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Nonviolenza. Femminile plurale. 29
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 29
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 15 Sep 2005 11:57:12 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 29 del 15 settembre 2005 In questo numero: 1. Le donne brasiliane dicono si' al referendum per proibire il commercio delle armi 2. Paola Pavese: Si' 3. Lorella Pica: Si' 4. Rachel Corbett: Il soldato Ryan. E sua madre 5. Julia Ward Howe: Proclama del giorno della madre (1870) 6. Anna Pozzi: Odile Sankara 7. Maria G. Di Rienzo: Domande 8. Daniela Nobili: L'odio quotidiano 9. Luisa Muraro: Basterebbe poco 10. Angela Ales Bello: La posizione di Edith Stein 1. EDITORIALE. LE DONNE BRASILIANE DICONO SI' AL REFERENDUM PER PROIBIRE IL COMMERCIO DELLE ARMI [Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo questo appello di donne per il si' al referendum che il 23 ottobre chiedera' all'intera popolazione brasiliana: "Volete che sia proibito il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni?"] Come donne diciamo si' al diritto a vivere In Brasile e nel mondo sono gli uomini quelli che piu' uccidono e piu' muoiono uccisi dalle armi da fuoco. Ma anche le donne sono direttamente e indirettamente colpite da questo tipo di violenza: - nelle capitali brasiliane il 44,4% delle donne vittime di omicidio nel 2002 sono state uccise con armi da fuoco (Iser, 2005: dati Datasus, 2002). - Nel 2004 a Rio de Janeiro 2.130 donne sono state ricoverate per ferite da arma da fuoco (Iser, 2005: dati Datasus). - Inoltre, sono principalmente le donne che si prendono cura delle persone ferite da armi da fuoco, e sono principalmente le donne che garantiscono sostegno psicologico ed economico alle famiglie e alle comunita' devastate dalla violenza. - Il numero delle donne che restano vedove in conseguenza di questa violenza cresce ogni anno, e poche' le donne brasiliane guadagnano in media il 58,6% del salario percepito dagli uomini (Ibge, 2003), questo contribuisce all'impoverimento delle famiglie brasiliane e alla femminilizzazione della poverta'. * I dati lo provano: le armi non proteggono Le armi acutizzano i problemi come la violenza contro le donne: - a livello mondiale dal 40 al 70% degli omicidi di donne sono commessi da loro partners o comunque persone con cui erano in relazioni intime (Dahlburg and Krug, 2002). - piu' della meta' (53%) delle donne vittime di omicidi e di tentativi di omicidio conoscevano il loro aggressore - mentre per gli uomini questa percentuale cade al 18%. E piu' di un terzo di queste donne avevano o avevano avuto una relazione d'amore con il loro aggressore (Iser, 2005: dati delle Delegazioni Legali di Rio de Janeiro tra 2001 e 2005). - In molti casi gli autori di stupri non sono degli estranei. Nello stato di Rio de Janeiro, secondo i dati raccolti tra il 2001 e il 2003, il 48,8% degli autori di stupri erano conosciuti dalle vittime (Cesec, 2005). * Le armi causano incidenti, particolarmente con i bambini in casa - Ogni giorno tre bambini (di eta' da 0 a 14 anni) sono ricoverati in ospedale per lesioni provocate da armi da fuoco, due per motivi accidentali e una a causa di una aggressione (Iser, 2005: dati Datasus, 2002). - Tra i giovani tra i 15 e i 24 anni - il gruppo piu' a rischio di violenza armata in Brasile - quasi un terzo (31%) degli ospedalizzati per lesioni da arma da fuoco risulta ferito per causa accidentale (Iser, 2005: dati Datasus, 2002). * Il disarmo aumenta la sicurezza, particolarmente delle donne Il maggior controllo delle armi ha contribuito a far diminuire i rischi per tutta la societa'; e la riduzione del numero delle donne morte e' il primo e piu' significativo risultato: - in Canada, tra il 1995 e il 2003, il tasso di omicidi eseguiti con armi da fuoco e' calato del 15%; gli omicidi di donne eseguiti con armi da fuoco sono diminuiti del 40% (Canadian Department of Justice, 2004). - In Australia, cinque anni dopo l'approvazione della legge del 1996 che praticamente proibiva la vendita delle armi da fuoco, il tasso di omicidi eseguiti con armi da fuoco e' caduto del 50% rispetto alle vittime complessive; in riferimento alle donne la diminuzione e' stata del 57% (Australian Institute of Criminology, 2003). * Secondo i dati ufficiali le donne sono piu' della meta' dell'elettorato in Brasile. La decisione e' nelle nostre mani. Il 23 ottobre diciamo si' al diritto a vivere, si' al referendum per il disarmo. 2. 23 OTTOBRE. PAOLA PAVESE: SI' [Ringraziamo Paola Pavese (per contatti: paolapavese at hotmail.com) per questo intervento. Paola Pavese, nata a Roma nel 1965, e' da sempre interessata ai temi riguardanti il rapporto Nord-Sud ed ha collaborato con alcuni organismi non governativi in campagne di educazione allo sviluppo; conosce il mondo della cooperazione sociale per averne fatto parte e per aver svolto su di esso un percorso di riflessione critica; nella sua formazione e' stato molto importante l'incontro con il buddismo. Scrive sul sito www.antonellapavese.com] Ho un debito di riconoscenza con il Brasile. Il Brasile mi ha mostrato l'esistenza di un "buon senso fondamentale" dentro l'anima umana. C'erano giorni in cui ero molto triste, accendevo la televisione, vedevo una nuova puntata di una telenovela brasiliana e pensavo, "che cose belle riescono a dire raccontandoti storie improbabili di ricchi e di poveri, di fratelli che si odiano e di amanti che impiegano duecento puntate per potersi finalmente baciare alla luce del sole". Il Brasile e' la terra del samba, degli squadroni della morte e dei meninos da rua, e' la terra dei Sim Terra, e' la terra di Lula. E' la terra in cui si costruisce la speranza ogni giorno e in cui ogni giorno si rischia di morire, di morire di morte violenta. Ha mille facce il Brasile, ed io non le ho mai viste da vicino, ma ogni volta che ho cercato modi nuovi di intervenire sulla realta' e' al Brasile che ho guardato ed e' la' che ho trovato sempre uno sguardo attento all'umano. E quindi, non poteva che venire da questa terra un'idea cosi' semplice e rivoluzionaria verso un cammino di pace e di speranza, di rispetto per la vita degli esseri umani, come la messa al bando della commercializzazione delle armi da fuoco e delle munizioni. Un'idea cosi' semplice da sembrare velleitaria, ma che non e' altro che buon senso. 