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La domenica della nonviolenza. 43
- Subject: La domenica della nonviolenza. 43
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 16 Oct 2005 13:05:40 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 43 del 16 ottobre 2005 In questo numero: 1. Desmond Tutu: Si' al referendum brasiliano per il disarmo 2. Mohandas Gandhi: Mezzi e fini 3. Tom Engelhardt intervista Cindy Sheehan 4. Marina Zenobio: La lunga marcia delle agricoltrici 5. Michael Luongo: Le donne afgane costruiscono i propri consigli 6. Marina Forti: Rifugiati ambientali 7. Hannah Arendt: Verita' 8. Simone Weil: Se uno sconosciuto 1. 23 OTTOBRE. DESMOND TUTU: SI' AL REFERENDUM BRASILIANO PER IL DISARMO [Dal sito www.referendosim.com.br Desmond Tutu, vescovo anglicano, nato nel 1931, dal 1978 segretario generale del Consiglio sudafricano delle Chiese, premio Nobel per la pace nel 1984, voce della lotta contro l'apartheid. Dopo la vittoria della democrazia a lui e' stata affidata la presidenza della Commissione per la verita' e la riconciliazione. Opere di Desmond Tutu: in italiano cfr. Anch'io ho il diritto di esistere, Queriniana, Brescia 1985; Non c'e' futuro senza perdono, Feltrinelli, Milano 2001; Anche Dio ha un sogno, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2004. Specificamente sull' esperienza della Commissione per la verita' e la riconciliazione presieduta da Desmond Tutu cfr. anche Marcello Flores (a cura di), Verita' senza vendetta, Manifestolibri, Roma 1999 (raccolta di materiali della commissione, con un'ampia introduzione del curatore); Antonello Nociti, Guarire dall'odio, Angeli, Milano 2000; Danilo Franchi, Laura Miani, La verita' non ha colore, Comedit, Milano 2002, 2003] Dicendo si' il 23 ottobre, voi brasiliani affermerete che volete vivere in pace, e non nella paura. Noi speriamo che il Brasile ci mostri il cammino per mettere fine alle armi da fuoco. La proibizione del commercio delle armi e' il primo, necessario passo per ridurre i crimini violenti, i ferimenti e le uccisioni. 2. REPETITA IUVANT. MOHANDAS GANDHI: MEZZI E FINI [Da Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996, p. 44. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem] I mezzi possono essere paragonati al seme, e il fine all'albero; tra i mezzi e il fine vi e' lo stesso inviolabile rapporto che esiste tra il seme e l'albero. 3. PACE. TOM ENGELHARDT INTERVISTA CINDY SHEEHAN [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista di Tom Engelhardt a Cindy Sheehan realizzata a Washington durante le dimostrazioni contro la guerra, prima che Cindy Sheehan venisse arrestata. Tom Engelhardt, scrittore, storico e giornalista, e' l'autore di The End of Victory Culture, a history of the collapse of American triumphalism in the Cold War era; gestisce il sito TomDispatch.com, che definisce: "un regolare antidoto ai media dominanti". Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio] Cindy Sheehan e' la madre di Casey, un soldato ucciso a Sadr City il 4 aprile 2004, pochi giorni dopo il suo arrivo in Iraq. Il movimento che sostiene Cindy ha preso forma nelle ombre, su internet, ha cominciato a mostrarsi in forze nei campi a Crawford, ed attualmente sembra in grado di mutare la mappa politica degli Usa. Quando arrivo alla dimostrazione Cindy e' una figura distante, che cammina con una troupe di "Good Morning America" fra le croci bianche che sono state piantate qui. Jodie, una delle attiviste antiguerra di "Code Pink" che indossa uno stravagante cappello ornato di piume rosa, mi dice di restare nei paraggi con Joan Baez, i genitori dei soldati, i veterani, i giornalisti e tutta quest'altra gente: Cindy non manchera' all'appuntamento che ha con me. Ad ogni passo che fa, viene circondata dalla folla. Abbraccia qualche persona, si fa fotografare con chi glielo chiede, ascolta brevemente ma con attenzione chi le dice che e' venuto dalla California o dal Colorado solo per incontrarla. E' incrollabilmente paziente. Ha una parola per ciascuno e per tutti. Piu' tardi mi dira': "La maggior parte delle persone, se mi seguisse per un'intera giornata, andrebbe in coma gia' alle undici del mattino". La sua figura mi sorprende. E' imponente, alta, certamente mi sovrasta. Forse sono sorpreso perche' generalmente si pensa che una madre ferita debba essere, in qualche modo, una creatura piccola e "diminuita". Infine, pochi minuti dopo le cinque del pomeriggio, Jodie mi fa un fischio e mi conduce al sedile