragazze giovani, che mostrano di desiderare una maggiore indipendenza o di essere interessate a ragazzi inglesi, vengono etichettate come immorali e forzate di fretta al matrimonio", dice Sanghera. "Le donne che vengono da noi vogliono solo un posto sicuro dove stare", racconta Shaminder Ubhi, direttrice di "Ashiana", un rifugio per le donne con base a Londra, "Cio' che non vogliono e' vedere i loro familiari andare in prigione". Piuttosto che spendere denaro pubblico per creare una nuova legislazione, Ubhi preferirebbe vederlo destinato alla creazione di case per le donne che fuggono dall'abuso e dalla violenza domestica: "Riceviamo richieste da 300 donne ogni anno, e abbiamo solo 11 letti". Ubhi sottolinea che i familiari che adottano comportamenti violenti possono gia' essere perseguiti mediante le leggi in vigore. Alcune donne che hanno subito gli abusi, pero', ritengono sia importante che il governo dia un segnale chiaro. "Io ho a che fare con ragazze di 14 anni che vengono stuprate, battute, e date in mogli ad uomini che hanno il doppio della loro eta'. Alcune vengono uccise. Questo lo vedo. Quello che non vedo sono i responsabili chiamati a rispondere delle loro azioni. Se un messaggio forte viene mandato a costoro, puo' fungere da deterrente", argomenta Jasvinder Sanghera. Narina Anwar, che e' scampata per un pelo ad un matrimonio forzato, spera che la legge verra' emanata: "Se i matrimoni imposti vengono riconosciuti come contrari alla legge, cio' dara' alle persone come me uno strumento per opporsi ad essi". Quando aveva 21 anni, Narina fu portata con le due sorelle in Pakistan dai genitori, ufficialmente per far visita alla nonna, ma la' le ragazze furono informate che sarebbero state date in mogli. Furono sorvegliate notte e giorno per cinque mesi, e fu loro detto che sarebbero state uccise se avessero tentato di scappare. Le ragazze ci riuscirono comunque, e si rifugiarono al Consolato britannico che le rimando' in Inghilterra. Vissero in un rifugio per le donne per sei mesi, dopo di che il governo garanti' loro un'abitazione. Dopo altri quattro mesi contattarono i genitori e si riconciliarono con loro. * Il governo britannico, dopo aver tollerato per anni la pratica, in nome della "sensibilita' culturale", sta prendendo atto del problema. "E' una faccenda che tocca settori diversi della vita pubblica: istruzione, salute, servizi sociali", dice Vinay Talwar, responsabile dell'unita' "Forced Marriage" creata all'interno del Foreign Office nel gennaio di quest'anno. L'unita' soccorre e riconduce in patria le vittime portate oltreoceano per essere sposate contro la loro volonta'. Conduce anche campagne di informazione nelle scuole, nei centri comunitari ed attraverso video e siti web. Nel marzo 2004, il governo suggeri' delle linee-guida a polizia, insegnanti ed operatori dei servizi sociali per rispondere al problema, fornendo formazione per il trattamento delle persone vittimizzate. I critici di questo programma dicono che le autorita' britanniche sono ancora confuse rispetto alla differenza fra "matrimoni combinati", che sono molto diffusi ma implicano un certo grado di scelta fra i contraenti, e "matrimoni forzati", in cui le persone non hanno modo di scegliere ne' chi sposare, ne' quando farlo. "I servizi sociali spesso non intervengono perche' hanno paura dell'accusa di razzismo", nota Sanghera, "Si', tu puoi avere le linee-guida, ma a cosa servono, se nessuno le mette in pratica?". Dopo l'attacco terroristico del 7 luglio, ed il susseguente impegno del governo britannico a promuovere maggior integrazione delle minoranze, ogni interferenza del governo nelle istanze sociali e' attentamente vagliata dalle comunita' di immigrati. I musulmani britannici hanno gia' bollato come "discriminazione" i requisiti imposti alle persone che vengono da fuori per sposare immigrati: ad esempio che le spose e gli sposi sono ammesse/i ad entrare nel paese se hanno compiuto i 18 anni. Vinay Talwar dice che queste preoccupazioni sono dirette al bersaglio