3. 23 OTTOBRE. LORELLA PICA: SI' [Ringraziamo Lorella Pica (per contatti: lorellapic at libero.it) per questo intervento. Lorella Pica, gia' apprezzata pubblica amministratrice, e' impegnata nell'associazione "Sulla strada", nella rivista "Adesso", in molte iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Per ulteriori informazioni e per sostenere le attivita' di solidarieta' in America Latina e in Africa dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr), tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito: www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico, "Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia: c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito: www.reteblu.org/adesso] Ho partecipato alla marcia della pace Perugia-Assisi, con gli altri dell'associazione "Sulla strada", insieme ai miei amici del Guatemala Juan, Cruz, Brunemilio e Antonia. Sono quattro dei sette maestri maya della nostra scuola nel villaggio La Granadilla che hanno avuto la possibilita' di partecipare all'assemblea dell'Onu dei giovani e quindi alla marcia. Durante la marcia abbiamo parlato molto e mi ha colpito il racconto di uno di loro su una vicenda accaduta in un villaggio nel Quiche' durante gli anni della orribile guerra civile in Guatemala. I villaggi venivano puntualmente distrutti e le persone massacrate senza pieta' dall'esercito. Era la politica della "tierra arrasada": bruciare la terra intorno ai guerriglieri e distruggere luoghi e persone che potevano essere d'aiuto o servire per nascondersi. La maggior parte degli abitanti dei villaggi non capiva quello che accadeva ed erano vittime di volta in volta o degli uomini dell'esercito o dei guerriglieri. Una volta un soldato del governo, durante un'azione cruenta di rappresaglia rimane ferito, e gli abitanti del villaggio colpito lo fanno prigioniero. Le donne allora lo mettono seduto in mezzo a un campo, con le mani legate dietro la schiena, e a turno, tutte, gli parlano di come si era comportato male, di come i suoi antenati stessero soffrendo per tutto il male che aveva fatto, e lo esortano a pentirsi della violenza che aveva fatto circolare nel mondo, e poi gli chiedono di promettere di non comportarsi pii' cosi' nei confronti dei fratelli. Cosi' per tutta la notte e poi lo lasciano libero. * Ecco, questo semplice racconto mi ha fatto riflettere, anche sul referendum in Brasile. Dobbiamo non solo credere che sia sacrosanto votare e far votare si' a questo referendum, ma soprattutto riscoprire la forza del dialogo, del convincimento, dell'esempio, della fede nell'amore che salva. Quelle donne hanno potuto comportarsi cosi' per la fede che avevano nella forza della nonviolenza, e non hanno pensato alle armi perche' sapevano che l'uso di queste avrebbe aggiunto violenza a violenza in un vortice mortale. Hanno creduto che l'esempio di amore, di tolleranza e accoglienza avrebbe sconfitto il male che c'era nell'uomo e lo avrebbe salvato. Ecco, io credo che con questo cuore dovremmo votare e far votare si' all'abolizione del commercio delle armi cominciando dal Brasile e in tutto il mondo. 4. MONDO. RACHEL CORBETT: IL SOLDATO RYAN. E SUA MADRE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Rachel Corbett. Rachel Corbett, giornalista indipendente, fa parte dello staff di "Women News", vive a New York] "Era venerdi', ed il messaggio fu lasciato nella mia segreteria telefonica a mezzogiorno", racconta Rachel Normandy, madre di Ryan, un soldato che si trova in Iraq. "Era qualcuno dell'esercito, ma chiamava dalla Germania. Tutto quel che il messaggio diceva era di richiamare al piu' presto possibile". Ventiquattr'ore d'ansia piu' tardi, Rachel apprese che il figlio era stato ferito da una bomba esplosa in un attentato suicida nel sud dell'Iraq, dove Ryan era di stanza con la Prima Divisione. "Mi sono sentita come se il sangue venisse succhiato via dal mio corpo", mi dice al telefono dalla sua casa di Cupertino, in California, "Aveva schegge di shrapnel infilate nel cervello. Era ustionato sulle braccia, sul collo, sul viso, sulle mani. I suoi polsi erano rotti. C'era un buco nella sua guancia sinistra, e lo shrapnel gli aveva perforato l'occhio". Rachel comincia a soffocare nelle lacrime, mentre aggiunge: "Ha perso l'occhio destro". La madre di Ryan ha lasciato il lavoro da impiegata all'aeroporto ed ha passato tutto l'anno scorso in un ospedale del Texas, con suo figlio. Il sostegno di altre madri, dice, l'ha aiutata ad attraversare questo periodo. * Erano le Blue Star Moms (Mamme della stella blu) di San Francisco, un gruppo che si e' formato poco dopo l'11 settembre fra madri che hanno figli e figlie nelle forze armate. Solo il poter parlare con loro, dice Rachel Normandy, e' stato vitale per lei. Oltre a dare aiuto alle altre madri, le Blue Star Moms stanno investendo incredibili energie nel tentativo di ottenere il ritiro delle truppe dall'Iraq. E vi sono molti altri gruppi, di madri o di donne, impegnati in questo sforzo: Another Mother for Peace (Un'altra madre per la pace), per esempio, che fu fondato nel 1967 per porre fine alla guerra in Vietnam ed e' molto attivo tuttíoggi, o Code Pink (Codice rosa) le cui associate, vestite di rosa, sono assai