posteriore di un'auto, dove Cindy siede fra me e Joan Baez. La sorella di Cindy, Dede, che indossa una maglietta con su scritto "Tutto cio' che la guerra puo' fare, la pace sa farlo meglio", sale al posto di guida. Mentre l'auto si muove, Cindy si volta verso di me: "Cominciamo?". * - Tom Engelhardt: Tu hai detto che gli errori fatali della presidenza di George Bush sono l'Iraq e l'uragano Katrina. A che punto credi stiamo, oggi? - Cindy Sheehan: L'invasione dell'Iraq e' stata un grosso errore, una guerra politica. I soldi che dovevano servire per le truppe sono finiti nelle tasche dei profittatori. Non solo non dovremmo essere la', ma l'esserci rende il nostro paese molto vulnerabile. La guerra sta creando nemici per i nostri figli e i figli dei nostri figli. Uccidere arabi musulmani innocenti, che non avevano alcuna animosita' verso gli Usa ci sta solo creando problemi. Katrina e' stato un disastro naturale, ma il disastro creato dagli uomini subito dopo e' stato orribile. Voglio dire, in primo luogo tutte le nostre risorse sono in Iraq, in secondo luogo le scarse risorse che avevamo sono state usate troppo tardi. George Bush giocava a golf e mangiava la torta di compleanno con John McCain mentre la gente se ne stava appesa alle proprie case pregando di essere soccorsa. Il presidente e'' del tutto "disconnesso" da questo paese, e dalla realta'. Ho sentito un commento, ieri, che mi smebra perfetto. Un uomo mi ha detto che Katrina sara' per Bush quello che Monica e' stata per Clinton. E' vero, solo che e' assai peggio. * - Tom Engelhardt: Che le famiglie di soldati uccisi guidino un movimento contro la guerra suona logico, ma storicamente parlando e' insolito. Mi domando cosa pensi tu, voglio dire, del perche' e' accaduto qui, ed e' accaduto ora. - Cindy Sheehan: Questa domanda e' un po' come quella che mi fanno certe persone: "Perche' nessuno aveva mai pensato prima di andare a protestare al ranch di Bush?". * - Tom Engelhardt: Vero, intendevo chiederti anche questo. - Cindy Sheehan: (ride) Non lo so. So che l'ho pensato e l'ho fatto. Degli impegni che avevo sono stati cancellati e cosi' mi sono trovata con l'intero mese di agosto libero. Sono andata a Dallas, al convegno dei Veterani per la Pace. L'ultimo colpo era arrivato il 3 agosto, con i 14 marines uccisi e George Bush che diceva che tutti i nostri soldati erano morti "per una nobile causa", e che noi dovevamo onorare il loro sacrificio continuando la missione. In quel momento non ne ho potuto piu'. Quel che e' troppo e' troppo, e cosi' mi e' venuta l'idea di andare a Crawford. Il primo giorno eravamo in sei, seduti nelle sdraio sotto le stelle. Poi e' cominciata ad arrivare moltissima gente e abbiamo pianificato l'azione man mano che le condizioni cambiavano, spontaneamente. Per essere una cosa cosi' spontanea e' risultata efficace, ha funzionato. * - Tom Engelhardt: Tu hai scritto che il rifiuto di incontrarti da parte di George Bush e' stata la scintilla che ha incendiato la prateria. E che il fatto di rifiutarsi riflette la sua vigliaccheria. Hai anche detto che se ti avesse incontrato quel giorno... - Joan Baez: Quel giorno fatale... - Tom Engelhardt: Si', hai scritto che se ti avesse incontrata in quel giorno fatale le cose potevano andare assai diversamente. - Cindy Sheehan: Se mi avesse ricevuta, so che mi avrebbe mentito. Gli avrei chiesto ragione delle sue menzogne e non sarebbe stato un bell'incontro, ma avrei lasciato Crawford, e probabilmente avrei rilasciato qualche intervista e scritto qualcosa su quello che era accaduto. La cosa non avrebbe acceso la scintilla di questo grande e variegato movimento per la pace. Percio', credo che abbia fatto un favore al movimento per la pace rifiutandosi di incontrarmi. * - Tom Engelhardt: Penso che l'errore peggiore l'abbia fatto mandando a parlarti il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley e il capo dello staff della Casa Bianca Joe Hagin, come se tu fossi stata il primo ministro della Polonia. (Cindy ride) E allora, cosa ti hanno detto questi due? - Cindy Sheehan: Mi hanno chiesto: "Cosa vuoi dire al presidente?". E io ho risposto: "Voglio chiedergli qual e' la nobile causa per cui mio figlio e' morto". E loro sono andati avanti un bel po' con "rendere l'America sicura dal terrorismo, e la liberta' e la democrazia, bla bla bla". Tutte scuse che non intendevo accettare e se dovevo sentirle, volevo sentirle dal presidente. Poi hanno parlato delle armi di distruzione di massa come se ci