Nonviolenza. Femminile plurale. 36



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 36 del 3 novembre 2005

In questo numero:
1. Scott Galindez intervista Melanie House
2. Luisa Morgantini ricorda Mary Jabaj
3. Kavitha Rao: Matrimoni forzati
4. Maria G. Di Rienzo: Brevi dal mondo
5. Angela Pascucci: Gender apartheid
6. Lea Melandri: Il vuoto, il senso. Tra poteri e persone
7. Luisa Muraro presenta "Sulla guerra. Scritti 1933-1943" di Simone Weil
8. Angela Nocioni presenta "Il silenzio infranto" a cura di Carla Tallone e
Vera Vigevani Jarach

1. TESTIMONIANZE. SCOTT GALINDEZ INTERVISTA MELANIE HOUSE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista di
Scott Galindez a Melanie House.
Scott Galindez e' direttore esecutivo di "Truth Out".
Melanie House, di Simi Valley in California, e' la vedova dell'ufficiale
medico John D. House, morto il 26 gennaio 2005 in Iraq nello schianto di un
elicottero nei pressi di Ar Rutbah, a 28 anni]

- Scott Galindez: Un aspetto che costringe a pensare, nella storia di Casey
Sheehan, e' il modo in cui sua madre Cindy e' capace di trasmetterci la sua
figura. Per favore, descrivi John ai nostri lettori.
- Melanie House: John era un marito devoto, un padre orgoglioso, un figlio e
fratello affettuoso. Era l'amore della mia vita, il compagno della mia
anima, e il mio migliore amico. Ci siamo incontrati undici anni fa, e siamo
cresciuti insieme. Siamo stati sposati per cinque anni. John sembrava rude,
a guardarlo dal di fuori: i tatuaggi, il fatto che gli piacesse andare in
giro sulla sua moto, la Harley, ma era dolce e gentile, una persona che si
curava degli altri, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per coloro che amava.
Era il piu' grande fan di Johnny Cash al mondo, ma amava molti altri tipi di
musica. Aveva un senso dell'umorismo particolare e riusciva sempre a far
ridere la gente. Gli piaceva lavorare con le sue mani, che si trattasse di
falciare il prato o di lavorare il legno. Desiderava sopra ogni cosa
diventare padre, la famiglia era molto importante per lui. Quando scoprimmo
che aspettavamo un bambino divento' l'uomo piu' felice del mondo, lo diceva
a chiunque conoscesse. Portava in giro le foto dell'ecografia per mostrarle
a tutti. Era molto rispettato dalle persone con cui lavorava, i marinai e i
Marine, faceva sempre del suo meglio perche' stessero bene e in salute. Cio'
che lo manteneva integro mentre si trovava in Iraq era il sapere che avrebbe
incontrato il proprio figlio appena nato quando fosse tornato a casa. John
era contrario alla guerra, ma fece il suo lavoro meglio che poteva. Salvo'
delle vite, dei corpi e degli spiriti. Ma non riusci' ad incontrare suo
figlio, perche' James aveva quattro settimane quando lui fu ucciso.
Sognavamo di viaggiare, di avere altri bambini, e di invecchiare insieme. La
mia vita non sara' mai piu' la stessa senza di lui, e non smettero' mai di
piangere la perdita del compagno della mia anima.
*
- Scott Galindez: Proprio oggi, il numero ufficiale di militari statunitensi
caduti in Iraq tocca quota 2000. Cosa diresti ai mariti ed alle mogli degli
altri 1999?
- Melanie House: Onestamente, non saprei, anche perche' sto ancora tentando
di dare un senso a questa cosa, ogni giorno. E' mio figlio che mi mantiene
in vita, e so che lui e' il piu' grande dono che mio marito potesse farmi.
Ci sono cosi' tante mattine in cui non vorrei piu' alzarmi, e vorrei solo
dormire per sempre, perche' fa cosi' male, e' una lotta cosi' dura accettare
questa perdita. Ci sono altri giorni in cui piango di gratitudine, quando
penso agli anni che mio marito ed io abbiamo passato insieme.
*
- Scott Galindez: Che consigli daresti alle famiglie che hanno dei loro cari
che vogliono entrare nell'esercito?
- Melanie House: Personalmente, non vorrei che lo facesse mio figlio. Anche
se e' onorevole, e anche se sono orgogliosa di mio marito e sostengo le
nostre truppe. Tuttavia il presidente Bush ha mentito loro sulla nostra
missione in Iraq, e principalmente sul motivo per cui siamo in Iraq. Ai
nostri soldati non sono stati dati ne' gli equipaggiamenti adatti, ne'
preparazione, ne' la verita' sul motivo per cui siamo in guerra.
*
- Scott Galindez: Cosa pensava John della guerra?
- Melanie House: Subito dopo l'11 settembre, era favorevole. Ma man mano che
gli americani apprendevano di piu' sull'11 settembre, e sulle ragioni per
andare in guerra, divenne contrario. Dopo aver appreso che non esistevano
armi di distruzione di massa, e che non c'erano legami fra il crollo delle
Torri e l'Iraq, voleva sapere perche' eravamo in guerra. Quando gli arrivo'
l'ordine di partire, lotto' tremendamente con questa cosa, perche' voleva
"prendersi cura dei suoi Marine" e pero' non riusciva a capire qual era il
motivo per cui la gente moriva in Iraq ogni giorno: gli americani, i nostri
alleati e gli iracheni. Quando si trovo' la', fu pienamente convinto che
l'America non avrebbe dovuto esserci. Mi disse che aveva visto troppe cose
terribili, cose che non poteva dirmi al telefono, che mi avrebbe raccontato
quando fosse tornato. Io ero incinta, all'epoca, e lui disse che non sapeva
come avrebbe spiegato a nostro figlio il fatto di non esserci mentre lui
nasceva, e neppure come gli avrebbe spiegato perche' era andato in guerra.
Cio' che riusci' a dirmi dell'Iraq fu che quando c'era freddo, i soldati non
avevano di che coprirsi; quando avevano bisogno di medicine, non ce n'erano;
quando andavano di pattuglia, erano male equipaggiati. John mi disse che non
erano preparati a cio' che incontravano. E mi disse che aveva parlato
tramite gli interpreti con molti iracheni, e che questi ultimi non si
sentivano affatto piu' sicuri, ne' credevamo che il loro paese fosse
migliore, da quando gli Usa erano li'. Mi disse anche che al suo ritorno
voleva partecipare a "Operation Truth" (Operazione Verita'), cosi' avrebbe
potuto raccontare cio' che aveva visto e cio' che aveva passato. In ogni
lettera che mi ha mandato, scriveva di star pregando per la pace, e che
temeva che molti dei suoi amici non sarebbero piu' tornati a casa. Per
tragica ironia della sorte, neppure lui e' tornato.
- Scott Galindez: Grazie per aver condiviso la storia di John con noi.

