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Nonviolenza. Femminile plurale. 30
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 30
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 22 Sep 2005 22:33:00 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 30 del 22 settembre 2005 In questo numero: Paola Mancinelli: Tutt'altrimenti. A partire da Emmanuel Levinas (parte prima) RIFLESSIONE. PAOLA MANCINELLI: TUTT'ALTRIMENTI. A PARTIRE DA EMMANUEL LEVINAS (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Paola Mancinelli (per contatti: mancinellipaola at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio apparso col titolo "Tutt'altrimenti. Abbozzo di un'escatologia filosofica: Emmanuel Levinas" nella rivista on-line "Studi sulle categorie politiche dell'Europa" nel novembre 2003. Paola Mancinelli, nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, dottore di ricerca in filosofia teoretica e docente di scuola superiore, saggista e poetessa, si e' occupata tra l'altro del rapporto fra mistica e filosofia e la violenza del sacro in Rene' Girard, del pensiero di Rosenzweig e dell'influenza dell'ebraismo nel rinnovamento dell'ontologia; collabora alle riviste "Filosofia e teologia" e "Quaderni di scienze religiose" ed alla rivista telematica di filosofia "Dialeghestai". La sua tesi dottorale ha per argomento Fra le opere di Paola Mancinelli: Vibrazioni, Pentarco, Torino 1985; Come memoria di latente nascita, Edizioni del Leone, Venezia, 1989; Oltre Babele, Edizioni del Leone, Venezia, 1991; Cristianesimo senza sacrificio. Filosofia e teologia in Rene' Girard, Cittadella, Assisi 2001; Homo revelatus, homo absconditus, di alcune tracce kierkegaardiane in Rene' Girard, in AA. VV., "Nota Bene, Quaderni di studi kierkegaardiani", Citta' Nuova, Roma 2002; La metafisica del silenzio, Stamperia dell'Arancio, Grottammare, 2003; Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere con Franz Rosenzweig (di prossima pubblicazione). Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult. L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici. Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia' cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg. L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal 1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell' Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani, maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas, ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas. Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo' non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François Poirie', Emmanuel Levinas, Babel. Per la biografia: Salomon Malka: Emmanuel Levinas. La vita e la traccia, JacaBook, Milano 2003] Emmanuel Levinas e' un fecondo pensatore contemporaneo che riesce ad elaborare in modo affatto nuovo differenti apporti della tradizione filosofica occidentale, arricchendoli e correggendoli criticamente grazie al retaggio ebraico cui appartiene, e che gli permette di sviluppare un modo nuovo di filosofare, ove si possano intervallare elementi fenomenologici ed esistenzialistici, istanze dialogiche e spunti biblici. Cio' che lo contraddistingue in maniera decisiva e' la consapevolezza che la tradizione del pensiero non puo' essere che aperta, sempre disponibile a nuove letture e trascrizioni, sempre oltre, nell'infinita complessita' della subtilitas applicandi, alla ricaduta nella medesimezza. Un pensiero implosivo nei suoi contenuti ad iniziare dalla critica all'idea di totalita', dalla radicalizzazione dell'attraversamento metafisico per manifestarne il limite e dirne con altrettanta forza teoretica, l'instituzione assolutamente inedita, grazie all'etica ed alla sua capacita' di rovesciamento, in modo tale da ridisegnare una topologia filosofica ex novo; ma altrettanto implosivo e' il metodo, dove iperbole ed enfasi si succedono a figurare una sempre eventuale visitazione d'Altro, nonche' l'ossessione del pensiero, la sua soggezione dinanzi all'appello del volto, che di questa alterita' evocata e' la figura piu' incisiva. Tuttavia la caratteristica piu' evidente ed anche la piu' pregnante ed incisiva e' la sanzione del neutro e della generalita', dello spirito assoluto in quanto totalita' autogiustificantesi la cui necessita' stringente non sa lasciare spazio all'alterita' del singolo e del concreto, nonche' la ricusazione del medesimo nell'ontologico gioco della ragione dove ogni pensare e dire rinviano all'Unum, altissima produzione parmenidea ed hegeliana sottomessa alla logica della deduzione. Grandi sono, da questo punto di vista, le metafore usate nel suo De Dieu qui vient a' l'idee, della coscienza e della veglia della ragione, entrambe legate alla presenza dell'essere come presenza alla riflessione (1). Dal medesimo non sembra esservi uscita per la ragione, ma questo non conduce che ad una deformazione del suo senso ed il medesimo assurge a ragione strumentale. Levinas recupera il concreto dell'esistenza, non il mero Dasein, ancora neutro, ma l'uomo esistente, l'uomo che si riceve come esistente in virtu' della convocazione dell'altro, in virtu' dell'ingiunzione che rende possibile la sua identita' all'accusativo, un accusativo altrettanto concreto, capace pero' di rinviare alla Traccia dell'Altro, che assume i tratti biblici della visitazione. La concretezza del vivente segna la definitiva rottura della totalita', dice altrimenti l'infinito ed il suo avvento, che, per questo motivo, non e' conciliazione o mediazione, ma l'altro fuori presa che si rivela nella libera ingiunzione del comandamento, rivela un'altra origine avanti l'essere ritenuto dalla tradizione filosofica il Primum della conoscenza, un'origine che sfugge definitivamente alle maglie dell'ontologia della totalita', che, con il linguaggio di Rosenzweig, potremo definire monologica, e che indica un au dela' su cui si staglia la relazione; essa attesta l'essere per l'altro perche' si e' da altro, e Levinas la definisce movimento verso il Bene. L'agatologia precede l'ontologia e non e' fondante se non perche' istituisce via via, attraverso il riconoscimento del volto e la soggezione al suo comando nella responsabilita', l'evento stesso di questo al di la' che si colora di tinte escatologiche. Attestatici, dunque, su questo orizzonte agatologico, denunciamo la portata