credessero davvero. E io facevo: "Ma no, non mi dica, signor Hadley, davvero?". Alla fine ho detto: "Questa e' una perdita di tempo. Posso anche essere una madre addolorata, ma non sono una stupida. Sono ben informata, e voglio incontrare il presidente". Mi risposero che gli avrebbero riportato le mie parole. Ad un certo punto avevano detto: "Non siamo venuti qui credendo di cambiare il suo punto di vista politico". E io ho replicato: "Invece si', siete venuti per questo". Credevano di intimidirmi, di impressionarmi con quegli alti funzionari. Credevano che dopo averli sentiti io avrei detto: "Oh, non avevo considerato questa cosa. Va bene ragazzi, lasciamo stare". E' stata una mossa che gli si e' ritorta contro, mandarmeli, perche' di colpo ho acquisito credibilita' e i media hanno pensato che la storia valesse la pena di essere raccontata. * - Tom Engelhardt: Si', com'e' stato? Da un anno leggevo i tuoi interventi in internet, pero'... - Cindy Sheehan: Nei circoli progressisti ero gia' abbastanza nota. Ma di colpo sono diventata nota in tutto il mondo. Le mie figlie erano in vacanza in Europa quando mia madre ebbe il collasso. Mio marito ed io decidemmo di non dirlo alle ragazze, per non rovinare la loro vacanza, ma loro ebbero la notizia dalla tv. Questa cosa e' divampata portando attenzione, anche non voluta come quella che mi riservano i media di destra, ma non mi turbano per niente. Io stavo lavorando gia' da un bel po', avevo fatto conferenze stampa, interviste. E' solo l'intensita' che e' cambiata, il mio messaggio e' rimasto lo stesso. Non e' stato un colpo di testa il 6 agosto, per dire. I media non riuscivano a credere che qualcuno potesse mandare un messaggio come il mio facendolo in modo articolato ed intelligente. In primo luogo sono una donna, in secondo luogo sono una madre addolorata, e allora bisogna marginalizzarmi, e dire che qualcuno mi muove come una marionetta. In fondo il nostro presidente articolato ed intelligente non lo e' mai, percio' qualcuno gli tira i fili e allora qualcuno deve tirare i fili anche a Cindy Sheehan. Questo mi ha offesa. Riesci a pensare a qualcuno che mi mette le parole in bocca? (ride) Prova a chiedere in giro! * - Tom Engelhardt: Vorrei che mi parlassi della tua schiettezza, del modo diretto in cui ti esprimi, perche' le parole che usi, come "crimini di guerra", non sono parole che gli americani sentono spesso. - Cindy Sheehan: Tutto quel che devi fare e' considerare il Tribunale di Norimberga o la Convenzione di Ginevra. Chiaramente si commettono crimini di guerra. Chiaramente questi li hanno commessi, e' nero su bianco, non sono io che me ne vengo fuori con un'idea astratta. Hanno rotto ogni trattato. Hanno disatteso la nostra Costituzione, la Convenzione di Ginevra, tutto. Se qualcuno questo non lo dice, significa forse che non e' successo? Ma qualcuno doveva dirlo, e l'ho fatto io. Ho definito Bush un terrorista. Lui dice che un terrorista e' qualcuno che uccide gente innocente, la definizione e' sua. Percio', per sua stessa definizione, George Bush e' un terrorista, visto che ci sono almeno 100.000 iracheni innocenti che sono stati uccisi. E afgani innocenti che sono stati uccisi. E penso che l'opposizione tradizionale sia contenta che sia io a dirlo, cosi' non devono farlo loro. Non sono abbastanza forti o coraggiosi, oppure pensano di giocarsi qualche posizione politica. * - Tom Engelhardt: Ho letto un sacco di articoli in cui tuo figlio Casey viene dipinto come un ragazzo "casa e chiesa", come il perfetto boy scout. Ti andrebbe di dirmi qualcosa su di lui? - Cindy Sheehan: Era molto calmo. Non l'ho mai visto furioso, o sfrenato. Ho un altro figlio, e due figlie. Lui era il maggiore, e gli altri lo adoravano. Non ha mai dato nessun problema, ma era uno che procrastinava, il tipo di persona che se doveva presentare un lavoro importante a scuola aspettava l'ultimo giorno utile per farlo. Ma quando ebbe un lavoro, perche' lavorava a tempo pieno prima di entrare nell'esercito, non e' mai arrivato in ritardo, ne' ha perso una giornata in due anni. La ragione per cui parlano di lui come "casa e chiesa" e' perche' la chiesa era il suo principale interesse, persino quando ci lascio' per entrare nell'esercito. Dava una mano in chiesa, non mancava mai alla messa. Era diventato quello che chiamano "ministro eucaristico". * - Tom Engelhardt: Perche' decise di entrare nell'esercito? - Cindy Sheehan: Fu un reclutatore ad agganciarlo, probabilmente in un momento in cui