2. LUTTI. LUISA MORGANTINI RICORDA MARY JABAJ
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo novembre 2005. Luisa Morgantini
(per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int), parlamentare europea e
presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo
palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace;
il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito
www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5
novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di
Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal
1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove
ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971
ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore
dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la
sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta
nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato
metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per
il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata
responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato
metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano
nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel
Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism).
Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in
Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo
alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di
Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora
esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione
non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa,
Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata
in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo
anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di
ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la
mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e
israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza
con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la
guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo
all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra.
Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in
Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si
occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del
conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di
relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare
con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino
del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia
continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la
pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma
2004]

Umm Salim, "la madre di Salim" in arabo, e' morta a Ramallah, oggi vi
saranno i funerali. Aveva 94 anni. Il suo nome era Mary Jabaj, nata a Jaffa
in Palestina, oggi Israele. Profuga e tanto altro. Avrebbe voluto essere
sepolta nella tomba di famiglia, nel cimitero cristiano di Jaffa, il suo
corpo restera' invece a Ramallah.
Molti anni fa, quando ancora i palestinesi della Cisgiordania e Gaza
potevano recarsi in Israele, mando' suo figlio Salim a Jaffa per vedere in
quali condizioni si trovava la tomba di famiglia. Salim non la trovo' piu',
altri corpi venuti da altri paesi l'avevano sostituita e si erano
sovrapposti. Salim non ebbe il coraggio di dirlo a Mary.
Mary era la madre di Salim Tamari, intellettuale conosciuto anche in Italia
e nel mondo per le sue ricerche su Geruselemme e le sue interviste a molti
giornali e riviste. Molte volte ha scritto per "Il manifesto", che ha avuto
la sua sede nel Centro diretto da Salim Tamari a Gerusalemme fino a quando
Salim ha potuto recarsi a Gerusalemme - da qualche anno, come a tutti i
palestinesi della Cisgiordania e Gaza, gli e' vietato. Ma Mary e' stata
anche la suocera di Suad Amiry, l'architetta-scrittrice palestinese che ci
ha fatto conoscere con un'ironia devastante nel libro "Sharon e mia suocera"
pubblicato da Feltrinelli, le sue vicissitudini nella convivenza con la
suocera, Umm Salim, durante l'assedio militare di Ramallah da parte
dell'esercito israeliano nei mesi di marzo e aprile 2002.
Un abbraccio con tanto amore a Salim, unico figlio, e a Suad unica nuora, di
una donna indimenticabile che ci ha lasciato.
Chiunque volesse inviare lettere di condoglianze puo' farlo scrivendo al
seguente indirizzo: suad at riwaq.org

3. DIRITTI. KAVITHA RAO: MATRIMONI FORZATI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Kavitha Rao. Kavitha Rao, giornalista indipendente, vive e lavora a Londra;
i suoi articoli appaiono sul "Daily Telegraph", il "South China Morning
Post", la "Far Eastern Economic Review" e "Asiaweek"; puo' essere contattata
all'indirizzo kmohanrao at yahoo.com]