del nostro studio che e' quella di individuare quali siano i criteri di autenticazione del Bene che, sottraendolo ad una lettura sub specie della metafisica ontica, ne fa il Principio positivo del filosofare, connotando lo stesso pensiero di un inedito senso etico che gli permette di fuoriuscire dal neutro. Allo stesso modo riteniamo di dover dare conto delle istanze metodologiche e giustificative che caratterizzano questo inedito sentiero teoretico. * 1. Contro la totalita' del neutro Medesimezza e' la condizione della ragione assoggettata al principio d'identita', il quale si affaccia come alba della filosofia che manifesta germinalmente i prodromi del giorno fatto della metafisica: la conciliazione dell'identico e del non identico. Ed e' ancora il medesimo a prevalere nella conoscenza, cosi' come nella evidenza fondativa e fondante del cogito, nella coscienza che non sembra, neppure attraverso il paradigma fenomenologico dell'intenzionalita' husserliana, rinunciare al criterio rappresentativo, cosi' che e' sempre il medesimo, la reductio ad unum a determinare la veglia della ragione. Questa e' la critica che Levinas fa nei riguardi del paradigma filosofico occidentale, nella quale evidenzia altresi' l'esigenza di volgersi ad una terra altra, quella dell'ebraismo talmudico e biblico, perche' le categorie in uso mostrino la loro insufficienza e lo stesso metodo del filosofare raggiunga un altro statuto, modulato sui temi dell'altro e della responsabilita', che si colora in Levinas dell'ossessione dell'altrimenti dire avanti il logos raccogliente ed identificante, un dire senza discorso che antecede ogni discorso, rinviando profeticamente ad un arriere pensee coglibile solo nella soggezione alla responsabilita' per altri (2) nonche' nell'atto di rottura della coscienza, nel divergere da ogni contenuto. Si procede dunque per opposizione. Non la totalita' dello Spirito che si esplica nella necessita' storica come oggettivazione del Soggetto assoluto, ne' il suo logos che sa l'altro da se stesso come altro in se stesso confluendo all'identita' dell'identico e del non identico, in un paradigma dell'essere neutro, quanto, invece, l'infinito: radicale alterita' dell'altro che viene all'idea ma non e' mai riducibile alla comprensione inglobante, per cui la cogitatio coglie un cogitatum. Ma soprattutto, questo Infinito non e' la cattiva infinita', non si esplica con la prepotenza del Soggetto Assoluto, che assurge poi all'ipostatizzazione di una metafisica della guerra, bensi', come afferma Levinas: "Nella dimensione di maestosita' in cui si presenta la sua santita' - cioe' la sua separazione - l'infinito non brucia gli occhi che si fissano su di lui. Parla, non ha il formato mitico che non sarebbe possibile affrontare e che terrebbe prigioniero l'io nelle sue reti invisibili. Non e' numinoso: l'io che si avvicina non e' ne' annientato dal suo contatto, ne' trasportato fuori di se', ma resta separato e mantiene le distanze" (3). I caratteri dell'infinito qui espressi sono pregnanti in quanto ci aiutano ad individuare come Levinas accentui l'aspetto della distanza in modo tale da ricusare ogni inglobamento, ma anche per prefigurare il tratto piu' saliente del suo pensiero che e' quello della relazione. Solo la distanza di un'alterita' che si presenta ab-soluta permette la relazione, ed a sua volta solo a partire dalla relazione che rivendica la legittimita' del singolo nella sua concretezza e' possibile recuperare alla filosofia la vita altrimenti che come presenza, designando in tal modo una fenomenologia dell'esistente. Tuttavia c'e' dell'altro che ci permette di evincere l'impossibilita' del neutro in questo pensiero; si tratta di due attributi via negationis, il mitico ed il numinoso in opposizione alla capacita' di parlare. Questo tratto assolutamente non trascurabile implica un essere alle prese con il Dio biblico che sottende la passione della relazione e che designa una prossimita' affatto diversa nello stesso suo darsi come separato. Emerge quindi una nuova opposizione al mitico ed al numinoso: la santita'. Solo la santita', in ultima analisi, sottende la possibilita' dell'interlocuzione. Occorre qui precisare, tuttavia, che la relazione e' distinta tanto dalla oggettivazione quanto dalla partecipazione, cio' sta a significare che la stessa metafisica assume in Levinas una semantica totalmente diversa, epurata dalla cattura ontologica oggettivante. Il venire all'idea di Dio non si da' in alcun caso attraverso la metafisica della totalita'. Prima di toccare questo punto, tuttavia, riteniamo essenziale individuare una connessione fra il metafisico e l'umano, connessione che lo stesso Levinas sottolinea efficacemente: "Il nostro rapporto con il Metafisico e' un comportamento etico e non la teologia, non una tematizzazione, fosse anche una conoscenza per analogia degli attributi di Dio", ed ancora "La metafisica entra in gioco nei rapporti etici. Senza il loro significato tratto dall'etica, i concetti teologici rimangono concetti vuoti e formali. In metafisica alle relazioni interumane spetta il ruolo che Kant attribuiva all'esperienza sensibile nel campo dell'intelletto" (4). Si tratta di una metafisica senza ontologia improntata al realismo gnoseologico ed alla pretesa inglobante. Inoltre ne' l'analogia ne' la partecipazione vi entrano aprendo cosi' la metafisica al campo etico. Anche asserire questo, tuttavia, significa sostare sul mutamento semantico che i due ambiti filosofici assumono. Se la metafisica e' nella tradizione classica philosophia prima in quanto conoscenza dell'essere come concetto generalissimo della conoscenza, Levinas chiama metafisica l'etica sottendendo l'ambito della relazione con l'Altro come irrompere di un au dela', meta ta physika, nel movimento verso la prossimita' di altri, il cui volto e' rimando all'ingiunzione del comandamento. Quindi l'etica e' filosofia prima in quanto si attesta come assunzione dell'essere, o meglio movimento verso l'esteriorita', che, a sua volta, rimanda al mio essere da altri, donde le puntuali analisi di Levinas circa l'idea dell'Infinito che trascende il pensiero e, mantenendosi nella sua esteriorita', si pone come assolutamente altro, assolutamente lontano dal suo ideatum, indeducibile, ma proprio per questo capace di porre la relazione. Assumere l'essere per Levinas