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La nonviolenza e' in cammino. 1068
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1068
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 29 Sep 2005 00:23:24 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1068 del 29 settembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Pierluigi Vito: Se vinceranno i si' 2. Francesca Molinari: Il valore di una semplice domanda 3. Paolo Candelari: Si' 4. Enzo Piffer: Si' 5. Silvano Tartarini: Si' 6. Francesco Vignarca: Si' 7. Nella Ginatempo: Manifesto delle vittime civili 8. Francesco Comina: Un incontro con Arturo Paoli a Bolzano 9. "Peace mom" a Washington 10. Giobbe Santabarbara: Le tre carte 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PIERLUIGI VITO: SE VINCERANNO I SI' [Ringraziamo Pierluigi Vito (per contatti: vito at sat2000.it) per questo intervento. Pierluigi Vito, giornalista televisivo, gia' obiettore di coscienza, e' impegnato nell'Azione cattolica, ed e' persona di squisita gentilezza e straordinaria generosita'] Cosa potra' succedere in Brasile se al referendum del 23 ottobre vinceranno i no? Probabilmente niente. O meglio, la violenza e l'ingiustizia continueranno ad esigere il loro abbondante tributo di sangue. Si tirera' avanti come prima, se non peggio. * Cosa potra' succedere se invece vinceranno i si'? Probabilmente le armi da fuoco in circolazione diminuiranno drasticamente. Probabilmente calera' sensibilmente il numero dei morti in sparatorie. Probabilmente ci saranno sempre meno feriti, meno invalidi da sostenere, meno spese per la sanita' pubblica e privata, meno ore di assistenza e riabilitazione dovute a pazienti anche giovanissimi. Probabilmente ci saranno piu' persone in grado di lavorare per sfamare onestamente le loro famiglie. Probabilmente la criminalita' avra' vita un po' piu' dura, le forze dell'ordine potranno garantire la sicurezza delle persone e dei beni (per chi ce li ha...) con pericoli e costi minori. Probabilmente la gente, poco per volta, comincera' a sentirsi piu' tranquilla. Probabilmente le banche investiranno meno soldi in economia mortifera, e qualche spicciolo significativo potrebbe finire in fondi eticamente redditizi. Probabilmente lo Stato brasiliano risparmiera' un bel po' di reali impiegati per sanare i costi sociali di questa strage continua, potendo quindi finanziare progetti di riscatto sociale e bene comune. Probabilmente, qualche altro popolo potrebbe seguire l'esempio brasiliano e cominciare a cambiare il proprio destino. Probabilmente. * E' una scommessa, che ci coinvolge e ci fa sperare per un futuro diverso, magari dai tempi non brevi, in cui giustizia e pace si manifesteranno attraverso le scelte concrete di persone come noi. E che, al prossimo giro di ruota, potremmo essere noi. 2. EDITORIALE. FRANCESCA MOLINARI: IL VALORE DI UNA SEMPLICE DOMANDA [Ringraziamo Francesca Molinari (per contatti: legamoli at libero.it) per questo intervento. Francesca Molinari e' impegnata nelle Donne in nero, nella Societa' italiana di scienze psicosociali per la pace (Sispa), nella Rete verso i corpi civili di pace, ed in molte altre iniziative di pace, per i diritti, per la nonviolenza] Sento l'importanza eccezionale, il ruolo di avanguardia per tutti noi dell'esperienza brasiliana del referendum nel quale il prossimo 23 ottobre i brasiliani saranno chiamati a rispondere se proibire o no il commercio di armi da fuoco e delle munizioni. Non dobbiamo far mancare a chi lo porta avanti il nostro sostegno: non solo come atto di solidarieta' ma come una lotta ideale che e' anche la nostra e che si e' trasformata in questo caso in un atto concreto e importante quale il voto, e in una fertile mobilitazione diffusa per tra la gente nel prepararlo. * Le questioni del mondo di oggi sono troppo grosse, gli organismi internazionali sono in crisi, le soluzioni sfuggono alla portata dei singoli stati, ma possono essere prese in mano dai popoli, da noi, da gruppi e movimenti della cosiddetta societa' civile che si muovono per strade simili nei Paesi del Nord e del Sud del mondo. Questo ci siamo sentiti dire ripetutamente in cento lingue diverse dai rappresentanti riuniti per l'Onu dei Popoli a Perugia e nelle citta' che li hanno ospitati, e l'eco di queste parole mi e' rimasto dentro come la strada da seguire con piu' convinzione. Per questo mi piacerebbe che nella rete delle iniziative di sostegno e di contatti, potesse arrivare alle sorelle e ai fratelli brasiliani, ai movimenti che si stanno impegnando attorno al "Si'" anche un grande poster dove, oltre alle firme delle associazioni, dei gruppi dei movimenti paralleli nel nostro paese, ci fossero anche i nostri volti come per la fotopetizione per il Trattato internazionale sul controllo del commercio delle armi. Che sappiano che dietro le sigle ci sono dei volti, delle persone. * Proprio su questo foglio si leggeva, in un articolo intitolato "Le donne brasiliane dicono si' al referendum per proibire il commercio delle armi": "Secondo i dati ufficiali le donne sono piu' della meta' dell'elettorato in Brasile. La decisione e' nelle nostre mani. Il 23 ottobre diciamo si' al diritto a vivere senza armi". Pur sapendo che essere donna non significa essere per forza dalla parte della pace e della pace attiva e consapevole, ugualmente sono convinta che forse come donne abbiamo meno strada da fare per avere certezze in materia, il che e' un buon punto di partenza per arrivare a condizionare le scelte in tema di guerra, di armi, di rifiuto della violenza delle armi, anche se nelle stanze dei bottoni ovunque esse siano siamo spesso in svantaggio. Vorrei che noi donne prestassimo fede a cio' che da sempre intuiamo e che non ci facessimo fuorviare da nessuno: non c'e' problema che non possa essere almeno affrontato parlando terra terra da umani che si incontrano su cio' che li unisce: la fame, la sete, la stanchezza, il dolore, il bisogno di affetto, di appoggio, la fragilita', la sensibilita' per cio' che riguarda i figli, i bambini e le bambine, per chi amiamo, per chi sappiamo dipendere dal nostro aiuto, la