sbagliato: "I matrimoni forzati sono un'istanza che riguarda i diritti umani, non un'istanza culturale. E non sono diretti a nessuna comunita' in particolare". Anwar, che e' un devoto musulmano, sostiene che nozioni false sull'Islam e sull'onore della famiglia vengono usate come ragioni per forzare le donne al matrimonio: "Un matrimonio forzato non e' cultura, non e' religione, e' solo un brutto abuso avvolto nei cosiddetti legami familiari. I genitori devono considerare cio' che e' giusto e cio' che e' sbagliato, e non sacrificare i loro figli all'onore della famiglia". Jasvinder Sanghera, da parte sua, e' molto chiara su cio' che il governo dovrebbe fare: "Io pensavo che i miei genitori avessero il diritto di farmi quello che mi stavano facendo. Avevo quattordici anni. Allora mi sarebbe piaciuto poter dire loro: non potete farmi questo, perche' e' contro la legge". Per maggiori informazioni si veda il sito di Narina Amwar per l'aiuto alle vittime dei matrimoni forzati: http://www.missdorothy.com 4. DIRITTI. MARIA G. DI RIENZO: BREVI DAL MONDO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per queste "brevi". Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Ali Mohaqiq Nasab, l'editore del giornale afgano "I diritti delle donne" che era stato arrestato per aver pubblicato un articolo in cui si contestavano le punizioni corporali per l'adulterio, e' stato giudicato colpevole di "blasfemia" il 29 ottobre scorso, e condannato a due anni di carcere. La legge in base alla qualee' stata emessa la sentenza e' del 2004 e proibisce vengano pubblicati articoli che "criticano l'Islam". L'Onu, le organizzazioni afgane per i diritti umani e le associazioni dei giornalisti stanno chiedendo il suo rilascio (Fonte: We News). * Femministe ed attiviste per i diritti umani musulmane si sono incontrate in una conferenza internazionale a Barcellona il 31 ottobre. Oltre 300 delegate provenienti da Malaysia, Mali, Egitto, Iran, Pakistan e numerosi altri paesi, hanno convenuto sulla necessita' di affrontare le diseguaglianze di genere nelle societa' musulmane e di rifiutare le interpretazioni scioviniste della dottina islamica. Hanno inoltre dichiarato l'intenzione di condurre un'intensa campagna al proposito fra le comunita' musulmane europee. Fra le relatrici piu' acclamate vi erano Amina Wadud, la teologa islamica afroamericana che guida le preghiere del venerdi' in una congregazione non separata per genere, e Raheel Raza, pakistana, che per aver fatto la stessa cosa in Canada ha una "fatwa" contro di se' e rischia di venire uccisa per strada. Entrambe hanno affermato di non voler piu' vedere "cose orribili fatte in nome della religione" (Fonte: "The Guardian"). * Secondo alcuni ricercatori inglesi, come riportato dal "Journal of Epidemiology and Community Health" del mese di ottobre 2005, la dominazione patriarcale sarebbe una delle ragioni principali per l'alto tasso di mortalita' degli uomini rispetto alle donne. Dopo aver analizzato le statistiche di 51 paesi, gli studiosi hanno concluso che il sistematico dominio degli uomini sulle donne "spiega" molta della discrepanza: piu' alta e' l'oppressione delle donne in un dato paese, piu' si alzano i tassi di mortalita' maschile a qualunque eta'. La radice dei comportamenti maschili che potenzialmente abbreviano l'esistenza puo' essere trovata, secondo i ricercatori, nel "machismo" come norma sociale. Uno degli autori della ricerca, Alex Scott-Samuel dell'Universita' di Liverpool, dice che: "Il continuo correre rischi, l'aggressivita', la competitivita' e la soppressione delle emozioni sono largamente viste come attitudini 'maschili' nelle societa' a dominio maschile, e chiaramente sono attitudini pericolose. "I dati suggeriscono che l'oppressione e lo sfruttamento danneggiano gli oppressori quanto gli oppressi", concludono gli autori della ricerca (Fonte: www.reutershealth.com). 