significa, tuttavia, fissare l'attenzione non sull'il y a dell'esistenza anonima, quanto invece sull'esistente concreto che da essa emerge in quanto ipostasi. Ma, se questo e' il nucleo dell'avventura ontologica, e' necessario anche sostare sulle implicazioni che esso determina. La piu' notevole e' senza dubbio quella che concerne la domanda filosofica originaria, che, secondo le parole dello stesso Levinas: "e' la manifestazione stessa della relazione con l'essere. Essenzialmente estraneo esso ci colpisce. Subiamo la sua morsa soffocante come la notte, ma lui non risponde" (5). Dunque Levinas parla di mal d'essere, non senza un'eco heideggeriana. Tuttavia e' proprio nella distretta di questa domanda che e' possibile sancire l'impossibilita' del neutro. Se l'essere deve essere assunto non come il y a ma come esistente, anche la domanda su di esso muta, esibisce il suo altrimenti, dice qualcosa di piu', e tale altrimenti e' il bene. L'Altro modulato secondo l'esteriorita' e secondo la relazione irrompe e rompe la totalita' ontologica e monologica, ridiscute la metafisica e propone l'etica an-archicamente come il Bene tutt'altrimenti che si da' a conoscere obliquamente nella testimonianza della responsabilita'. L'ontologia non e' quindi l'ultima parola della relazione con l'essere, ma, ancor di piu', il dato ontologico non e' piu' il primum bonum necessarium, in quanto sottosta' ad un al di la' dell'essenza (6). Levinas recupera, cosi', un locus della tradizione platonica e neoplatonica. Il Bene e' epekeina tes ousias e questo lascia emergere che la filosofia deve subire un processo di negazione che inerisce il suo stesso linguaggio. Questo gli permette di puntualizzare l'istanza programmatica del suo pensiero, e cioe' innanzi tutto quella di: "mostrare che l'eccezione dell'altro dall'essere al di la' del non essere significa la soggettivita' o l'umanita', il se stesso che respinge le annessioni dell'essenza. Io unicita' al di fuori di ogni paragone perche' al di fuori della comunanza del genere e della forma, che non trova riposo neppure in se', in-quieto che non coincide con se'" (7). Importante e' fissare l'attenzione sul concetto di altro dall'essere, che gia' aveva contemplato la filosofia antica con Platone, cui Levinas si rivolgera' in seguito.La sua ricorrenza qui si caratterizza in modo inedito: l'al di la' dell'essere significa umanita'. Ancora una volta troviamo un rivolgimento dalla metafisica all'etica, anzi una fuoriuscita dalla metafisica; altrimenti detta ex-cedenza, essa si esplica maggiormente per il fatto che l'umanita' non risponde alla categoria di genere, e' eccezione. Al di la' della stessa differenza ontologica sancita da Heidegger e' necessario all'avviso di Levinas superare non solo lo scarto fra essere ed enti per ritrovare il senso originario, ma addirittura la sfera dell'essere. Fuoriuscendo da questa sfera e' possibile recuperare il senso della trascendenza. Ma che cosa si vuol intendere dal punto di vista levinassiano quando si parla di trascendenza? Certamente essa implica l'evento del passare al di la' dell'essere, ma tale fuoriuscita non puo' darsi se non nella responsabilita' per Altri. Essa pero' sottende anche un ribaltamento del tempo e della coscienza verso la diacronia e la passivita' della convocazione in modo tale che si corrispondano il movimento verso il Bene e l'evento dell'essere. Richiamiamo su questo due passaggi di Levinas. "La relazione di un passato al di qua di ogni presente e di ogni rappresentabile - perche' non appartenente all'ordine della presenza - e' inclusa nell'avvenimento straordinario e quotidiano della mia responsabilita' per le colpe e la disgrazia degli altri, nella mia responsabilita' che risponde della liberta' d'altri, nella sorprendente fraternita' umana in cui la fraternita' da sola, pensata con la sobria freddezza di Caino, non spiegherebbe ancora la responsabilita' tra esseri separati ch'essa proclama" (8). La responsabilita' sembra attestarsi come rottura della presenza a cui e' ridotto il tempo del medesimo e deporre a favore della diacronia che irrompe nella sincronia ponendosi come un principio an-archico. Nel suo rispondere di ed a, la responsabilita' sancisce un nuovo paradigma del tempo che assurge nel quotidiano dell'esistenza ad accadere della Trascendenza realizzata nel movimento della prossimita'. Si evidenzia, qui, la risonanza biblica e profetica. Ma questo fa riferimento al principio avanti ogni principio che si differenzia anche dal presente della mia liberta', in quanto, nella responsabilita', sottende la mia soggezione (ecco la mutazione semantica del termine soggettivita') all'altro come rivelazione del Bene che: "mi ha scelto prima che io lo abbia scelto" (9). Il Bene come principio an-archico esce percio' dalle maglie dell'ontologia del neutro, come gia' aveva ben indicato la tradizione neoplatonica, e proprio per questo si esplica come diacronia; in qualche modo somiglia al Tu sempre oltre il detto ed il dire, invocato con la stessa ossessione nella lirica di Paul Celan nel verso in cui scrive: "Mi precedi nell'ultrapassato". Inoltre esso e' perdita nell'essere, stupidita' dell'essere, come iperbolicamente scrive il filosofo lituano che implica, biblicamente, la sostituzione e la deposizione del se', in una soggezione del soggetto all'altro.La figura kenotica e' predominante e si attesta come opera della Bonta' nella quale pero' si da' la possibilita' di uscire dal linguaggio ontologico, di sostituire, dunque al positum dell'ego cogito, l'ecco-mi di un accusativo irrecusabile. Scrive Levinas nel suo En decouvrant l'existence avec Husserl e Heidegger: "Essere io significa non potersi sottrarre alla responsabilita'. Quell'eccesso di essere, quell'esagerazione che si chiama essere io... si compie come una turgescenza nella responsabilita'. La mia messa in questione ad opera dell'Altro mi rende solidale con Altri in modo incomparabile e unico. L'unicita' dell'io e' il fatto che nessuno puo' rispondere al mio posto" (10). La rottura del medesimo e' quindi confutazione del neutro, sua ricusa in nome di un Altro la cui alterita' e' la radice su cui affonda e da cui attinge l'archeologia del pensiero e che ridiscute ogni altra cifra filosofica a partire dal suo av-venire come Bene, e che, di conseguenza, esprime la valenza escatologica della prossimita', la