pena per chi sta male, l'istinto di soccorrerlo qui e ora con i mezzi piccoli o grandi che abbiamo qui e ora, la voglia di andare d'accordo e di sentirci uniti, la difficolta' a nascondere i propri sentimenti, la voglia di esprimerli, la tendenza istintiva a dar nutrimento, a far crescere esseri viventi ma anche situazioni, il sentire che a volte hanno tutti ragione e la difficolta' a scegliere, il gusto per le cose semplici e per le favole che finiscono bene, la magnifica illusione che tutto si potrebbe risolvere con il miracolo non di un convincimento ma addirittura di una "conversione" del "nemico", l'essere costrette a mettere allo scoperto queste che altri chiamano"debolezze", il bisogno di essere capite, trattate con dolcezza, ascoltate, amate, aiutate, e anche di potere aiutare con cio' che abbiamo, come siamo, senza perdere la spinta istintiva che ci fa credere a volte nella forza onnipotente dei nostri slanci, delle nostre intuizioni prima che ci siano "segate" in nome di strade piu' "serie", piu' efficaci. Spesso queste presunte "strade piu' efficaci" portano a soluzioni violente, o comunque a forme di un agire politico astratto, di chi non "abita" con tutto se stesso quello di cui si sta occupando, all'indifferenza, al tirarsi da parte coperti solo da una presenza formale nelle vicende che ci attraversano nel quotidiano, nella vita lavorativa, sociale, nella politica. * Le donne che sono intervenute all'assemblea dell'Onu dei popoli non hanno lasciato a casa tutto questo mentre parlavano con forza, passione e competenza di globalizzazione, di strategie contro le disuguaglianze, di chi e che cosa puo' riformare l'Onu, e credo che esse siano state l'ossatura vivente di quelle giornate, come anche della vita su questo pianeta. Da Bridget Norguri, rappresentante del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogone in Nigeria, che difende la sua terra dalle 31 multinazionali del petrolio che vi si sono installate sfruttando la popolazione per il benessere del mondo occidentale, uccidendo da 500 a 700 persone per difendere le pipelines; che ha perso la madre uccisa nel '95 insieme con altre mille vittime della guerra del petrolio, ad Abir Al Sahlani, una giovane donna irakena dell'Iraqi Al-Amal Association che ci dice: "Mettete via le armi, non abbiamo piu' bisogno di armi, non sostenete piu' i gruppi armati". A Zainap Gasheva, cecena, che ritrovava la propria condizione nei discorsi delle altre donne ma si rammaricava che nessuno sapesse niente della Cecenia - solo che e' terra di separatisti, terroristi, banditi. E' invece anche una terra di ingiustizia, di miseria, di sopraffazione, di dolore, di 200.000 orfani, una terra dove le madri vedono sparire i propri figli anche di 10-11 anni per poi ritrovarli morti torturati: e questo anche grazie alle armi italiane liberamente vendute anche a stati che violano i diritti umani e le liberta' fondamentali, stati nei quali sono in atto conflitti armati, violenza diffusa, embarghi d'armi. In particolare, "tra gli esempi piu' eclatanti c'e' la Federazione Russa il cui governo conduce un conflitto aperto con i separatisti ceceni, ed e' stato ripetutamente richiamato dal Consiglio europeo per l'asprezza dei metodi di repressione utilizzati, e tuttavia ha potuto importare dall'Italia oltre 14 milioni di euro di armi di piccolo calibro" come ci ricorda Elisa Lagrasta nell'utilissimo ultimo fascicolo di "Azione Nonviolenta", speciale sul disarmo. Qui in Italia abbiamo di che occuparci a spiegare le conseguenze delle scelte dei nostri governi sulle sorti dei paesi del Sud del mondo e anche sulle nostre stesse sorti. E poi la cultura della violenza come soluzione ai problemi, delle armi come soluzione al problema della sicurezza nelle case, nelle citta', nelle campagne, nella lotta al terrorismo, quando in proposito sempre a Perugia Sohaila, una giovane attivista della ong umanitaria afgana Rawa che avevamo ospitato come Donne in Nero anche nella nostra citta', disilludendoci sul fatto che la guerra abbia portato nel suo paese pace e democrazia, ci ricordava che se a Kabul e in altre citta' piu' grandi si respira oggi un clima di maggiore sicurezza, nelle aree rurali, che sono il regno incontrastato dei signori della guerra, nessuno - civile o militare anche armato fino ai denti - si attenta ad andare, impotente con tutte le sue armi. * Da dove trovano ispirazione, e soprattutto la forza di rifiutare la strada della vendetta, nonostante la crudezza della loro diretta esperienza, i familiari delle vittime della guerra e del terrorismo se non da quel "sentire" di cui parlavo prima raccontando con sincerita' le mie "debolezze" di donna, quell'approccio spesso considerato infantile (quale onore essere accomunata ai bambini!), accettabile al massimo forse in persone un po' alterate, magari indebolite da un handicap, cosi' poco adatto, i piu' ritengono, alle grandi e complesse questioni che sempre piu' spesso sono affrontate con le guerre o con conflitti mal gestiti nella politica, con l'ingiustizia sociale nell'economia, con la restrizione dei diritti umani nelle strategie per garantire la sicurezza. Dando dignita' di valore reale (perche' appartenente all'essere umano nei suoi momenti migliori, quelli cioe' che ci garantiscono la vita e la rendono comunque vivibile anche nella difficolta') a questo piano di bisogni profondi che costituisce, si puo' dire, la falda sotterranea dove si puo' agire per affrontare i conflitti non nel sangue, credo possiamo finalmente andare a raccontare che anche qui da noi avere le armi in casa lungi dal proteggerci ci mette in maggior pericolo, un pericolo piu' grande del 57% ci dicono le statistiche, ed invece conoscere il vicino, osservare la gente, immedesimarsi negli altri, mantenere aperti i canali della comunicazione, offrire disponibilita', chiedere a propria volta sostegno, prendere atto che siamo tutti interdipendenti a tutti i livelli, conoscere l'altro e attraverso l'altro anche meglio noi stessi, essere consapevoli degli effetti dei nostri gesti, parole e azioni sugli altri... tutto questo ed altro ancora