visibili alle manifestazioni di protesta contro la guerra. Numerose aggregazioni si rifanno al manifesto per la pace di Julia Ward Howe del 1870, il "Proclama della festa della mamma". Un altro gruppo di madri, le Mainstreet Moms, assieme ad una coalizione di associazioni, hanno lanciato la campagna "Lascia in pace mio figlio!", il cui scopo e' educare i genitori affinche' impediscano ai reclutatori dell'esercito di arruolare i loro ragazzi. Gruppi similari, come il "Comitato delle madri dei soldati" in Russia, esistono in tutto il mondo. Il Comitato della madri russe riusci' a far rimandare a casa 180.000 soldati dall'esercito nel 1989. Cinque anni piu' tardi queste madri andarono in Cecenia e si ripresero i figli da sole. * Numerose madri attiviste americane hanno trovato una leader in Cindy Sheehan, il cui figlio e' morto in Iraq, e che ha passato l'agosto fuori dal ranch del presidente Bush per chiedergli spiegazioni al proposito. Oggi, mentre il paese osserva il quarto anniversario del disastro dell'11 settembre, parte degli eventi in programma includono il viaggio che Cindy sta compiendo, e che attraversera' 26 stati. Il tour si chiama: "Portiamoli a casa subito". Chiunque accompagna Cindy Sheehan in questo viaggio ha persone care in Iraq e si e' preso l'impegno di parlare in pubblico e di fare pressione sui politici. Il tour terminera' a Washington, dove dal 23 al 26 settembre si terranno manifestazione e marce contro la guerra, letture e veglie. Le previsioni dicono che i manifestanti dovrebbero essere molte migliaia. Una ricerca del 2004, effettuata dal Pentagono, ha scoperto che l'81% dei giovani militari maschi e femmine ha ricevuto una forte opposizione materna alla decisione di arruolarsi nell'esercito. Il reparto "Ricerche di mercato" del Dipartimento della Difesa ha subito lanciato un programma, in cui sono coinvolti 270 esperti, per studiare il fenomeno: il programma si chiama "Studio dell'attitudine materna" e cerchera' di valutare i fattori che inducono le madri a scoraggiare i figli dall'arruolarsi. * Nel frattempo, i reclutatori militari hanno cominciato a rivolgersi anche ai genitori, oltre che ai giovani. Un manualetto dell'esercito suggerisce per esempio ai reclutatori di intrufolarsi nelle scuole ove vi siano eventi sportivi, o dove si celebri il retaggio ispanico o africano, perche' in queste occasioni si puo' convincere anche i genitori presenti. Il manuale suggerisce inoltre di presentarsi alla guida di un fuoristrada, preferibilmente con persone appena arruolate, e di riferirsi ad esse come ai "futuri soldati". Da aprile, le tv statunitensi presentano una serie spot pubblicitari dell'esercito, strutturati come conversazioni fra genitori e figli. Gli annunci enfatizzano "benefici" quali i soldi per il college e la disciplina. In una di queste pubblicita' si vedono un figlio e una madre a colloquio. Il ragazzo informa la madre di aver trovato il modo di pagarsi gli studi. Interessata, la madre dice: "Vaí avanti". Preparato alle obiezioni, il figlio risponde: "Prima che tu lo chieda, mamma, ho gia' valutato tutto. Posso essere addestrato in qualsiasi campo io voglia. E' tempo per me di essere un uomo". Tutti gli spot, incluso questo e quelli in spagnolo, terminano con il motto: "Aiuta i tuoi figli a trovare la loro forza". Carol Schneider, presidente di "Another Mother for Peace", dice che gli annunci sono per la maggior parte diretti alle donne appartenenti ai gruppi socioeconomici svantaggiati. "Potrebbero esserne attratte, lo credo. Pensa a cosa vuol dire poter far studiare un figlio, quando nel tuo quartiere i ragazzini muoiono per strada nelle battaglie fra le gang". * E nella legge di sostegno alle scuole pubbliche c'e' l'obbligo per esse, adeguatamente finanziato, di fornire tutti i dati degli iscritti alle scuole militari ed ai reclutatori. Il database del Pentagono ha gia' dodici milioni di nomi di studenti con indicazioni quali l'etnia e il grado di istruzione, database che serve per indirizzare meglio i reclutatori. La campagna "Lascia in pace mio figlio!" chiede tra l'altro ai genitori di obiettare a che i dati dei loro figli vengano usati in questo modo. Sul sito web della campagna si puo' trovare il modulo da inviare allo scopo al distretto scolastico ed al Pentagono. Dana Balicki, organizzatrice ed attivista di Code Pink, dice che pero' c'e' un vero problema nel convincere i genitori: "E' che le informazioni non saranno piu' mandate neanche ai comitati scolastici, che decidono il tuo ingresso all'universita' o la tua carriera. Il messaggio e' chiaro: obietta all'esercito, ed avrai obiettato ad ogni opportunita' per il tuo futuro". * Rachel Normandy, oggi, dice che farebbe qualsiasi cosa per poter tornare indietro ed impedire a suo figlio Ryan di arruolarsi. "Sembra che non abbia danni permanenti al cervello, ma le cicatrici mentali sono peggiori di quelle fisiche. Ha difficolta' a prendere sonno, non dorme mai. In ospedale gli davano sonniferi. Ora lui usa l'alcool". La sua voce si spezza, e fra i singhiozzi il suo accento filippino diventa piu' evidente: "Non lo avrei mai creduto. E' cosi' dura la vita per me. Cosi' dura". * Per maggiori informazioni: - Code Pink: www.codepink4peace.org - Leave My Child Alone!: www.leavemychildalone.org - Mainstreet Moms: http://themmob.com/index.html 5. DOCUMENTI. JULIA WARD HOWE: PROCLAMA DEL GIORNO DELLA MADRE (1870) [Riproduciamo questo classico testo di Julia Ward Howe del 1870, il "Proclama del giorno della madre" (la "festa della mamma" che ebbe inizio dopo la guerra civile, come protesta di donne i cui figli erano stati uccisi in guerra). Julia Ward Howe (New York 1819 - Middletown, Rhode Island 1910), filantropa, riformatrice sociale, femminista, antischiavista, pacifista, poetessa, scrittrice; ha scritto di