cui responsabile apertura attesta obliquamente la traccia di una visitazione che si sottrae sempre e che significa, nell'opera della bonta' e nella diaconia, l'ecco-mi in nome di Dio irrappresentabile, ma obliquamente significato nel dire della testimonianza, se pur l'irruzione nel mondo lo rende insuperabile alterita'. * 2:La veglia della ragione Usiamo ancora una volta la metafora della veglia per sottolineare che il suo essere desta e' sempre e comunque aprirsi al proprio altro e rompere la catena della medesimezza che designa la coincidenza di esodo ed approdo (l'essere ed il pensiero sono uno) e che sfocia in ultima analisi nella condizione strumentale di una metafisica persuasa all'identita'. Come gia' ha fatto Kant, riteniamo che Levinas abbia contribuito a risvegliare la ragione da un sonno dogmatico che in questo caso consisteva nell'inorridire dinanzi all'altro. Se Kant ha recuperato la metafisica nel senso di un limite aprente l'ulteriorita' noumenica, Levinas ha sancito nella figura dell'altro e del volto il paradigma di un pensiero capace di non limitarsi a ridurre il concreto della vita alla medesimezza della propria rappresentazione coscienziale ma di avviare una ricerca al Bene, al tempo ed alla relazione con altri dove non vi sia spazio per il neutro, ma dove il pensiero non rischi neppure di sopirsi su verita' eterne. La veglia della ragione e' assumere la responsabilita' via via irripetibile ed irrecusabile. In un passaggio di En decouvrant l'existence avec Husserl e Heidegger, Levinas afferma: "La coscienza consiste proprio nel fatto che l'impersonale e ininterrotta affermazione di 'verita' eterne' puo' diventare semplicemente pensiero, e cioe', malgrado la sua eternita' senza sonno, puo' iniziare e terminare in una testa, puo' accendersi e spegnersi, sfuggire da se stessa: la testa ricade sulle spalle, si dorme" (11). Questo paradigma filosofico si ha laddove il pensiero riconduce tutto al Medesimo, non riconoscendo alcun altro, o meglio non riconoscendolo nella sua capacita' di interpellazione per cui l'io puo' dirsi io nell'ascolto e, destandosi, riconosce alla parola dell'Altro la possibilita' di richiamarlo alla nascita tale che la coscienza sia evento di una convocazione. Alla figura di Odisseo che ritorna ad Itaca e che, nei termini di Levinas, si addormenta cercando le virtu' protettrici del luogo per risvegliarsi rinchiuso nel proprio guscio, metafora quanto mai efficace del pensiero sazio di se', si contrappone quella di Abramo e della sua continua ex-cendenza, che si pone sulla rotta di un esodo continuo, ove l'Altro irrompe e ingiunge. Abramo e' la metafora di un diverso tipo di ragione dialettica nella quale la coscienza si fa testimone d'altri dinazi all'Altro, di cui sara' sempre obliquamente icona. Con altrettanta forza Levinas afferma: "La filosofia occidentale coincide con quel disvelamento dell'Altro, in cui l'Altro manifestandosi come essere perde la propria alterita'. Sin dalla sua infanzia, la filosofia e' affetta da un orrore verso l'Altro che rimane altro, da un'inguaribile allergia" (12). L'altro e' l'inquietudine della filosofia e pertanto sostiene il suo vigilare, un atto che in Levinas si traduce quasi nell'ossessione della responsabilita' per il fatto che, ed e' questo un altro punto di svolta, la sua alterita' non e' mai la generalita' di un genere; se cosi' fosse, potremmo senza dubbio riscontrarla nello stesso pensiero platonico: l'alterita' e' la concretezza del volto e la viva significazione della prima, irrecusabile ingiunzione: Tu non ucciderai. Cosi' l'altro irrompe nel mondo, d'al di la', principio an-archico e cifra di un Prius che si puo' definire Bene, quel prius di cui gia' le Enneadi di Plotino dicevano la difficolta' e l'impossibilita' di ricondurre all'essere per la sua radicale differenza (13). Tale Prius e' altresi' in grado di spezzare il legame fra essere e presenza, un legame ad excludendum in cui l'altro e' rifuggito in quanto altro, a meno che non si operi una reductio al proprio. L'alterita' del volto e' inerme e non avanza pretese, non porta con se' la List der Vernunft di un passaggio dialettico che tutto riconduce all'orizzonte monologico. Essa reca, al contrario, un solo sigillo, l'investitura di una maesta' che non puo' darsi se non nella figura di quel volto, trascendenza-prossimita' che si rivela nell'osservanza del comandamento, e nel richiamo alla responsabilita'. Se Paul Ricoeur vi vede il maestro di giustizia dell'ebraismo, per altro molto appropriatamente, essendo la fonte talmudica un fiume carsico del pensiero levinassiano, nella pagina filosofica di questo grande ebreo- lituano si addensa la sterminata tradizione salmistica. Per questo motivo riteniamo che sia illuminante la citazione del Salmo: "Chi ci fara' vedere il Bene? Segnata su di noi, Signore, la luce del Tuo volto". Il volto incarna, nella sua concretezza, la gloria della trascendenza sino a portarne nel suo porsi all'altro il significato, o meglio il segno, fino a irrompere come evento epifanico. Il Bene e' dato nell'eccedenza di se' che non ha altro ed entra nel mondo con la nudita' di un volto che ne dice la luce; per questo Levinas puo' dichiarare eccomi in nome di Dio andando verso i volti che ne indicano la traccia. Una cifra kenotica ed una cifra escatologica dominano questo pensiero che, per parafrasare Blaise Pascal, non puo' dormire, ma deve vegliare finche' l'alterita' dell'altro e la sua verita' perseguitata abbiano una dimora; ed ecco il ricorso all'ethos che sovverte ogni metafisica ontica e che, pregno di questo au dela' si fa vera metafisica. Come afferma Levinas in un passaggio dell'intervista a Philippe Nemo su Ethique et Infini: "Questo sguardo che supplica ed esige, che supplica perche' esige - privato di tutto perche' avente diritto a tutto, che si riconosce donando... Questo sguardo e' in modo preciso l'epifania del volto come volto. Il volto e' dunque nudo e denudato, l'incontro vero e profondo non sta nella 'impassibile contemplazione', ma in una recezione attiva e responsabile che trascorra tutte le tappe che abbiamo segnalato, dal rigore del linguaggio serio, all'accoglienza etica che esso comporta, all'inviolabilita' del suo essere nudo, non truccando nulla perche' si tratta di un positivo nudo originario, donando 'amore attivo' nella misura stabilita