naturalmente puo' garantirci piu' sicurezza del poliziotto di quartiere. * Si', credo che possiamo anche noi dare questa testimonianza di non credere di fatto nelle nostre scelte quotidiane e nel nostro stile di vita alla violenza come soluzione. "Se lo facciamo noi, di perdonare, potete farlo anche voi", vanno dicendo nelle scuole - luoghi, loro dicono, fatti per fare crescere i ragazzi nell'odio -, Adel Misk, palestinese, e Hagit Shapira, israeliana, del "Parent's Circle Families Forum". Io credo che siamo in molti a non volere rinunciare alla presenza in noi di queste forze (piu' o meno sotterranee, piu' o meno forti, ma comunque presenti), orientate alla vita, alla condivisione anche del dolore, delle quali ci danno testimonianze persone come queste, e come Joe Berry, inglese che e' riuscita ad incontrare e diventare amica dell'uomo che dieci anni fa mise la bomba che uccise suo padre: "ho imparato da lui, viene da luoghi di grande sofferenza, anch'io ho dentro di me quello che lui ha dentro". L'Associazione delle vittime dell'11 settembre ci ha annunciato che tra breve Bologna ospitera' una conferenza mondiale di tutte le associazioni dei familiari delle vittime della violenza. * Questo e' il terreno culturale da coltivare perche' la nostra legge relativamente severa sulla vendita, la detenzione, l'uso delle armi (pistole, revolver, fucili, carabine, materiale esplosivo), non arretri di fronte a chi chiede piu' liberta' di usarle per "difendere la proprieta' e la sicurezza", e perche' aumenti il controllo sull'esportazione delle armi civili "che possono circolare liberamente e raggiungere senza difficolta' anche teatri di guerra e di violenza diffusa" (come scrive ancora Lagresta nell'articolo sopra citato). * Forse porre alla gente domande semplici e dirette ci puo' riservare grosse sorprese, senz'altro fa riflettere, e da' anche un po' fastidio al potere. Ne sa qualcosa Cindy Sheehan, che e' stata arrestata davanti alla casa Bianca perche' da troppo tempo e a troppe persone sta ponendo una semplice domanda: "Perche' i nostri figli vanno a morire in Iraq?". Vogliamo che continui a domandarlo finche' tutti si rendano conto che non esiste una risposta accettabile. "Perche' dobbiamo vendere armi fatte per uccidere?". 3. 23 OTTOBRE. PAOLO CANDELARI: SI' [Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at libero.it) per questo intervento. Paolo Candelari, presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione, e' una delle piu' conosciute e stimate figure della nonviolenza in Italia. Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (in sigla: Mir in Italia, Ifor - International Fellowship of Reconciliation - a livello internazionale) e' uno dei principali e piu' autorevoli movimenti nonviolenti] Penso sia un evento storico che in Brasile si tenga un referendum per la proibizione del commercio delle armi. Gia' la legge introdotta sembra essere molto restrittiva, e questo e' un passo importante in un paese dove di armi ne girano troppe, dove la tendenza a regolarsi i conti con la violenza e' veramente molto alta, dove interi quartieri sono nelle mani degli squadroni della morte. Lo Statuto e al Campagna per il disarmo sono un segno che questo Lula di cose buone ne ha fatte. Ma l'idea di sottoporre al popolo la decisione di proibire del tutto il possesso di armi e' veramente unica. Io spero che i si' possano vincere: in questo caso si potrebbe parlare di una vera e propria svolta. * Gia' e' stato fatto notare come la maggior parte delle morti violente avvenga ancora oggi nel mondo per l'uso delle armi leggere: si dira' che una legge toglie le armi solo a chi le possiede legalmente, e non alla malavita. Certo, so benissimo che la violenza non scomparira' per decreto governativo: ma e' un fatto che meno armi ci sono in giro, maggiori sono le possibilita' di una vita piu' tranquilla e sicura: la sicurezza non si ha dove tutti sono armati, al contrario solo se qualcuno incomincia a rinunciare a rispondere alla violenza con la violenza si potra' innescare una spirale virtuosa. Trovo inoltre sia estremamente positivo che una decisione del genere sia affidata al popolo: cio' implica una maggior presa di coscienza. Attendo anch'io con ansia l'esito di questo referendum sperando di poter annotare il 23 ottobre come giornata del disarmo civile. * Oltre ad esprimere la mia solidarieta' con le associazioni e i gruppi disarmisti brasiliani, penso che un esito positivo del referendum potra' avere ripercussioni anche da noi, se non altro da un punto di vista culturale, visto il clima che qui si respira di voler farsi giustizia da se'. Chissa' che il referendum brasiliano non possa dar la sveglia per una campagna che anche qui inverta questa malefica tendenza alla diffusioni delle armi. 4. 23 OTTOBRE. ENZO PIFFER: SI' [Ringraziamo Enzo Piffer (per contatti: lisistrata_70 at virgilio.it) per questo intervento. Enzo Piffer, consigliere comunale a Besenello (Trento), partecipe di molte iniziative di solidarieta', per i diritti e la nonviolenza, e' uno straordinario costruttore di pace e testimone della dignita' umana] Purtroppo non sono brasiliano... se lo fossi, al referendum voterei si'. Anche Anna, la mia compagna, voterebbe si'. * Aggiungo una storia di pace: una storia vera. Una decina di anni fa e' morto, purtroppo (dico purtroppo anche se aveva quasi cento anni), lo "zio Giovanni". In realta' non era mio zio, ma fin da quando avevo dieci anni l'ho sempre chiamato cosi', "zio". Quando aveva 94 anni, erano i tempi della prima guerra del golfo, Giovanni mi parlo' della sua guerra, la "grande guerra", la prima guerra mondiale. Allora Giovanni aveva 18 o 19 anni e, poiche' dove viveva era ancora impero austroungarico, venne mandato come soldato di leva sul fronte russo. Il secondo o il terzo giorno dopo il suo arrivo in quella terra sconosciuta, gli venne ordinato di montare la guardia, era in pieno giorno, poteva vedere quelle lontane colline susseguirsi una dopo l'altra, di nemici nemmeno l'ombra. Alla sua eta', come tutti a quell'eta', era un ragazzo curioso, imbraccio' il fucile e comincio' a