Jasvinder Sanghera fuggi' di casa quando i suoi genitori, immigrati indiani
in Gran Bretagna, tentarono di forzarla ad un matrimonio con uno sconosciuto
nel 1975. "I miei genitori mi dissero: o sposi chi vogliamo noi, o ai nostri
occhi sei morta", racconta. Ripudiata dalla propria famiglia, ancora oggi
riceve regolarmente minacce di morte da sorelle, zie, cugini e parenti
acquisiti.
Sanghera dirige "Karma Nirvana", un rifugio per le donne nella citta' di
Derby, che conta 220.000 abitanti ed ha una grande comunita' di immigrati
dal sud-est asiatico. "Mi dicono che sono un'impostora perche' critico la
mia comunita', aggiunge, Ma io non ho intenzione di smettere".
Il governo britannico sta in questo momento considerando la possibilita' di
punire legalmente le famiglie che costringono i propri figli a matrimoni
indesiderati. Dal 5 settembre scorso, il "Foreign and Commonwealth Office" e
l'"Home Office" sono impegnati in una consultazione trimestrale al cui
termine si decidera' se introdurre lo specifico reato nel codice penale.
L'estensione del problema e' ancora sconosciuta. Le statistiche del "Foreign
Office", che sovrintende all'immigrazione, parlano di 250-300 casi ogni
anno, ma si stima che molti non vengano denunciati. Ragazze e ragazzi di non
piu' di tredici anni vengono rapiti e imprigionati, stuprati, picchiati e,
in alcuni casi, uccisi per salvare l'onore della famiglia. La maggior parte
dei matrimoni forzati si danno in famiglie provenienti da India, Pakistan e
Bangladesh (che insieme formano il 3,5% della popolazione britannica), ma
alcuni casi hanno visto coinvolte famiglie mediorientali ed africane. Molti
immigrati del sud-est asiatico pensano che un matrimonio contratto
all'interno di una comunita' chiusa sia un bene per i figli. Ma i figli la
pensano spesso diversamente.
"Sovente ragazze giovani, che mostrano di desiderare una maggiore
indipendenza o di essere interessate a ragazzi inglesi, vengono etichettate
come immorali e forzate di fretta al matrimonio", dice Sanghera.
"Le donne che vengono da noi vogliono solo un posto sicuro dove stare",
racconta Shaminder Ubhi, direttrice di "Ashiana", un rifugio per le donne
con base a Londra, "Cio' che non vogliono e' vedere i loro familiari andare
in prigione". Piuttosto che spendere denaro pubblico per creare una nuova
legislazione, Ubhi preferirebbe vederlo destinato alla creazione di case per
le donne che fuggono dall'abuso e dalla violenza domestica: "Riceviamo
richieste da 300 donne ogni anno, e abbiamo solo 11 letti". Ubhi sottolinea
che i familiari che adottano comportamenti violenti possono gia' essere
perseguiti mediante le leggi in vigore.
Alcune donne che hanno subito gli abusi, pero', ritengono sia importante che
il governo dia un segnale chiaro. "Io ho a che fare con ragazze di 14 anni
che vengono stuprate, battute, e date in mogli ad uomini che hanno il doppio
della loro eta'. Alcune vengono uccise. Questo lo vedo. Quello che non vedo
sono i responsabili chiamati a rispondere delle loro azioni. Se un messaggio
forte viene mandato a costoro, puo' fungere da deterrente", argomenta
Jasvinder Sanghera.
Narina Anwar, che e' scampata per un pelo ad un matrimonio forzato, spera
che la legge verra' emanata: "Se i matrimoni imposti vengono riconosciuti
come contrari alla legge, cio' dara' alle persone come me uno strumento per
opporsi ad essi".
Quando aveva 21 anni, Narina fu portata con le due sorelle in Pakistan dai
genitori, ufficialmente per far visita alla nonna, ma la' le ragazze furono
informate che sarebbero state date in mogli. Furono sorvegliate notte e
giorno per cinque mesi, e fu loro detto che sarebbero state uccise se
avessero tentato di scappare. Le ragazze ci riuscirono comunque, e si
rifugiarono al Consolato britannico che le rimando' in Inghilterra. Vissero
in un rifugio per le donne per sei mesi, dopo di che il governo garanti'
loro un'abitazione. Dopo altri quattro mesi contattarono i genitori e si
riconciliarono con loro.
*
Il governo britannico, dopo aver tollerato per anni la pratica, in nome
della "sensibilita' culturale", sta prendendo atto del problema. "E' una
faccenda che tocca settori diversi della vita pubblica: istruzione, salute,
servizi sociali", dice Vinay Talwar, responsabile dell'unita' "Forced
Marriage" creata all'interno del Foreign Office nel gennaio di quest'anno.
L'unita' soccorre e riconduce in patria le vittime portate oltreoceano per
essere sposate contro la loro volonta'. Conduce anche campagne di
informazione nelle scuole, nei centri comunitari ed attraverso video e siti
web.
Nel marzo 2004, il governo suggeri' delle linee-guida a polizia, insegnanti
ed operatori dei servizi sociali per rispondere al problema, fornendo
formazione per il trattamento delle persone vittimizzate. I critici di
questo programma dicono che le autorita' britanniche sono ancora confuse
rispetto alla differenza fra "matrimoni combinati", che sono molto diffusi
ma implicano un certo grado di scelta fra i contraenti, e "matrimoni
forzati", in cui le persone non hanno modo di scegliere ne' chi sposare, ne'
quando farlo. "I servizi sociali spesso non intervengono perche' hanno paura
dell'accusa di razzismo", nota Sanghera, "Si', tu puoi avere le linee-guida,
ma a cosa servono, se nessuno le mette in pratica?".
Dopo l'attacco terroristico del 7 luglio, ed il susseguente impegno del
governo britannico a promuovere maggior integrazione delle minoranze, ogni
interferenza del governo nelle istanze sociali e' attentamente vagliata
dalle comunita' di immigrati. I musulmani britannici hanno gia' bollato come
"discriminazione" i requisiti imposti alle persone che vengono da fuori per
sposare immigrati: ad esempio che le spose e gli sposi sono ammesse/i ad
entrare nel paese se hanno compiuto i 18 anni.
Vinay Talwar dice che queste preoccupazioni sono dirette al bersaglio
sbagliato: "I matrimoni forzati sono un'istanza che riguarda i diritti
umani, non un'istanza culturale. E non sono diretti a nessuna comunita' in
particolare".
Anwar, che e' un devoto musulmano, sostiene che nozioni false sull'Islam e
sull'onore della famiglia vengono usate come ragioni per forzare le donne al
matrimonio: "Un matrimonio forzato non e' cultura, non e' religione, e' solo
un brutto abuso avvolto nei cosiddetti legami familiari. I genitori devono
considerare cio' che e' giusto e cio' che e' sbagliato, e non sacrificare i
loro figli all'onore della famiglia".
Jasvinder Sanghera, da parte sua, e' molto chiara su cio' che il governo
dovrebbe fare: "Io pensavo che i miei genitori avessero il diritto di farmi
quello che mi stavano facendo. Avevo quattordici anni. Allora mi sarebbe
piaciuto poter dire loro: non potete farmi questo, perche' e' contro la
legge".
Per maggiori informazioni si veda il sito di Narina Amwar per l'aiuto alle
vittime dei matrimoni forzati: http://www.missdorothy.com