dalla sue esigenza e dalla sua indigenza" (14). Tuttavia questo sguardo che supplica ed esige rinvia alla gloria dell'infinito ed alla sua epifania nel mondo, da questo punto di vista l'etica qua philosophia prima sottende una funzione escatologica, una nostalgia di perfetta giustizia che rende la ragione capace di ravvisare nel limite che la pone dinanzi all'Altro l'epurazione dalla sua tentazione di essere ragione strumentale: la nudita' del volto entra legittimamente nella filosofia non come presupposto sistematico ma come riconoscimento di una gloria che si riconosce nella misura del dono, e che, quindi e' sempre nel mondo come tutt'altrimenti. Etica come teoria del volto dunque, e' per questa via che passa l'idea dell'infinito nel suo tradursi in riconoscimento responsabile dell'altro, ed e' per questa via che il Bene diviene fondante se pur assolutamente altro rispetto ad ogni principio di fondazione che indica un regressus ad infinitum. Essa si compone di quattro tappe, dal destarsi dell'altro, alla presa sul serio della sua indigenza in una responsabilita' libera da ogni retorica, alla presa in atto di questa convocazione della nudita' concreta, dell'estraneita' e della sua pena, che non solo sottolinea che non si puo' che arrivare in ritardo, ma esprime anche la ferita di un pensiero mai in pari con se stesso, un pensiero che e' figlio di questa stessa poverta' del tempo, ma proprio per questo capace di vegliare. Su questo punto in particolare si consuma il debito con Rosenzweig e con la sua filosofia dell'anticipazione dell'eschaton, la cui verita', insieme implorata ed operata vanifica come totalitario e violento ogni tentativo di adequatio. * 3. Il tempo dell'altro ed il tempo con l'altro Il volto e' entrato nel mondo, entra nel mondo e sancisce la sua esigenza di giustizia, sua esigenza piu' propria nella sua nudita', e gia' rinvio a Dio che s'innalza nella sua suprema e ultima presenza come correlativo della giustizia resa agli uomini. Per questo convoca e dice della soggezione del soggetto fino alla sostituzione per l'altro. Esso sancisce la deposizione dell'io. Rompendo ogni reciprocita' in virtu' del primato della responsabilita' che diviene espiazione e, in un certo senso, anticipazione messianica, secondo una suggestiva intepretazione della pagine profetiche di Isaia, il volto esige altresi' una ricomprensione del tempo. Qui e' opportuna una sosta: con Levinas abbiamo superato il concetto di una verita' ontica, si sta consumando un'uscita dall'essere, come si ravvisera' da una grammatica ed una semantica filosofiche affatto nuove, sempre sul limite fra Atene e Gerusalemme; ora e' anche il tempo ad assumere un altro valore filosofico. Gia' Heidegger, grazie al debito con Agostino da un lato e con la fenomenologia del suo maestro Husserl dall'altro, aveva elaborato un'ermeneutica della temporalita' come fondamentale dell'esistenza fra anticipazione e ripresa che contrassegna l'istanza dell'autenticita', e certamente Levinas rende onore alla genialita' heideggeriana, a lui preziosa nella lettura di Husserl, ma nel suo pensiero la temporalita' e' ancora di piu' che la memoria e l'attesa, essa e' diacronia. La temporalita' non e', percio', l'orizzonte dell'essente, ovvero semplice presenza, ne' la degradazione dell'eternita', ma relazione con l'Infinito che non si lascia comprendere dall'esperienza umana nel suo tentativo di riduzione. Sara' utile soffermarci su tale concetto di diacronia che introduce nel tempo l'altrimenti essere della relazione, ma l'analisi sembra piu' efficace se ci si avvarra' della via negationis. Una prima tappa e' costituita dall'opposizione che Levinas individua fra il presente-presenza e l'altro. Come afferma nel suo Il tempo e l'altro, dopo aver indicato come l'esistente sia un'ipostasi all'interno dell'anonimo il y a dell'esistere e come per questo motivo esso parta da se' e ritorni a se', "L'evento dell'ipostasi e' il presente. Il presente parte da se', meglio ancora e' l'atto di partire da se'. Nella trama infinita senza inizio ne' fine dell'esistere esso e' lacerazione. Il presente lacera e riannoda; comincia. E' il cominciamento per eccellenza. Ha un passato ma sotto forma di ricordo, ha una storia ma non e' la storia" (15). La lacerazione che il presente compie nel suo riannodare somiglia ad una dialettica dell'io e del se' che non appartiene alla storia, quanto invece all'esistere come nuda ipostasi, fenomenologia nuda ove si perde gia' nel primo cominciamento la storia che e' un cominciare qualcosa con se stessi in una insonne apertura all'altro, perche' nell'evento della temporalita' inteso come possibilita' dell'altro e della relazione con lui si esperisce il proprio esser gia' dato a se' fenomenologico in un passato che e' oltre il ricordo, anteriorita' avanti la mera cronologia, diacronia per l'appunto, per usare la terminologia levinassiana che poggia sulla tensione fra anticipazione ed escatologia, fra finitudine dell'esser-ci ed infinito che costituisce apertura tout court. Se in Heidegger l'essere e' tempo, in Levinas, cosi' come nel pensiero ebraico della cui fonte Levinas e' debitore, il tempo accade, e' addirittura evento; per questo non e' adeguata l'immagine del contenitore dei fenomeni; avanti che forma pura della sensibilita' e costituente delle sue condizioni cognitive, il tempo e' senso stesso dell'esser-ci nel suo orientamento all'ek-stasi di se', nel suo realizzarsi mediante la relazione. Nuova grammatica della filosofia e suo nuovamente interpretato paradigma, il tempo non si da' entro il puro orizzonte concettuale dell'essere presente. Gia' Kant insegnava che l'essere presente e' bloss die Position (16), mera posizione di una cosa o di una determinazione di essa, quindi soggetto alla cattura concettuale di stampo egologico; qui invece ci si trova dinanzi al tempo come parola della relazione, che, ebraicamente, ha la colorazione del comandamento, sancito dal maestro di giustizia. Tu non ucciderai. In ogni caso, l'uso del futuro in un imperativo che sembra inaugurare una diversa topologia dell'etica umana, dice gia', qui ed ora, di un evento della parola possibile perche' l'altro che sta dinanzi (non gia' in un gegen-stehen) significa non solo il suo heute storico, ma in primis l'Alterita' di uno jetzt trasversalmente afferrato, possiamo dire, ossia nella sua