prendere di mira un po' tutto: un albero, una bandiera, un sasso; e un uomo, un ufficiale che gli voltava le spalle: Giovanni penso' che sarebbe stato facile uccidere quell'uomo che gli dava le spalle. Solo che quell'uomo si giro', e cosi' ebbe un volto. Giovanni conosceva quel volto: fu costretto a pensare Giovanni; penso' cosi': "se avessi sparato avrei ucciso una brava persona". Giovanni chiese di parlare con un capitano, anche il capitano conosceva Giovanni. "Non voglio piu' sparare, non posso piu' sparare". Negli eserciti gli ufficiali con un po' di cervello sono pochi, ma Giovanni era un uomo fortunato e quel capitano era una delle mosche bianche, pero' non poteva decidere; lo porto' da un altro ufficiale, Giovanni non ricordava il grado dell'ufficiale superiore, forse un colonnello. il capitano parlo' con il superiore che chiamo' Giovanni e si fece spiegare il perche' di questa sua decisione. "Lo sai che rischi la corte marziale e la fucilazione?", ma Giovanni era deciso: "Preferisco che qualcuno mi uccida piuttosto che uccidere qualcuno che potrebbe essere la piu' brava persona del mondo. L'ufficiale superiore capi' la determinazione di quel ragazzo che aveva davanti, parlo' ancora con l'ufficiale che conosceva Giovanni, poi lo chiamo', gli chiese che lavoro sapesse fare: "Il boscaiolo oppure il cuoco...". Da quel giorno Giovanni fu assegnato alle cucine e, a me, con un sorriso che mi fece stringere il cuore disse: "Forse, in guerra, ho ucciso qualcuno, ma certo non con un colpo di fucile. Se e' morto qualcuno per colpa mia, e' morto d'indigestione, eh... eh...". 5. 23 OTTOBRE. SILVANO TARTARINI: SI' [Ringraziamo Silvano Tartarini (per contatti: berrettibianchi at virgilio.it) per questo intervento. "Silvano Tartarini e' poeta e costruttore di pace; nato a Forte dei Marmi nel 1947, ha pubblicato Primi versi e Furto a nessuno, rispettivamente nel 1966 e 1967 (Giardini, Pisa), Poeti, nel 1992 (Pananti, Firenze) e L'uno e il contrario, nel 1995 (Manni, Lecce). Con l'inedito L'uno e il contrario e' stato finalista al Carducci nel 1994; sue poesie sono uscite su "Paragone", "Erba d'Arno", "Pegaso", " La Contraddizione", "Sinopia" e altri periodici; e' stato tra i fondatori della rivista "Nativa"; e' stato curatore delle pagine di poesia della rivista "Sinopia" ed e' redattore - molto assente - del mensile "Guerre & Pace". Ha scritto tre saggi critici su Carlo Cassola: uno di questi e' stato pubblicato negli atti del convegno "Carlo Cassola. Letteratura e disarmo", Firenze, 4 aprile 1987, un altro e' stato pubblicato dal Comune di Volterra a seguito del convegno "Volterra per Cassola" del 10 maggio 1996, mentre un altro servi' per un corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie organizzato su questo tema dalla Fondazione Bianciardi di Grosseto. Di lui hanno scritto Romano Luperini, Gianfranco Ciabatti, Giovanni Commare e Carlo Cassola; si sono altresi' occupati di lui Cesare Garboli e Manlio Cancogni. E' stato segretario della Lega per Il disarmo unilaterale dal 1984 al 2000; come segretario della L. D. U., ha lanciato con altri nel 1990 l'iniziativa "Volontari di pace in Medio Oriente", a cui hanno subito aderito Alberto L'Abate e Francesco Tullio; sull'esperienza e' poi uscito un "Quaderno della Difesa popolare nonviolenta": Volontari di pace in Medio Oriente, a cura di Alberto L'Abate e Silvano Tartarini, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1993. Ha partecipato all'iniziativa di Mir Sada e nel maggio del 1999 era a Belgrado bombardata anche dal governo italiano; e' stato in Iraq nel 1990, 1991, 1993 e nel 1998 con l'iniziativa "scudi umani". Ha promosso nel 1999 la fondazione dell'associazione Berretti Bianchi onlus, di cui e' segretario. Da alcuni anni coordina il lavoro organizzativo che, recentemente, ha visto la nascita della Rete italiana dei Corpi civili di pace"] Le armi da fuoco fanno sempre male, anche quando non sparano, perche' in forza della loro esistenza qualcuno puo' sempre pensare di affrontare un conflitto sparando. Ma cosi' facendo si riesce solo a uccidere e si soffoca il conflitto; non lo si affronta di certo. E non c'e' coraggio se si fugge il conflitto soffocandolo. In definitiva, possiamo dire che qualsiasi democrazia "armata" limita se stessa in quanto democrazia e limita la nostra crescita culturale perche' le armi, tutte le armi, ci ricordano e offrono, a un tempo, la possibilita' della violenza, che, invece, dovrebbe essere messa al bando per sempre come strumento di non risoluzione dei conflitti nei rapporti umani. Non so molto dei percorsi del referendum brasiliano per proibire il commercio delle armi da fuoco, ma mi ricordo che uno scrittore antimilitarista come Cassola equiparava la costruzione delle armi alla coltivazione dei funghi velenosi; e poiche' io sono d'accordo, mi auguro che la proposta trovi un forte consenso. Sarebbe un buon passo per cominciare ad uscire dal militare. Perche' il vero problema e' uscire dal militare e tornare al civile, uscire dalla risposta violenta e passare a quella nonviolenta. Personalmente credo che tocchi solo alla societa' civile costruire oggi sul nostro pianeta le condizioni per una convivenza di pace tra i popoli. Le istituzioni sono, purtroppo, ovunque, ancora troppo lontane da questo. Non a caso e' nata in Italia la Rete Corpi Civili di Pace, a cui una buona parte del mondo pacifista sta lavorando con forte passione. Facciamoci gli auguri. 6. 