lui era vulnerabile. Gli promise un mare di cose, e non mantenne neppure una delle sue promesse. Era il maggio del 2000. Non c'era stato l'11 settembre, George Bush era di la' da venire. Quando Bush divenne il "comandante in capo" di mio figlio, il suo destino fu segnato. George Bush era intenzionato ad invadere l'Iraq ancora prima di essere eletto presidente. Lo disse quando era ancora governatore del Texas: "Se fossi io il comandante in capo, ecco cosa farei". Per tornare a mio figlio, il reclutatore gli promise 20.000 dollari. Ne ebbe solo 4.000 alla fine dell'addestramento avanzato. Gli era stato promesso un computer portatile, cosi' avrebbe potuto seguire le lezioni dovunque fosse stato mandato. Non l'ha mai avuto. Gli promisero che avrebbe potuto terminare il college, perche' aveva frequentato un solo anno prima di entrare nell'esercito. Non glielo hanno mai lasciato fare. La cosa piu' terribile che il reclutatore gli promise e' che non sarebbe mai andato in guerra, neppure se ne fosse scoppiata una, perche' aveva ottenuto risultati cosi' alti nel test Asvab (detto anche "valutazione delle possibilita' di carriera") che non sarebbe stato mandato a combattere, ma avrebbe avuto un ruolo di sostegno. Era in Iraq da cinque giorni quando fu ucciso. * - Tom Engelhardt: Qual e' il tuo background politico? - Cindy Sheehan: Sono sempre stata una liberale democratica, ma non credo che quello che faccio sia di parte. Riguarda la vita e la morte. Nessuno ha chiesto a Casey di che partito politico era, prima di mandarlo a morire in una guerra ingiusta e immorale. * - Tom Engelhardt: So che hai incontrato Hillary Clinton ieri. Cosa pensi in generale dei democratici? - Cindy Sheehan: Che sono stati deboli. Penso che Kerry abbia perso perche' non ha contrastato con sufficiente forza Bush a proposito della guerra. Si e' presentato come un incubo peggiore di Bush: "Mandero' piu' truppe, daro' la caccia ai terroristi e li faro' fuori!". Queste non erano le cose giuste da dire. Le cose giuste da dire erano: "Questa guerra e' sbagliata, George Bush ci ha mentito e delle persone sono morte a causa delle sue bugie: queste persone non avrebbero dovuto morire. Se sara' eletto, faro' di tutto per portare a casa i nostri soldati al piu' presto possibile". Purtroppo, invece di accorgersi che il fallimento di Kerry stava proprio nel non aver preso posizione, i democratici hanno continuato a dire le stesse cose. Howard Dean se ne e' venuto fuori con una dichiarazione in cui augura al presidente di aver successo in Iraq. Cosa significa? Come puo' aver successo qualcuno che non ha obiettivi, la cui missione non e' definita, i cui scopi non sono chiari? Quello che abbiamo fatto a Camp Casey dovrebbe aver dato ai democratici una scossa. Comunque le porte sono aperte, ai democratici ed ai repubblicani. Come ha detto l'ex deputato al Congresso Tom Andrews: se non vogliono vedere la luce, allora sentiranno il calore. E io credo lo stiano sentendo. Le cose cominciano ad accadere: alcuni repubblicani come Chuck Hagel e Walter Jones non sono piu' in linea con il partito. Abbiamo incontrato un politico repubblicano ieri, per il momento non voglio fare il suo nome per non bruciarlo, ma sembra qualcuno con cui si puo' lavorare. Naturalmente, quando ci saranno le elezioni per il Congresso, diremo pubblicamente ai suoi elettori che sulla guerra si puo' lavorare con lui. * - Tom Engelhardt: Il movimento contro la guerra pensa di influenzare le elezioni come forza politica? - Cindy Sheehan: E' la guerra la questione, la posizione che si ha rispetto alla guerra. Se alle persone interessa questa cosa, allora devono lavorarci sopra. Stiamo per dare inizio alla campagna "Incontra le madri". Andremo a disturbare ogni singolo deputato e ogni singolo senatore, affinche' attesti con esattezza da che parte sta rispetto alla guerra. La gente dello stato di New York, per esempio, potra' dire ai propri senatori: se non dici con chiarezza che le truppe vanno portate a casa al piu' presto possibile, non ti rieleggeremo. * - Tom Engelhardt: Il colloquio con Hillary Clinton e' stato soddisfacente? - Cindy Sheehan: La sua posizione e' ancora quella di mandare piu' soldati e di onorare il sacrificio dei caduti, suona come la posizione di Bush. Ma il dialogo e' stato aperto. * - Tom Engelhardt: Non ti sembrano strani questi politici, come il senatore Joe Binden, che chiedono di mandare altre truppe in Iraq, quando tutti sappiamo che non ci sono altre truppe? - Cindy