lei Monica Lanfranco: "Julia Ward Howe, femminista nordamericana, nacque il 27 marzo nel 1819 a New York; scrittrice, moglie di Samuel Gridley Howe di Boston, medico e riformatore, dopo la guerra civile si attivo' in campagne contro la schiavitu', per i diritti delle donne e per la fine delle guerre... Mori' nel 1910, in tempo per evitare di vedere le due grandi guerre mondiali. Parte del suo lavoro arriva oggi a noi perche' suo e' l'appassionato primo discorso, pronunciato nel 1870, in occasione della Proclamazione del giorno della madre: non una festa commerciale... l'idea originale della giornata: la protesta di donne che avevano perduto i loro figli contro il massacro della guerra"] Alzatevi, dunque, donne di questo giorno! Si alzino tutte le donne che hanno cuore, sia che abbiano avuto un battesimo d'acqua, sia che abbiano avuto un battesimo di paura. Dite con fermezza: Non permetteremo che le grandi questioni siano decise da forze non pertinenti. I nostri mariti non torneranno da noi con addosso la puzza del massacro, per ricevere carezze ed applausi. I nostri figli non ci verranno sottratti affinche' disimparino tutto quello che noi siamo state in grado di insegnare loro sulla carita', la pieta' e la pazienza. Noi donne di una nazione proviamo troppa tenerezza per le donne di una qualsiasi altra nazione, per permettere che i nostri figli siano addestrati a ferire i loro. Dal seno di una terra devastata una voce si unisce alla nostra. Dice: Disarmo! Disarmo! La spada dell'assassinio non e' la bilancia della giustizia. Il sangue non lava il disonore, ne' la violenza indica possesso. Poiche' gli uomini hanno spesso abbandonato l'aratro e l'incudine alle prime avvisaglie di guerra, che le donne ora lascino a casa tutto cio' che puo' essere lasciato e si uniscano ad un grande e serio giorno di consiglio. Si incontrino dapprima, fra donne, per lamentare e commemorare i morti. Si uniscano poi solennemente in un comune consiglio per divisare i mezzi con cui la grande famiglia umana possa vivere in pace, ed ognuna porti nel tempo che mette a disposizione la sacra impronta, non di Cesare, ma di Dio. In nome delle donne e dell'umanita', io chiedo seriamente che un congresso generale delle donne, senza limiti di nazionalita', venga indetto nel luogo piu' conveniente e nel piu' breve tempo possibile, in concordanza con i propri scopi, per promuovere l'alleanza di differenti nazionalita', la risoluzione amichevole delle questioni internazionali, il grande e generale interesse della pace. 6. PROFILI. ANNA POZZI: ODILE SANKARA Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente testo originariamente apparso sulla bella rivista "Raggio", nel numero del giugno 2005. Anna Pozzi, nata a Lecco nel 1970, laureata in filosofia, giornalista professionista, e' redattrice e responsabile del settore Africa di "Mondo e Missione", autorevole rivista di informazione e cultura sul Terzo mondo del Pime; ha vissuto e lavorato in diverse parti dell'Africa, e' stata caporedattrice di un settimanale camerunense e ha realizzato numerosi reportages da vari paesi africani. Opere di Anna Pozzi, Storie di un continente che rinasce, Editrice Monti. Odile Sankara, nata nel 1964, anno dell'indipendenza del suo paese, il Burkina Faso, e sorella del presidente Thomas Sankara (ucciso il 15 ottobre 1987), e' artista di teatro e di cinema, promotrice di cultura, operatrice sociale, suscitatrice di consapevolezza e impegno per i diritti] Ha un nome "pesante", di quelli che in molte parti dell'Africa continuano a evocare una stagione di lotte e di speranze. Odile Sankara, sorella di Thomas Sankara, il leader che segno' una breve ma intensa stagione politica e sociale del Burkina Faso, porta nel dna quel senso di integrita' che il fratello volle diventasse parte integrante del nome del suo Paese (Burkina Faso significa appunto: Il paese degli uomini integri). Per il resto, non c'e' nulla di piu' distante da lei dall'impegno politico e partitico. Le sue competenze, la sua professionalita' e il suo impegno sociale passano attraverso gli strumenti della cultura e in particolare del teatro. Membro della Compagnie de Seeren (fioritura), un gruppo teatrale professionale, Odile comincia a dedicarsi alla carriera artistica, ma con un occhio di riguardo per la promozione dei giovani e specialmente delle donne. "Dal 1990 - racconta mentre e' di passaggio a Milano, ospite della Libreria delle donne - facciamo teatro rivolgendoci in particolare ai giovani. Lavoriamo soprattutto sui racconti tradizionali del Burkina Faso, ma anche sulle fiabe di La Fontaine, perche' ci sono elementi comuni e soprattutto veicolano gli stessi messaggi educativi e gli stessi valori che cerchiamo di comunicare attraverso il teatro". Odile e la Compagnie de Seeren lavorano nelle scuole, ma non solo. Spesso le rappresentazioni vengono allestite nei quartieri popolari per poter raggiungere anche i molti bambini che non frequentano la scuola. L'impegno teatrale tuttavia non le basta, e nel 1996, insieme a tre compagne, crea l'associazione Talents de femmes (talenti delle donne). Vi si uniscono altre attrici e oggi l'associazione e' molto attiva e conosciuta in tutto il Burkina Faso. "All'inizio - spiega Odile - era per noi un modo di rispondere con i fatti alle opinioni poco lusinghiere della gente. Nel mio Paese, le donne che fanno teatro o che lavorano nell'ambito culturale o artistico non sono ben viste, anzi, vengono considerate delle poco di buono. Questo perche' lavoriamo molto di notte, usciamo da sole, rientriamo tardi, e allora si pensa che conduciamo una vita scostumata. Naturalmente non e' vero e dunque abbiamo deciso di farlo capire alla gente attraverso il nostro lavoro e questa associazione, che oggi promuove molte iniziative interessanti". * Un problema