23 OTTOBRE. FRANCESCO VIGNARCA: SI' [Ringraziamo Francesco Vignarca (per contatti: segreteria at disarmo.org] per questo intervento. Francesco Vignarca e' uno dei piu' apprezzati studiosi ed attivisti per la pace, impegnato anche come coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo (per contatti: e-mail: segreteria at disarmo.org, sito: www.disarmo.org). Opere di Francesco Vignarca: Li chiamano ancora mercenari, Altreconomia, Milano 2004; Mercenari S.p.A., Rizzoli, Milano 2004 (seconda edizione rivista e ampliata del testo precedente)] Quello che il referendum brasiliano sul commercio di armi ci stimola e' davvero difficile dirlo. Da un lato c'e' felicita' per un primo passo normativo e legislativo che potrebbe aprire mille porte e mille prospettive a chi si occupa di disarmo. Un'occasione unica, la prima nella storia. E in un paese dove le problematiche legate alla diffusione di armi (soprattutto leggere) non sono certo marginali. Dall'altro la consapevolezza che solo con passi concreti il desiderio e la spinta utopica verso un mondo liberato dalle armi potra' rendersi visibile e reale. E cio' comporta per noi tutta una serie di scelte e di cammini nel nostro agire quotidiano futuro: non piu' richieste solo simboliche, non piu' solo grandi dichiarazioni di principio... ma passi decisi e netti, anche se piccoli, che possano contribuire a diminuire la devastazione delle armi nel mondo. * Ma d'altra parte sappiamo che, come per mille altre campagne, come per mille altre conquiste, questo sara' solo l'inizio. Anche una tanto sperata vittoria del si' potrebbe non essere una garanzia assoluta, perche' troppe volte abbiamo visto leggi e trattati avanzati e bellissimi rimanere lettera morta, restare poi solo sulla carta, se non adeguatamente accompagnati da supporti politici, amministrativi e di condivisione sociale. Sappiamo bene che per liberare il mondo dalle armi sara' necessaria una cultura nuova, cullata dalla nonviolenza, che si diffonda in tutto il genere umano; ma sappiamo anche che ogni piccolo mattone e' utile e fondamentale per costruire questa casa di disarmo, e che la potenza (evocativa, normativa, di precedente storico-sociale) di un atto legislativo, puo' davvero divenire positiamente dirompente per il nostro cammino di pace. * Per questo dobbiamo batterci per il si', che non sara' solo un si' brasiliano, ma una conquista forte per tutto il mondo, che per la prima volta vedra' scritto nel testo di una legge (e non solo in libri nonviolenti ed in cartelli di pacifisti): si alle armi strumento di morte, si' all'umanita' vivente. 7. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: MANIFESTO DELLE VITTIME CIVILI [Ringraziamo Nella Ginatempo (per contatti: nellagin at tiscali.it) per questo intervento ("uno scritto che mi e' sorto spontaneamente questa estate, riflettendo sulla strage di Londra e sentendo le voci dei troppi morti di questa guerra straziante"). Nella Ginatempo e' una prestigiosa intellettuale impegnata nei movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti; e' docente di sociologia urbana e rurale all'universita' di Messina; ha tenuto per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche sul tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello Stretto, 1999; Un mondo di pace e' possibile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2004] La guerra e' la vostra, i morti sono nostri. Ci avevano detto che ci sono buoni motivi per portare la guerra ad altri paesi. Motivi buoni come giustizia, democrazia. Ma noi abbiamo visto che cosa e' la guerra: abbiamo visto il fuoco piovere dal cielo come un vulcano rovesciato, e i nostri bambini carbonizzarsi sotto i nostri occhi. Abbiamo visto nostra madre, nostro padre sparati dai cecchini ai chek point. Abbiamo sentito lo strazio dei nostri corpi, le case sventrate, le macerie sopra i feriti, l'urlo degli innocenti. Non c'e' nessuna giustizia possibile, nessuna democrazia da fondare su questi cumuli di cadaveri straziati, su questo disprezzo totale per la nostra nuda vita. * Il mondo si divide tra quelli che danno la morte e quelli che la ricevono. Da un lato ci siamo noi, la marea umana delle vittime civili: siamo quelli di Manhattan e di Sabra e Chatila, quelli di Bali e di Madrid e quelli di Mazar-i-Sharif e di Falluja. E siamo quelli di Grozny e di Srebrenica, di Pancevo e di Baghdad. Oggi siamo quelli di Londra. Siamo le vittime civili della guerra globale, la gente che ha cercato di vivere, di lavorare, di fare figli e di amare sotto il cielo dell'economia piu' spietata e del declino della civilta' industriale. Ma la nostra vita e' stata spezzata dalla guerra tecnologica dei dominatori del mondo e dall'attentato in metropolitana o in albergo delle bande del terrore. Non volevamo ne' uccidere, ne' morire. Cercavamo di vivere. Ma non si puo' vivere in un mondo che disprezza l'umanita', che nutre il terrorismo e se ne nutre come alimento della guerra per dominare il mondo. Ci avevano detto: arruolatevi per sconfiggere il terrorismo con la nostra guerra buona. Era un'atroce menzogna: non esistono guerre buone, buone torture, buone esecuzioni, buoni attentati. Dal male non puo' nascere che la morte e la disperazione. Abbiamo incenerito il futuro dei nostri figli, promettendogli solo il tempo della guerra. * Ora che siamo scomparsi dal mondo ci appelliamo a voi che siete ancora vivi e potete costruire una diga. Il male assoluto e' la guerra e il terrorismo e' suo figlio, mostruoso e ingiusto quanto la madre. L'unica sicurezza per il mondo e' la pace fondata sul disarmo e la cooperazione tra i popoli. Non fate piu' guerra in nostro nome. Disertate per sempre dalla guerra globale. Non fateci morire altre migliaia di volte, rendendo vano il nostro infinito dolore. Dai campi di morte di tutto il mondo vi preghiamo, popoli dell'Occidente e dell'Oriente: distruggete le armi dei vostri padroni, impedite ai vostri figli di arruolarsi, dite per sempre no ad ogni guerra "giusta" o "santa" o "necessaria". Se non fermate la mano dei vostri potenti il mondo sara' seppellito sotto una pioggia di bombe e nessuna causa di giustizia potra' far rinascere la vita. Fermate il fuoco, fate sgorgare le sorgenti. 