5. MONDO. ANGELA PASCUCCI: GENDER APARTHEID [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 ottobre 2005. Angela Pascucci, giornalista, e' caporedattrice esteri del quotidiano "Il manifesto"] C'e' un paese in cui la violenza domestica e' il rischio piu' grande per la salute delle donne. Se avete puntato il dito su un'area del Terzo mondo, dovrete spostarlo, perche' quel paese e' l'Australia, fino a prova contraria arruolato nel team dei ricchi e "civili". In verita', questa notizia dovrebbe essere la prova contraria. Ma quando si tratta di violenza e discriminazione contro le donne, tutto il mondo e' paese. Lo dice il rapporto annuale che il Population Fund dell'Onu stila ogni anno per dare conto dello stato della popolazione del mondo. Miserevole, a quanto pare. Nel mondo, una donna su cinque e' vittima di stupro o tentato stupro almeno una volta nella sua vita. Una donna su tre viene picchiata, costretta a fare sesso contro la sua volonta' o seviziata in altro modo, solitamente da un membro della sua famiglia o un conoscente. In Australia, Canada, Israele, Sudafrica e Stati Uniti, dal 40 al 70% delle donne vittime di omicidio sono state uccise dai propri partner. Una donna su quattro subisce abusi durante la gravidanza. Se il confronto puo' servire a comprendere meglio, tra la popolazione femminile di eta' compresa fra i 15 e i 44 anni la violenza miete lo stesso numero di vittime (che siano uccise o vengano ferite) del cancro. Ogni anno, 529.000 donne muoiono per cause legate alla gravidanza e al parto, decessi per la maggior parte evitabili con una elementare prevenzione. I problemi sanitari legati alla riproduzione, Hiv/Aids inclusi, sono, nel mondo, la principale causa di morte e malattia fra le donne di eta' compresa fra i 15 e i 44 anni. Le donne costituiscono i due terzi degli 800 milioni di analfabeti del mondo. L'Onu lo chiama "Gender Apartheid" e afferma che costituisce l'ostacolo piu' grande all'eliminazione della poverta', di cui tanto si parla e si suona. E tuttavia, davanti a tanta violenza e disprezzo contro le donne, viene il dubbio che la poverta' sia solo la ragione piu' semplice da nominare. E che l'altra meta' del cielo sia diventata l'altra meta' dell'inferno. 6. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL VUOTO, IL SENSO. TRA POTERI E PERSONE [Dal quotidiano "Liberazione" del 4 ottobre 2005. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] L'insistenza con cui oggi si torna a contrapporre laicita' e religione e' il segnale piu' evidente della difficolta' che abbiamo a riconoscere che tra l'una e l'altra una delimitazione netta di confini non c'e' mai stata. "Se vivi nel mondo occidentale - scrive James Hillman nel suo ultimo libro, Un terribile amore per la guerra (Adelphi, 2005) - psicologicamente sei cristiano, marchiato indelebilmente con il segno della croce nel cuore e nella mente e in ogni fibra del corpo. Il cristianesimo e' dappertutto, nelle parole che usiamo, nelle bestemmie che pronunciamo, nell'eredita' di assassinii religiosi della nostra storia. Siamo cristiani fino al midollo, con l'innata certezza di essere superiori a tutti, capaci di aiutare gli altri a vedere la luce". Il paese di Romagna, dove sono cresciuta, e' sempre stato amministrato da partiti di sinistra, ma l'"anima" - tutti gli interrogativi e i tormenti esistenziali che accompagnano la crescita di un individuo, soprattutto se femmina - la si dava precocemente al prete e alla cultura dell'oratorio. E in parte e' ancora cosi'. Intrecci profondi e inconsapevoli potrebbero essere oggi l'oggetto di una ricerca capace di uscire finalmente da schemi dualistici, astratti, se a complicare le cose non fossero intervenuti contaminazioni e accorpamenti paradossali, insospettabili: gli "atei devoti", la "fede secolarizzata", il "femminismo clericale", la laicita' "buona e sana", cioe' intrisa di principi cristiani, auspicata dal cardinale Scola. Di fronte a una Chiesa aggressiva, che non si rivolge piu' alle coscienze, sapendo quanto gli individui si concedano ormai liberta' di scelta, e che mira a "fecondare" direttamente le principali istituzioni della vita pubblica - lo