traccia che lascia, come gia' insegna il paradigmatico episodio di Giacobbe sullo Jabbok, con una domanda ed un impegno. Si tratta di una nuova istituzione del mondo inteso nella sua possibilita' di rapporti con l'altro, di un accadere della giustizia, nel comandamento, che connota la temporalita' di escatologia. Quindi, per riprendere la densa pagina di Agostino che pone la riflessione sul tempo, non e' possibile definire la temporalita' perche' essa non si risolve nella cattura concettuale; la comprensione del tempo puo' darsi solo sullo sfondo di un accadere etico che rimanda all'immemoriale istanza del Bene, e che pur non temporale, rinvia alla temporalita' umana convocandola all'altro. Ma questo ci obbliga ancora a tornare alla componente grammaticale, che e' gia' istanza filosofica. Il senso escatologico rivela il futuro nel presente della relazione, ma svela altresi' il senso del passato che intesse la condizione dell'esistenza convocata alla responsabilita'. Per questo in Levinas la temporalita' reca sempre la colorazione di un ad-dio. Levinas afferma dunque: "L'ipostasi del presente, d'altronde e' solo un momento dell'ipostasi; il tempo puo' indicare una relazione diversa fra l'esistere e l'esistente. Esso ci apparira', appunto, in seguito, come l'evento stesso della nostra relazione con altri (autrui) e ci permettera' di approdare, cosi', ad un'esistenza pluralistica, che supera l'ipostasi monistica del presente" (17). Connettere l'alterita' al tempo significa gia' interruzione: interruzione sia del paradigma egologico, odisseano, il cui cominciamento con se' coincide inesorabilmente con l'approdo in se', interruzione, poi, del monismo, carattere della razionalita' dell'occidente, che enfatizza l'io nel possesso, la dialettica dell'io come un gioco dentro di se' e con se', l'unita' del fenomeno appreso via cognitionis nella totalita'. L'ingresso dell'altro nella teoresi dell'occidente scuote la ragione dal suo sonno, inducendola a scoprire nella inevitabile lacerazione il passaggio aperto ad una visita immemoriale che capovolge il suo orizzonte di percezione e conoscenza, ma che ne rivela la possibilita' anticipante. Si tratta ora di ravvisare fra l'avvento dell'altro e la mutata morfologia della ragione l'impatto fecondo esercitato da una temporalita' intesa come diacronia. Dall'interruzione passiamo ad un vero e proprio rovesciamento. Per questo motivo possiamo dire che la temporalita' ridisegna il paesaggio filosofico e che la diacronia mette in crisi il modello dell'io illuso nella sua illimitatezza, nell'immutabilita' del suo esistere, come se si potesse parlare di un soggetto assoluto, la' dove in realta' il soggetto implica il limite di un cominciamento. La diacronia, al contrario, dice nel tempo la possibilita' del suo altro, fa implodere l'io e la sua fuorviante idea di un altro come sua invenzione, costruita negli schemi della sua immaginazione riproduttiva. Essa dice, al contrario di una diversa prossimita' dell'altro, estraneo alla fissita' della rappresentazione, esterno al mondo del concetto, perche non assumibile dalla sua presa; prossimo, sic et simpliciter, ma nel modo di un'ingiunzione e di una convocazione che riveli la salvezza della finitudine; infatti, come dice Levinas: "La nozione dell'essere irremissibile e senza uscita costituisce l'assurdita' intrinseca dell'essere. L'essere e' il male non perche' finito ma perche' senza limiti" (18). L'essere senza limiti e' come essere senza tempo se e' vero che il tempo e' l'accadimento del e con l'altro, se e' solo nell'essere convocato dall'altro che si ha la possibilita' di sperimentare il tempo come senso di una finitudine capace di andare al di la' della mia morte stessa, nell'ora della decisione responsabile. Levinas sostiene che l'esistente, lacerato dall'il y a ipostatico ed anonimo e' la vigilanza della totalita' cui ha il potere di sottrarsi la coscienza, se, fenomenologicamente, essa e' coscienza del proprio essere chiamati da autrui, ritraendosi indietro per dormire. Tuttavia crediamo che sia possibile affermare che il poter dormire e' metafora di una diversa possibilita' di vigilanza, quella che la fa destare dall'illimitatezza della sua monade alla possibilita' di un'apertura. Questo risultera' tanto piu' comprensibile quanto piu' si associ la temporalita' a quell'evento della grammatica filosofica che e' la lingua e che sancisce la sua possibilita' nell'ascolto. L'ascolto del volto, e non piu' la visione secondo il paradigma ottico dell'occidente, sancisce un nuovo destarsi sia alla responsabilita', sia al riconoscimento dell'altro nella sua alterita' che e' portatore di una nuova coscienza del tempo, definibile come esteriorita'; categoria, questa, che Levinas ama molto. Diversamente dal tempo in quanto percezione del senso interno che cataloga secondo il ricordo e l'attesa e che relega la coscienza ad un esodo ed approdo in se stessa, l'esteriorita' propone una discontinuita' nella linea cronologica del prima e del poi, per rivelare un evento kairologico del novum e dell'inatteso in grado altresi' di ridefinire la cifra spaziale. L'esteriorita' dice di un'alterita' indesumibile, non piu' categoria generale, ma volto come icona di una Presenza senza presente, in quanto an-archica, prima di ogni principio, se e' vero che il principio, secondo la sua derivazione, sta per cio' che si afferra per primo; la quale non e' il diverso nell'eguale della metafisica platonica, ma l'assoluta differenza che spezza il modello soggetto-oggetto e che rende tale il soggetto nella soggezione responsabile alla dignita' dell'altro. Essa, inoltre, non giunge da un dove, e', al contrario, il non dove da cui prende forma la diacronia. Attraverso questo nuovo paesaggio filosofico, che rovescia altresi' la contemporaneita', necessaria invece nella gnoseologia di tipo dualistico, e la reciprocita', ineludibile nel metodo dialettico, e si avvale dell'impiego di iperboli per tentare di dire diversamente l'ingresso dell'altro nel pensiero, superando una volta per tutte la malia dell'identita', e' possibile ripensare, altresi', la possibilita' di una nuova metafisica in gr ado di sviluppare con impensata fecondita' la comprensione del Bene che gia' si era affacciato in modo deciso nella tradizione occidentale, ma che, nella stessa, non era riuscito a sostenere la ridondanza