4. DIRITTI. MARIA G. DI RIENZO: BREVI DAL MONDO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
queste "brevi". Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

Ali Mohaqiq Nasab, l'editore del giornale afgano "I diritti delle donne" che
era stato arrestato per aver pubblicato un articolo in cui si contestavano
le punizioni corporali per l'adulterio, e' stato giudicato colpevole di
"blasfemia" il 29 ottobre scorso, e condannato a due anni di carcere. La
legge in base alla qualee' stata emessa la sentenza e' del 2004 e proibisce
vengano pubblicati articoli che "criticano l'Islam". L'Onu, le
organizzazioni afgane per i diritti umani e le associazioni dei giornalisti
stanno chiedendo il suo rilascio (Fonte: We News).
*
Femministe ed attiviste per i diritti umani musulmane si sono incontrate in
una conferenza internazionale a Barcellona il 31 ottobre. Oltre 300 delegate
provenienti da Malaysia, Mali, Egitto, Iran, Pakistan e numerosi altri
paesi, hanno convenuto sulla necessita' di affrontare le diseguaglianze di
genere nelle societa' musulmane e di rifiutare le interpretazioni
scioviniste della dottina islamica. Hanno inoltre dichiarato l'intenzione di
condurre un'intensa campagna al proposito fra le comunita' musulmane
europee. Fra le relatrici piu' acclamate vi erano Amina Wadud, la teologa
islamica afroamericana che guida le preghiere del venerdi' in una
congregazione non separata per genere, e Raheel Raza, pakistana, che per
aver fatto la stessa cosa in Canada ha una "fatwa" contro di se' e rischia
di venire uccisa per strada. Entrambe hanno affermato di non voler piu'
vedere "cose orribili fatte in nome della religione" (Fonte: "The
Guardian").
*
Secondo alcuni ricercatori inglesi, come riportato dal "Journal of
Epidemiology and Community Health" del mese di ottobre 2005, la dominazione
patriarcale sarebbe una delle ragioni principali per l'alto tasso di
mortalita' degli uomini rispetto alle donne. Dopo aver analizzato le
statistiche di 51 paesi, gli studiosi hanno concluso che il sistematico
dominio degli uomini sulle donne "spiega" molta della discrepanza: piu' alta
e' l'oppressione delle donne in un dato paese, piu' si alzano i tassi di
mortalita' maschile a qualunque eta'. La radice dei comportamenti maschili
che potenzialmente abbreviano l'esistenza puo' essere trovata, secondo i
ricercatori, nel "machismo" come norma sociale. Uno degli autori della
ricerca, Alex Scott-Samuel dell'Universita' di Liverpool, dice che: "Il
continuo correre rischi, l'aggressivita', la competitivita' e la
soppressione delle emozioni sono largamente viste come attitudini 'maschili'
nelle societa' a dominio maschile, e chiaramente sono attitudini pericolose.
"I dati suggeriscono che l'oppressione e lo sfruttamento danneggiano gli
oppressori quanto gli oppressi", concludono gli autori della ricerca (Fonte:
www.reutershealth.com).