Sheehan: Si', e' una cosa folle. Dove pensano di prenderle? Mandiamo altri soldati in Iraq e lasciamo il nostro paese ancora piu' vulnerabile ai disastri di qualunque tipo? * - Tom Engelhardt: Tu vuoi che le truppe siano ritirate subito. Bush non intende farlo, ma hai pensato a come procederesti tu se potessi farlo tu stessa? - Cindy Sheehan: Quando diciamo "subito", non intendiamo che tutti possano essere a casa domani. Spero che questo si capisca. Bisogna iniziare il ritiro dalle citta', portando i soldati ai margini e poi fuori. L'esercito va rimpiazzato con forze irachene, per ricostruire il paese. Tu lo sai, hanno la tecnologia e le capacita' per farlo, ma non hanno lavoro. Quanto disperato deve essere un uomo per mettersi in fila allo scopo di ottenere un posto nella Guardia Nazionale irachena? Vengono uccisi solo stando li' ad aspettare lavoro! Bisogna dar loro il sostegno di cui hanno bisogno per ricostruire un paese che e' nel caos. Quando il nostro esercito andra' via, un bel po' di violenze cesseranno. Ci saranno magari lotte a livello regionale fra le differenti comunita', ma questo accade gia' ora. Gli Inglesi crearono questo paese mettendo insieme pezzi che insieme non volevano stare: forse avrebbero dovuto essere tre nazioni, non una, ma questa e' una decisione che compete a loro, non a noi. * - Tom Engelhardt: E che ti aspetti per il futuro? Abbiamo ancora piu' di tre anni e mezzo di amministrazione Bush. - Cindy Sheehan: No, non li abbiamo! (sorride) Ricordati che Katrina sara' la Monica di Bush. Non e' piu' una questione di "se", e' una questione di "quando" perche' chiaramente questi sono criminali. Voglio dire, guarda chi ha avuto i contratti per ripulire e ricostruire New Orleans. E' ancora la Halliburton. E' pazzesco. Ma e' cosi' che accadra'. So che le indagini sono state richieste. George Bush e' giusto pronto ad implodere. Gli hai dato un'occhiata, ultimamente? E' un uomo che ha perso totalmente il controllo della situazione. * Coloro che volessero leggere di Cindy Sheehan nelle sue stesse parole possono consultare il suo archivio nel sito www LewRockwell.com, oppure dare un'occhiata al sito www.Afterdowningstreet.com che presenta puntualmente le sue attivita'. 4. MONDO. MARINA ZENOBIO: LA LUNGA MARCIA DELLE AGRICOLTRICI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 ottobre 2005. Marina Zenobio, giornalista, segretaria di redazione del quotidiano "Il manifesto", scrive particolarmente su ambiente, diritti umani, America Latina] Coltivano mais, fagioli, canna da zucchero, coca e cacao, yucca e maracuya'. Parlano lingue diverse, provengono da paesi diversi e hanno colori della pelle diversi. Hanno pero' in comune l'essere donne, e agricoltrici, latinoamericane e caraibiche. Oggi si renderanno visibili, con una marcia simultanea, ognuna nei propri paesi e nel rispetto della propria cultura e tradizioni. E' il primo risultato del secondo incontro della "Red de mujeres rurales de America latina y del Caribe" che si e' tenuto dal 25 al 30 settembre a Tlaxcala, in Messico: 260 rappresentanti di cento organizzazioni provenienti da 19 paesi, unite dal desiderio di trasformare il mondo, per essere riconosciute come soggetti di diritto. La maggioranza fa parte di movimenti organizzati e impegnati nella costruzione, al femminile, di nuovi spazi per potersi sviluppare autonomamente. Portano avanti una difficile lotta contro l'emarginazione, il razzismo, l'invisibilita' imposta da parte dei governi e la discriminazione nelle comunita' in cui vivono. Molte di loro, denuncia la Rete, non hanno accesso all'istruzione anche se qualche programma educativo rivolto al mondo femminile rurale si sta sviluppando in Brasile, Argentina, Uruguay e Costa Rica. Le bambine vanno presto a lavorare nei campi, diventano donne e madri presto, troppo presto. Le piu' fortunate sopravvivono al parto grazie alle "parteras", le levatrici tradizionali che le assistono, ma nei casi piu' gravi non c'e' assistenza adeguata che le aiuti. Non arriva sufficiente informazione sui metodi anticoncezionali, con conseguenti gravidanze indesiderate e alti livelli di morte per aborti "fatti in casa". * La "Rete delle donne agricoltrici dell'America Latina e dei Caraibi" denuncia anche che i mezzi di comunicazione non parlano delle loro realta', delle condizioni in cui vivono, anzi sviliscono i loro valori culturali e la loro identita'. Nonostante producano la sussistenza alimentare per intere comunita', e abbiano tramandato per generazioni