del modello speculativo-intellettuale. Le parole di Levinas ci sembrano a tal proposito molto pregnanti: "Ma gia' nello stesso ambito della relazione con l'altro che caratterizza la nostra vita sociale, l'alterita' appare come relazione non reciproca, appare cioe' situata al di la' della contemporaneita'. Altri in quanto altri non e' soltanto un alter ego; e' cio' che io non sono. Lo e', non a causa del suo carattere o della sua fisionomia, o della sua psicologia, ma a causa della sua stessa alterita'. E', per esempio, il debole, il povero, 'la vedova e l'orfano', mentre io sono il ricco o il potente. SI puo' dire che lo spazio intersoggettivo non e' simmetrico" (19). La simmetria e' l'espressione figurale della contemporaneita', l'alterita', al contrario, viene ad interrompere tale corrispondenza per indicare un piu' alto corrispondere. Se corrispondere ha in se' la radice di impegnarsi e promettere, il fatto di rispondere all'altro nel senso della responsabilita', non implica sic et simpliciter un agire nella contemporaneita', ma un'azione che, in modo paradigmatico, vincola se stessa alla decisione della cura per l'altro. Pure l'interruzione della reciprocita' a favore del piu' complesso tempo della diacronia puo' leggersi nel senso di una ricusazione della monologia, nella quale il concetto non e' che il prodotto di una fatica dell'intelletto con se', produzione muta, senza storia, esodo ed approdo dal soggetto al soggetto, se pur ricco della sua conoscenza dell'ob-jectum. Non solo, l'alterita' che irrompe indicando un'an-archia del pensiero, dice di un oggi che vincola alla libera adesione alla responsabilita', ma dice altresi' di un oggi in cui si riassume il presente della propria esposizione in un irrecusabile accusativo, ecco-mi, e la coscienza escatologica di un immemoriale indisponibile alla rappresentazione, in quanto esteriorita' assoluta ed obliqua perche' inoggettivabile. E' il tempo kairologico della testimonianza nella quale si gioca la coscienza che l'altro grazie a cui non ci si sottrae dal comandamento e' il paradigma di ogni alterita' bisognosa e degna del riconoscimento della sua dignita', Levinas afferma addirittura, della gloria dell'infinito che porta nella sua indigenza. Difficile non scorgere un tratto squisitamente escatologico del suo pensiero, ove l'istanza di una nuova metafisica che sia realmente meta ta physika e che recupera l'istanza del Bene epekeina tes ousias si presenta nel sembiante di un'etica che cerca una tangenza con la santita' (e qui si gioca inequivocabilmente la radice ebraica del pensiero levinassiano) cercando nell'ingiunzione del bene da parte dell'altro l'evidenza fenomenologica del Bene trascendente che e' segnato su ogni volto come la luce del Volto divino mai coglibile che nella traccia, nella insonne diaconia per l'altro. Forse per questo il pensiero di Levinas e' attraversato da una pura passione che riporta alla radice del patior latino, e allo stesso modo il filosofo lituano si avvale di un metodo iperbolico che porta il linguaggio al limite dell'indicibile e lo fa implodere nella sua insufficienza. Profezia e filosofia si intrecciano, ma dietro questa istanza di tipo etico, ove pero' líetica assume tutta la sua portata originale, non si puo' non cogliere una concretezza fenomenologica ed esistenziale che invita ad un ripensamento della politica come un dimorare ospitale sulla terra, come un abitare il tempo nel segno di una responsabilita' per tutti i popoli. Questo non puo', tuttavia, riproporre la necessita' di pensare ad un rapporto fra il Bene ed i beni, laddove i secondi rinviano al primo immemoriale che la memoria puo' solo riconoscere in un'anteriorita' in-fondata, ma che puo' anticipare come quella forza messianica del Non-ancora. Cosi' scrive il filosofo: "L'al di la' da cui viene il viso significa come traccia. Il viso e' nella traccia dell'Assente assolutamente scomparso, assolutamente passato, ritirato in quello che Paul Valery chiama 'profondo antico, mai antico abbastanza' e che nessuna introspezione sarebbe capace di scoprire in se'. Il viso e' appunto l'unica apertura in cui la significanza del trans-scendente non annulla la trascendenza per farla entrare in un ordine immanente, ma in cui, al contrario, la trascendenza si nega all'immanenza proprio in quanto trans-scendenza sempre compiuta del trascendente". E ancora: "La significanza della traccia ci mette in una 'relazione laterale', inconvertibile in rettitudine (cosa inconcepibile nell'ordine dello svelamento e dell'essere) e corrisponde ad un passato irreversibile. Nessuna memoria sarebbe capace di seguire questo passato a vista. E' un passato immemorabile, e forse l'eternita', la cui significanza rigetta ostinatamente verso il passato, e' anche questo. L'eternita' e' la stessa irreversibilita' del tempo, origine e rifugio del passato" (20). Levinas non parla de facto di messianismo come Benjamin, eppure, mentre si deve confessare di incorrere ad una forzatura ermeneutica, non e' cosi' impossibile poter individuare nell'altro come cifra della sua teoresi, quella piccola soglia che apre all'irruzione dell'oggi messianico. La nuova topologia filosofica che Levinas persegue e' posta alla misteriosa tangenza con il sentiero di Isaia, quello che segna il confluire di pace e giustizia e che reinvesta uno spazio possibile per l'etica mentre opera una profonda mutazione morfologica nel tessuto stesso della teoresi occidentale. Molto bene ha colto l'istanza politica del pensiero levinassiano Jacques Derrida nel suo bellissimo Addio a Emmanuel Levinas (21) nel quale il filosofo di origine algerina ravvisa due punti assolutamente nodali. Il primo concerne una sorta di retournement per cui il soggetto non corrisponde piu' al nominativo, quanto invece diviene sub-jectum, posto alla soggezione dell'altro, ma al contempo ospite del suo essere ostaggio (22) gia' sostituito agli altri; il secondo e' proprio la sostituzione che prelude alla possibilita' di una assegnazione elettiva, quella del Bene per l'appunto, che ridefinisce la relazione etica e che piegando il soggetto alla capacita' di accoglienza ne conferma l'elezione. Cio' che in Descartes rappresentava l'assoluta evidenza, ovvero il positum del cogito come incontrovertibilita' del verum, in Levinas, viene assolutamente capovolto nell'elezione come istituzione