5. MONDO. ANGELA PASCUCCI: GENDER APARTHEID
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 ottobre 2005. Angela Pascucci,
giornalista, e' caporedattrice esteri del quotidiano "Il manifesto"]

C'e' un paese in cui la violenza domestica e' il rischio piu' grande per la
salute delle donne. Se avete puntato il dito su un'area del Terzo mondo,
dovrete spostarlo, perche' quel paese e' l'Australia, fino a prova contraria
arruolato nel team dei ricchi e "civili". In verita', questa notizia
dovrebbe essere la prova contraria. Ma quando si tratta di violenza e
discriminazione contro le donne, tutto il mondo e' paese. Lo dice il
rapporto annuale che il Population Fund dell'Onu stila ogni anno per dare
conto dello stato della popolazione del mondo. Miserevole, a quanto pare.
Nel mondo, una donna su cinque e' vittima di stupro o tentato stupro almeno
una volta nella sua vita. Una donna su tre viene picchiata, costretta a fare
sesso contro la sua volonta' o seviziata in altro modo, solitamente da un
membro della sua famiglia o un conoscente. In Australia, Canada, Israele,
Sudafrica e Stati Uniti, dal 40 al 70% delle donne vittime di omicidio sono
state uccise dai propri partner. Una donna su quattro subisce abusi durante
la gravidanza. Se il confronto puo' servire a comprendere meglio, tra la
popolazione femminile di eta' compresa fra i 15 e i 44 anni la violenza
miete lo stesso numero di vittime (che siano uccise o vengano ferite) del
cancro.
Ogni anno, 529.000 donne muoiono per cause legate alla gravidanza e al
parto, decessi per la maggior parte evitabili con una elementare
prevenzione. I problemi sanitari legati alla riproduzione, Hiv/Aids inclusi,
sono, nel mondo, la principale causa di morte e malattia fra le donne di
eta' compresa fra i 15 e i 44 anni. Le donne costituiscono i due terzi degli
800 milioni di analfabeti del mondo.
L'Onu lo chiama "Gender Apartheid" e afferma che costituisce l'ostacolo piu'
grande all'eliminazione della poverta', di cui tanto si parla e si suona. E
tuttavia, davanti a tanta violenza e disprezzo contro le donne, viene il
dubbio che la poverta' sia solo la ragione piu' semplice da nominare. E che
l'altra meta' del cielo sia diventata l'altra meta' dell'inferno.

6. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL VUOTO, IL SENSO. TRA POTERI E PERSONE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 4 ottobre 2005. Lea Melandri, nata nel
1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista
"L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata
nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di
Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba
voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il
sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli
1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