Stato, le sue leggi, i suoi tribunali - si e' portati a pensare al ritorno di un lontano passato, feudale, che si credeva sepolto. Ma se si resiste alla tentazione di vedere l'insorgere di una fede d'assalto solo come fenomeno regressivo, il rimontare di pulsioni oscure e irrazionali, nemiche della modernita', forse si puo' pensare, in termini meno fatalistici, che la religione sia oggi la copertura di una "preistoria" di esperienze, pensieri, sentimenti, relazioni, che chiede di essere "ripresa" e aperta a nuove soluzioni. Il "risveglio religioso" che ha colto di sorpresa l'Occidente, ma che interessa con evidenti analogie culture e confessioni diverse, e' stato da molti messo in relazione con il riproporsi in forza di un Islam arcaico, fondamentalista, ostile al mondo cristiano identificato coi vecchi e coi nuovi colonizzatori. Si e' detto anche che poteva essere la risposta a sentimenti diffusi di paura, insicurezza, precarieta', perdita di appartenenze identitarie, umori inquieti che chiedono atti riparativi e il ripristino di valori tradizionali. Ma una delle ragioni principali e' senza dubbio la crisi della politica che, di fronte ai cambiamenti in atto, sconta la sua "separatezza" storica dalle esperienze che sono parse piu' legate alla "persona", al privato, alla vita del singolo, ad aspetti dell'umano confinanti con la natura e col sacro: l'amore, la nascita, l'infanzia, le mutazioni corporee, la malattia, la morte, ecc. Per effetto del mercato, dei media, della sperimentazione scientifica e, soprattutto, della "rivoluzione" quotidiana che ha visto le donne uscire dalle case, scostarsi dai ruoli famigliari, affrontare in modo diverso la sessualita' e la maternita', oggi le "questioni della vita" irrompono sulla scena pubblica e con sorpresa della cultura "alta" conquistano i posti piu' in vista, influenzano la politica, diventano oggetto e soggetto di cambiamenti imprevedibili. Un sottosuolo di "vissuti", che si volevano immodificabili, rischiano, una volta venuti allo scoperto, di finire divorati da poteri, istituzioni, discipline che non a caso viaggiano ormai col prefisso "bio": biotecnologie, biomedicina, biopolitica. Con la nascita di un'individualita' femminile sempre meno adorante del sacrificio materno, meno incline alla dedizione altruistica che ne ha fatto finora il sostegno primo, materiale e psicologico, della vita pubblica, si incrina un ordine dato come "naturale", che la Chiesa si affretta a riportare in auge secondo i presupposti intoccabili della Parola rivelata. Anche se gli ammonimenti delle gerarchie ecclesiastiche si scagliano insistentemente sul "caos sessuale", sul "relativismo etico e filosofico", sul disfacimento della famiglia, bersaglio primo restano tuttavia i massimi organi dello Stato, i governi, i parlamenti, che possono legittimare o frenare il cambiamento, come si e' visto a proposito della legge 40, e ora dei Pacs e della pillola abortiva RU486. Il pericolo maggiore dunque non e' l'Islam. Anzi, come ha detto il nuovo papa a Colonia, "la ferma fede in Dio dei musulmani" e' "una sfida positiva" anche per il cattolicesimo. Piu' temibile e' l'eclissarsi di un dominio e di una genealogia patriarcale che si sono retti finora su un'idea biologistica e sacralizzata di famiglia, ma soprattutto sull'apparato sacerdotale rigorosamente maschile che se ne e' assunto la tutela. La fame di spiritualita', di accorpamenti mistici, di "valori" rassicuranti, di figure carismatiche a cui affidare il destino dell'umanita', non e' solo l'effetto di abili strategie clericali e conservatrici, ma nasce dal cuore dell'Occidente, dal disagio evidente di una civilta' che ha perso il rapporto ottimistico con se stessa, con le proprie mete tecnico-scientifiche, con l'idea di un soggetto unico, portatore di principi universali. Non e' la "secolarizzazione", come va ripetendo papa Ratzinger, a "disumanizzare l'uomo", ma, al contrario, quella sorta di ritorno di onnipotenza divina proiettata sul mondo creato dall'uomo, sulle macchine che