soggettiva della responsabilita' per l'altro. Si ha de facto un diverso ordine metafisico. D'altro canto, pero', Derrida ravvisa un nodo strettissimo fra la relazione etica come filosofia prima e la sua efficacia messianica e politica al contempo, aiutandoci a delineare un paesaggio filosofico la cui istituzione si origina dalla trascendenza e dalla santita' del Bene. Alterita' assoluta del Bene e alterita' del volto dicono di un tempo messianico che ci urge a far rientrare a pieno titolo una riflessione sul politico. Derrida stesso puntualizza, citando Levinas stesso, come il ritrarsi di cui il volto porta la traccia e' visitazione che "sconnette e sconvolge, come puo' accadere al momento di una visita inattesa, insperata, temuta, attesa al di la' dell'attesa, certo, forse come una visita messianica, ma innanzi tutto perche' il suo passato, 'l'essere passato' dell'ospite, eccede ogni rappresentazione anamnesica; essa non apparterra' mai alla memoria di un presente-passato" (23). Il capovolgimento e' completo, e l'iperbole fa saltare il tempo grammaticale per fissare una grammatica altra in cui il passato spinge il futuro escatologico traendolo dall'immemoriale, e traccia il percorso di questa visita che precedendo e' gia' dinanzi, secondo quanto e' scritto nell'Esodo, che Mose' coglie Dio di spalle. Ostaggio di questa visitazione, il soggetto ne e' insieme l'ospite, ma colui che e' ospitato in questo incontro gia' oltre l'attesa, rinvia ad un'Ospitalita' pura, eccedente la rappresentazione, coglibile obliquamente attraverso la maesta' del volto. Dovremo tornare, qui, all'interruzione della reciprocita'; non di un rapporto io-tu si tratta, ma di un passaggio aperto, nella relazione con l'altro, all'ingresso di altri (Autrui), di cui l'altro e' paradigma unico in quanto portatore dell'ingiunzione della giustizia senza misura sancita dal comandamento. Ecco dunque presentarsi l'istituzione di un Noi, che rinvia, a sua volta, al tempo obliquo, sempre differito ed anticipato, dell'escatologia realizzata nell'impossibile possibilita' di essere sostituzione all'altro, diaconia viva che si fa carico della sua indigenza, per essere sulla traccia di Colui che sara' presente come sara' presente, gratuita' assoluta della piu' pura deposizione. Ma il Noi che si istituisce nella parola dell'accoglienza e che ha un indubbio valore escatologico, fino ad assumere una coloritura religiosa, non e' estraneo alla possibilita' di incidenza nel politico, che - da questo punto di vista - necessita di porre l'attenzione su come la trascendenza santa del Bene viene all'evidenza nella sua relazione con i beni. E, indubbiamente, la rottura totalitaria operata attraverso una filosofia prima di stampo agatologico, implica la coscienza che si debba dare un'etica affatto nuova, una nuova categoria del politico. * Note 1. Cfr. E. Levinas, De Dieu qui vient a' l'idee, Vrin, Paris 1982, trad. it. di G. Zennaro, Di Dio che viene all'idea, Jaca Book, Milano 1997 2a ed., p. 56. 2. Ivi, p.105. 3. Cfr. E. Levinas, Totalite' et.Infini, Essai sur l'exteriorite', Nijhoff, La Haye 1961, trad. it di A. Dell'Asta, Totalita' e Infinito.Saggio sull'esteriorita', Jaca Book, Milano 1996 4a ed., p. 75. 4. Ivi, p. 77. 5. Cfr. E. Levinas, En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger, Vrin Paris 1967 2a ed., trad. it. di F. Sossi, Scoprire l'esistenza con Husserl e Heidegger, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998, p. 17. 6. Levinas ricorre in francese al termine essance (vedi Di Dio che viene all'idea) che traduce egualmente effettuazione dell'atto d'essere e questo ci sembra molto significativo perche' sancisce ancora meglio il congedo dalla metafisica ontica e l'impossibilita' di entificazione del bene, che al contrario resterebbe preso nella sua cattura se lo si continuasse a considerare come trascendentale dell'essere o come modo del suo darsi sub ratione primi entis, secondo quanto asserisce la Scolastica. Il Bene e' oltre l'essere e solo in tal modo puo' aprire lo spazio ad un diverso modo di filosofare e dire il piu' originario radicalizzando altresi' la domanda stessa sull'essere. Troviamo qui un segno efficace della correlazione di diverse fonti: da un lato il neoplatonismo, dall'altro il retaggio biblico. Se ne discutera' piu' diffusamente nel corpo del testo. 7. Cfr. E. Levinas, Autrement qu'etre et au dela' de l'essence, Nijhoff, La Haye 1974, trad. it. di S. Petrosino e M. T. Aiello, Altrimenti che essere e al di la' dell'essenza, Jaca Book, Milano 1995 3a ed., p. 13. 8. Ivi, pp. 14-15. 9. Ivi, p. 140. 10. En decouvrant, trad. it. cit., p. 225. 11. En decouvrant, trad. it. cit., p. 62. 12. Ivi, pp. 216-217. 13. Su questo rimandiamo senza dubbio alle puntuali analisi di J. L. Chretien in Phenomenologie de la promesse dal titolo Le bien donne ce qui n'a pas. Esse rappresentano un contributo prezioso al fine di leggere i loci della tradizione filosofica dell'occidente in modo innovativo ravvisando in essi la possibilita' di un diverso linguaggio che superi l'ontologia aprendo la stessa tradizione alla continua rilettura, e che pure fornisca un fecondo intreccio di ontologia ed agatologia. 14. Cfr. E. Levinas, Ethique et Infini, Dialogues avec Philippe Nemo, Fayard et Radio France, Paris 1982, Livre de poche Lgf, Paris 1986, trad. it. di E. Baccarini, Etica ed Infinito, Citta' Nuova, Roma 1984, p. 50. 15. Cfr. E. Levinas, Le temps et l'autre, Fata Morgana, Montpellier 1979, trad. it. di F. P. Ciglia, Il tempo e l'altro, Il Melangolo, Genova 1997, p. 26. 16. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, trad. it. di G. Colli, Critica della ragione pura, Bompiani, Milano 1967, p. 623. 17. Levinas, Le Temps..., trad. it. cit. p. 27. 18. Ivi, p. 24. 19. Ivi, p. 54. 20. Levinas, Humanisme de l'autre homme, Fata Morgana, Montpellier 1972, trad. it. di A. Moscato, Umanesimo dell'altro uomo, Il Melangolo, Genova 1985, pp. 85-86. 21. J. Derrida, Adieu a' Emmanuel Levinas, Edtions Galilee, Paris 1997, trad. it. a cura di Silvano Petrosino e Marcello Odorici, Addio a Emmanuel Levinas, Jaca Book, Milano 1998. 22. Levinas, Altrimenti, cit, p. 152. 23. Derrida, Adieu, trad. it. cit., p. 128. (Parte prima - segue) ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 30 del 22 settembre 2005
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