8. INCONTRI. FRANCESCO COMINA: UN INCONTRO CON ARTURO PAOLI A BOLZANO [Da Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) riceviamo e diffondiamo. Francesco Comina e' il principale punto di riferimento in Italia della campagna di sostegno al si' al referendum brasiliano per proibire il commercio delle armi. Giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna. Arturo Paoli, religioso, costruttore di pace, saggista, e' una delle figure piu' vive della solidarieta' operosa e della nonviolenza in cammino; su di lui dal sito www.giovaniemissione.it riprendiamo la seguente scheda: "Arturo Paoli e' nato a Lucca nel 1912. Si laurea in lettere classiche a Pisa ed e' ordinato sacerdote nel 1940. Tra il '43 e il '44 partecipa alla Resistenza. Nel 1949 viene nominato assistente nazionale della Giac (Gioventu' Cattolica) mentre era alla presidenza Carlo Carretto. Assistente nazionale dell'Azione Cattolica negli anni '50, fu costretto alle dimissioni per le sue posizioni in contrasto con la gerarchia. Autore di numerose opere che potrebbero andare sotto il titolo di "spiritualita' della relazione", ha scritto fra gli anni '80 e i '90 la sua puntuale "Lettera dall'America Latina" ai lettori di "Nigrizia" (www.nigrizia.it). Nel 1954 riceve l'ordine di imbarcarsi come cappellano su una nave argentina destinata agli emigranti. Durante questi viaggi conosce i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld ed entra nella loro congregazione. Terminato il noviziato svolge il lavoro di magazziniere nel porto di Orano (Algeria) e poi nelle miniere di Monterangiu in Sardegna. Nel 1960 si reca in America Latina per avviare una nuova fondazione: qui vive con i boscaioli della foresta argentina. Quando il clima politico peronista si fa pesante, subisce una campagna denigratoria: il suo nome e' nell'elenco di quelli che devono essere soppressi. Nel 1974 si trasferisce in Venezuela; anche qui il suo lavoro e' di impegno pastorale e di promozione sociale. Nel 1983 comincia a soggiornare in Brasile, dove, dopo la dittatura militare, prende vita una chiesa che e' tra le piu' vive dell'America Latina. In Brasile ha fondato "Afa" (Associazione fraternita' alleanza), che e' una comunita' di laici impegnati in alcuni progetti di aiuto alle famiglie delle favelas: progetto Latte, Educazione, Salute, Donna, Informatizzazione. Nel 1999 lo Stato d'Israele gli conferisce la nomina a "Giusto tra le Nazioni" per aver aiutato e salvato alcuni ebrei nel 1944 all'epoca delle persecuzioni naziste. Il suo nome sara' scritto per sempre nel muro d'onore del Giardino dei Giusti dello Yad Vashem a Gerusalemme. Attualmente vive a Foz de Iguacu, nel barrio di Boa Esperanza. Da quarant'anni Arturo Paoli condivide la sua vita con i poveri, senza per questo rinunciare all'attivita' di conferenziere e animatore: collabora con diverse riviste ("Rocca", "Nigrizia", "Il Regno", "Jesus") e ha scritto una trentina di opere". Tra le opere di Arturo Paoli: Gesu' amore, 1960, Borla 1970; Dialogo della liberazione, 1969; La costruzione del Regno, Cittadella, Assisi 1971; Conversione, Cittadella, Assisi 1974; Il grido della terra,1976; Camminando si apre cammino, Gribaudi, Torino 1977; Cercando liberta', Gribaudi, Torino 1980; Tentando fraternita', Gribaudi, Torino 1981; Facendo verita', Gribaudi, Torino 1984; Le palme cantano speranza, Morcelliana, Brescia 1984; Testimoni della speranza, Morcelliana, Brescia 1989; Il silenzio, pienezza della parola, Cittadella, Assisi 1991, 1994, 2002; La radice dell'uomo, Morcelliana, Brescia; Camminando s'apre cammino, Cittadella, Assisi 1994; Il sacerdote e la donna, Marsilio, Venezia 1996; Progetto Gesu': una societa' fraterna, Cittadella, Assisi 1997; Quel che muore, quel che nasce, Sperling & Kupfer, Milano 2001; Un incontro difficile, Cittadella, Assisi 2001; con Remo Cacitti e Bruno Maggioni, La poverta', In dialogo, 2001; La gioia di essere liberi, Edizioni Messaggero di Padova, Padova 2002; Della mistica discorde, La meridiana, Molfetta (Ba) 2002] Cari amici, giovedi' 29 settembre sara' di nuovo con noi a Bolzano Arturo Paoli, uno dei grandi protagonisti della storia italiana e latinoamericana. Primo teologo della liberazione nelle liste dei condannati a morte da Pinochet, voce degli ultimi e dei piccoli nelle favelas dell'Argentina, del Venezuela, del Cile, del Brasile. A 94 anni oggi annuncia la fine della metafisica come forma di alienazione e si fa portavoce di un'etica del volto. Fu uno dei protagonisti della rottura nell'Azione Cattolica del '50, al fianco di De Gasperi e contro la linea curiale di Gedda. Per quella rottura fu costretto a lasciare l'Italia e ad imbarcarsi sui transatlantici in rotta verso l'America Latina. Ha fatto la Resistenza a Lucca e nel 1999 lo stato di Israele lo ha insignito del prestigioso titolo di "Giusto fra le nazioni" per aver salvato vite di ebrei perseguitati dal nazismo. Mi pare che ci siano tutti gli ingredienti per venire giovedi' 29 settembre alle ore 20.30 alla Kolpinghaus di Bolzano. Aggiungo un'ampia notizia biografica di Arturo Paoli. * Arturo Paoli nasce a Lucca in via Santa Lucia il 30 novembre 1912, si laurea in lettere a Pisa nel 1936, entra in seminario l'anno successivo e viene ordinato sacerdote nel giugno 1940. Partecipa tra il 1943 e il 1944 alla Resistenza e svolge la sua missione sacerdotale a Lucca fino al 1949, quando viene chiamato a Roma come vice-assistente della Gioventu' di Azione Cattolica, su richiesta di mons. Montini, poi papa Paolo VI. Qui si scontra con i metodi e l'ideologia di Luigi Gedda, presidente generale dell'Azione Cattolica e all'inizio del 1954 riceve l'ordine di lasciare Roma per imbarcarsi come cappellano sulla nave argentina "Corrientes", destinata al trasporto degli emigranti. Arturo compie solo due viaggi. Sulla nave incontra un piccolo fratello della Fraternita' di Lima, Jean Saphores, che Arturo assistera' in punto di morte. A seguito di questo incontro decide di entrare nella congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld e vive il periodo di noviziato a El Abiodh, al limite del deserto, in Algeria. Poi passa ad Orano dove, negli anni della lotta di liberazione algerina, svolge mansioni di magazziniere in un deposito del porto. Nel 1957 viene incaricato di fondare una nuova Fraternita a Bindua, zona mineraria della Sardegna, dove lavora manualmente: ma il suo rientro in Italia non viene ben visto dalle autorita' vaticane. Decide allora di trasferirsi stabilmente in America Latina e si trasferisce in Argentina a Fortin Olmos, tra i boscaioli - hacheros - che lavorano per una compagnia inglese del legname. Sara' questo uno dei periodi piu' duri dell'esperienza