sociale Una di questa, la piu' conosciuta, e' il festival Voix des femmes (voci di donne), che si svolge ogni due anni ed e' giunto alla quarta edizione. Racconta: "Per questa occasione facciamo venire nella capitale Ouagadougou i gruppi tradizionali dai villaggi. La' le donne lavorano molto, hanno creato gruppi di danza o canto, ma il loro lavoro resta confinato nei villaggi. E in piu' non hanno formazione adeguata e quindi quello che fanno resta un po' nell'ambito folcloristico. Durante il festival le facciamo venire in citta', permettiamo loro di esibirsi, ma anche di avere occasioni formative. Per questo si fanno esibizioni tra gruppi di citta' e gruppi rurali, in modo da favorire uno sguardo incrociato tra i due contesti. E poi, proponiamo momenti formativi con professori e specialisti e una tavola rotonda durante la quale si affrontano i loro problemi". In questi anni, e' emerso che il problema di fondo non e' di carattere meramente artistico, ma piuttosto di tipo sociale. In un contesto ancora fortemente tradizionale, le donne hanno pochi margini di liberta', raramente possono fare quello che desiderano, perche' ci sono gli uomini al loro fianco che le controllano e le sottomettono. "In passato, quando le donne, dai villaggi, venivano al festival, c'era sempre un uomo ad accompagnarle. Cosi' i mariti erano rassicurati perche' non si potevano lasciar andare le donne tutte sole in citta'. Ma ancora oggi le donne non possono uscire da sole o fare le attivita' che desiderano". All'origine di questa situazione vi e' stata, per diverse di loro, la mancata possibilita' di accedere alla scuola e, di conseguenza, anche se hanno voglia di fare qualcosa, mancano degli strumenti necessari per realizzare le loro attese. Molte sono cresciute in famiglia, aiutando la madre e occupandosi dei lavori domestici e dei campi. Secondo Odile, le cose stanno migliorando, perche' le bambine vanno maggiormente a scuola, ma ancora non tutte. A questo riguardo, e' stato messo a punto un programma di scolarizzazione femminile, e un po' alla volta, la realta' cambia in meglio. Il problema di fondo e' che molti genitori non hanno ancora compreso adeguatamente l'importanza dell'educazione scolastica. In certe zone, le bambine vengono ritirate dalla scuola, perche' la mamma e' sola, ha appena partorito e ha bisogno di qualcuno accanto che l'aiuti. Oppure i bambini, durante alcune stagioni dell'anno, vengono impiegati per seguire il bestiame e cosi' non possono completare il percorso scolastico. Senza dimenticare che, frequentemente, le famiglie sono molto povere e, nelle zone rurali, non ci sono molte scuole, per cui i bambini devono fare molti chilometri per raggiungere la piu' vicina. * Consapevolezza e conoscenza Con la Compagnie de Seeren, Odile e i suoi colleghi hanno avuto la possibilita' di lavorare con una ong canadese, che ha sostenuto le loro tournee in giro per il paese. Un modo, questo, per sensibilizzare sui diritti dei bambini attraverso il teatro, toccando temi molto delicati: dalle mutilazioni genitali femminili ai matrimoni forzati, dalla salute all'educazione, all'acqua potabile, ecc. Generalmente, la gente risponde bene a questa iniziativa e dopo ogni rappresentazione segue quasi sempre un dibattito con la gente, molte volte piu' interessante delle stesse rappresentazioni. Odile spiega: "I temi trattati sono molto forti e a volte ci rinfacciano il fatto che noi veniamo dalla citta' per dare delle lezioni. 'Noi - dice la gente - sappiamo perche' diamo le nostre figlie in matrimonio, non vogliamo che escano con uno qualunque, che non ascoltino piu' i loro genitori e magari rimangono incinte. Noi preferiamo darle in moglie a un amico che ci ha fatto del bene e al quale restituiamo del bene'. Quando dicono queste cose, hanno ragione nel loro contesto, ma io cerco di farli riflettere aprendo un poco i loro orizzonti. 'E se vostra figlia non ama l'uomo che avete scelto per lei? Se non e' d'accordo? E poi perche' non la mettete al corrente, non chiedete la sua opinione e il suo consenso, ma la date in sposa come se fosse un oggetto?'. Oggi ci sono ragazze che preferiscono fuggire, andarsene via, nonostante le difficolta' gravi che incontrano, pur di non finire in moglie a un uomo sconosciuto, spesso molto piu' vecchio di loro. Queste cose vanno discusse e noi cerchiamo di stimolare la riflessione attraverso il teatro". Poi c'e' l'altra grande e grave questione relativa alle mutilazioni genitali femminili. Da qualche anno e' stata lanciata una campagna a livello nazionale per debellare questa pratica disumana ed e' stata approvata anche una legge che punisce con la prigione e un'ammenda coloro che la praticano. Molte l'hanno abbandonata pubblicamente, ma c'e' ancora chi opera di nascosto ed e' necessario fare un grande lavoro per cambiare innanzitutto le mentalita'. "Da noi - dice Odile - queste pratiche non hanno niente a che vedere con la religione. Fanno parte di una tradizione, che e' ancora molto forte. Si e' sempre fatto cosi' e non si discute; o lo accetti e lo fai o non lo fai ma lo rispetti. E' qualcosa che nel tempo ha assunto un'aura di sacralita', ma in realta', se si scava a fondo, si scopre che all'origine c'e' l'interesse da parte degli uomini di dominare la donna, di addomesticarla". Contro queste pratiche e contro altre forme di discriminazione lottano le donne di Talents de Femmes, facendo valere innanzitutto i loro diritti, difendendo la loro reputazione di donne artiste, e promuovendo l'emancipazione di altre donne. "Oggi la gente vede il lavoro che facciamo, l'impegno che mettiamo e ci apprezzano, ma questo non impedisce che ci sia anche un altro sguardo. Per esempio, io ho quarant'anni e non sono sposata, cosa inaudita per la nostra societa' e anche per gli uomini, che mi guardano con sospetto. L'importante e' continuare a crederci, avere una forte motivazione come anche l'ambizione e il coraggio di andare avanti". Un coraggio, il suo, che e' radicato nella cultura e nella tradizione a cui appartiene, ma che si nutre anche delle esperienze che in questi anni ha maturato in Europa e in particolare in Francia, dove dirige un laboratorio teatrale. "Qui ho imparato innanzitutto che l'ignoranza rende schiave le persone e che se hai un'educazione, se possiedi il sapere, allora puoi scegliere nella vita, puoi scegliere la tua vita. Questo voglio trasmettere e condividere con le mie connazionali, per una maggiore consapevolezza dei nostri diritti, e per essere finalmente libere". 7. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: DOMANDE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] L'ambasciatore statunitense all'Onu, John Bolton, ha proposto un'alterazione quasi totale del documento che fa riferimento agli obiettivi di sviluppo per il millennio (Millennium Development Goals). Nello scorso aprile, tutti i 191 stati membri dell'Onu si erano accordati su tali obiettivi, che comprendono la promozione dell'eguaglianza di genere ed il miglioramento delle cure sanitarie per la maternita', e sul loro raggiungimento entro il 2015. La richiesta ha sbalordito, a dir poco, gli altri delegati, ed e' interessante il commento di quello cinese, Zhang Yishan: "Il piano alternativo proposto da Bolton ha troppi distinguo. Ed allo stesso tempo e' semplicissimo, dato che loro (gli americani) hanno deciso di cancellare tutto". Fra le centinaia di scempiaggini proposte da Bolton, c'e' la richiesta di rimuovere dal documento gli obiettivi usciti dalla Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne di Pechino del 1995 (fra cui la lotta alla poverta' e all'aids, e l'impegno per l'eguaglianza delle donne), e sarebbe gia' abbastanza, ma fra esse vi e' anche, clamorosa per indegnita', la richiesta dell'eliminazione della Commissione Onu per i diritti umani. Nel frattempo, il Vaticano ha chiesto ai leader cattolici di astenersi dal firmare un documento, redatto da aderenti a varie fedi religiose, di sostegno agli obiettivi di sviluppo per il millennio. Prima del diktat Vaticano, 194 leader religiosi lo avevano gia' firmato, ed esso sara' presentato il prossimo 14 settembre durante il Summit Mondiale dell'ONU. Due ingenue domandine dall'ingenua sottoscritta: quando il governo Usa parla di democrazia e liberta', di cosa sta parlando? E quando il papa manda messaggi a favore della pace, cosa intende? 8. RIFLESSIONE. DANIELA NOBILI: L'ODIO QUOTIDIANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 settembre 2005. Daniela Nobili e' ordinaria della Societa' psicoanalitica italiana. Opere di Daniela Nobili: con Glauco Carloni, La mamma cattiva, Guaraldi, Rimini 1974, 2004] Purtroppo molto spesso ci troviamo nella necessita' di ammettere che cio' che ci appare disumano e' invece profondamente umano, anzi esclusivamente umano. Negli animali infatti l'inermita' del piccolo suscita soltanto comportamenti di accudimento e protezione; non e' cosi' tra gli uomini. Uno studio approfondito nella storia del figlicidio nella specie umana dimostra quanto tempo e' stato necessario perche' i genitori trovassero nelle leggi e nella morale un freno (sempre parziale, purtroppo) agli impulsi di aggressivita', sadismo, appropriazione e manipolazione di figli vissuti come una loro proprieta' a cui non si riconoscevano diritti. Preferiamo pero' dimenticare questi dati di realta', nonostante le ripetute smentite, e ci stupiamo ogni volta perche' in ognuno di noi e' presente una specifica censura, una disperata negazione relativa al tabu' dell'amore materno che pretendiamo solido, indiscutibile, non ambivalente. E' vero invece il contrario: dentro di noi, animali conflittualizzati e appesantiti dalla mente, i sentimenti di amore e di odio ricorrono sempre parallelamente, non tanto contrapposti fra loro, quanto insieme antagonisti dell'indifferenza. Ne consegue che laddove l'amore e' a livello cosciente piu' intenso, nella profondita' dell'inconscio ribollono odi e rancori altrettanto intensi. E quale rapporto e' piu' intenso di quello che unisce la madre al proprio bambino? Chi ha, come lei, tanti, continui, quotidiani motivi per odiarlo? Se accettassimo finalmente questa naturale verita' potremmo forse aiutare veramente una madre che provi impulsi aggressivi per il proprio figlio prima che li agisca. 9. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: BASTEREBBE POCO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sulla rivista "Via Dogana", n. 63, dicembre 2002. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997". Giulio Marcon, dirigente dell'associazionismo umanitario, e' presidente della ong Consorzio italiano di solidarieta' (Ics) e tra i promotori della campagna "Sbilanciamoci" per una legge finanziaria di pace. Opere di Giulio Marcon: Le ambiguita' degli aiuti umanitari, Feltrinelli, Milano 2002; Come fare politica senza entrare in un partito, Feltrinelli, Milano 2005] E' un libro da leggere e che si fa leggere. L'autore si chiama Giulio Marcon, "uno dei protagonisti dell'impegno umanitario", cosi' lo presenta la quarta di copertina. Il libro s'intitola Le ambiguita' degli aiuti umanitari, con un sottotitolo, piu' aderente allo scopo del libro: Indagine critica sul Terzo settore. Si chiama Terzo settore l'economia non basata su fondi pubblici ne' governata dalla logica del mercato e del profitto (percio' chiamata anche non profit). Il doppio titolo rispecchia il fatto che l'autore appartiene al mondo delle ong (organizzazioni non governative) impegnate nella cooperazione internazionale e negli aiuti umanitari; di questo sa in prima persona. Pero' s'interessa dell'economia non profit nel