sembrano oggi esautorarlo, sottraendogli controllo e responsabilita'. La "religione" del mercato, della tecnica, della scienza, delle mirabolanti reti comunicative, se ha potuto dare inizialmente nuovo impulso alla creativita', oggi ne svela vistosamente i rischi la' dove non si vedono piu' limiti, differenze, alterazione del senso dell'umano. Il dio delle merci, delle tecnologie, della velocita', dell'eterna giovinezza, fa dubitare della laicita' della nostra cultura tanto quanto le sue innegabili radici nelle religioni che l'hanno attraversata. Ma se le chiese avevano a loro vantaggio il sapere e la lingua dell'interiorita', del sentimento, della sofferenza, del piacere e dei patimenti del corpo, il dio macchinino e ingegneristico della ragione scientifica si lascia dietro l'ombra di un immaginario apocalittico, il sospetto della distruttivita' che inspiegabilmente ha sempre accompagnato le piu' straordinarie costruzioni dell'uomo. Anziche' attestarsi sulla vibrata protesta per l'invasivita' della Chiesa su questioni che appartengono esclusivamente allo Stato - smentite peraltro dal filo mai interrotto della negoziazione -, la cultura politica che si proclama laica e antitradizionalista, dovrebbe indagare le ragioni di un consenso che le sottrae terreno penetrando in zone insospettabili, conquistando cuori e menti che sembravano pulsare in tutt'altra direzione. I "predicatori d'odio" nostrani... trovano molte piu' orecchie disposte all'ascolto di quante un'intellettualita' aristocraticamente appartata dal senso comune possa immaginare. L'inadeguatezza ad affrontare con il patrimonio di conoscenza e di capacita' critica necessaria il profondo rivolgimento in atto, nel privato come nel pubblico della nostra societa', appare evidente nelle linee programmatiche con cui il centro-sinistra si presenta alla sfida elettorale. Nelle "agende politiche" brillano per assenza proprio i temi su cui piu' si e' dibattuto in questi mesi, le grandi trasformazioni che hanno portato allo scoperto corpi, sessualita', vita intima, legami familiari, e mostrato l'incidenza sempre maggiore che sulle vicende esistenziali primarie vanno acquistando le istituzioni e i poteri della vita pubblica. Le analisi di sistema, le visioni piu' lucide sugli esiti della globalizzazione economica e del neoliberismo, con le loro implicazioni individuali e collettive, si leggono nei saggi di sociologi, antropologi, filosofi, ma, per la tradizionale separazione tra politica e cultura, tra militanza e ricerca universitaria, le semplificazioni propagandistiche si allontanano sempre piu' dall'elaborazione teorica. Anni fa, nel vivo di un appassionato corpo a corpo tra il movimento delle donne e la sinistra, pensai che a monte di tanta incomprensibile "afasia" su questioni che avrebbero dato una radicalita' meno parolaia all'idea di "rivoluzione", ci fosse una sorta di "ascetismo rosso", di malcelato puritanesimo, di "pulizia razionale", contro l'inquinamento delle emozioni e dei drammi esistenziali. Oggi, di fronte all'evidenza che ha preso il rapporto uomo-donna sulla scena del mondo, per effetto dell'incontro-scontro tra culture diverse, ma soprattutto per il dubbio allarmante che la tradizionale dedizione femminile alla continuita' della specie si stia allentando, sono portata a credere che si tratti invece dell'estrema resistenza di una maschera "virile" fatta piu' di passioni che di razionalita', di paure piu' che di certezze. Inutile meravigliarsi se la Chiesa va a occupare il vuoto che si e' aperto tra le persone, gli interrogativi, i disagi reali del vivere quotidiano, e chi dovrebbe farsene interprete e portavoce. 7. LIBRI. LUISA MURARO PRESENTA "SULLA GUERRA. SCRITTI 1933-1943" DI SIMONE WEIL [Dal quotidiano "L'Unita'" del 4 giugno 1999. Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997". Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] E' ricominciata la guerra di Troia? La guerra di Troia, per Simone Weil, e' il simbolo dei conflitti che non hanno un obiettivo e quindi neanche una misura. Sono i peggiori. C'e' solo la voglia coatta di prevalere sull'altro. La nostra epoca, scrive la filosofa, sta perdendo tutte le nozioni essenziali dell'intelligenza, che sono le nozioni di limite, di misura, di relazione, di legame necessario, di proporzione tra i mezzi e i risultati. E gli intellettuali di sinistra, cito ancora la Weil, giudicano la guerra con il metodo piu' difettoso possibile, quello che pretende di valutare in base ai fini perseguiti e non ai mezzi impiegati. Si dice: il silenzio delle donne, ed e' vero, ma c'e' un filo di autorita' femminile che percorre la storia politica dell'Occidente. Intendo: autorita' di donne dotate di indipendenza simbolica dal sistema del potere. Questo filo corre dall'antichita' fino ai nostri giorni. Simone Weil ci parla della guerra con questa autorita'. Mi riferisco ai suoi scritti "Sulla guerra. Scritti 1933-1943", traduzione a cura di Donatella Zazzi, Pratiche, Milano 1999, da poco in libreria, che comprende tutti i suoi contributi sul tema (escluso il "progetto" per la formazione delle infermiere, e i pensieri annotati nei Quaderni). Noi cominciamo cosi' a intravedere quello che la Weil vide lucidamente nell'intervallo fra le due guerre mondiali, ossia l'onnipotenza dei rapporti di forza e l'illusione umana di governarli. Gli uomini di potere sono in realta' al suo servizio e non c'e' soluzione di continuita' fra un Milosevic e un Clinton. "Tutte le assurdita' che fanno somigliare la storia a un lungo delirio hanno la loro radice in un un'assurdita' essenziale: la natura del potere", scrive in "Non ricominciamo la guerra di Troia". Per una necessita' assoluta della natura, scrive ancora, accade sempre che chi puo', per quanto puo', tenda a imporsi sugli altri. E commenta, alla ricerca di un antidoto a questo meccanismo del potere, "dobbiamo anche noi possedere una forza di espansione. Ma non sul terreno della violenza e del desiderio di potere" ("Riflessioni in vista di un bilancio"). Della Weil si e' detto che sarebbe passata da un pacifismo intransigente a riconoscere che la guerra puo' essere il male minore. E' detto anche nella presentazione di questi scritti. Ma e' sbagliato, e' una semplificazione di enorme gravita', come possiamo renderci conto in questo momento. Io non sono una pacifista pura o integrale, ha sempre detto di se' la Weil, perche' "la guerra costituisce in ogni epoca una specie ben determinata di violenza, di cui bisogna studiare il meccanismo prima di formulare un giudizio qualunque". Per lei, infatti, al meccanismo del potere e alla violenza del potere che tende ad espandersi illimitatamente, bisogna opporre l'intelligenza che solo il senso della nostra relativita' puo' darci. Il male simbolico della guerra (e del potere) e' proprio nella distruzione di questa intelligenza. O peggio, nella sua impraticabilita', perche' quando c'e' guerra tutto si avvita intorno al circolo vizioso di un prestigio ormai impossibilitato a negoziare con l'avversario, pena la propria cancellazione. Rompere questo circolo vizioso non solo fu l'impegno che Simone Weil si diede come pensatrice, ma e' anche la concezione definitiva della politica: politica e' cio' che interrompe il meccanismo dei rapporti di forza in questo mondo come nelle nostre anime. Politica e' una breccia di liberta' nei meccanismi ciechi del potere/impotere, e fu questo il senso profondo e costante del suo pacifismo: contrastare il passo alla guerra per fare posto ai conflitti politici. 