conoscenza e cultura, le donne agricoltrici continuano ad avere un accesso limitato alle risorse naturali, alla terra e all'acqua e, soprattutto, alle risorse economiche come i sussidi e i crediti. Nella maggioranza dei paesi latinoamericani esistono solo politiche assistenziali che mal si accompagnano con le esigenze delle donne che vivono e lavorano nei campi. Non e' raro poi incontrare contadine prive di documenti perche' i governi locali hanno reso talmente complicato registrare le nascite nelle zone rurali, che quando nasce una bambina la famiglia ci rinuncia. La conseguenza e' che questa "inesistenza" le rende inabili all'esercizio dei loro diritti economici, sociali, culturali e politici. * Obiettivo della Rete e' far conoscere alle donne agricoltrici dell'America Latina e dei Caraibi i loro diritti, in particolare alle nere e alle indigene vittime in percentuali piu' alte di discriminazione, violenze psicofisiche e sfruttamento. La violenza e gli abusi sessuali contro le donne e' un male sociale che si consuma in diversi ambiti, anche in famiglia. E' aumentato il numero di donne uccise dai mariti o ex, persino dai padri o patrigni. Nelle aree dove ci sono conflitti armati - come nelle zone rurali della Colombia, esempio piu' emblematico - militari e paramilitari si accaniscono in particolar modo contro di loro, e non esistono ricerche ufficiali che permettano di approfondire le cause di suicidi delle donne agricoltrici nel subcontinente americano. Il documento finale tira le somme dei ritardi governativi riguardo alle problematiche del mondo rurale femminile, impegna i gruppi che fanno parte della Rete a portare avanti la lotta per uno sviluppo autonomo. Ma punta il dito anche contro il progetto di globalizzazione economica che contribuisce ad aumentare lo sfruttamento e le disuguaglianze di genere, imponendo alle regioni latinoamericane e caraibiche un ruolo subalterno ai paesi ricchi che dominano il mercato mondiale. 5. MONDO. MICHAEL LUONGO: LE DONNE AFGANE COSTRUISCONO I PROPRI CONSIGLI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo. Michael Luongo e' scrittore, fotografo e giornalista indipendente, ha lavorato spesso in Afganistan e vi si trova tuttora; ha collaborato con il "New York Times", "Chicago Tribune", "National Geographic Traveler", "Out Traveler" e numerose altre pubblicazioni; ulteriori suoi reportage dall'Afghanistan si trovano nel suo sito: www.michaelluongo.com] Herat, Afganistan. Quattro anni dopo la caduta dei talebani, l'Afghanistan attende i risultati finali, il 22 ottobre, delle elezioni parlamentari e provinciali, che si sono tenute per la prima volta dopo piu' di trent'anni. Dai risultati preliminari, sembra che le donne abbiano ottenuto una forte presenza. Un quarto dei seggi in Parlamento e nei Consigli provinciali erano riservati alle donne. Nel frattempo il paese, immerso nelle rovine della guerra dal 1973, continua a ricostruire se stesso, strada dopo strada e organizzazione dopo organizzazione. Una di queste ultime, "La voce delle donne", si e' formata ad Herat nel 1998, quando i talebani erano ancora al potere. L'organizzazione era illegale, ed operava in segreto, insegnando alle bambine e alle giovani donne a leggere e scrivere dietro porte chiuse. "Ci incontravano nella mia casa o nella casa di altre donne", racconta la fondatrice del gruppo, Suraya Pakzad, trentaquattrenne, "Regalavamo libri alle donne che si riunivano per leggerli, formando delle 'zone di lettura'. Ogni 'zona' aveva un forno, cosi' se venivano scoperte potevano bruciare i libri. Quando il regime talebano cadde continuammo il nostro lavoro apertamente, insegnando non solo a leggere e scrivere ma suscitando consapevolezza nelle donne per quel che riguarda i loro diritti. Siamo state la prima ong di donne registrata dal nuovo governo". * Durante le elezioni, Suraya Pakzad si e' concentrata sul diritto di voto delle donne, ma l'impegno principale del gruppo oggi e' favorire la nascita degli "shura", o "consigli delle donne", nei villaggi che circondano Herat, ed il collegare in rete quelli gia' esistenti. Negli shura si discute di politica, dice Pakzad, ma il punto chiave e' semplicemente mettere insieme le donne, di modo che possano parlare di qualsiasi istanza senza la supervisione degli uomini. I consigli delle donne forniscono anche formazione professionale nel campo della tessitura, ed i fondi iniziali per le donne che vogliano dare inizio ad un'attivita' in proprio nel campo tessile. Un