L'insistenza con cui oggi si torna a contrapporre laicita' e religione e' il
segnale piu' evidente della difficolta' che abbiamo a riconoscere che tra
l'una e l'altra una delimitazione netta di confini non c'e' mai stata. "Se
vivi nel mondo occidentale - scrive James Hillman nel suo ultimo libro, Un
terribile amore per la guerra (Adelphi, 2005) - psicologicamente sei
cristiano, marchiato indelebilmente con il segno della croce nel cuore e
nella mente e in ogni fibra del corpo. Il cristianesimo e' dappertutto,
nelle parole che usiamo, nelle bestemmie che pronunciamo, nell'eredita' di
assassinii religiosi della nostra storia. Siamo cristiani fino al midollo,
con l'innata certezza di essere superiori a tutti, capaci di aiutare gli
altri a vedere la luce".
Il paese di Romagna, dove sono cresciuta, e' sempre stato amministrato da
partiti di sinistra, ma l'"anima" - tutti gli interrogativi e i tormenti
esistenziali che accompagnano la crescita di un individuo, soprattutto se
femmina - la si dava precocemente al prete e alla cultura dell'oratorio. E
in parte e' ancora cosi'.
Intrecci profondi e inconsapevoli potrebbero essere oggi l'oggetto di una
ricerca capace di uscire finalmente da schemi dualistici, astratti, se a
complicare le cose non fossero intervenuti contaminazioni e accorpamenti
paradossali, insospettabili: gli "atei devoti", la "fede secolarizzata", il
"femminismo clericale", la laicita' "buona e sana", cioe' intrisa di
principi cristiani, auspicata dal cardinale Scola. Di fronte a una Chiesa
aggressiva, che non si rivolge piu' alle coscienze, sapendo quanto gli
individui si concedano ormai liberta' di scelta, e che mira a "fecondare"
direttamente le principali istituzioni della vita pubblica - lo Stato, le
sue leggi, i suoi tribunali - si e' portati a pensare al ritorno di un
lontano passato, feudale, che si credeva sepolto. Ma se si resiste alla
tentazione di vedere l'insorgere di una fede d'assalto solo come fenomeno
regressivo, il rimontare di pulsioni oscure e irrazionali, nemiche della
modernita', forse si puo' pensare, in termini meno fatalistici, che la
religione sia oggi la copertura di una "preistoria" di esperienze, pensieri,
sentimenti, relazioni, che chiede di essere "ripresa" e aperta a nuove
soluzioni.
Il "risveglio religioso" che ha colto di sorpresa l'Occidente, ma che
interessa con evidenti analogie culture e confessioni diverse, e' stato da
molti messo in relazione con il riproporsi in forza di un Islam arcaico,
fondamentalista, ostile al mondo cristiano identificato coi vecchi e coi
nuovi colonizzatori. Si e' detto anche che poteva essere la risposta a
sentimenti diffusi di paura, insicurezza, precarieta', perdita di
appartenenze identitarie, umori inquieti che chiedono atti riparativi e il
ripristino di valori tradizionali. Ma una delle ragioni principali e' senza
dubbio la crisi della politica che, di fronte ai cambiamenti in atto, sconta
la sua "separatezza" storica dalle esperienze che sono parse piu' legate
alla "persona", al privato, alla vita del singolo, ad aspetti dell'umano
confinanti con la natura e col sacro: l'amore, la nascita, l'infanzia, le
mutazioni corporee, la malattia, la morte, ecc.
Per effetto del mercato, dei media, della sperimentazione scientifica e,
soprattutto, della "rivoluzione" quotidiana che ha visto le donne uscire
dalle case, scostarsi dai ruoli famigliari, affrontare in modo diverso la
sessualita' e la maternita', oggi le "questioni della vita" irrompono sulla
scena pubblica e con sorpresa della cultura "alta" conquistano i posti piu'
in vista, influenzano la politica, diventano oggetto e soggetto di
cambiamenti imprevedibili. Un sottosuolo di "vissuti", che si volevano
immodificabili, rischiano, una volta venuti allo scoperto, di finire
divorati da poteri, istituzioni, discipline che non a caso viaggiano ormai
col prefisso "bio": biotecnologie, biomedicina, biopolitica.
Con la nascita di un'individualita' femminile sempre meno adorante del
sacrificio materno, meno incline alla dedizione altruistica che ne ha fatto
finora il sostegno primo, materiale e psicologico, della vita pubblica, si
incrina un ordine dato come "naturale", che la Chiesa si affretta a
riportare in auge secondo i presupposti intoccabili della Parola rivelata.
Anche se gli ammonimenti delle gerarchie ecclesiastiche si scagliano
insistentemente sul "caos sessuale", sul "relativismo etico e filosofico",
sul disfacimento della famiglia, bersaglio primo restano tuttavia i massimi
organi dello Stato, i governi, i parlamenti, che possono legittimare o
frenare il cambiamento, come si e' visto a proposito della legge 40, e ora
dei Pacs e della pillola abortiva RU486. Il pericolo maggiore dunque non e'
l'Islam. Anzi, come ha detto il nuovo papa a Colonia, "la ferma fede in Dio
dei musulmani" e' "una sfida positiva" anche per il cattolicesimo. Piu'
temibile e' l'eclissarsi di un dominio e di una genealogia patriarcale che
si sono retti finora su un'idea biologistica e sacralizzata di famiglia, ma
soprattutto sull'apparato sacerdotale rigorosamente maschile che se ne e'
assunto la tutela.
La fame di spiritualita', di accorpamenti mistici, di "valori" rassicuranti,
di figure carismatiche a cui affidare il destino dell'umanita', non e' solo
l'effetto di abili strategie clericali e conservatrici, ma nasce dal cuore
dell'Occidente, dal disagio evidente di una civilta' che ha perso il
rapporto ottimistico con se stessa, con le proprie mete
tecnico-scientifiche, con l'idea di un soggetto unico, portatore di principi
universali. Non e' la "secolarizzazione", come va ripetendo papa Ratzinger,
a "disumanizzare l'uomo", ma, al contrario, quella sorta di ritorno di
onnipotenza divina proiettata sul mondo creato dall'uomo, sulle macchine che
sembrano oggi esautorarlo, sottraendogli controllo e responsabilita'. La
"religione" del mercato, della tecnica, della scienza, delle mirabolanti
reti comunicative, se ha potuto dare inizialmente nuovo impulso alla
creativita', oggi ne svela vistosamente i rischi la' dove non si vedono piu'
limiti, differenze, alterazione del senso dell'umano. Il dio delle merci,
delle tecnologie, della velocita', dell'eterna giovinezza, fa dubitare della
laicita' della nostra cultura tanto quanto le sue innegabili radici nelle
religioni che l'hanno attraversata. Ma se le chiese avevano a loro vantaggio
il sapere e la lingua dell'interiorita', del sentimento, della sofferenza,
del piacere e dei patimenti del corpo, il dio macchinino e ingegneristico
della ragione scientifica si lascia dietro l'ombra di un immaginario
apocalittico, il sospetto della distruttivita' che inspiegabilmente ha
sempre accompagnato le piu' straordinarie costruzioni dell'uomo.
Anziche' attestarsi sulla vibrata protesta per l'invasivita' della Chiesa su
questioni che appartengono esclusivamente allo Stato - smentite peraltro dal
filo mai interrotto della negoziazione -, la cultura politica che si
proclama laica e antitradizionalista, dovrebbe indagare le ragioni di un
consenso che le sottrae terreno penetrando in zone insospettabili,
conquistando cuori e menti che sembravano pulsare in tutt'altra direzione. I
"predicatori d'odio" nostrani... trovano molte piu' orecchie disposte
all'ascolto di quante un'intellettualita' aristocraticamente appartata dal
senso comune possa immaginare.
L'inadeguatezza ad affrontare con il patrimonio di conoscenza e di capacita'
critica necessaria il profondo rivolgimento in atto, nel privato come nel
pubblico della nostra societa', appare evidente nelle linee programmatiche
con cui il centro-sinistra si presenta alla sfida elettorale.
Nelle "agende politiche" brillano per assenza proprio i temi su cui piu' si
e' dibattuto in questi mesi, le grandi trasformazioni che hanno portato allo
scoperto corpi, sessualita', vita intima, legami familiari, e mostrato
l'incidenza sempre maggiore che sulle vicende esistenziali primarie vanno
acquistando le istituzioni e i poteri della vita pubblica. Le analisi di
sistema, le visioni piu' lucide sugli esiti della globalizzazione economica
e del neoliberismo, con le loro implicazioni individuali e collettive, si
leggono nei saggi di sociologi, antropologi, filosofi, ma, per la
tradizionale separazione tra politica e cultura, tra militanza e ricerca
universitaria, le semplificazioni propagandistiche si allontanano sempre
piu' dall'elaborazione teorica. Anni fa, nel vivo di un appassionato corpo a
corpo tra il movimento delle donne e la sinistra, pensai che a monte di
tanta incomprensibile "afasia" su questioni che avrebbero dato una
radicalita' meno parolaia all'idea di "rivoluzione", ci fosse una sorta di
"ascetismo rosso", di malcelato puritanesimo, di "pulizia razionale", contro
l'inquinamento delle emozioni e dei drammi esistenziali. Oggi, di fronte
all'evidenza che ha preso il rapporto uomo-donna sulla scena del mondo, per
effetto dell'incontro-scontro tra culture diverse, ma soprattutto per il
dubbio allarmante che la tradizionale dedizione femminile alla continuita'
della specie si stia allentando, sono portata a credere che si tratti invece
dell'estrema resistenza di una maschera "virile" fatta piu' di passioni che
di razionalita', di paure piu' che di certezze.
Inutile meravigliarsi se la Chiesa va a occupare il vuoto che si e' aperto
tra le persone, gli interrogativi, i disagi reali del vivere quotidiano, e
chi dovrebbe farsene interprete e portavoce.