8. LIBRI. ANGELA NOCIONI PRESENTA "IL SILENZIO INFRANTO" A CURA DI CARLA TALLONE E VERA VIGEVANI JARACH [Dal quotidiano "Liberazione" del 15 ottobre 2005. Angela Nocioni, giornalista, e' redattrice del quotidiano "Liberazione"] "Era proprio lei, bellissima. Con il suo pancione, bendata e legata. Mi avevano portato mia moglie, incinta. L'avevano fatta entrare in silenzio. Davanti a me avevano cominciato a torturarla. Ti legavano al letto con un filo di ferro e passavano la corrente elettrica. C'era la 'picana' piccola e quella grande. La 'picana' e' un pungolo collegato a un apparecchio elettrico. La piccola era di 110 volt, regolabile. L'altra grande, tremenda, era di 220 volt. Corrente diretta. Non c'era neanche un trasformatore. I fili avevano delle punte e con queste ci torturavano. Il cuore impazziva. La testa, dopo ogni colpo, si storceva. Ti applicavano scariche in due posti allo stesso tempo. Una punta in un'articolazione, l'altra nei testicoli o nell'ano. Dopo lei mi racconto' che mi aveva sentito gridare, le sembrava che ero io, ma non era riuscita a capirlo veramente". Piero Di Monte, di Caramanico Terme, provincia di Pescara. Operaio in Argentina, sindacalista, sequestrato a Cordoba subito dopo il golpe del marzo 1976. La sua e' una delle voci de Il silenzio infranto, edito da Silvio Zamorani (pp. 228, euro 18), il racconto della storia dei desaparecidos italiani in Argentina curato da Carla Tallone e Vera Vigevani Jarach. Carla Tallone e' nata a Buenos Aires. Vera Vigevani Jarach e' nata a Milano ed e' emigrata in Argentina nel 1939 dopo le leggi razziali. Il loro libro e' un affresco collettivo del prima, durante e dopo la dittatura, realizzato con le parole dei sopravvissuti e di alcuni testimoni. L'orrore degli ex sequestrati e lo stupore impotente degli altri, di quelli rimasti fuori, liberi, che per Buenos Aires circolavano a testa bassa facendo finta di non vedere le Ford Falcon senza targa dei sequestratori. * Florida, strada pedonale del centro di Buenos Aires. Riccardo Benozzo, giornalista, racconta: "All'incrocio tra Florida e Sarmiento, davanti alla farmacia, proprio sul lato della strada in cui mi trovavo, una vecchietta molto magra, curva, con un bastone, chiedeva l'elemosina. Davanti a me, a pochi metri, incolonnata con altre auto, c'era una Falcon senza targa. Dentro c'erano quattro persone. Arrivata all'altezza della vecchietta, la Falcon accosta verso il marciapiede e si vede chiaramente l'uomo a fianco del guidatore sporgere la mano con un sigaro acceso. Scuote il sigaro e lascia cadere la cenere sulla mano tesa della vecchietta. Poi accelera e se ne va. Molte persone videro, assieme a me, la scena. Nessuno disse niente, neppure io. Come giornalista straniero non mi potevo mettere a gridare contro una Falcon senza targa, sarebbe stata una pazzia. Sarebbe stata una pazzia anche se gli altri avessero reagito. Certo, sarebbe stata una pazzia. Ma l'assoluta mancanza di almeno un po' di questa follia, in milioni di persone, per un lungo periodo di tempo, diversi anni, e quotidianamente, per giorni e giorni, ha spianato la strada ai militari. C'era paura, ma anche indifferenza, il volersi occupare solo delle cose strettamente personali, il far finta di non vedere, girare la testa dall'altra parte. Il manto di silenzio steso dai militari su quanto avveniva ha permesso che non ci siano foto come quelle del ghetto di Varsavia, dove i cittadini 'normali' passano apparentemente indifferenti di fronte alle finestre e porte sbarrate dai tedeschi che controllano i varchi. Ma la sostanza non cambia. E' l'antica storia delle sopraffazioni e del coraggio necessario, o della mancanza di coraggio, per opporvisivi". Il silenzio infranto e' la ricostruzione a piu' voci di quella enorme omissione. E' il racconto di alcuni atti di coraggio individuali. Ma e' anche la storia dell'indifferenza dei piu', della paura e del senso di colpa di chi nelle stanze di tortura non e' entrato. I campi di sterminio nazisti tornano, nel libro, in piu' racconti. Non si paragonano le due tragedie. Il numero delle vittime e' inconfrontabile, semmai abbia un senso confrontare due orrori (sei milioni di morti nei lager nazisti, trentamila desaparecidos in Argentina). Eppure la minuziosita' dell'orrore argentino, la perizia dei torturatori, la pianificazione della repressione richiama inevitabilmente l'orrore nazista... ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 36 del 3 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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