nuovo shura e' in costruzione nel villaggio di Fatobat, a circa un'ora di automobile dal centro di Herat, nel distretto di Zandagen. La terra su cui si sta costruendo l'edificio e' stata donata dalla ventottenne Massumi Jami, quando ha deciso di demolire una vecchia casa di sua proprieta'. Ci vorranno alcuni mesi prima che i lavori siano terminati: nel frattempo, il consiglio si riunisce nel salotto di Jami, in cui entrano al massimo 40 donne, ma ce ne sono molte di piu' che affollano il cortile. L'edificio che ospitera' il consiglio in futuro avra' un'ampiezza di 150 metri quadrati, ma forse ancora non sara' ancora abbastanza grande. Nella regione vivono 35.000 donne che potenzialmente potrebbero partecipare agli incontri. Il lavoro di Suraya Pakzad e del suo gruppo, nella zona, include anche affrontare il problema dei numerosi suicidi commessi da donne, con il sistema di cospargersi di benzina e darsi fuoco. Queste donne vedono il suicidio come l'unica via di fuga da situazioni familiari intollerabilmente crudeli e disumanizzanti. L'ospedale principale di Herat ha un reparto ustionati molto indaffarato: circa 20 donne al giorno vengono curate prima di essere rimandate e casa, e le medicine, i bendaggi e gli aiuti sono risicati. Il gruppo di Pakzad paga direttamente i salari ai medici del reparto perche' restino dove si trovano e non passino ad altri settori; inoltre, ha regalato all'ospedale una lavatrice, di modo che le bende possano essere lavate ed usate di nuovo. L'organizzazione internazionale "Women for Afghan Women" e' il principale sostegno finanziario del gruppo. La dottoressa Esther Hyneman, direttrice della sezione newyorkese di "Women for Afghan Women", dice che anche il progetto degli shura viene sostenuto: "L'idea e' quella di dare alle donne l'autorita' ed i mezzi per modificare la situazione in cui vivono, trovando modi per avere un lavoro, imparando a leggere e scrivere, ed anche avendo assistenza legale. L'empowerment delle donne e' il modo migliore di prevenire la terribile epidemia di autoimmolazioni e il modo migliore di sollevare l'Afghanistan dal fondo della classifica Onu sullo sviluppo umano, in cui si trova attualmente". * Durante la campagna elettorale di agosto e settembre, Pakzad si e' concentrata sul registrare le donne come elettrici, e sull'informarle di qual era la posta in gioco. "Per piu' di venticinque anni, le donne di questo paese hanno sofferto tantissimo", dice, "E' qualcosa che ormai portiamo nel sangue. Speriamo che le donne candidate questo lo ricordino. La vista dei manifesti elettorali con i volti di donne, in tutto il paese, e' qualcosa che mi ha incoraggiata: una cosa del genere era impossibile da immaginare fino a pochi anni fa". E' stata particolarmente soddisfatta, aggiunge, dal vedere donne candidate nelle province. Mentre l'attenzione internazionale cade quasi esclusivamente sulla capitale Kabul, Pakzad afferma che l'impatto di queste elezioni sara' sentito piu' profondamente in provincia, perche' e' in quel contesto che nuove politiche possono creare i cambiamenti piu' significativi per le donne. Fawzia Gailani, candidata al Parlamento a Herat, e' stata la piu' votata in assoluto: i candidati conservatori e religiosi hanno preso meno voti di lei. Tuttavia, Suraya Pakzad e' prudente rispetto alla valutazione del potenziale di queste prime elezioni. "Il lavoro per aiutare le donne di Herat dovra' continuare a lungo, ben dopo che avranno finito di contare i voti". 6. MONDO. MARINA FORTI: RIFUGIATI AMBIENTALI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 ottobre 2005. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Nei prossimi cinque anni, qualcosa come 50 milioni di persone si trasformeranno in "rifugiati ambientali", persone costrette a muoversi per sfuggire al degrado ambientale. Una previsione catastrofista? Forse, ma a diffonderla e' un istituto molto serio, l'Istituto per l'ambiente e la sicurezza umana dell'Universita' delle Nazioni Unite (Unu-Ehs). In un lungo comunicato pubblicato martedi', in occasione della "Giornata mondiale dei disastri naturali" celebrata dall'Onu, l'istituto che ha sede a Bonn afferma che "ci sono fondati timori che il numero di persone che fuggono condizioni ambientali insostenibili crescera' esponenzialmente via via che il mondo sperimenta gli effetti del cambiamento del cima e altri fenomeni". Il direttore dell'Unu-Ehs, Janos Bogardi, sostiene che "questa nuova categoria di rifugiati deve trovare un posto nei