7. LIBRI. LUISA MURARO PRESENTA "SULLA GUERRA. SCRITTI 1933-1943" DI SIMONE
WEIL
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 4 giugno 1999.
Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di
"Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la
seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei
sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza),
in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita'
Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una
carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare
nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997".
Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

E' ricominciata la guerra di Troia? La guerra di Troia, per Simone Weil, e'
il simbolo dei conflitti che non hanno un obiettivo e quindi neanche una
misura. Sono i peggiori. C'e' solo la voglia coatta di prevalere sull'altro.
La nostra epoca, scrive la filosofa, sta perdendo tutte le nozioni
essenziali dell'intelligenza, che sono le nozioni di limite, di misura, di
relazione, di legame necessario, di proporzione tra i mezzi e i risultati. E
gli intellettuali di sinistra, cito ancora la Weil, giudicano la guerra con
il metodo piu' difettoso possibile, quello che pretende di valutare in base
ai fini perseguiti e non ai mezzi impiegati.
Si dice: il silenzio delle donne, ed e' vero, ma c'e' un filo di autorita'
femminile che percorre la storia politica dell'Occidente. Intendo: autorita'
di donne dotate di indipendenza simbolica dal sistema del potere. Questo
filo corre dall'antichita' fino ai nostri giorni. Simone Weil ci parla della
guerra con questa autorita'. Mi riferisco ai suoi scritti "Sulla guerra.
Scritti 1933-1943", traduzione a cura di Donatella Zazzi, Pratiche, Milano
1999, da poco in libreria, che comprende tutti i suoi contributi sul tema
(escluso il "progetto" per la formazione delle infermiere, e i pensieri
annotati nei Quaderni).
Noi cominciamo cosi' a intravedere quello che la Weil vide lucidamente
nell'intervallo fra le due guerre mondiali, ossia l'onnipotenza dei rapporti
di forza e l'illusione umana di governarli. Gli uomini di potere sono in
realta' al suo servizio e non c'e' soluzione di continuita' fra un Milosevic
e un Clinton.
"Tutte le assurdita' che fanno somigliare la storia a un lungo delirio hanno
la loro radice in un un'assurdita' essenziale: la natura del potere", scrive
in "Non ricominciamo la guerra di Troia". Per una necessita' assoluta della
natura, scrive ancora, accade sempre che chi puo', per quanto puo', tenda a
imporsi sugli altri. E commenta, alla ricerca di un antidoto a questo
meccanismo del potere, "dobbiamo anche noi possedere una forza di
espansione. Ma non sul terreno della violenza e del desiderio di potere"
("Riflessioni in vista di un bilancio").
Della Weil si e' detto che sarebbe passata da un pacifismo intransigente a
riconoscere che la guerra puo' essere il male minore. E' detto anche nella
presentazione di questi scritti. Ma e' sbagliato, e' una semplificazione di
enorme gravita', come possiamo renderci conto in questo momento. Io non sono
una pacifista pura o integrale, ha sempre detto di se' la Weil, perche' "la
guerra costituisce in ogni epoca una specie ben determinata di violenza, di
cui bisogna studiare il meccanismo prima di formulare un giudizio
qualunque". Per lei, infatti, al meccanismo del potere e alla violenza del
potere che tende ad espandersi illimitatamente, bisogna opporre
l'intelligenza che solo il senso della nostra relativita' puo' darci.
Il male simbolico della guerra (e del potere) e' proprio nella distruzione
di questa intelligenza. O peggio, nella sua impraticabilita', perche' quando
c'e' guerra tutto si avvita intorno al circolo vizioso di un prestigio ormai
impossibilitato a negoziare con l'avversario, pena la propria cancellazione.
Rompere questo circolo vizioso non solo fu l'impegno che Simone Weil si
diede come pensatrice, ma e' anche la concezione definitiva della politica:
politica e' cio' che interrompe il meccanismo dei rapporti di forza in
questo mondo come nelle nostre anime. Politica e' una breccia di liberta'
nei meccanismi ciechi del potere/impotere, e fu questo il senso profondo e
costante del suo pacifismo: contrastare il passo alla guerra per fare posto
ai conflitti politici.