suo insieme perche' c'entra con la cooperazione e perche' lui e' convinto che sia il terreno di uno scontro da non evitare: "Bisogna far uscire il Terzo settore dalla condizione di 'normalita'' e 'accettabilita'' cui molti esegeti lo vorrebbero costringere". Libro di un uomo impegnato nelle cose di cui parla, franco nelle critiche, non compiaciuto nella denuncia dei mali, onestamente in cerca di risposte praticabili, che sa spiegare le cose e che sa raccontarle. Spicca il racconto della missione Arcobaleno, durante la guerra del Kosovo, con un inconfondibile ritratto della ministra Livia Turco che manda bigliettini volti a smontare le sue oppositrici, in cui scrive "In questi momenti odio di essere ministro". Io l'ho letto (cosi' come ho letto un libro diverso ma non meno valido, L'illusione umanitaria, di cui ha parlato "Via Dogana" 61) perche' questi temi m'interessano e perche' sono colpita dai rapporti sempre piu' squilibrati che caratterizzano la convivenza umana, in senso economico, politico, culturale. Non sopporto che si distribuisca l'etichetta di razzista a persone e popolazioni che sono messe in difficolta' dagli effetti di questo disordine, e cerco di capire come vi siamo finiti e come sia possibile uscirne. Per il comune della gente, a cominciare da me, questa situazione da' un senso di grande impotenza da cui molti si difendono male, con l'indifferenza o con l'ostilita'. Il mio senso d'impotenza e' accresciuto dal fatto che, essendo piuttosto vecchia, nella mia memoria si accumulano ricordi che risalgono alla crisi del Congo ex belga, con l'assassinio di Lumumba, formando una lunga sequenza di speranze uccise, di progetti naufragati, di politiche impraticabili, di guerre insane, di occasioni perdute, che questo libro non ignora ne' sottovaluta. "Ha una logica questa spirale perversa?", si chiede l'autore riferendosi agli aiuti internazionali che, di fatto, aiutano i paesi ricchi e non quelli ai quali gli aiuti sarebbero destinati. "Ancora una volta la risposta e' si'. E' quella dei profitti e degli interessi dei paesi ricchi"; le alternative ci sarebbero, aggiunge: "promuovere l'autosufficienza alimentare, utilizzare il piu' possibile le risorse locali, rivitalizzare le societa' contadine, impedire lo sviluppo delle biotecnologie e le iniziative predatorie delle multinazionali agro-alimentari. Proprio quello che viene progressivamente impedito dalle politiche delle istituzioni economiche internazionali" (pp. 46-47). * Ma c'e' qualcosa che m'impressiona ancor piu' dell'aggressione continua e rapace del grande capitale alle economie e alle culture dei popoli e alla vita stessa dell'intero pianeta. Ed e' la tendenza degli uomini europei (compresi i nordamericani di origine europea) a intromettersi nella vita degli altri paesi per ragioni le piu' diverse, capitalismo a parte, che vanno dalla salvezza dell'anima, la propria o l'altrui, allo spirito di avventura, passando per il progresso delle scienze, la salute, il turismo, la diffusione di una idea o di un'ideologia, la liberazione dei popoli, lo studio e la protezione di animali o di gruppi umani minacciati... Tante, tantissime ragioni che ci portano distante dal capitalismo e perfino in conflitto con esso, ma di cui sentiamo che gli sono imparentate come ispirazione e di cui sappiamo che spesso gli diventano complici, volontariamente o involontariamente. L'autore di Le ambiguita' degli aiuti umanitari ha ben presente questa deriva della complicita'. Mi chiedo, invece, se abbia mai pensato all'ipotesi della parentela e se abbia riflettuto - a partire da se', ossia da un punto di vista bene informato - su quella tendenza all'espansione universale di se', propria della civilta' europea moderna. Per parte mia ho cominciato a pensarci quando la tendenza ha influenzato il femminismo. Mi riferisco, per esempio, alla politica dei "luoghi difficili", con le sue missioni nei campi profughi, o alle donne in nero che seguono (o precedono: non so come vanno le cose in pratica) la carovana dei giornalisti sui teatri della guerra, o a una recente proposta di rete informatica per intervenire prontamente nei casi di donne i cui diritti sono violati, in ogni parte del mondo. Fino al caso di Martha C. Nussbaum, una studiosa nata e vissuta negli Usa, specialista del mondo greco antico e quasi una seguace di Aristotele, che un giorno si presenta sul mercato delle idee con un libro, Diventare persone, sui diritti universali, libro destinato alla liberazione delle donne nei paesi in via di sviluppo. (Anche di questo libro e di questo caso "Via Dogana" ha parlato nel n. 61, pp. 9-10). Per tentare di non essere generica, preciso che mi lascia stupefatta la apparente facilita' con cui questi (e queste) "missionari" riescono a stare, parlare, pensare e decidere, in contesti cosi' differenti da quello in cui hanno imparato a parlare, sentire, comportarsi, e per giunta spesso contesti segnati da grandi problemi e grandi sofferenze. "Ma come fanno?" mi chiedo io che, se non mi sento in contatto di piacere, almeno un filo, con l'altro, perdo il contatto con me stessa. E tendo a pensare che, in queste perdite che non fanno problema, perdita del contatto e perdita del contesto, vi sia anche qui una radice di disordine. * Riflettendo sulla complicita' con le politiche dei paesi piu' potenti, per quel che riguarda specialmente le ong italiane, Marcon suggerisce la strada di un possibile rinnovamento. Una volta fatta la scelta impegnativa (e dolorosa) di autoriforma, basterebbe poco, scrive, dando una serie di indicazioni pratiche, come un minimo di autofinanziamento, una presenza assicurata di volontari anche nei ruoli direttivi, la rinuncia al gigantismo imprenditoriale, con relativi stipendi, e, soprattutto, il collegamento con i movimenti sociali (p. 55). E' veramente