trattati internazionali. Dobbiamo prevedere le necessita' di assistenza, proprio come per le persone che fuggono per altre situazioni". La sostanza del problema e' chiarissima: persone costrette a emigrare perche' il luogo dove vivono non e' in grado di sostenere la presenza umana. Le vittime di catastrofi naturali improvvise - come l'onda di tsunami in Asia nel dicembre del 2004, o un uragano come Katrina - sono visibili e di solito beneficiano di sostegno e aiuto umanitario pubblico e privato. Janos Bogardi (intervistato dal quotidiano online "Environmental News Service") fa notare che non e' cosi' per i milioni di persone costrette a sfollare da cambiamenti ambientali piu' graduali - il riscaldamento globale, ad esempio, o catastrofi "lente" come la desertificazione, la diminuzione delle riserve idriche, o l'innalzamento del livello del mare portato dal mutamento del clima. Si pensi che Marocco, Tunisia e Libia perdono ciascuno oltre mille chilometri quadrati di terra produttiva ogni anno a causa della desertificazione, o che in Egitto meta' della terra arabile irrigata soffre di salinizzazione (e quindi diventa sempre meno produttiva) e in Turchia 160.000 chilometri quadrati di terra agricola subisce l'effetto dell'erosione dei suoli. La perdita di terre coltivabili non potra' che spingere popolazione agricola a emigrare: su altre terre, se ve ne sono, o piu' probabilmente in citta', o all'estero - in altre parole, il degrado delle terre coltivabili alimentera' la pressione a emigrare. Si sommi la desertificazione e erosione dei suoli all'innalzamento dei mari e all'erosione delle coste - come in Louisiana, che perde circa 65 chilometri quadrati l'anno di costa "mangiata" dal mare, o come in Alaska, dove centinaia di piccoli centri abitati sulle coste settentrionali sono a rischio di franare nel mare artico via via che il permafrost (terreno ghiacciato) si scioglie e la costa e' erosa da ondate sempre piu' forti: il mare avanza di circa tre metri all'anno. Si combini tutto questo alla frequenza crescente di uragani disastrosi. Il risultato, dice l'istituto dell'Unu, E' 'un disastro in attesa', che creera' ondate di migrazioni. L'Istituto cita un caso di migrazione ambientale pianificata in anticipo: e' quello di Tuvalu, piccola nazione insulare del Pacifico che ha firmato un accordo con la Nuova Zelanda perche' questa accetti 11.600 dei suoi cittadini nel caso che l'innalzamento del livello del mare sommerga parte del paese. Insomma: il numero di persone costrette a muoversi per ragioni legate all'ambiente si avvicina e potrebbe presto superare quelle che l'Onu chiama "persone di cui preoccuparsi", a rischio (persons of concern): rifugiati e sfollati all'interno del proprio paese a causa di conflitti, richiedenti asilo, apolidi, in tutto oltre 19 milioni di persone secondo un calcolo recente. Secondo la Federazione internazionale della Croce rossa e Mezzaluna rossa, gia' oggi ci sono piu' persone sfollate da disastri ambientali che dalle guerre. Per questo l'istituto diretto da Bogardi si batte perche' un qualche trattato internazionale imponga alle nazioni di assistere e proteggere anche i "rifugiati ambientali". 7. MAESTRE. HANNAH ARENDT: VERITA' [Da Hannah Arendt, Verita' e politica, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 76. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Concettualmente, possiamo chiamare verita' cio' che non possiamo cambiare; metaforicamente, essa e' la terra sulla quale stiamo e il cielo che si stende sopra di noi. 8. MAESTRE. SIMONE WEIL: SE UNO SCONOSCIUTO [Da Simone Weil, Quaderni. Volume IV, Adelphi, Milano 1993, p. 155 (ma naturalmente, come sempre in Simone Weil, occorre leggere anche il seguito del ragionamento di cui qui presentiamo l'incipit, che svolge il tema nelle forme abissali che il suo sguardo non teme sostenere, nella presa trascendentale che la sua voce, la sua mano offre. L'infinita bonta' di Simone, e la sua inesorabile lucidita'). Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Se si ha fame, si mangia, non per amore di Dio, ma perche' si ha fame. Se uno sconosciuto prostrato ai bordi della strada ha fame, bisogna dargli da mangiare, anche se non se ne avesse abbastanza per se', non per amore di Dio, ma perche' ha fame. Questo significa amare il prossimo come se stessi. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 43 del 16 ottobre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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