latinoamericana. Quando la compagnia decide di abbandonare la zona ormai impoverita del prezioso legno quebracho, Arturo organizza una cooperativa per permettere ai boscaioli di continuare a vivere sul posto. Nel 1969 viene scelto come superiore regionale della comunita' latinoamericana dei piccoli fratelli, trasferendosi vicino a Buenos Aires. Qui vivono i novizi della fraternita' e si comincia a delineare una teologia "comprometida" ("impegnata"), preludio dell'adesione alla teologia della liberazione. In questo periodo pubblica il suo secondo libro, Dialogo della liberazione. Nel 1971 nasce un nuovo noviziato a Suriyaco, nella diocesi di La Rioja, una zona semidesertica, poverissima, dove Arturo si trasferisce e incontra un vescovo a cui sara' legato da una forte amicizia, Enrique Angelelli, la voce piu' profetica della Chiesa argentina nei tremendi anni della dittatura militare: un prelato che doveva morire tragicamente nel 1976 in uno strano incidente stradale che oggi nessuno dubita di qualificare come assassinio e su cui nessuno svolgera' inchieste, malgrado l'espressa richiesta di Paolo VI. Con il ritorno di Peron in Argentina il clima politico si fa pesante e Arturo viene accusato di esercitare un traffico d'armi con il Cile. In quel momento in Cile governava Allende, destituito nell'apocalittica giornata dell'11 settembre 1973 dal colpo di stato di Pinochet. Nel 1974 appare sui muri di Santiago un manifesto con una lista di persone da eliminare da parte di "chiunque le incontri": il nome di Arturo e' al secondo posto. Alcuni piccoli fratelli vengono incarcerati e cinque di loro figureranno tra le migliaia di desaparecidos. Arturo in questo momento si trova in Venezuela, come responsabile dell'area latinoamericana dell'ordine: avvertito da amici di non rientrare in Argentina perche' ricercato, vi tornera' solo nel 1985. Inizia cosi' l'esperienza venezuelana, prima a Monte Carmelo, poi alla periferia di Caracas, continuando, anzi intensificando, la sua produzione libraria: Il presente non basta a nessuno, Il grido della terra, e tanti, tanti altri. Con l'allentarsi della dittatura militare, Arturo intensifica le sue missioni in Brasile, risiedendo dal 1983 a Sao Leopoldo ed entrando in contatto con la realta' delle prostitute, numerose nel suo quartiere. Nel 1987 si trasferisce su richiesta del vescovo locale a Foz do Iguazu: qui va a vivere nel barrio di Boa Esperanca dove costituisce una comunita'. Ma, ricorda fratel Arturo, "la condizione di estrema poverta' della gente del quartiere mi tormentava, e da questa angoscia nacque l'idea di creare l'Associazione Fraternita' e Alleanza", un ente filantropico, senza fini di lucro, con progetti sociali rivolti al bene della comunita'. Sono seguiti 13 anni di duro intenso lavoro per dare dignita' a questa popolazione emarginata. Oggi l'Associazione e' una bella realta', a cui si e' aggiunta nel 2000 la Fondazione Charles de Foucauld rivolta in maniera specifica ai giovani del proletariato e del sottoproletariato di Boa Esperanca. Insieme i due enti portano avanti numerosi mini-progetti che coinvolgono direttamente oltre duemila persone fra adulti, adolescenti e bambini: ludoteca, ambulatorio, doposcuola (raggruppati nel progetto denominato "bambini denutriti"), casa della donna, mensa, corale, corsi di musica, di informatica, attivita' sportive. Progetti mirati alla formazione umana e resi possibili dall'aiuto di tanti, tanti amici italiani che li finanziano nella loro quasi totalita'. "La Chiesa, per merito di fratello Arturo e della sua Comunita', vuole collaborare a una vita umana piu' degna. L'A.F.A. e' un grande progetto sociale e spero che ottenga l'appoggio che merita dalla Chiesa e dalla societa'": cosi' ha dichiarato il nunzio apostolico mons. Alfio Rapisarda in visita a Boa Esperanca. Anche per il nuovo vescovo di Foz, mons. Laurindo Guizzardi, opere sociali come l'A.F.A. debbono essere sostenute ed incoraggiate: "Dobbiamo pregare Dio per la continuita' di un'opera come questa". Lontano ma presente, l'impegno religioso e sociale nel sud del mondo non impedisce a fratel Arturo di vivere appassionatamente gli avvenimenti italiani e lucchesi. Nell'agosto 1995 interviene su "La Repubblica" dopo aver letto la corrispondenza fra Eugenio Scalfari, allora direttore del giornale, e lo scrittore Pietro Citati. A Scalfari scrive una lettera che viene pubblicata con il titolo "Fede ed utopia del Regno di Dio": "Mi ha colpito il suo mettere in evidenza il mercato come elevato a divinita', perche' da anni denunzio l'idolatria del mercato. Cio' mi e' stato spesso rinfacciato come prova di ignoranza delle dottrine economiche. Sono cosciente della mia ignoranza, ma guardando l'idolatria del mercato nella prospettiva del Regno non vedo altro che milioni di persone stritolate sotto le ruote del mercato. Questa visione per me e' quotidiana quando, all'alba, apro la porta della mia casa e trovo subito nei vicoli della favela le persone che gemono sotto le ruote del mercato, e sono la mia famiglia". A Lucca nel 1995 il sindaco Giulio Lazzaroni gli consegna il Diploma di partigiano. In quell'occasione fratel Arturo pronuncia queste parole: "la Resistenza non si e' chiusa nel 1945 e se noi non soffriamo fortemente di appartenere ad una famiglia che fabbrica le armi, che manda le mine che straziano i corpi dei bambini, se noi non pensiamo che il nostro benessere lo pagano milioni di affamati, se noi non pensiamo che mandiamo bastimenti carichi di armi in Africa, nella vicina Jugoslavia, ecc. e se noi non soffriamo nella nostra carne per questo scandalo vuol dire che la Resistenza e' stata un'azione valorosa, generosa o forse anche una manifestazione di coraggio, ma non e' stato qualcosa che ha aderito profondamente alla nostra anima, che e' diventata legge della nostra vita... E perche' questa celebrazione non sia retorica forse oggi piu' di ieri c'e' bisogno di resistere". Questo atteggiamento lo spinge a rifiutare la medaglia d'oro che annualmente la Camera di commercio assegna ai lucchesi che hanno onorato la citta' nel mondo. La lettera pubblicata