poco? A me pare di no, ma non sono in condizione di giudicare, tanto piu' che lo stesso Marcon, piu' avanti, scrive che forse non basterebbe e che forse ci vuole una specie di "rivoluzione culturale", senza fermarsi a precisare meglio. Nelle conclusioni, per evitare quelle che qui egli chiama le degenerazioni della corsa al centro (ma si tratta sempre della deriva della complicita'), Marcon torna, per cosi' dire, a minimizzare e parla di "tanti piccoli accorgimenti". Segue la lista che ormai sappiamo, con una novita', la sex balance, cosi' la chiama, senza virgolette ne' corsivo, spiegando che consiste nel dare alle donne e agli uomini le stesse opportunita' e responsabilita'. Adesso mi diventa chiaro che si', basterebbe poco, ma non e' quello che Marcon suggerisce. Quello che Marcon suggerisce sono rimedi solo apparentemente pratici, quasi tecnici, e ben circoscritti; in realta' rispondono a istanze morali che gli uomini da secoli non fanno che darsi per poi perderle e ridarsele. Quel "sex balance" e', secondo me, la spia di un qualcosa di elementare ma dimenticato, di cruciale ma evitato. Lo e' nella sua stessa espressione, perche' Marcon sarebbe uno che, sacrosantamente, irride il gergo internazionale (inglese) degli esperti, che giudica buono soprattutto per le pseudosoluzioni da vendere in programmi preconfezionati. Ma non in questo caso, in questo caso sembra non sapere che quella "bilancia dei sessi" e' sovrapposta ad una contraddizione politica che non si risolvera' senza tutto un processo di ricontrattazione dei rapporti fra i sessi. E preferisce credere, o far credere, che si tratti di una risposta a portata di mano, un piccolo accorgimento. Eppure si tratta del suo, nostro essere donne e uomini che stiamo lasciandoci alle spalle una storia di rapporti patriarcali e di ruoli sessuali, per inventare tutto o quasi, paternita', famiglia, linguaggio amoroso, costumi sessuali, organizzazione della vita quotidiana, e via via, fino ai confini di quel continuum che e' una civilta'. * Non so che cosa pensare di questa perdurante non-risposta della cultura politica maschile all'avvenimento della liberta' femminile, con tutto quello che ha e avra' di dirompente per l'esistenza di ciascuno di noi in prima persona, e per le forme della vita sociale. Sono pero' persuasa che c'entri con quella tendenza non interrogata alla affermazione di se' in ideali di civilta' proiettati fuori di se' sugli altri per il loro bene, poco importa se questi altri vogliono, chiedono, sono d'accordo, condividono, oppure no. Questa tendenza come quella non-risposta, infatti, parlano di una difficolta' di esserci in carne e ossa nell'ordine del discorso, da cui la difficolta' di prendere coscienza che c'e' altro da se'. Questa si' che sarebbe una rivoluzione culturale. E in verita' basterebbe poco, provo a dirlo. Basterebbe che tutta l'importanza che le donne hanno nelle vite degli uomini, dalla nascita, e prima ancora, in avanti, di cui troviamo segni di ogni tipo, sparsi per ogni dove, dall'arte piu' eccelsa alla piu' terribile cronaca nera, ma disseminati a caso, con una specie di perversa volonta' di non sapere, basterebbe che gli uomini ne rendessero calmamente conto anche quando organizzano il mondo, fanno teorie, scrivono libri. 10. MAESTRE. ANGELA ALES BELLO: LA POSIZIONE DI EDITH STEIN [Da Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero Padova 1998, 2003, p. 65. Angela Ales Bello, decana della Facolta' di Filosofia dell'Universita' Lateranense a Roma, direttrice del Centro italiano di ricerche fenomenologiche, direttrice della rivista "Aquinas", fa parte del comitato di redazione di numerose riviste italiane e straniere, e' curatrice dell'edizione italiana delle opere di Edith Stein presso Citta' Nuova; e' tra le piu' grandi studiose del pensiero fenomenologico. Opere di Angela Ales Bello: Husserl e la storia, 1972; L'oggettivita' come pregiudizio. Analisi di inediti husserliani sulle scienze, 1982; Husserl. Sul problema di Dio, Roma 1985; Husserl e le scienze, 1986; Fenomenologia dell'essere umano. Lineamenti di una filosofia al femminile, Citta' Nuova, Roma 1992; Culture e religioni. Una lettura fenomenologica, Citta' Nuova, Roma 1997; Edith Stein. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1999; Edith Stein. patrona d'Europa, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000; Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero Padova, 1998, 2003. Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl, pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica, abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d'Aquino, Memorie Domenicane, poi in La ricerca della verita', Citta' Nuova; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova; Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte in La donna, Citta' Nuova; e la raccolta di lettere La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, poi Mondadori, Milano 1997. Opere su Edith Stein: per un sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero di Edith Stein, Vita e Pensiero, Milano 1976; Luciana Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova, Roma 1991; Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di Padova, 1998, 2003; Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000. Per la biografia: Edith Stein, Storia di una famiglia ebrea, Citta' Nuova, Roma 1994, 1999; Elio Costantini, Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria Editrice Vaticana, Citta' del Vaticano 1987, 1998; Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000] La posizione di Edith Stein puo' essere compresa solo ponendosi dal punto di vista della ricerca della verita'. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 29 del 15 settembre 2005
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