8. LIBRI. ANGELA NOCIONI PRESENTA "IL SILENZIO INFRANTO" A CURA DI CARLA
TALLONE E VERA VIGEVANI JARACH
[Dal quotidiano "Liberazione" del 15 ottobre 2005. Angela Nocioni,
giornalista, e' redattrice del quotidiano "Liberazione"]

"Era proprio lei, bellissima. Con il suo pancione, bendata e legata. Mi
avevano portato mia moglie, incinta. L'avevano fatta entrare in silenzio.
Davanti a me avevano cominciato a torturarla. Ti legavano al letto con un
filo di ferro e passavano la corrente elettrica. C'era la 'picana' piccola e
quella grande. La 'picana' e' un pungolo collegato a un apparecchio
elettrico. La piccola era di 110 volt, regolabile. L'altra grande, tremenda,
era di 220 volt. Corrente diretta. Non c'era neanche un trasformatore. I
fili avevano delle punte e con queste ci torturavano. Il cuore impazziva. La
testa, dopo ogni colpo, si storceva. Ti applicavano scariche in due posti
allo stesso tempo. Una punta in un'articolazione, l'altra nei testicoli o
nell'ano. Dopo lei mi racconto' che mi aveva sentito gridare, le sembrava
che ero io, ma non era riuscita a capirlo veramente". Piero Di Monte, di
Caramanico Terme, provincia di Pescara. Operaio in Argentina, sindacalista,
sequestrato a Cordoba subito dopo il golpe del marzo 1976. La sua e' una
delle voci de Il silenzio infranto, edito da Silvio Zamorani (pp. 228, euro
18), il racconto della storia dei desaparecidos italiani in Argentina curato
da Carla Tallone e Vera Vigevani Jarach.
Carla Tallone e' nata a Buenos Aires. Vera Vigevani Jarach e' nata a Milano
ed e' emigrata in Argentina nel 1939 dopo le leggi razziali. Il loro libro
e' un affresco collettivo del prima, durante e dopo la dittatura, realizzato
con le parole dei sopravvissuti e di alcuni testimoni. L'orrore degli ex
sequestrati e lo stupore impotente degli altri, di quelli rimasti fuori,
liberi, che per Buenos Aires circolavano a testa bassa facendo finta di non
vedere le Ford Falcon senza targa dei sequestratori.
*
Florida, strada pedonale del centro di Buenos Aires. Riccardo Benozzo,
giornalista, racconta: "All'incrocio tra Florida e Sarmiento, davanti alla
farmacia, proprio sul lato della strada in cui mi trovavo, una vecchietta
molto magra, curva, con un bastone, chiedeva l'elemosina. Davanti a me, a
pochi metri, incolonnata con altre auto, c'era una Falcon senza targa.
Dentro c'erano quattro persone. Arrivata all'altezza della vecchietta, la
Falcon accosta verso il marciapiede e si vede chiaramente l'uomo a fianco
del guidatore sporgere la mano con un sigaro acceso. Scuote il sigaro e
lascia cadere la cenere sulla mano tesa della vecchietta. Poi accelera e se
ne va. Molte persone videro, assieme a me, la scena. Nessuno disse niente,
neppure io. Come giornalista straniero non mi potevo mettere a gridare
contro una Falcon senza targa, sarebbe stata una pazzia. Sarebbe stata una
pazzia anche se gli altri avessero reagito. Certo, sarebbe stata una pazzia.
Ma l'assoluta mancanza di almeno un po' di questa follia, in milioni di
persone, per un lungo periodo di tempo, diversi anni, e quotidianamente, per
giorni e giorni, ha spianato la strada ai militari. C'era paura, ma anche
indifferenza, il volersi occupare solo delle cose strettamente personali, il
far finta di non vedere, girare la testa dall'altra parte. Il manto di
silenzio steso dai militari su quanto avveniva ha permesso che non ci siano
foto come quelle del ghetto di Varsavia, dove i cittadini 'normali' passano
apparentemente indifferenti di fronte alle finestre e porte sbarrate dai
tedeschi che controllano i varchi. Ma la sostanza non cambia. E' l'antica
storia delle sopraffazioni e del coraggio necessario, o della mancanza di
coraggio, per opporvisivi".
Il silenzio infranto e' la ricostruzione a piu' voci di quella enorme
omissione. E' il racconto di alcuni atti di coraggio individuali. Ma e'
anche la storia dell'indifferenza dei piu', della paura e del senso di colpa
di chi nelle stanze di tortura non e' entrato. I campi di sterminio nazisti
tornano, nel libro, in piu' racconti. Non si paragonano le due tragedie. Il
numero delle vittime e' inconfrontabile, semmai abbia un senso confrontare
due orrori (sei milioni di morti nei lager nazisti, trentamila desaparecidos
in Argentina). Eppure la minuziosita' dell'orrore argentino, la perizia dei
torturatori, la pianificazione della repressione richiama inevitabilmente
l'orrore nazista...

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 36 del 3 novembre 2005

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