suscito' non poche polemiche: "Conosco personalmente alcuni di voi per non dubitare della vostra nobilissima intenzione, ma pemettetemi di rifiutare un premio come missionario cattolico. A parte il fatto di sapere che il solo suggello che posso mettere sui quarant'anni di vita in America Latina e' quello suggeritomi dal Vangelo "sono un servo inutile", mi tormenta un'altra considerazione. Appartengo per nascita e formazione all'occidente che globalmente si dice cristiano, dalle Montagne Rocciose agli Urali, ed e' incontestabile che questo mondo cristiano che si definisce Primo Mondo e' al centro delle ingiustizie che sono la causa della fame di milioni di esseri che il catechismo ci ha insegnato a chiamare fratelli: io torno in Brasile e non posso tornarvi ostentando sul petto una medaglia che premia la mia attivita' di 'missionario', rappresentante di una civilta' cristiana che spoglia della terra esseri umani che vi vivono da secoli prima di Cristo. E questa spoliazione dura dal 1492". Il 29 novembre 1999 a Brasilia, l'ambasciatore d'Israele gli consegna il piu' alto riconoscimento attribuito a cittadini non ebrei: "Giusto tra le nazioni", per aver salvato nel 1944 a Lucca la vita di Zvi Yacov Gerstel, allora giovane ebreo tedesco, oggi tra i piu' noti studiosi del Talmud, e sua moglie. Il nome di fratel Arturo, "salvatore non solo della vita di una persona, ma anche della dignita' dell'umanita' intera", sara' inciso nel Muro d'Onore dei Giusti a Yad Vashem. Il 9 febbraio 2000 a Firenze la Regione Toscana, su iniziativa del suo presidente Vannino Chiti, alla presenza del cardinale di Firenze Silvano Piovanelli e del rabbino di Firenze Yoseph Levi, festeggia il sessantesimo anniversario di fratel Arturo. In questa circostanza fratel Arturo dira': "Tutta la nostra cultura e' una cultura di morte, l'occidente cristiano e' il centro che ha organizzato la guerra, la carestia, l'accumulazione delle ricchezze nelle mani di pochi". Il cardinale Piovanelli, dopo aver ricordato che don Paoli e' stato un punto di riferimento importante nella sua formazione religiosa, sottolineera': "Siamo sempre rimasti colpiti dalle sue parole, dai suoi libri, ma soprattutto abbiamo ammirato il coraggio di una vita impegnata a stare dalla parte dei piu' deboli". 9. INIZIATIVE. "PEACE MOM" A WASHINGTON [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo la seguente notizia d'agenzia del 26 settembre. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio] Washington - E' stata arrestata durante un sit-in davanti alla Casa Bianca Cindy Sheehan, la donna americana madre di un soldato morto in Iraq, ribattezzata "Peace Mom", e protagonista, durante l'estate, di una protesta contro la guerra. C'erano circa 500 persone alla manifestazione, organizzata per una giornata di protesta che ha coinvolto sia la Casa Bianca che il Pentagono. Con Cindy Sheenan sono state arrestate una cinquantina di persone, mentre sono finite in manette circa quaranta persone fra quelle che partecipavano alla protesta davanti alla sede della Difesa Usa. Durante il passaggio davanti alla sede presidenziale, un gruppo di un centinaio di persone, tra le quali anche la Sheehan, si sono dirette verso l'ingresso nord-ovest della Casa Bianca, quello piu' vicino alle postazioni dei grandi network televisivi americani. Qui, la donna ha detto di parlare "a nome di altri genitori che hanno perso figli in Iraq", e ha chiesto di poter incontrare Bush. La polizia ha fatto allontanare il gruppo, chiudendolo dietro alcune transenne allestite su Pennsylvania Avenue, la strada su cui si affaccia l'ingresso principale della Casa Bianca. Cindy Sheehan e gli altri hanno allora improvvisato un sit-in, sedendo sul marciapiede. Per tre volte gli agenti hanno avvertito il gruppo che gli accordi per la manifestazione non prevedevano soste. Poi, sono scattate le manette. La donna, che indossava una maglietta nera con slogan contro la guerra, e' stata prima sollevata di peso da tre poliziotti, poi fatta sostare in piedi appoggiata a un furgone, mentre un agente le stringeva le manette ai polsi davanti a una ressa di fotografi e operatori della tv, e il resto del gruppo gridava "Tutto il mondo vi guarda". La polizia ha poi arrestato alcune altre decine di persone. Casey, il figlio ventiquattrenne della donna, e' stato ucciso in un'imboscata a Sadr City, in Iraq, lo scorso anno. Cindy Sheehan si e' guadagnata l'attenzione internazionale quando, lo scorso agosto, e' rimasta accampata per 26 giorni davanti al ranch del presidente americano George W. Bush a Crawford, in Texas. Da quel momento si e' trasformata nel catalizzatore di un movimento contro la guerra, lo stesso che ha animato la manifestazione che si e' tenuta sabato scorso a Washington: 300.000 persone secondo gli organizzatori, 100-150.000 per le forze dell'ordine, comunque la piu' imponente dall'inizio della guerra in Iraq. 10. CONTROEDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: LE TRE CARTE Ah, quanto ho amato nella mia infanzia e adolescenza quando c'era la fiera e veniva al paese quello del gioco delle tre carte, che vinceva sempre lui, che sapeva tutti i trucchi. Quegli imbroglioni di una volta, col compare appostato, che spennavano i polli, e i polli eravamo noi, noi paesani stupefatti e avidi di di quella menzogna e truffa e magia, che Cervantes racconta nel Retablo. E la sera smontato il banco trovavano ancora di che far rissa all'osteria della sora Nocenza, e magari visitare a notte fonda qualche casa, o qualche gallinaio. Ah eta' provetta, che passi e non piu' torni, e come le foglie eccetera eccetera. Oggi, che tanti anni son passati e la mia lunga lunga barba e' bianca, li ho ritrovati che siedono in parlamento, fanno le leggi per non farsi processare per i delitti che hanno pur commesso, di loro impudicizia menan vanto, e non son piu' quegli agili simpatici gaglioffi di una volta, ma grevi grassatori, e corruttori ignobili. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1068 del 29 settembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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